MASSIMO BRUNI

FRANCO ALFANO

F. ALFANO E LA CERCHIA
DELLA «GENERAZIONE DELL'OTTANTA»


nel volume collettivo
MUSICA ITALIANA DEL PRIMO NOVECENTO
pp. 97-109, passim

[...] Nella sua esuberante vitalità che lo faceva sempre tutto calato nel presente, il musicista napoletano fu un ben poco diligente custode delle proprie memorie, e ben lo seppe Andrea Della Corte quando dovette raccogliere dalla sua voce le notizie da riportare nel volumetto cui diede il titolo di Ritratto di Franco Alfano. Scarsi ragguagli abbiamo, ad esempio, intorno al soggiorno parigino del nostro compositore. Sappiamo che fece vita di «bohème», che esplicò attività di compositore «leggero», impegnato a scrivere musiche di stile napoletano per le «Folies bergères», che ebbe rapporti con Paul Milliet, già librettista di Massenet, e ne musicò alcune poesie. Ci è anche noto che conobbe e ammirò la musica di Debussy, mentre la sua attenzione era parimenti attratta da opere quale la Louise di Charpentier, che, come ricorda Della Corte, «contemperava la psicologia romantica con la descrizione pittorica e stradaiola e con le ideologie antiborghesi», e quali La fille de Tabarin di Gabriel Pierné e le più o meno wagnerianeggianti Sigurd di Reyer e Fervaal di Vincent d'Indy. In sostanza si trattava pur sempre di propaggini ottocentesche. Per uno scarto di pochi anni, la Parigi conosciuta da Alfano non fu ancora la Parigi della grande svolta novecentesca.
D'altra parte Alfano era dotato d'una natura troppo spontanea e individualista per sottoporre i suoi estri all'azìone di stimoli esterni. Già i suoi primissimi tentativi operistici, risalenti ancora al periodo di Lipsia, lasciano intravedere inclinazioni verso una chiave di scelte teatrali (il teatro come romanzo) che rimarrà fondamentale nella sua carriera di operista. Sono tentativi che hanno nome Miranda (1896) e La fonte di Enscir (1898). [...]
Fu poi da un romanzo vero e proprio, un romanzo russo di grande risonanza, che provenne ad Alfano l'ispirazione per la prima matura riuscita della sua vocazione di operista. Resurrezione, ricavata da Tolstoj, è l'opera da cui, a partire dalla prima rappresentazione avvenuta a Torino nel 1904, ebbe inizio la fama di Alfano [...]
Riferita alla tendenza operistica in auge all'epoca in cui nacque Resurrezione, l'opera presentava tratti singolari e audacie tecniche che furono meglio apprezzati allorché, in tempi posteriori, essa fu ripresa in molti teatri. La critica si accorse allora che Alfano non andava considerato un epigono della cosiddetta Giovane scuola italiana, che non
discendeva insomma dalla linea rappresentata da Puccini, Mascagni, Giordano, Cilea. Può darsi che la scelta del soggetto sia stata in parte suggerita dai recenti successi delle opere «russe» di Giordano (Siberia, però, aveva preceduto appena di un anno Resurrezione), ma Alfano vi fu soprattutto indotto da un'intima convinzione umana, da un'ideologia cristiana da lui sempre coltivata nel profondo dell'anima, la stessa che dopo la sconfitta del Principe Zilah [...] lo indusse a volgersi alla figura di Don Giovanni interpretata in chiave misticheggiante da Ettore Moschino e poi ad accostarsi alla poesia di Sakuntala, la cui leggenda lo aveva affascinato sin dalla prima lettura del poema di Kalidasa. [...]
Temperamento e formazione culturale (due fattori, d'altra parte, sempre interdipendenti nella storia di qualunque artista) concorsero nel conferire all'esperienza creativa di Alfano un'attitudine a dar consistenza ed espansione all'idea musicale nelle forme di un linguaggio sontuosamente «sinfonico».
Soprattutto a partire dalla Leggenda di Sakuntala la prevalenza dell'elemento sinfonico, nelle opere del nostro compositore, tende a improntare di sé anche il canto vocale; ed è questa una delle connotazioni che distinguono il suo stile da quello dei «veristi», inclinati invece a concepire la vocalità come elemento generatore della creazione musicale.


