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ADRIANO LUALDI

I CARATTERI DEL RINNOVAMENTO
MUSICALE ITALIANO

IL RINNOVAMENTO MUSICALE ITALIANO

TREVES-TRECCANI-TUMMINELLI,
MILANO-ROMA - 1931
QUADERNI DELL'IST. NAZ.
FASCISTA DI CULTURA, S.III, 4-5


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[..] I nuovi artisti italiani, pur così lontani materialmente, e così diversi per indole, per tendenze, per metodi, uno dall'altro, [...] proprio intorno al 1900 gettavano le basi - con le opere, non più soltanto con le aspirazioni - di quella che oggi può ben dirsi la nuova musica italiana.
Senza alcuna intesa preventiva, senza nessun bisogno di formulare programma alcuno o di lanciar manifesti, essi volgevano compatti - meno rare eccezioni - le loro fatiche verso alcune finalità molto chiare e precise:
1] la ripresa di antiche tradizioni nazionali abbandonate da quasi due secoli e concernenti la musica pura, nel senso di ridare all'Italia un repertorio di musica da camera istrumentale e vocale, e un repertorio di musica sinfonica;
2] la reazione contro l'opera verista, e il conseguente rinnovamento del melodramma;
3] lo studio, la riedizione, la divulgazione delle musiche dei grandi maestri italiani del '5, '6, '700; ciò che avrebbe significato, con l'andar degli anni, l'abluzione entro queste antiche fonti e l'approfondimento dello stile musicale italiano.
In tal modo, mentre l'autore dei Rusteghi obbediva ai detti di Falstaff, i più giovani di lui riconoscevano il vero significato di un altro grande insegnamento: «Ritorniamo all'antico: sarà un progresso», ed anche a questo obbedivano. La voce ammonitrice e profetica era sempre, nell'un caso e nell'altro, quella di Giuseppe Verdi.
Ma perché un così profondo mutamento collettivo di indirizzo e di idealità avvenisse, in confronto del più recente passato, bisogna pure che anche dentro il cuore di tutti questi giovani parlasse segreta, solo da essi avvertita, solo da essi ascoltata, un'altra voce profetica. Era ancora una volta la voce della stirpe.
Questa si apparecchiava allora ad alcune delle sue più gloriose e dure prove: la guerra prima, il pericolo bolscevico poi; col superarle, come le superò, avrebbe resa più grande, e degna del suo remoto passato, la Patria. Lo spirito pigro, strettamente casalingo e quietista, profondamente borghese in ogni sua manifestazione che aveva caratterizzato l'epoca umbertina, doveva essere sostituito, in un breve periodo di anni, dall'impetuoso ridestarsi di tutte le più belle e ardite energie della Nazione chiamate a raccolta e risollevate dal mortale abbattimento dalla gran voce di Benito Mussolini. Gli artisti italiani, e i musicisti compositori in ispecial modo, presentirono tutto questo; furono, anche questa volta, i barometri più sensibili e più antiveggenti del «tempo» che stava per mutare.
La cura, che si dettero, di coltivare così attivamente la musica pura da, camera, sinfonica, corale; le nuove vie, i nuovi accenti, che cercarono al melodramma e i nuovi spiriti che gli dettero; la ribellione che (tutti d'accordo pur senza aver preso accordi di sorta, ma soltanto per il diverso e più alto e religioso concetto che avevano dell'arte) operarono contro lo stile «improvvisazione» caro alla maggior parte dei veristi; la gran fioritura di studi degli antichi classici cui dettero luogo, tutti questi fenomeni che oggi soltanto si incomincia a poter apprezzare nella loro importanza e nella loro vastità, non erano che i sintomi di una maggiore aristocrazia di spiriti, di un maggior senso di responsabilità, di un più appassionato e doloroso amore per le più difficili conquiste, che caratterizzava quasi tutti i nuovi artisti in confronto di molti del passato; e che era, insomma, lo spirito stesso dell'Italia nuova: dell'Italia di Mussolini e del fascismo.
Accanto a queste caratteristiche generali, riguardanti l'orientamento complessivo delle nuove musiche nostre, si deve rilevare, nel campo tecnico (mai, come nella musica, strettamente connesso al fatto inventivo), una intensissima rifioritura del contrappunto e della polifonia vocale ed istrumentale; una vigorosa affermazione nell'arte di orchestrare che oggi è diventata veramente, se non dominio di tutti, qualità preminente dei migliori; un arricchimento della tavolozza armonica e un più ricco e vario uso dell'elemento ritmico; quella maggiore raffinatezza nel modus agendi che proviene dal vasto mondo spirituale e dall'alto livello culturale che sono propri di alcuni nuovi musicisti italiani.
Anche il modo di intendere la «melodia» ha subìto una radicale trasformazione in questi ultimi venti anni, per opera dei nostri più dotati compositori. Se, infatti, il movimento di reazione contro le vecchie forme e formule ha condotto - e conduce tuttora - alcuni nuovi musicisti italiani al culto dell'amorfo e al vaniloquio (in nessuna nazione e in nessuna epoca mancano coloro che, per povertà di risorse, per eccesso di illusioni o per calcolo furbesco si riducono in sostanza, specie nei momenti critici, a pescare nel torbido), o al travestimento di venerande anticaglie sotto l'orpello di sgargianti modernismi - anche qui non è difficile, all'occhio esperto, distinguere il grano dal loglio -; se questo movimento di reazione e di rivoluzione ha avuto ed ha, anche fra noi, i suoi falsi seguaci e i suoi profittatori, è indubbio che i frutti che ha portati per opera dei musicisti di forte ingegno sono tra i più cospicui.
Allargato il respiro della melodia, nel senso di ampliarne e arricchirne il periodare ritmico ed estenderne ed elevarne, col disegno architetturale, le simmetrie; purificata l'ispirazione dalle troppo grevi scorie dell'«improvviso» accettato senza controllo e senza critica; evitato, col geniale uso delle modulazioni e delle cadenze ingannate, il senso stucchevole ed asmatico del cadenzare ad ogni passo; evitata ogni banalità: così quella dell'urlante enfasi, come della troppa frivolezza; arricchita nei suoi mezzi espressivi dal rinnovato uso del melisma: nutrita, sopra tutto, di linfe classiche (non parlo dei ricalchi Sei-Settecento) o rinfrescata alle fonti della Musica popolare, è certo, dico, che la melodia sia vocale che istrinnentale dei migliori compositori nostri di oggi ha ben poco in comune con quella dei nostri compositori di trent'anni fa. Ed è anche certo che, - sebbene la gran massa del pubblico non se ne mostri ancora convinta, e sebbene la maggioranza della critica non abbia ancora il coraggio di dire nettamente: questo è, questo non è (forse non si tratta di mancanza di coraggio, ma di sensibilità), è certo, dico, che essa non ha molto da invidiare a quella, e alla migliore, del tempo che fu.
Di questa, che è indiscutibile verità, si mostra fino ad oggi poco convinto non soltanto il pubblico, ma anche una buona parte del mondo musicale italiano, dove tutto è rimasto, per quel che è «classe dirigente», non dirò allo statu quo ante fascismo, ma addirittura allo statu quo ante guerra: con la stessa mentalità antiquata scettica antinazionale per ciò che riguarda i prodotti nostrani e moderni, e con lo stesso spirito servile accogliente e longanime verso gli oggetti di scavo e i prodotti esteri. Ma ciò non toglie che i fatti siano questi; e il tempo penserà a provarli.
Un'altra caratteristica molto importante e significativa della nuova generazione di musicisti italiani è data dal fatto che alcuni di loro posseggono qualità di critici d'arte e di scrittori, di prim'ordine. Tali qualità sono così complete e fini, talvolta, da permettere al musicista di scrivere esso stesso i poemi per le proprie musiche da camera vocali, o per i drammi musicali; è il caso di Ildebrando Pizzetti, di F. G. Malipiero, di Nino Cattozzo, di F. Balilla Pratella, ecc. Il più delle volte queste facoltà si limitano alla critica musicale. Ma anche in questo caso le qualità d'eccezione risultano subito evidenti, nella precisione e nella chiarezza delle opinioni, nel bello umano calore col quale sono espresse e nella ricchezza d'argomenti onde sono sostenute; sì che, molte volte, un articolo critico di uno di questi compositori-scrittori assume il tono di una elevata
e serena discussione d'arte fra colleghi. Giudizi anche se veri possono essere e sono accettati, meditati, vagliati; chi ne è l'oggetto sa che lo scrittore conosce il tormento dell'arte; sa di poter leggere, fra le righe, se non sempre nelle parole qualche utile verità.

