RAFFAELLO DE RENSIS

L'APOLOGO DEL RAGNO

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A questo punto della narrazione, io che scrivo non posso lasciar nella penna un ricordo personale. Avevo fondato, nell'ardore dei vent'anni, un giornale musicale, e nel preannuliziarlo a musicisti e studiosi, costoro in gran numero, cordialmente lo salutarono. Puccini, Mascagni, Giordano, Cilea, Mancinelli, Sgambati, Chilesotti, tra gli altri, inviarono lettere e telegrammi augurali; i giovani, primi Pizzetti, Malipiero, Bastianelli, divennero assidui collaboratori. Il saluto di Wolf-Ferrari mi piacque più di altri aventi sapore di cortese convenzione, diceva: Se, v'è un paese, iiel quale un giornale musicale serio e nobile possa fare e dire cose utili, è proprio l'Italia. Specialmente i nostri giovani dei Conservatori ne hanno bisogno. Sappiamo tutti in quale abbandono si trovano...».
Da questo momento il giornale «Musica» - poiché riceveva corrispondenze da lutte le parti de! mondo - seguì e registrò l'attività... all'estero del maestro veneziano.
Ai primi di luglio del 1908 avevo fissato un incontro a Venezia con Gian Francesco Malipiero - conosciuto personalmente poche settimanie prima a Ferrara, ove ci eravamo trovati per la costituzione dell'Associazione Italiana dei Musicologi - e volli profittare per avvicinare Ermanno Wolf-Ferrari. Mi accompagnò fino al portone del Liceo il maestro Preite, succeduto al Calascione nella direzione della Banda cittadina. (Povero Calascione! Morto di sincope, a piazza San Marco, mentre dirigeva una sua fantasia del Rigoletto.
Preite mi avvertì:«Forse non vi riceverà, perché occupatissimo a comporre una nuova opera. Immaginate che il poeta Zangarini è qui, prigioniero, in soffitta, per completare il libretto.»
Salendo le scale mi imbattei proprio con Zangarini, che a mia domanda si rifiutù di fare delle indiscrezioni; mi disse soltanto: «Lavoro con rinnovata fede al libretto che, a differenza dei miei precedenti che considero una semplice preparazione, sarà un vero libretto, cioè rispondente a tutte le esigenze esteriori del teatro e capace d'ispirare una chiara e spontanea musicazione. Lavoro sotto il continuo ed acuto controllo del maestro, il quale ha una sicurezza di costruzione, direi mimica, plastica e mi guida efficacemente nello sviluppo dell'azione. Egli vuole inuanzi tutto, che le scene si succedano chiare, senza antefatti, senza oscurità, senza racconti, che solo il movimento dei personaggi e dei meccanismi debba bastare alla comprensione della favola.»
Zangarini si sarebbe volentieri lasciato trasportare dalla gioia che gli proviene dal parlare e diseutere, ma fu richiamato all'ordine da una voce interna e dovette risalire all'ultimo piano.
Il maestro Wolf-Ferrari, al contrario di quanto mi aveva fatto temere il Preite, mi ricevette subito; con una certa circospezione, è vero, sospettoso forse della visita di un giornalista italiano, non essendogli mai capitata una ventura simile. In Germania sì, molti dottori l'avevano avvicinato, e intervistato.
Alla freddezza iniziale seguì, man mano, un calore di conversazione che si prolungò, con reciproco godimento, per qualche ora.
Per la prima volta, in quell'epoca, ascoltai dalle labbra di un musicista - per giunta ritenuto di marca tedesca - una vera e convinta difesa, della italianità dell'arte italiana. Egli, in apparenza mite e dolce, ebbe parole di fuoco per i cosidetti modernisti ed avanguardisti, che pestando le orme degli Strauss, Debussy ed epigoni violavano i diritti della propria natura.
«Essi fanno un attentato ai privilegi del loro cervello e del lioro cuore - esclaimò con forza - essi distruggono quella spontaneità e sincerità che rappresentano tuttora il nostro passato, il fastigio del nostro melodramma, il valore di ogni opera d'arte. Sa l'apologo del millepiedi e del ragno? Il ragno invidiava la velocità e il gioco delle gambette del collega, e gli chiese come facesse a non confondere la zampetta num. 18 con la zampetta 506, quella num. 75 con quella num. 999 senza mai incespicare. Il millepiedi s'arrestò su questa domanda che non s'era mai fatta, cominciò a ragionare, a sorvegliare ogni suo movimento... fino a non raccapezzarcisi più e a perdere la facoltà di camminare. Così molti musicisti italiani d'oggi. Finché cantavano per il bisogno di cantare, ispirati da quel che detta dentro, producevano autentiche opere d'arte, ora che arzigogolano troppo col cervello fanno maLematica, se pure, ma non musica».
Da questo apologo compresi, senza equivoci, la professione di fede di Wolf-Ferrari, poggiata fondamentalmente sulla sincerità e sul dovere della sincerità, dalla quale deriva spontaneamente e senza cercarlo il carattere nazionale dell'arte, la bellezza dell'opera. Bellezza vuol dire sincerità, e come tale non è possibile che una bella musica scritta da un italiano non risenta della sua origine, e se l'autore è tedesco non sia tedesco, oppiire ostrogota se è ostrogota.
Mi parlò poi di altro: del suo disagio nel Liceo, del proposito di riprendere la via di Monaco, delle opere composte e da comporre.
Aveva compiuto - pensando a due o tre allievi di canto che avrebbero dovuto interpretarla - un'operina leggera sì, ma dotata di una sostanza musicale più organica che nei lavori precedenti, congiungendo alla netta accentuazione del dialogo una trama sinfonica coordinata e serrata. S'intitola Il segreto di Susanna, e il segreto è la innocente abitudine di fumare una sigaretta; i personaggi son tre di cui uno muto; il libretto, da un iloto testo francese, dell'esperto Enrico Golisciani; atto unico, una specie dell'antico intermezzo.
Lavorava intorno ad un'altra opera, in tre atti, di carattere plopolaresco, di cui l'argomento trae origine da un fatto di cronaca riportato dai giornali, cioè di un pazzo che rubò gioielli alla Madonna per eccesso di devozione. Al compositore piaceva l'ambiente napolitano, così fertile di musicalità, e pregustava il momento di abbandonarsi alle emozioni e alle sensazioni musicali, senza la preoccupazione del dialogo e delle parole, che nella commedia sono padroni assoluti.
Poiché non era rimasto contento della prima stesura del libretto proposto dal Golisciani, aveva passato l'incarico a Carlo Zangarini, che appunto poetava in soffitta.