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A cinquant'anni di lontananza dalla mia prima iniziazione alla Musica, dopo avere molto lavorato e, fedele sempre al mio ideale, molto lottato, mi sento e mi dichiaro oggi piú che mai pieno d'amore e di gratitudine per l'Arte mia liberattice, lieto di averle consacrato e di consacrarle, fino a quando avrò vita, la vita intera.
Arrivato fra burrasche e bonacce a questo porto, intendo oggi, con questo libro, offrire il tributo di venerazione di onore di ammirazione che è nelle mie facoltà di offrire, alla Patrona sublime, al Simbolo sempre operante e attivo dell'Arte immortale, e a tutti i grandi Spiriti ad essa fedeli, noti ed ignoti, italiani e d'oltr'Alpe, che furono nel passato o sono nel presente combattuti, misconosciuti, tormentati, traditi, oppressi, chi sa?, soppressi forse, dalla umana bestialità.
Sì, anche soppressi, forse. Apparsi e scomparsi, cioè, senza poter lasciare traccia alcuna del transito loro: perché non abbastanza agguerriti e duri contro le prove della vita;
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e neppure provveduti del conforto grande che può venire, al combattente, dall'amica penna. L'arma di difesa e di controffesa, la valvola di sicurezza alla tensione dell'ambascia, la insmorzabile e insostituibile affermazione di presenza e di esistenza.
Ai giorni nostri, frastornati e disorientati da decenni di clamorose menzogne, da ridicoli osannare feticci di paglia e mummie che mai ebbero spiriti vitali, basta essa sola, questa breve arma, a sconfiggere e ad annullare la rituale «congiura del silenzio», l'espediente piú congeniale a tanti pennaioli ingenui e a tanti ignobili clans che infestano la vita dell'Arte. Basta essa sola, questa breve arma, a smascherare i mistificatori e ad imporre ai cronisti e agli storici di domani: «Revisione!».
Intendo dunque, con questo libro, levare, ad esaltazione dei Grandi che ho detto, di ieri e di oggi, una voce di protesta, se pure solitaria e del tutto platonica. Intendo lanciare per Essi un grido non solo di accusa, ma di esecrazione: contro la ottusa ignoranza o la malvagità meditata dei potenti disonesti; contro l'invidia intrigante degli impotenti; contro la pavida imbecillità dei poltroni che, sordi all'appello della Verità e della Giustizia, disertano - pur essendone militi - la difesa dell'Arte, e indfferenti assistono e dunque collàborano allo scempio di Verità e di Giustizia.
Di codesta scellerata genia ogni età fu ricca. La nostra, ne e straripante.
La Nèmesi della Storia vuole che così sia. Nel paesaggio morale di questi anni, reso squallidamente, disperatamente sterile da tanto diluviare di tòssici, di criminalità, di vigliaccherie, di turpitudini, di tradimenti, di corruttela, di ipocrisie, sono, costoro, il fimo che è pur necessario alla buona terra per rigenerarla; perché germoglino e fioriscano finalmente e si aprano al sole nuove corolle e, trionfanti di tanto male, ritornino finalmente a profumare e a rallegrare il mondo.

Firenze, Pasqua del 1955.

ADRIANO LUALDI