RAFFAELLO DE RENSIS

FINALMENTE L'ITALIA

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In Italia, dove i continui successi di Germania e d'Austria non erano valsi a scuotere la tenace indifferenza, ebbero invece grande risonanza le manifestazioni americane. Un articolo appassionato di due colonne nel «Corriere della Sera» (14 febbraio 1912), inviato dal corrispondente Felice Ferrero, rivelò all'Italia un suo illustre ed acclamato compositore. A questa punto non accorgersi dell'esistenza di Ermanno Wolf-Ferrari sarebbe sembrato un brutale proposito di nomini piuttosto che stranezza del caso. Il monito di Boito - pur tanto duro e scettico - neppur esso sarebbe più una verità?
Ed ecco il sogno, il lungo e tormentoso sogno avverarsi: il 19 gennaio 1913 l'impresa offri al pubblico della Scala Le donne curiose e queste conseguirono un successo di cui il massimo teatro milanese non ricordava uno simile da molti anni. «Ed ora - scriveva Giulio Bas nel giornale «Musica» del 25 gennaio - non son più pochi musicisti, non son più gli amici quasi soli a sapere, a sentire, a ripetere che Wolf-Ferrari è più che una fra le poche sicure speranze dell'arte italiana: una reale figura di grande artista. Ora lo sanno le migliaia di frequentatori dei teatri; in Germania, in Inghilterra, in America lo sapevan tutti prima di noi. Ma finalmente si sono aperti gli occhi anche qui e... lo sanno anche gli editori. Questo trionfo sarà dunque benefico per l'arte nazionale, perché Wolf-Ferrari si proclama il più schiettamente e coraggioso italiano dei nostri compositori contemporanei».
Le sigarette mezze svuotate della Cenerentola sembrarono, all'imperterrito fumatore, aromatiche e inebrianti.
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Poiché aveva a sua disposizione un libretto del Golisciani, l'Amore medico da Molière, ci si buttò sopra con rinnovata lena, allo scopo di regalare una primizia di gratitudine ad un qualunque teatro italiano. Sono due atti leggeri, graziosi e c'è da cantare con grazia e prestezza. La bella Lucinda soffre di un misterioso male che la logora e la intristisce, mentre i familiari non sanno più che fare per rivederla sorridente. Il vecchio genitore non vuole che alcuno gli porti via l'adorata figlia, piuttosto la nasconderà in un'isola deserta; e, quando Lucinda si ammala e corre pericolo di vita chiama subito quattro illustrazioni della scienza per salvarla. Costoro non sono in grado di diagnosticare la malattia, ed allora il padre accetta il consiglio della serva chiedendo i lumi di un famoso prodigioso dottor Codignac, che identifica la malattia, mal d'amore, e guarisce d'incanto la ragazza, poiché egli altro non è che l'innamorato. Se la sposa e se la porta via rosea e felice.
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Si sente guarito anche lui, Wolf-Ferrari, del suo male nostalgico: la sua Italia, finalmente, se l'è ripreso.
Terminata l'opera, fu subito richiesta... da vari teatri tedeschi, e la prima rappresentazione del 4 dicembre 1913 ebbe luogo a Dresda.
Pazienza! Il lavoro è necessità e conforto, e lo prosegue sulla medesima scia artistica, riandando, anzi, alla fonte più genuina del suo Goldoni. Appresta un libretto con la collaborazione successiva di Pizzolato, Golisciani e Forzano, il quale ultimo dopo una serie di mutamenti, giunse alla stesura definitiva, anche se alquanto lontana dal testo. Si tratta di questo in poche parole.
