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ADRIANO LUALDI

ALFREDO CASELLA

IL RINNOVAMENTO MUSICALE ITALIANO
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Ed eccoci ad Alfredo Casella (1883). Lasciamolo parlare, prima di parlarne. Egli narra, nel Proemio al volume 21-26: «.... Mio padre, eccellente violoncellista, eseguiva bisettimanalmente a casa, con tre colleghi, i quartetti per archi di Beethoven, Mozart, Haydn. Avendomi mia madre - discepola di Carlo Rossaro (uno dei primissimi wagneriani nostri) e pure ottima musicista - iniziato al pianoforte sin dall'età di quattro anni, i miei rapidi progressi mi portavano a conoscere quattro anni più tardi i due libri completi del Clavicembalo di G. S. Bach. Non frequentando mai il teatro, non conobbi così per lunghi anni altra arte che quella più classica e severa. [...] Quando lasciai il Conservatorio parigino, ero definitivamente orientato verso un'arte anti-impressionistica, se pure non ancora antiromantica e sufficientemente epurata armonicamente [...] Un anno dopo la seconda sinfonia (nel 1909) scrissi Italia. Ero allora tutto acceso di entusiasmo per Albeniz, e volevo assolutamente realizzare qualcosa di simile in Italia...»
Dopo l'apparizione a Parigi dei balli russi di Diaghilef (1910 circa) «...mi parve suonata l'ultima ora della già vacillante 'opera in musica'. Dopo Sacre de Printemps di Strawinski.... « a me, che nutrivo già scarso amore per l'opera teatrale in generale e per quella italiana in particolare (la quale d'altronde conoscevo assai male), il nuovo verbo apparve qualcosa come la religione dell'avvenire». Dopo Pierrot lunaire di Schönberg: «Il credo tonale, già scosso dal debussismo, subiva ormai un assalto formidabile; la possibilità di una musica atonale si affacciava imperiosamente allo spirito di moltissimi compositori». Ritornato dall'estero in Italia e precisamente a Roma, nel 1915, «...venivo quotidianamente additato come il paladino della cacofonia»; nel 1922 durante un viaggio in Toscana, «la natura e l'arte di quella terra mi convinsero per sempre dell'incompatibilità di certe espressioni moderne esotiche coll'animo nostro».
Nel 1923 scrive le Tre canzoni trecentesche, e con queste afferma di aver raggiunta «la faticata mèta»; lo stile cioè nel quale egli, da artista moderno e da buon italiano insieme quale si proclama, ed è certamente, evita di «esprimersi con vocaboli musicali contrari alla sua sensibilità ed incompatibili con le esigenze ataviche».
Queste poche frasi scelte nel lungo e interessante Proemio che ho detto, bastano a spiegare e a chiarire la biografia e il dramma intimo (dramma a lieto fine, s'intende) di questo tanto discusso artista.
Nato in un ambiente di buoni e seri musicisti e cresciuto negli anni appunto in cui il clima intellettuale della Nazione si orientava spontaneamente - trovando nei nuovi artisti che allora si affacciavano alla vita i pronti, sensibilissimi interpreti del fenomeno - verso una concezione dell'arte più alta e più ardua di quella seguita comunemente nel periodo umbertino e antebellico, egli non conosce e non ammette, da principio, che le forme di musica pura; ignora o, meglio, per quel poco che ne conosce, detesta il teatro.
È il rappresentante tipo della corrente estremista che ho accennata nelle prime pagine di questo scritto. (Bisogna però dire, per non dare un aspetto troppo meditato ed eroico a questo atteggiamento, che il Casella si avviava in quei suoi primi anni più verso il concerto che non verso la composizione. Ora, questa di ignorare e di spregiare il teatro è debolezza comune ai virtuosi; essi sono ripagati del resto, dai militanti nell'altro campo, di uguale moneta.)
Esposto, volta a volta, negli anni di permanenza a Parigi, alle più varie e opposte correnti; animato da uno spirito di curiosità e di ricerca che, pur avendo alla base una profonda passione per l'arte, è, nei suoi metodi, un po' freddamente scientifico; scarsamente dotato, invece, di ferme e istintive convinzioni e di senso critico, egli vive tutti i problemi non vedendo affatto, di molti, l'effimero; si abbandona a tutte le esperienze (e anche a qualche débauche), subisce tutte le influenze. Solo per merito di Diaghilef si riconcilia col teatro; solo dopo aver subìto l'amplesso (pàssami, amico Alfredo, l'ardita imagine) del barbaro, per antonomasia, Schönberg, si riconcilia con la Patria e spiritualmente ritorna fra noi.
Oggi il Casella ha raggiunto un modo di esprimersi che egli chiama terzo stile, e che - certo in buona fede; l'uomo è intelligente e onesto, non bisogna dubitare della sua sincerità anche se il «credo» muti talvolta - ritiene definitivo. Di questo stile è da apprezzare grandemente e da lodare senza riserva la bella, italiana chiarezza, la tecnica - - sia armonica che contrappuntistica che orchestrale - perfetta e brillantissima sempre, e quel senso di architettura in grande, solidamente piantata, armonicamente sviluppata e proporzionata nei suoi elementi costitutivi, quel senso che solo gli spiriti molto colti, gli intelletti molto «informati» e aperti posseggono. Una specie di aristocrazia che non si può improvvisare, né fingere. Questa è la parte dello stile attuale di Alfredo Casella che io credo veramente, ed auguro, possa durare ed essere definitiva.
Meno credo all'atteggiamento, tutto esteriore del resto, che per ora si accompagna a questa, e che consiste nella ripetizione di forme e di formule care al Sei, Sette, anche all'Ottocento (i «crescendo rossiniano» che si trovano in qualche recente opera sinfonica del Casella). Non occorre giungere a tanto per mostrarsi partecipi di quel ritorno agli antichi spiriti che informa e idealizza l'opera degli altri nuovi compositori italiani, perché si tratta di un ritorno spirituale appunto, e non di una esercitazione accademica dai modelli in gesso.
Non occorre, e non giova; anche perché in tal caso il fenomeno non è più prettamente musicale ed italiano; ma si riallaccia al movimento della moda internazionale; quella stessa che, nel campo della pittura, ad esempio, conduce oggi tanti artisti, di tutti i paesi, ad imitare per calcolo, con tutte le risorse dell'arte erudita e della esperienza furbesca, le divine «ingenuità» degli artisti primitivi ed inspirati, di quando l'arte era bambina.
Alfredo Casella ha ancora oggi una quantità grande di nemici, e se li merita, perché è veramente un uomo di eccezionale ingegno, è un musicista completo sia quando, al pianoforte, interpreta autori antichi e moderni che quando, al tavolo, compone partiture; è un uomo di gran gusto, di grande coltura, di grande e spregiudicata larghezza di idee. Ha anche un grande numero di amici (calcola di poter contare su 150 solo a Roma, dove vive), perché è un ottimo e fedele amico, ed ha uno spirito di generosità verso i giovani d'ingegno, e di cameratismo verso i coetanei, che tutti i suoi colleghi meno tre (uno di questi sono io) gli possono invidiare e dovrebbero prendere ad esempio. È anch'esso, uno dei più belli esponenti del nostro rinnovamento musicale.