I dizionari Baldini&Castoldi

I Quattro rusteghi, di Ermanno Wolf-Ferrari (1876-1948)
libretto di Giuseppe Pizzolato, da Goldoni

[Die vier Grobiane] Commedia musicale in tre atti

Prima:
Monaco, Hoftheater, 19 marzo 1906

Personaggi:
Lunardo, antiquario (B); Margarita, sua seconda moglie (Ms); Lucieta, figlia di primo letto di Lunardo (S); Maurizio, cognato di Marina (B); Filipeto, suo figlio (T); Marina, zia di Filipeto (S); Simon, mercante, suo marito (Bar); Cancian, ricco borghese (B); Felice, sua moglie (S); il conte Riccardo, nobile forestiero (T); una giovane serva (Ms)



Atto primo . Venezia, verso la metà del Settecento. In casa di Lunardo, ricco antiquario, sta finendo il carnevale, e Lucieta si lamenta con Margarita, sua matrigna, di non poter partecipare, per volontà del severo padre, a quegli sgoccioli di festa. Anche Margarita si lamenta degli austeri princìpi di Lunardo. Lucieta, che vede nel matrimonio una via verso la libertà, chiede allora a Margarita se si stia pensando, per lei, a qualcosa in tal senso: Margarita elude, Lucieta spera. Arriva il burbero Lunardo, ben contento di aver invitato a casa Maurizio, Simon (e signora) e Cancian (e signora), suoi amici, per stare un po’ insieme. In realtà – come Lunardo confida a Margarita, non appena Lucieta si allontana – l’occasione sarà buona per far fidanzare la figliola con Filipeto, figlio di Maurizio; naturalmente Lucieta e Filipeto, secondo le buone usanze, non dovranno vedersi fino al giorno delle nozze: buone usanze non condivise da Margarita, che comincia a tramare per il contrario, mentre Lunardo mette a punto il contratto matrimoniale col sopravvenuto Maurizio.

Atto secondo . Altana in casa di Simon e Marina. Mentre Marina stende il bucato arriva Filipeto, che le riepiloga quanto Simon ha deciso riguardo il matrimonio con Lucieta: specularmente, rivolgendosi alla zia come Lucieta si era rivolta alla matrigna per lamentarsi del padre, ha le stesse preoccupazioni della promessa sposa. Arriva Simon che, fatto allontanare Filipeto, comunica a Marina dell’invito a cena, senza dirle dove e con chi: tanto da far lamentare la moglie, a consolare la quale arriva Felice col marito Cancian e il conte Riccardo, cavalier servente di Felice. Marina sa così dove sarà la cena e, notizia che la rallieta, del progetto tramato per Lucieta e Filipeto. Tuttavia quell’idea che gli sposi siano destinati a non vedersi fino alle nozze indispettisce le donne, che pensano a come rimediare all’assurda convenzione, diventata pretesa di Lunardo. Rientra Simon che, burberamente e scontroso, fa sì che gli ospiti si allontanino; colpita dal comportamento, anche Marina si ritira. L’ultimo a uscire è Cancian, che non sopporta il conte Riccardo, ma deve, per amore dell’amatissima Felice, alla quale nell’uscire è caduta la sciarpa; Cancian la raccoglie e vi poggia le labbra, lasciandovi un bacio. Nella sua camera, Lucieta prega la Madonna che lo sposo che le è stato scelto le piaccia e chiede a Margarita, giunta già abbigliata per la cena, di darle qualche aiuto nel vestirsi; di tutto ciò, ovviamente, Lunardo si irrita e si sfoga con Simon, già arrivato insieme a Marina: e via cantando sul buon tempo antico. Per fortuna arriva Felice, che interrompe il dolce rimembrare; allontanatisi Lunardo e Simon e rimaste fra donne, Felice manifesta il piano che permetterà ai due sposi di darsi una sbirciatina: nel clima carnevalesco, Filipeto arriverà travestito da donna, accompagnato dal conte Riccardo. Così avviene e i due giovincelli, vistisi, subito si innamorano, perfin si parlicchiano. Ma apriti cielo! Arrivano infatti Lunardo, Simon e Cancian, con i loro modi (e il corredo di voci scure, a interrompere la chiara trama sopranile e tenorile), e Filipeto con Riccardo va a nascondersi in un’altra stanza. All’oscuro dell’accaduto, Lunardo annuncia solennemente le progettate nozze; e dice anche che Maurizio è andato a prendere il figlio per portarlo alla cena. Che ne sarà del piano? Le donne fremono, anche per le conseguenze di collera dei bassi. Arriva Maurizio, che dice di non aver trovato Filipeto, ma di saperlo col conte Riccardo. Cancian dà la stura ai suoi risentimenti contro il conte che, ascoltandoli dall’altra stanza, non sa più nascondersi e svela anche Filipeto. Riapriti cielo! I bassi si indignano per la presa in giro, i soprani si indignano per l’indignazione dei bassi. Lucieta vien minacciata di convento, e sviene fra le braccia di Margarita; Maurizio prende a calci Filipeto e lo porta via.

Atto terzo . Nella semioscurità della bottega d’antiquario di Lunardo, le voci scure e semiscure di Lunardo, Cancian e Simon discettano su come punire tanta femminile imprudenza. Ma arriva Felice: si prende la responsabilità di tutto, ma osserva sul fin di bene che la mosse e perora: ci si può sposare senza conoscersi? E se il matrimonio avesse consegnato Lucieta all’infelicità per tutti i suoi giorni? Tanto arringa, che persuade i burberi animi a capire e perdonare. Approfittando del varco aperto in quei cuoracci, alla fine non esenti da bontà sotto la scorza e la dura pelle, Felice fa entrare Margarita, Lucieta e Marina, pentite. Lunardo vorrebbe ostinarsi nel suo duro atteggiamento, ma le lacrime lo inteneriscono; fatta accostare a sé la figliola Lucieta, le indica nel frattanto arrivato Filipeto il promesso sposo. Mentre tutti escono per andare in un’altra stanza, Lucieta e Filipeto rimangono per ultimi: lei si aspetta un bacio, ma lui non capisce; quando però la vede ridere e correr via la insegue, cogliendo l’attimo e l’occasione per il primo bacio.

Da un Goldoni celeberrimo, secondo il proprio carattere musicale, Wolf-Ferrari spunta i picchi più aguzzi dei Rusteghi . Ma resta viva l’idea della sostanziale serietà del comico, che è persuasione morale per attingere non il moralismo ma piuttosto la bontà, che sempre può scoprirsi al fondo degli animi anche i più gretti. La consueta vena malinconica dell’autore entra in un percorso goldoniano che vale una rilettura critica acuminatissima del grande commediografo – si vedano anche Le donne curiose , Gli amanti sposi (Venezia 1925), La vedova scaltra (Roma 1931), Il campiello – la cui teatralità viene qui risolta in un declamato che si fa melodia scenica. Particolarmente da segnalare il nitore strumentale che serve una pagina sapientemente tessuta, anche nella coloritura vocale: si pensi alle voci di bassi e baritoni che danno un colorito da buffo settecentesco a una vicenda ben passata per il verdiano Falstaff , riferimento fisso delle opere goldoniane di Wolf-Ferrari per la coralità, il recitato e l’organizzazione teatrale.

r.ma.

Dizionario dell'Opera