C'è un marito dolente di essersi sposato troppo giovine e che vuole ricuperare la libertà. Parte col consenso della mogliettina che lo accomiata sorridente e maliziosa, come chi prevede una sicura resipiscenza. Il marito gira il mondo, si diverte, si annoia e s'accorge, in cuor suo, che tutte le cose viste e fatte non valgono l'amore di Rosalba. Per caso la incontra, perché anch'ella viaggia e si distrae, ed ahimé! conduce vita brillante, passando per moglie di un vecchio generale. Però nessuno può dir male di lei, al massimo si susurra che le ronzino attorno parecchi spasimanti. Il marito vero, s'immagini, è costretto anch'egli ad unirsi a costoro e a prender parte ad una giostra di galanteria, che ha per oggetto, invece del ventaglio, una giarrettiera smarrita. Per fortuna, o meglio per volontà di Rosalba, il vincitore è lui.
Questa trama tenue e arguta diventò commedia musicale in breve tempo ed andò ad arricchire i magazzini dell'editore Weinberger. S'intitola Amanti sposi e sarebbe andata subito in giro per i teatri tedeschi se non fosse scoppiata la guerra tra la Germania e la Francia.
La guerra incendiò l'Europa e il mondo e sulle labbra dell'artista si spense il sorriso. Wolf-Ferrari, come facilmente si comprende, subisce una crisi più grave e profonda di qualunque altro artista. La sua origine familiare, i suoi studi, la casa, la posizione raggiunta ed ora minacciata, determinarono in lui disagio, inquietudine, avvilimenti indicibili. Il suo spirito, naturalmente meditativo e contemplativo, si volse alle letture, ed alle letture filosofiche quasi per un ritorno alle infantili consuetudini con lo Squarcina. Non bastandogli Schopenhauer e Nietzsche s'adugiò in tentativi propri per cercar pace, sebbene tale fatica di cervello non avesse fine a se stessa ed avesse tutte le sembianze di una reazione contro ciò che lo distoglieva e lo disturbava come artista. Se, a lunga intermittenza, la fantasia si risvegliava, sorgevano progetti e propositi che appena, abbozzati ricadevano nell'ombra e nel nulla.
Nel 1915 il Presidente della Reale Accademia di Santa Cecilia in Roma lo invitò a coprir la cattedra di composizione nel Liceo omonimo, rimasta vacante per il ritiro del maestro Stanislao Falchi; più tardi gli si offrì la stessa cattedra al Conservatorio di Milano; ma egli non aveva più l'animo disposto ad assumersi responsabilità, troppo geloso della vita libera, della solitudine boschiva, della meditazione.
Il conflitto mondiale lo incalzò e lo frastornò, la speculazione filiosofica prese la via del simbolo artistico, unica forma concessa a lui che non è sostanzialmente filosofo; e germinò nella sua mente la concezione di un'opera aderente al suo stato, spirituale.
L'orizzonte, infine, si rasserenò, e Wolf-Ferrari riacquistò il dominio del pensiero e dell'attività. Improvviso prorompe il gran successo de I quattro rusteghi che dal 1920, partendo dal Costanzi, si propagò per quasi tutti i teatri italiani, grandi e piccoli, e sembrò che questa volta l'affermazione e il riconoscimento in patria fossero davvero incontrastati e definitivi. Le platee nazionali si deliziavano ed applaudivanio, la critica rinunziava, in parte, ai consueti se e ma; ciò voleva dire che la meta perseguita per venticinque lunghi anni era raggiunta.
- Vivaddio! Era tempo di rientrare e di ricominciare la lotta su terreno italiano. Un'opera, Amanti sposi, giaceva negli scaffali dell'editore. Rappresentiamola a Venezia e proprio alla Fenice. Chissà!
Il 19 febbraio 1925, il direttore Piero Fabbroni, già allievo di Wolf-Ferrari, la condusse al successo: successo vivo, sottolineato da cordiali e significative manifestazioni, che segnò la pace affettuosa, anch'essa bramata, tra l'autore e i suoi concittadini.
Il critico Adriano Lualdi - altro allievo del maestro - notò nel «Secolo-Sera» che «con quest'opera l'autore si distacca dalle sue maniere consuete e mostra colori nuovi e nuovi efficaci mezzi d'espressione, dei quali si erano avuti saggi mirabili ne La Vita Nova e nell'Amore medico. Diversa l'epoca (verso 1800), diversi i persionaggi, e non è Venezia il luogo d'azione».