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ADRIANO LUALDI

ALCUNI PERSONAGGI
VIAGGIO MUSICALE IN ITALIA
ALPES MILANO 1927
pp. 223-232

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ALALEONA. - Ho assistito, il 29 ottobre 1926, in S. Pietro, alla consacrazione di sei vescovi cinesi, per le mani di Papa Pio XI. Verso la fine della funzione solennissima, ogni vescovo, pieno di gratitudine per la ricevuta consacrazione, rivolgeva saluti e augurii al Pontefice consacratore e, ritenendo la mitra e il pastorale e genuflettendosi per tre volte per approssimarsi a Lui cantava, alzando ogni volta la voce: Ad multos annos.
Non so perchè, in quel momento io ho pensato ad Alaleona. Il salire a gradi della voce cinese aveva neutralizzato la differenza di statura fra i pekinesi e il marchigiano. Qualche cosa del cinese, del vescovo e del catecumeno è, insieme, in lui. Quel suo fare triploconcentrato, che gli dà l'aspetto del cercatore - sotto i veli delle apparenze - dell'anima universale, lo fa sospettare discepolo di Lao-Tseu; vescovile è la dignità sostenuta anche nei trasporti dell'amicizia; del catecumeno, la timidezza ritrosa e l'istinto di squagliarsi anche quando il ragionamento gli dica: Rimani.
Storico insigne, compositore egregio, maestro dottissimo: solo che imparasse a ridere, e sarebbe perfetto.
ANTONELLI * Come? Anche lui fra i personaggi del mondo musicale romano?
Certo. È critico musicale dell'Impero. L'ho incontrato in piazza Venezia, alla Festa del Libro. Gli ho chiesto delle sue commedie, e mi ha parlato di musiche altrui; dell'avvenimento letterario ai suoi occhi più importante, e mi ha annunciato l'istituzione, a Pescara, di una nuova scuola musicale intitolata a Luisa D'Annunzio.
Allora ho pensato che questo drammaturgo abruzzese covi nel cuore una segreta passione, e ripeta ogni sera, prima di addormentarsi, come una giaculatoria alla Santa di Trastevere, due versi del conterraneo suo De Titta:
Cecilie! ... la fijje cchiù bbell'e cchiù bbone!
Cecilie! ... l'amore echiù pplacid'e zzitte!
BARILLI**. [LINKS: LAVAGETTO - PUBBLICAZIONI]- Ha una faccia stranita e dolcemente feroce, dove gli occhi luminosi e chiari sono come un'azzurra promessa di pace nel drammatico paesaggio di ossa frontali e nasali grandiose e minaccianti, foderate di una pelle asciutta, e matura da capitano di lungo corso. Porta al vento una criniera di capelli che sprizzano violenti dal capo, e s'ammorbidiscono e s'inanellano poi, come addomesticati dalla mite aria capitolina.
Sempre, nei contrasti vivi fra l'invettiva e la carezza, fra le fughe nei paesi di fantasia e le fotografie grottesche nei paesi della realtà, si ritrova nei suoi scritti quel tanto di zingaresco e di raffinato, di primitivo e di navigatissimo, di scontroso e di sentimentale che sono nella sua figura d'uomo. Talvolta, fra riga e riga, o sui margini di qualche pagina, traspaiono i segni di una malinconia e di un dolore profondi, che si sforzano invano di rimanere nascosti.
Perchè Bruno Barilli è un artista; anche se, nei tempi critici che corrono, il suo pane si chiami «critica».
BARINI. - Il nestore (ma ha poco più di sessanta anni) della critica musicale romana. È bianco, lindo, corretto come un piemontese. Ha imparato, in trent'anni di osservatorio, a riconoscere a colpo d'occhio l'altezza delle stelle, e la loro grandezza e durabilità. I suoi articoli sono brevi e documentati come bollettini meteorologici; ma se il barometro segna tempesta, il pronostico dell'osservatore volge al tempo migliore, per non far stare in troppa pena i parenti e gli amici del pericolante. Commise, in gioventù, qualche peccato con Euterpe, ma se n'è purgato assolvendo, poi, molte peccata di altri. Si interessa agli amori degli artisti; e su questo argomento ha pubblicato ora un libro di trecento pagine, che sembra confermare, in ogni riga, il detto berlioziano: «Amore e musica: sono le due ali dell'anima».
