ADRIANO LUALDI

«GLI AMANTI SPOSI»
DI ERMANNO WOLF FERRARI
ALLA FENICE DI VENEZIA


[SERATE MUSICALI - 167-171]

20 febbraio 1925
La composizione di quest'opera risale ad una diecina di anni or sono; e il libretto, ispirato primanente dal Ventaglio di Goldoni, è giunto alla sua forma ultima dopo una lunga serie di mutamenti e di collaborazioni le più varie, che vanno dal conte Sugana - iI riduttore di Donne curiose - al Pizzolato, dal Golisciani al Forzano.
Ripercorrendo il libretto del quale abbiamo dato, nelle scorse settimane, un ampio riassunto, è facile intendere come il Wolf-Ferrari possa essere stato sedotto dalle possibilità che venivano a lui, musicista, dal contrasto tra la sentimentalità dolorosa e l'intimo dramma di Rosalba e di Giacinto e la gaia e frivola schiera delle macchiette che inghirlanda i due sposi separati da una breve burrasca e ansiosi ormai di ricongiungersi; schiera di macchiette che è formata dal visconte Filidoro e da madama. Flori, da sei galanti e da modistine, e che sta al motivo centrale come una cornice roccocò può stare a una Prigione del Piranesi: perdendo quella nel contrasto talvolta stridente un poco della sua volubilità; questa un poco della sua forza drammatica.
Che un compositore del talento e delle risorse di Wolf-Ferrari potesse interessarsi a un simile giuoco di contrasti, si comprende dunque benissimo; che l'assunto fosse particolarmente difficile - pur rimanendo, come riconosce e avverte lo stesso Wolf-Ferrari, nell'ambito del vecchio melodramma - è anche evidente. Difficile sopra tutto, non tarito perchè a personaggi vecchio stile era da dare un'anima, che potesse stare in quei panni: problema delle cui difficoltà Wolf-Ferrari - unico tra tutti i musicisti moderni - ha trionfato tante volte con vera genialità e con inimitabile bravura; ma perchè in un ambiente di opera giocosa, che per noi vuol dire tutta sorridente e leggiadra di superficialità, di sentimentalità a fior di pelle, era da dar credito e affermare artisticamente, cioè senza urti troppo gravi e con verosimiglianza ed evidenza di trapasso, non soltanto la serietà del sentimento di Rosalba e dì Giacinto, ma il suo mondo doloroso, la sua sostanziale drammaticità.
In questo compito il Wolf-Ferrari non è stato certamente aiutato da artifici scenici che, presi a sè, sono assai graziosì e che - anche se discosti dal verosimile, anzi appunto per questo - rientrano benissimo nel quadro dell'opera giocosa; ma che riferiti al dramma e divenuti quasi il perno dell'azione di Rosalba e Giacinto, rendono poco credibile la profondità del loro amore e della loro sofferenza e, quindi, apparentemente ingiustificata la bella e dolorante eloquenza, l'umano e profondo calore di molte pagine musicali dettate dal Wolf-Ferrari.
Rosalba ama perdutamente Giacinto e anela ricongiungersi a lui; e questo suo segreto sentimento è espresso assai bene dalla musica, nella scena del primo atto tra Rosalba e i galanti ma poi, quando la donna si trova dinanzi al marito, che implora pietà e perdono alla marachella commessa, oppone alla possibilità di un'immediata pacificazione l'ostacolo di una giarrettiera da rimettere a posto: efficace e malizioso espediente scenico, ma tale da mettere in dubbio la profondità del dolore e dell'amore di Rosalba.
