Paolo Isotta

LA MUSICA DEL SILENZIO
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«Morte» può per molti, siano o no credenti, essere la più dolce delle parole. Può significare anche strazio, indurre a inane ribellione contro gli ingiusti decreti del Fato. Accostata al nome di Giuseppe Sinopoli la parola significa soltanto «strazio ». Lo strazio per un destino incompiuto, come si disse, giacché morire durante l'ascesa verso la grandezza da tragedia privata diviene impoverimento del mondo. È vero che non solo strazio proviamo pensando a Sinopoli: il grado di trasparenza e distacco di alcune sue interpretazioni contiene già un labile elemento di consolazione. Penso al 'Wozzeck' della Scala, al 'Pélléas et Mélisande' di Firenze. Oggi immagino che Egli avrebbe forse voluto morire come morire fece Mélisande, che si spegne fasciata di accordi divenuti arcano silenzio, e se ne va come un piccolo animale rientrante in seno alla natura. «Dis aliter visum», recita un terribile verso dell'Eneide, «gli dèi disposero diversamente»: e si parla d'un sacerdote insigne per pietà, ucciso sull'altare ancora avvolto delle sacre infule. Così, anche per Sinopoli «dis aliter visum». Ecco un'altra parola, Memoria, che in casi siffatti è sinonimo di maledizione. La storia della civiltà è anche la storia del lento, paziente esorcismo de lla Memoria come maledizione. La nascita stessa della musica è connessa a tale processo. Esiste una precisa liturgia, regolata dal rito religioso o laica, che potremmo chiamare Cerimonia del Ricordo. Riccardo Muti ha costruito alla Scala questa cerimonia con un'intensità e una delicatezza di commozione rivelanti la profonda bontà d'un personaggio ch' è riuscito al capolavoro di nasconderla. Ha pronunciato parole di solenne semplicità, né una di troppo né una mancante, ricordando lo stretto leg ame tra l'Orchestra e il Coro della Scala e il Maestro scomparso. Ha espressamente invitato tutti noi presenti a lasciar fasciato di silenzio il finale di quello che non è un concerto, è, appunto, una Cerimonia del Ricordo. Non credo l'atmosfera di commozione fosse sufficiente a lasciarci turbati insieme e consolati nell' ascoltare il 'Requiem' di Mozart, a farci parere l'esecuzione la più perfetta mai ascoltata. La vita è una milizia: Muti, ridotto il gesto all'impercettibilità perché nemmeno ipoteticamente potesse crearsi l' equivoco di una sua presenza protagonistica, ha diretto, Coro e Orchestra hanno compito l'officio loro, con austerità nel duro contrappunto e, ripeto, infinita delicatezza. La grande esecuzione musicale non è qui volontà di potenza, è compiere al meglio la propria milizia per onorare un Assente. Il silenzio che segue all'ultimo accordo del Requiem vibrava d'un'eco lontana. Nelle nostre coscienze qualcuno ascoltava risonare il brano forse più vicino al cuore di Sinopoli, quell'interminato «Ewig», «per sempre», con che si chiude 'Il canto della Terra' di Mahler, e i confini fra Bene e Male, Tempo e Nulla si dissolvono in luci calanti.

[Corriere della Sera, 23 maggio 2001]