LA LEGGENDA DI SAKÙNTALA - SCENA DIPINTA DA P. STROPPA

Ma almeno ad un altro degli aspetti che marcano il distacco della figura di Alfano dalle tendenze dei «veristi» e dei loro epigoni voglio dedicare un cenno, e qui si tratta dei caratteri della stessa vocalità, del melos, che, sotto gli impulsi del temperamento caldo e trepidante di Alfano, mostra una fondamentale tendenza ai disegni a linee spezzate, ai movimenti largamente e quasi espressionisticamente intervallati (già Resurrezione ne offre un esempio con la preghiera di Katiuscia «Dio pietoso»), laddove nei «veristi» la scrittura vocale si basa, com'è noto, su quello «stile di conversazione» che le fa prediligere l'articolazione per intervalli di limitata ampiezza, riservando ai balzi della tensione emozionale le ardite impennate, generalmente in funzione di «clausola».
Per altro verso, ancor più rimarchevole nella molteplicità delle sue motivazioni appare la già accennata indipendenza della figura artistica -di Alfano da quegli indirizzi di «svolta» che, con tutta la precarietà propria a schematizzazioni del genere, usiamo riferire alla voce «generazione dell'Ottanta». I suoi modelli storici, ad esempio, il compositore, Alfano non li cercò al di là dell'epoca che lo aveva visto nascere e formarsi all'arte. I vaglieggiamenti di un «passato remoto», come atteggiamento di rottura nei confronti del «passato prossimo» non rientrarono nei suoi interessi (parlo sempre del compositore, s'intende, non del musicista in senso lato). Alfano non scrisse Toccate, Passacaglie, Sarabande, Ricercari, non cercò contatti col gregoriano e con la musica modale in genere (qualche eccezione, sia pure in senso relativo, si può riconoscere nella scrittura del Concerto per trio, nelle notazioni «cavalleresche» di Cirano e, soprattutto, nelle preziosità stilistiche di gusto arcaicheggiante, sapientemente bilanciate fra l'amoroso e il giocoso, di Madonna Imperia, una commedia in musica insaporita d'un suo mordente novecentesco anche se culminante in un duetto finale che ha l'arco e il respiro canoro di una romantica canzone napoletana).
Altrettanto indifferente fu, il nostro compositore, alle lusinghe del «pastiche», della «musica al quadrato», di qualunque forma di «neoclassicismo».
Spesso s'è parlato della presenza, nella musica di Alfano, di influssi impressionistici, e ben si può riconoscere che la lezione debussyana, fruita nei giorni parigini, non fu priva di riflessi sulla sensibilità del giovane musicista napoletano. Ma lo «sfumato», le indeterminatezze armonico-tonali di ascendenza impressionistica non toccano che episodicamente il linguaggio musicale di Alfano, sostanzialmente basato, pur attraverso le trame variegate di cui si riveste, sulla nettezza dei contorni, sulla dinamica sostanzialmente tonale delle tensioni e soluzioni armoniche.
Esclusivamente rivolto, poi, alle risorse della grande tavolozza orchestrale di eredità ottocentesca e romantica, Alfano non dimostrò di condividere il gusto, tipico dell'ala di punta della musica novecentesca, delle orchestre «povere», quelle, vogliamo dire, rappresentate dai complessi formati da pochi, ma timbricamente differenziati strumenti (memorabile esempio: l'«orchestra» dell'Histoire du soldat). E quando si volse alla strumentalità da camera, furono il quartetto, il quintetto e il trio di costituzione classica a sollecitare la fantasia del nostro compositore.
Ma la configurazione storica di Franco Alfano, dell'operista, intendo, che è l'Alfano «maggiore», nonostante le brillanti affermazioni date dal maestro anche nel campo della pura strumenulità e del canto da camera, va considerata non solo in rapporto al musicista, ma anche a quello concernente l'uomo di teatro. Da buon italiano, figlio di un s,ecoloin cui le forze prevalenti della musicalità nazionale si erano esplicate nell'opera lirica, Alfano ebbe il teatro al sommodei suoi ideali. Ed è quindi nelle fonti d'ispirazione, nei contenuti, nei caratteri musicali e scenici del suo operismo che bisogna cercare la « moralità », l'intima sostanza del suo comporre.