Essa per quanto tesa nel suo orgoglio o potrebbe subito perdonare o imporre al marito infedele prova ben più seria e grave. Così, nell'ultimo atto, quando Giacinto, credendo addormentata la moglie, si ricorda della scommessa e allaccia «il roseo oggetto» sotto il roseo ginocchio di Rosalba, mostra di possedere buona memoria quanto ha padronanza di nervi e non manca di arguzia e di grazia. Ma quando, poi, vicino alla consorte finalmente riconquistata - in un'alba d'estate, tra bei tappeti di verde e amiche ombre di alberi e cespugli - si addormenta per davvero, mentre la sposa dorme solo per scherzo, allora esagera in delicatezza. È un cavaliere poco cavalleresco; è un Giacinto che fa il Fabio temporeggiatore, e che meriterebbe di pagar cara la sua olimpica flemma.
Anche qui, tra quello che avviene nella scena e quel che dovrebbe bollire nell'anima e nei sensi di Giacinto - e che ha trovato adeguati accenti nella musica - vi è contrasto, e l'effetto non è proporzionato alla causa.
Questo, per spiegare qualche momento di perplessità che si prova ascoltando l'opera; per intendere come il Wolf-Ferrari, trattando con tanta ricchezza di vibrazioni i sentimenti dei suoi due personaggi centrali e con la sua solita spiritosissima vivacità alcune scene affidate ai personaggi di contorno, abbia compiuto artisticamente opera molto superiore a quella dei suoi collaboratori letterari, i quali forse, pensando all'autore delle Donne curiose e dei Rusteghi avranno immaginato che le possibilità creative di questo musicista non andassero oltre la sfera di sentimenti nella quale si aggirano e vivono, le deliziose figure goldoniane; e avranno confidato in una musica che, rimanendo ai margini della passione, senza penetrarla troppo, attenuasse alcune intime disarmonie, invece di ravvivarle.
Ma invece, come già nella giovanile Figlia di Jairo, come nella Vita nuova, come ne L'amore Medico, in molte pagine, in quasi tutte le più belle e forti di questi Amanti sposi si trova un Wolf-Ferrari meno noto di quello ormai conosciuto e ammirato da tutti; ma altrettanto ricco di doni e convincente.
La scena della marchesa, che leggendo la lettera di uno sciocco spasimante pensa al suo segreto spasimo, è una delle più significative: la musica esprime qui quello che la marchesa non dice, e rivela l'anima sua dolorante. La romanza di Giacinto «Perchè ti abbandonai», è anche essa sostenuta da una bella e calda ispirazione; lo stesso modo tormentato, armonicamente, e molto cromatico così nelle parti vocali come nell'orchestra, col quale sono quasi sempre trattati gli incontri tra i due innamorati o i loro monologhi, si distacca dalle manere più consuete del Wolf-Ferrari e mostra, nella già molto nota tavolozza di questo artista, nuovi colori e nuovi efficaci mezzi di espressione, dei quali si erano avuti saggi mirabili ne La vita nuova e nello Amore medico.
A questa maniera appartengono anche la delicata canzone di Ninì, rievocante l'amore di Giacinto per Rosalba; la ripresa e il concertato, bellissimo e di grande effetto che segue; lo squisito episodio della campana e la pagina della marchesa «Era di sera» - una delle più elevate e belle che siano uscite dalla penna del Maestro - e infine «l'albata» dell'atto terzo.
Anche nel trattare le scene e i personaggi comici, Wolf-Ferrari si allontana in questa sua nuova opera dal modo seguito nei Rusteghi e nelle Donne curiose. Diversa è l'epoca (primi dell'800), diversi i personaggi, e non è Venezia il luogo dell'azione. Ecco, dunque, altre prove - se ne occorressero - dell'istintiva sensibilità di questo nobile artista, e della varìetà dei suoi modi di esprimersi musicalmente. L'onestà e la chiarezza e la forza del temperamento musicale, la mano del maestro rimangono sempre quelle: mutano, col mutare dei paesaggi e delle figure sceniche, le «cifre» del disegno e i colori com'è giusto che sia.
Interpreti scenici: De Martini, Bonetti, Di Marzio, Polverosi, Parmeggiani. Direttore d'orchestra P. Fabbroni.