FERRUCCIO BUSONI

SULLA PARTITURA DEL PARSIFAL

Über die «Parsifal»Partitur. Il primo frammento (B.187, H.227, R.46) è una lettera pubblicata dalla «Vossische Zeitung», Berlino, 6 gennaio 1913, n. 10. II secondo (H.228) è una lettera non datata a Georg Häser, critico musicale della «Schweizerische Musikzeitung», trovata da Joachim Herrmann fra le carte di Busoni e da lui attribuita al periodo del suo soggiorno a Zurigo durante la guerra. Con il 1º gennaio 1913, anno trentesimo dalla morte di Wagner, cessò com’è noto il diritto del Festival di Bayreuth di rappresentare il Parsifal in esclusiva.


Berlino, gennaio 1913

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Passerò certo ai Suoi occhi per una persona di idee ristrette, quando Le avrò dichiarato che sapere la magistralmente bella partitura del Parsifal conservata nella mia biblioteca, e sapere che nessuna legge, pro o contro, può cambiare una sola delle sue linee orizzontali e verticali, insomma la consapevolezza di questi pacifici dati di fatto, mi rende quasi indifferente alle fortune esteriori dell’opera. Nessuna esecuzione scenica di Bayreuth potrà mai riuscire così pura come i segni scritti sulla carta; rappresentazioni imperfette, d’altra parte, non possono togliere nulla della sua perfezione all’opera; per il fatto stesso che la partitura esiste, il tesoro è protetto da ogni attacco.
Diritti affaristici sulle proprie opere oltre la morte, per trent’anni e ora anche per un ulteriore avvenire, mi riescono incomprensibili. All’uomo geniale si dia del denaro da vivo, perché possa creare, ma non interessi ai suoi eredi.
«Disposizioni eternamente valide» sono insostenibili, come Ella sa; se fossero sostenibili, di un’opera non resterebbero, in breve tempo, che le indicazioni di cui s’accompagna; giacché noi andiamo continuamente cambiando le opere del passato, per conservarle. Mossi dallo stesso istinto, mutiamo il nostro modo di guardare le opere d’arte figurativa.
Non credo che le leggi possano determinare o fermare il destino di un’opera d’arte. Non credo nemmeno che al Parsifal convenga una simile legge protettiva una dichiarazione legale di santità più che al Faust di Goethe o più che alla Nona Sinfonia. Io credo nella partitura del Parsifal e per più che trent’anni dalla morte del Suo autore se non anche «per l’eternità».

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Ho osservato con tutta l’oggettività di cui sono capace che la «via libera» concessa al Parsifal ha infranto l’incantesimo che teneva prigioniera la gente. L’opera, presentata come «novità» e punto culminante di un’organizzazione avvedutamente condotta, a chi era rimasto fuori di Bayreuth è apparsa invecchiata e sbiadita: su di che le persone sincere non si fanno illusioni.
La tendenza cristiana del lavoro lo pone (già per questo suo carattere) alla fine di un capitolo. Inoltre la musica non ha nulla in comune con la tendenza (dovrebbe starne al di sopra e ci sta in realtà) - ; ancor meno dovrebbe venire associata a dati giorni del calendario.
La musica non può esprimere una «concezione del mondo» (parola che mi è incomprensibile in questioni d’arte, eccetto quelle filosofiche). Parlo in veste di puro musicista. «Etico», «religioso», «solenne», «culturalmente importante», «purificante»: sono faccende che non toccano la mia arte.
Contesto l’affermazione che mai altri abbia mostrato l’elevazione in una forma così concentrata e con arte talmente permeata di spiritualità. La Missa solemnis di Beethoven e il Flauto Magico di Mozart sono più validi esempi dell’espressione che porta «ad altezze di spiritualità e di amore puri» che il non precisamente divertente «Bühnenweihfestspiel» (1). Ciò nonostante ammetto ben volentieri che la partitura del Parsifal contenga molte pagine magistrali e musicalmente belle.
Ma le considero appartenenti a tutto un altro capitolo (che riguarda il musicista) e che non ha nulla a che vedere con rappresentazioni della domenica pomeriggio, con purificazione, concezione del mondo e deliberata negazione del piacere.
Sarebbe ora di prescindere dalle «tremende lotte esteriori» Beethoven ha creato anche mentre infuriavano, non precisamente comode, le guerre napoleoniche per precisare i valori astratti di un lavoro.

(1) Sagra scenica.