FERRUCCIO BUSONI

FINO A QUANDO?

Wie lange soil das gehen?
B.154, H.221, LM.24, R.31. In «Signale für die musikalische Welt», Berlino, LXIX, n. 2, 11 gennaio 1911.



Sull'Oceano, dicembre 1910

Ieri ci ancorammo all'incantevole costa meridionale dell'Irlanda. La contemplazione della bellezza ripagava ad usura la perdita di tempo. Cedeva in lontananza il tumulto del quotidiano affaccendarsi che passa gemendo attraverso tutto il mondo civile, e quell'altro rumore, la critica, taceva. Puntò e silenzio nell'aria, qualche cosa di domenicale, indipendentemente dal calendario e dal servizio divino, come si può trovare solo nel più lontano settentrione o ai Tropici.
Quando a casa, in una mattinata tranquilla, apro una partitura a me cara, quando mi irretisco, per esempio, nel serico, quasi aereo tessuto del Finale del II atto del Figaro di Mozart, allora entro in questa atmosfera festiva, e la coscienza del peso cessa d'esistere.
La musica è la più misteriosa delle arti. Intorno ad essa dovrebbe aleggiare qualche cosa di solenne e di festivo. Ci si dovrebbe accostare a lei con le formalità e il mistero con cui si accede a un rito massonico. È artisticamente immorale che sia permesso a ognuno di precipitarsi dalla strada, dal treno, dal ristorante, nel secondo tempo di una Nona Sinfonia. Per questo amo il Flauto magico, perché sa unire l'enigmatico alla commedia.
L'ingresso di una sala da concerto dovrebbe promettere le cose più straordinarie e condurre gradatamente dalla vita profana a quella più interiore. Lo spettatore dovrebbe venir condotto nell'inconsueto passo passo.
A questo scopo bisognerebbe anzitutto diminuire il numero delle manifestazioni musicali. Allora ognuna di esse aumenterebbe di valore, potrebbe essere oggetto di una scelta e di una preparazione accurata, potrebbe venir altrimenti aspettata, altrimenti goduta.
I debuttanti di talento non dovrebbero tormentarsi, far sacrifici pecuniari, perdere di fronte a una sala vuota l'ultimo resto del loro difficile coraggio - dovrebbero invece annunciare al mondo, di fronte a poche persone scelte, le loro doti fresche e promettenti: una festa primaverile dell'arte, il saluto a un nuovo fiore appena sbocciato, la consacrazione del giovane talento, una cerimonia tranquilla e gaia.
I maestri provati dovrebbero farsi sentire di rado e solo quando avessero da comunicare qualcosa di importante e di nuovo.
L'inaugurazione della stagione d'opera dovrebbe essere l'avvenimento dell'annata; la prima rappresentazione di un lavoro teatrale dovrebbe far scorrere per le vene del pubblico quei brividi che io, e molti con me, conosciamo dall'infanzia e da quel momento che precede l'alzarsi del sipario sul primo atto. E si dovrebbe tacere, tacere ed essere raccolti e non applaudire, e il giorno dopo non scrivere nulla. Quanto viene distrutto da applausi e recensioni, quanto poco aggiunto!
Fino a quando ci si dovrà lasciar menare per il naso da alcune stereotipe frasi di stampa? E fino a quando «il giorno dopo» si sarà costretti a leggere che «bravura tecnica si contrappone a temperamento» e «virtuosismo a profondità?». Non fu Bach un virtuoso del contrappunto, Wagner un virtuoso dell'orchestra, Mozart un virtuoso di tutti i virtuosismi?
Fino a quando «dissonanza» sarà considerata e definita l'opposto di «consonanza», «trascrizione» l'opposto di «composizione», «leggerezza» l'opposto di «profondità»? Fino a quando «a un innovatore sarà negata la forza d'invenzione» («l'innovatore» comprende in sé «l'inventore») fino a quando le novità saranno trovate troppo lunghe, le lungaggini classiche saranno accettate con ammirazione? Fino a quando si prenderà sul serio una facezia di Beethoven e si riderà del nobile lavoro di un musicista non famoso? Fino a quando si respingeranno, con ragione, gli imitatori e allo stesso tempo si metteranno sotto agli occhi degli indipendenti i modelli da imitare?
Quando arriveremo a constatare che non tutto ciò che è antico è buono e non tutto ciò che è nuovo è cattivo, e che abbiamo fatto finora assai poca strada? Perciò non voltiamoci a guardare indietro, e non fermiamoci, perché il tempo non conosce arresti e la vita è limitata e incerta. E non trasciniamo forse troppa zavorra sulla schiena, che ci impedisce l'andar leggero e veloce? Le cose più necessarie e importanti pesano già abbastanza.
E la commedia mondana attorno alla «personalità» dovrebbe sparire definitivamente. Con ciò ogni piccineria cadrebbe da sé. Quanti sanno chi fu il costruttore di una ammirata cattedrale? A chi viene in mente di informarsene? E in fine la musica non dovrebbe cessare di essere un triviale ornamento di circostanze triviali, come, per esempio, la bassa fonte di divertimento in trattorie e alberghi? O non potrebbe esser segnato un confine tra i motivi che possono risonare in questi luoghi e quelli dei templi, a cui solo appartengono? Baldassarre non fu forse punito perché adoperava i calici del Santissimo per il suo banchetto? Se l'arte deve essere prostituita pubblicamente (cosa che da parte mia nego), si serbi almeno la distanza. Che stia in mezzo al popolo, ma separata da lui, come spetta a un monarca. E soprattutto, che si stacchi da scopi di lucro; bisogna tendere a liberarla da tutto ciò, se si vuole che il prossimo secolo non abbia a rimanere famoso nella storia come il secolo senza arte. Utopie? No! Circostanze che si possono toccar con mano; e sforzi di avvicinarci a un Rinascimento che, in corrispondenza con i vantati progressi dell'umanità, dovrebbe splendere di tanta maggior luce dell'altro Rinascimento: come questa mattinata sulla costa meridionale d'Irlanda, pura e domenicale.
- Ecco il fischio della sirena. Navighiamo nella nebbia - il corno ha dato il segnale di avviso.

A bordo dell'R.M.S «Oceanic», 23 dicembre 1910.