Fonti d'ispirazione, contenuti, caratteri musicali e scenici che, a partire, come già ci è avvenuto di notare, dai due archetipi dell'operismo di Alfano, Miranda e La fonte di Enscir, per salire lungo le molte tappe di una vicenda creativa che, con alterna fortuna, celebrò il nome del maestro nel mondo teatrale del periodo fra le due guerre, esprimono un ideale del teatro in musica fortemente inclinato alla tipologia del romanzo (del romanzo, intendo, tardo-ottocentesco e «borghese»): ideale di un teatro di personaggi raccontati dall'interno, esibiti in presa diretta, nella vicenda dei fatti e delle passioni vissute, piuttosto che adombrati nella sfera di un rito scenico trascendente e coinvolgente: personaggi dal volto scoperto, senza «maschera».
La «maschera» (s'intende in un senso soprattutto simbolico) è invece la cifra di base delle concezioni del teatro postesi come presa di coscienza della crisi di valori che si era aperta nella società e nella cultura uscite dall'Ottocento (pensiamo particolarmente alle «maschere» dei personaggi notturni, lunari anzi stralunati di Malipiero e alle maschere e stilizzazioni decorative delle favole caselliane).
È un teatro, insomma, quello di Alfano, non toccato dalla crisi di identità dell'uomo moderno. Lontano perciò da qualunque parentela con Pirandello, lo è altrettanto, anche se per altre ragioni, dal classicismo visivo, panico, solare, e perciò a sua volta elusivo rispetto al reale, di D'Annunzio.
Diremo dunque che Alfano fu un musicista fuori dal suo tempo, un compositore e autore di teatro privo d'una propria coscienza della «modernità»? No, certamente: una volontà di superamento delle abitudini su cui si adagiava il teatro musicale delle tradizioni correnti fu presente nel suo animo fin dalla giovanile Resurrezione. Se il suo essere musicale derivò dalla cultura di un romanticismo europeo giunto alla fase estrema dellasua storia, le istituzioni di linguaggio di quella cultura egli elaborò in una tecnica originale, arricchita di tutte le risorse, le arditezze, gli spessori, rispondenti alle esigenze della sua fede nella musica come voce della «passione», che non vuol dire della «passionalità» veristicamente intesa.
L'operismo di Alfano, poi, non manca di palesare la volontà di ricerca (non importa sapere se e quanto consapevole) d'una via di uscita da un costume compositivo suscitatore di clamorosi successi, ma già insidiato dai pericoli dell'usura e della reificazione. I richiami alla tipologia del romanzo di cui dicevo a proposito di esso non riguardano soltanto le scelte e le stesure librettistiche, ma trovano una corrispondenza nelle strutture musicali che, nelle concezioni del nostro compositore, tendono a tenere insieme i due piani del discorso sonoro (vocalità e sinfonismo) nella continuità di un flusso «narrativo» che si eleva a valore di «trama», e ciò in contrasto con quanto avviene nell'area verista, dove le strutture musicali, eminentemente vocalistiche alla base, sono concepite soprattutto in funzione dell'evento teatrale come provocatore di reazioni emotive immediate.
Svariati sono insomma i motivi che consentono di rilevare, nella posizione eminente che Alfano occupò nei confronti del movimento musicale della prima metà del nostro secolo, la presenza di una problematica intimamente e responsabilmente vissuta sul piano artistico e spirituale. Che tale posizione, per la peculiarità dei suoi ideali e modi operativi, esprima una personalità che, nel panorama musicale del suo tempo, fa caso a sé e non sembra ascrivibile a correnti di gruppo comunque etichettate, è cosa di cui giova tener conto non soltanto in nome di quel poco o molto credito che a simili etichette si vuol dare, ma anche per evitare di cercare in Alfano quel che non c'è, a scapito di quel che c'è e maggiormente interessa.
Immagini tratte da KARADAR CLASSIC MUSIC