I MUSICISTI D'OGGI

Fissati i lineamenti generali della nostra arte moderna, e i limiti entro i quali si svolge e sviluppa tutta intera, pur nelle sue molte e profonde varietà, la nostra produzione musicale, è tempo di tirare le somme.
Non cederò alla tentazione di parlare diffusamente di ognuno dei compositori nostri moderni, e tanto, meno a quella di pronunciare giudizi «definitivi». I più anziani di essi sono oggi fra i 55 e 56 anni di età; i più giovani, Labroca, Mortari, Rota, Rinaldi, vanno da un massimo di 35 ad un minimo di 20 anni. Alcuni hanno già dato molto, ma non tutto; altri hanno dato poco, ma promettono, per segni sicuri, molto per l'avvenire. Lasciamo tempo al tempo; e ai posteri l'arduo cómpito delle sentenze. Noi ci accontenteremo, qui, di accennare il più brevemente possibile i caratteri fisionomici dei musicisti che oggi, per una ragione o per l'altra, sono più in vista e che - ciascuno con i suoi mezzi, e indipendentemente da quel che facevano gli altri - più hanno dato alla causa del rinnovamento. Alla fine, un elenco di nomi e di opere sarà la miglior prova del fervore di attività e della vastità e varietà di geniali fatiche che caratterizza questo bello e confortante momento storico della rinascita musicale italiana.