FERRUCCIO BUSONI

DEL SUONARE A MEMORIA

Vom Auswendigspielen.
B.81, 11.118 (parziale), LM.8, R.16. In «Die Musik», VI (1906.07), n. 15, maggio, per un'inchiesta promossa ivi nel marzo da Wilhelm Altmann (il famoso musicologo, 1861-1952; l'intervento vi apparve preceduto da quello della vedova e biografa di Hans von Bulow, Marie, e seguito dalle conclusioni di Altmann.



Berlino, maggio 1907

Illustrissimo professore,

soltanto ora, di ritorno da una lunga assenza, mi capita tra le mani la sua interessante questione: «Debbono gli artisti suonare a memoria?»; e dietro il suo espresso invito («Risposte di artisti... mi sarebbero molto gradite») mi permetto di scriverLe.
Vecchio concertista militante, sono arrivato alla persuasione che suonare a memoria permette una libertà d'esecuzione incomparabilmente maggiore.
È importante, ai fini della precisione, che gli occhi possano posarsi senza impacci - quando sia necessario - sulla tastiera. La dipendenza da un volta-pagine può anche legare, spesso impacciare.
Oltre a ciò si deve conoscere a memoria il pezzo in ogni caso, se all'esecuzione si vuole assicurare la giusta condotta delle parti.
Ancora - ogni pianista progredito glielo potrà confermare - una composizione di qualche importanza si imprime più presto nella memoria che non nelle dita o nello spirito. Le eccezioni sono molto rare; in questo momento potrei citare solo la fuga della Sonata op. 106 di Beethoven.
In ogni modo il trac, cui ognuno più o meno soggiace, più o meno spesso agisce sulla sicurezza della memoria. Ma non - come Ella pensa - la memoria sul trac. Se il trae interviene la testa si confonde, la memoria vacilla; ma se si prende in aiuto la carta, il trac si manifesta subito in altro modo: note false, mancanza di ritmo, acceleramento dei tempi.
Ella lamenta l'esistenza di artisti che «vanno girovagando tutta la loro vita con una mezza dozzina di concerti», e riporta questo fenomeno al vezzo di suonare a memoria.
Ma il signor R. Pugno, che Ella adduce come un buon esempio del suonare con la carta, non dispone nel suo repertorio di un numero di concerti maggiore.
Se mi posso permettere una spiegazione, eccola:
Ci sono degli artisti che apprendono lo strumento e gli elementi musicali come un tutto; e artisti che s'impadroniscono di singoli passaggi e di singoli pezzi, isolatamente.
Per questi ultimi ogni pezzo è un nuovo problema, che deve venir risolto faticosamente volta per volta; essi devono fabbricarsi per ogni serratura una nuova chiave.
I primi invece sono fabbri che con un mazzo di grimaldelli e di chiavi false penetrano e vincono in breve il segreto di ogni serratura. Questo si riferisce tanto alla tecnica quanto al contenuto musicale e alla memoria. Se si possiede, per esempio, la chiave della tecnica dei passaggi di Liszt, del suo sistema di modulazione, del suo sistema armonico, della sua costruzione formale (dove sta il crescendo? dove il punto culminante?) e della sua maniera espressiva, suonare tre o trenta dei suoi pezzi è lo stesso. E che questa non sia una frase, credo di averlo dimostrato.
Il nuovo compito per la memoria comincia - relativamente - quando ci si occupa di un compositore, di una nazione, di un'epoca, di una tendenza, delle quali non si possiede la chiave generale. E quanto avvenne a me la prima volta che affrontai César Franck.
Così arrivo alla conclusione: per chi ha la vocazione di suonare in pubblico, la memoria non è d'intralcio come non lo è, per esempio, il pubblico stesso. Ma colui per il quale suonare a memoria costituisce una barriera sarà esitante anche in tutto il resto. Il primo presenta la letteratura musicale agli altri, il secondo sceglie alcuni pezzi per presentare se stesso. Così la questione deve venir impostata in modo del tutto diverso: «dov'è il limite da cui comincia il diritto di suonare in pubblico?».