CASELLA. - Vedi: B. Barilli, Il sorcio nel violino, pag. 31, segg. Non si può dir meglio, nè di più.
DE RENZIS. - Occhi attenti dietro tersi occhiali. Scrisse un giorno: «In musica, come in religione, l'anima e l'immaginazione sentono, vedono e giudicano: musica e religione hanno un contenuto misterioso, impalpabile, sfuggente sotto le grinfe sperimentali della scienza; l'una e l'altra non seguono vie indirette: o invadono e trasportano, o lasciano indifferenti».
L'osservazione è giusta; e l'aver accomunato, sia pure soltanto in un ragionamento, la musica alla religione, è cosa rara, rara rara e bella.
DI SAN MARTINO. - Da tempo immentorabile (ma ciò non vuol dire che sia di troppo antico pelo), supremo regolatore della vita musicale romana. Presidente dell'Accademia di Santa, Cecilia, Presidente dell'Ente del Teatro Costanzi, ora costituito. Si trovi a Parigi o a Roma, porta sempre ed in ogni stagione (questo è meraviglioso) all'occhiello una gardenia candida, simbolo del suo disinteressato amore per la musica e, forse, di una segreta obbedienza ad un detto di Sant'Antonio.
Come si conveniva ad un San Martino, dette - quando la musica era, a Roma, se non nuda dei tutto assai poco vestita - una metà del suo mantello all'arte dei suoni. E bene glie ne incolse; perchè oggi l'altra metà del mantello (glie n'è rimasto sempre abbastanza) è diventata, recando i segni delle molte buone opere svolte, il più bel paludamento alla sua autorità.
GASCO. - Un ritratto di Filippo IV, del Velasquez (non quello in abito da cacciatore, con l'archibugio in mano e il cane accanto, che sarebbe così perfetto di attributi, per un critico, ma quello a mezzo busto, dove la testa balza dal vassoio candido e rigido della baverina inamidata) potrebbe essere, fatta eccezione per la bazza, la sua caricatura.
Giudica e manda - dalla tribuna della Tribuna - con tanta autorità e buona grazia che anche quando (ma è caso raro) scortica qualcheduno, mette la vittima nella tentazione di mandargli, con un brandello di pelle, un biglietto p. r. Della originaria Spagna conserva, oltre all'acconciatura del capo seicentesca, uno spirito di cavaliere del buon tempo antico che lo rende caro agli amici e amabile anche agli avversarii; della nativa Napoli un fervore d'ingegno che lo tiene sempre lontano dalla pedanteria; della Roma patria d'elezione, ha l'ottimismo accomodante.
Vecchie leggende, quadri famosi, paesaggi di poesia gli ispirarono opere teatrali, e musiche sinfoniche e da camera. Carpaccio con La visione di S. Orsola, il Clitumno con le sue fonti sono stati, a questo assetato di romantici sogni e di poesia, buoni sorsi e dolci riposi.
INCAGLIATI. Pontefice in posizione ausiliaria. L'aver rinunciato, fino a nuovo avviso, al vizio (della critica) non gli ha fatto perdere il pelo, nè la rotondità dell'addome. Il visibile ad occhio nudo (osservare la folta durezza della barba sempre apparentemente intonsa) verso mezzodì nel negozio Ricordi e qualche volta, nel pomeriggio, all'Aragno. Porta sempre sul naso gli occhiali e sotto il braccio destro un gran fascio di riviste e giornali. Fondatore del periodico Orfeo, ed affondatore di alcune caravelle melodrammatiche.
MASCAGNI. - Dice: «Ho smesso di tener conferenze perchè, ogni volta, mi facevo duemila nemici». Il suo spirito polemico è, infatti, così straripante e vivace, che fin ai capelli, se un giorno gli dicessero: «Bianco», sarebbe capacissimo di ribattere: «Nero».
Come in Puccini si è potuto trovare lo specchio della nostra borghesia d'anteguerra, in Mascagni è facile riconoscere i caratteri del nostro popolo: la classe più ricca di possibilità, di forze, di sensibilità, di ardore, di entusiasmi: che può cadere nello sciatto e nel ruvido talvolta, ma che ha un cuore vibrante e generoso, che aspira - pur non accorgendosene, magari - a sollevarsi e ad allargare lo sguardo sopra nuovi orizzonti; che non rinuncia, per tutto l'oro del mondo, alla ineffabile gioia del motto salace e della sferzata ironica, anche se sa di tirarsi addosso tutti i fulmini delle autorità costituite; che affronta volentieri battaglie e lotte - anche se non è proprio sicuro di esser dalla parte della ragione - ma che non si vende.
Uomo di genio, ha fatto talvolta spreco del suo genio. Ma glie n'è rimasto sempre - abbastanza per stampare nel nostro melodramma un'orma che durerà assai più della canizza che ancor non gli è cessata intorno.
MICHETTI. - Quando Molinari dirige le prove all'Augusteo, Michetti sta ad ascoltare, seduto nella prima poltrona della decima fila del centro. Solo e immobile nel mezzo dell'immensa platea deserta, immerso fino a metà torace nelle onde concentriche delle poltrone tappezzate in cremisi, sembra un nuotatore che, facendo il morto, voglia attraversare il mar rosso. Invece è vivissimo; lo si vede quando, finita la prova, mentre Molinari si asciuga il sudore e chiama a rapporto qualche professore d'orchestra, Michetti gli si avvicina ed incomincia a rinfrescarlo con le sue freddure e a strapparlo dalle magìe della musica col revulsivo delle sue barzellette.
Michetti ha scritto un paio d'opere, e riesce (raro portento) a non parlarne mai; possiede, a Pesaro, case e terre esposte al sole e alla brezza marina; uno splendore di figlia, che ha rubato il colore degli occhi al turchino dell'Adriatico; un appetito da leone; un buon umore da studente in vacanza. Chi più felice di lui?
MOLINARI, per antonomasia «Bernardino». È magro come un chiodo, movibile come un girino, infaticabile come una macchina. Il podio dell'Augusteo è il suo regno, la bacchetta direttoriale il suo scettro, molte grandi orchestre sinfoniche d'oltr'alpe sue colonie, i giovani autori (dei quali molti, in verità, gli debbono l'exsequatur) sua corona.
Dei mille ventotto concerti organizzati in trentanove anni (fino al 15 maggio 927) dall'Accademia di S. Cecilia, ne ha diretti almeno trecento; è, con la sua orchestra, sottile ed esigente fino al punto di chiedere l'espressività dei «pizzicati»; quando dorme sogna crome, e quando è sveglio le divora.
MULÈ. - Incontrarlo di notte in un vicolo deserto, al chiaro di luna, con quell'opulento ciuffo corvino che gli nasconde mezza la fronte, e l'orecchio sinistro che fa da cariatide all'ala sbandata del cappellaccio nero, e gli occhi di pece e la giacca nera quadrata e le brache nere ad imbuto: può anche mettere un certo sgomento. Ma visto di giorno, nel Liceo di S. Cecilia, al suo tavolo di direttore, fra pratiche emarginate e da emarginare, fra carte da musica scritte e tragedie greche da intonare, è il piú rassicurante e dolce uomo del mondo.
Corre, chiamato dalle esumazioni classiche, da Siracusa ad Ostia; dalle telefonate ministeriali, da via dei Greci al palazzetto Venezia.
Dà ai cori tragici dell'Ellade qualche mite accento isolano; irrora i perditempi burocratici con qualche breve sospiro di isolana nostalgia. È sicilianu, e un s'u po' scurdari.
RESPIGHI. - Tutti dicono quando lo vedono: somiglia a Beethoven; e molti, quando ascoltano le sue musiche: somiglia a Strauss, o a Debussy.
Sono malignità. Respighi è molto più bello di Beethoven; e, quanto alle musiche, si è fatto uno stile che è composito, ma che non può più essere confuso nè con Strauss, nè con Debussy.
Ha una latina morbidezza di linguaggio che lo distingue dal primo, e certe fissità armoniche che lo differenziano dal secondo. Su un accordo solo sa scrivere venti pagine di partitura interessante, e intorno ad una breve idea sa intessere un lungo e interessante discorso.
Da quando viaggiava l'Italia con l'orchestra bolognese e con Guido Visconti di Modrone ha fatto molta strada, ed ha scritto una biblioteca di musica. È certo che della strada ne farà ancora molta, e che le cartiere e gli editori dovranno ancora molto lavorare per lui.
ROSSI o, per meglio dire, Ninorossi. Ha chiesto, un giorno, udienza al Duce. E, appena gli si è trovato dinanzi, ha gridato: «Eccellenza, lei deve permettere che io la abbracci». Mussolini, da romagnolo che aveva capito il romagnolo, ha risposto di sì, e l'ha lasciato esplodere.
Pianista di gran classe, quando suona si piega sulla tastiera che pare voglia arroventarne gli avorii col fiato.
Corpo d'ercole e cuor di fanciullo.
TOMMASINI. Si racconta che una volta, punto dalla vaghezza di scrivere un pezzo di musica e non trovandosi subito a portata di mano un'idea, prese la penna, l'intinse e la fece schizzare sulla carta da musica. Poi, alle goccioline sparse sul pentagramma, assegnò, secondo le dimensioni, i valori ritmici, e secondo l'orientamento il valore melodico. Ottenuto così il tema, compose il pezzo di musica, e tutti dissero poi che era molto ispirato e spontaneo.
Non è sempre questo il suo modus agendi; ma nelle musiche sue è facile trovare talora i segni di una certa noncuranza per ciò che è idea, e di un ossequio e di un rigore profondi per ciò che è forma. Figlio di senatore, diplomatico nato, ha avuto incarichi delicatissimi nei quali musica e diplomazia andavano a braccetto. Ma nessuno ne ha saputo nulla, perchè nelle faccende personali di Tommasini neanche San Tommaso riescirebbe a mettere il naso.
* Luigi Antonelli (nato a Castilenti [Teramo] nel 1882, morto nel 1942), aderì ai principi del "teatro grottesco" che si opponeva allo psicologismo borghese del teatro italiano dell'epoca. Tra le sue commedia, fiabesche e sottilmente ironiche, sono: L'uomo che incontrò sé stesso (1918), La fiaba dei tre maghi (1919), L'isola delle scimmie (1922).
** Nato a Fano nel 1880 (morto a Roma nel 1952), Bruno Barilli dopo aver stu diato a Monaco collaborò nel 1912-1915 alla «Tribuna», al «Cor riere della sera» e al «Resto del carlino» con servizi sulle guerre balcaniche. Dal 1915 svolse presso vari periodici attività di critico musicale. Fu tra i fondatori della Ronda (1919). Scrisse due opere musicali, Medusa (1914), e Emiral (1915). Ha lasciato estrose pagine di impressioni e divagazioni, cronaca e memoria, caratterizzate dalla sontuosità barocca delle immagini e da un gusto bizzarramente surrealista. Nelle cronache musicali l'osservazione della realtà è trasformata da un vivo linguaggio metaforico; nelle prose di viaggio le impressioni sono rese con frammenti disorganici folti di paradossi e di 'colore'. I valori culturali che stanno alla base delle sue annotazioni sono quelli nazionali e tradizionali, con la difesa del gusto classicistico e il rifiuto delle esperienze dell'avanguardia: Delirama (1924), Il sorcio nel violino (1926), Il paese del melodramma (1929), Parigi (1933), Il sole in trappola (1941), Il viaggiatore volante (1946), La lotteria clandestina (La loterie clandestine, 1948). Barocca confessione autobiografica sono Capricci di vegliardo (1951). Postumi: Lo stivale (1952), Il libro dei viaggi (1963).