ARMANDO TORNO

VITTORE BRANCA

IL FASCISTA GIOVANNI GENTILE
TRA IDEOLOGIA E VERITÀ


Lo storico della letteratura ricorda gli anni di
apprendistato alla Normale di Pisa. E le lezioni di
tolleranza che vennero dal teorico della dittatura
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Non è facile riscrivere la storia di Giovanni Gentile. Forse perché deve passare altro tempo da quel 15 aprile 1944, giorno in cui il gappista Bruno Fanciullacci lo uccise a Firenze.
Le ferite della seconda guerra mondiale bruciano ancora, nella carne e nei ricordi, ed è saggio chi pensa a quegli avvenimenti senza l'antica freddezza dello storico. In questi ultimi anni le ipotesi, le letture, i profili intorno al grande esponente dell'idealismo si sono moltiplicati. Chi gli fu vicino, come il figlio Benedetto, o chi gli fu allievo, come Eugenio Garin, hanno scritto pagine importanti su di lui. Luciano Canfora nel suo saggio Sentenza, pubblicato da Sellerio, ha proposto altre ipotesi sui mandanti dell'omicidio. La bibliografia di Gentile, nato il 30 maggio 1875 a Castelvetrano, è ormai sterminata ed è tra le più vaste tra quelle accumulate dai pensatori italiani.
Intanto, la casa editrice «Le Lettere» di Firenze, succedendo alla Sansoni, sta completando l'edizione completa dei suoi scritti.
Abbiamo incontrato Vittore Branca, che gli fu allievo e che da Gentile ebbe molte attenzioni, per riportare un'altra testimonianza su quest'uomo con cui la cultura italiana ha dei debiti. Già, il professor Branca. Da poco ha coronato il sogno della sua vita di studioso: è riuscito a pubblicare, nei Classici Mondadori, tutte le opere di Giovanni Boccaccio. «È la prima volta che accade nella storia dell'editoria», ci confida con un pizzico di comprensibile orgoglio. Gli ultimi due volumi uscirono nel '98, ma i primi sono introvabili, perché questa collana, negli smaltati anni 80 (quelli, per intenderci, della «Milano da bere»), è stata mandata al macero.
Ma lui ha insistito e ce l'ha fatta. Poi ha anche pubblicato alla fine dello scorso anno in tre volumi, presso Einaudi, il necessario complemento: il «Boccaccio visualizzato», ovvero tutto quello che gli artisti hanno concepito e realizzato grazie alle opere del sommo toscano. Branca abita a Venezia, presso il ponte dell'Accademia, in una casa dove convive con trentamila volumi. E naturalmente con Olga, la moglie, o meglio "la scoiattolina", come usa chiamarla con affetto. È un giovanotto di 87 anni che può parlarvi di una cena con Ezra Pound o dei tre papi di cui fu amico (Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I); di quando De Gaulle gli confidò una certa cosa o delle osservazioni di Le Corbusier mentre se ne andavano per Venezia ammirando il miracolo delle architetture tra calli, campielli e la magica acqua della laguna.
Brodskij era suo vicino di casa, il conte Cini lo ebbe carissimo, Toscanini a Salisburgo gli suggeriva al mattino, durante la colazione, quello che doveva scrivere del concerto eseguito la sera precedente (il giovane Vittore è stato anche critico musicale).
«Il mio primo incontro con Gentile?» - chiede il professor Branca per incominciare il discorso - «Be', sono passati un po' di anni. Era l'ottobre del 1931. Allora sostenni il primo esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa. E c'era una commissione presieduta da lui. E che commissione!». Mentre snocciola la litania dei nomi, ci si accorge che era un gruppo dinanzi al quale conveniva stare con il cappello in mano. «Dunque, oltre Gentile c'era Giorgio Pasquali per la filologia classica, Attilio Momigliano per la letteratura italiana, Armando Carlini per la filosofia...». Non li ricorderemo tutti, anche perché Vittore non ce ne dà il tempo: «Andai, per polemica, dopo la soppressione dei circoli giovanili dell'Azione Cattolica, con il distintivo di questa associazione. Per eccesso di zelo, uno degli esaminatori (meglio non ricordare il nome) mi chiese cosa avessi letto di Gentile. Da provinciale - venivo da Savona - ammisi: nulla. Confessai e Gentile, sorridendo, aggiunse che non importava e che era meglio continuare l'esame».
Per la cronaca e, nonostante la lacuna, va detto che Branca fu inserito nel primo livello, tra i meglio classificati. I suoi giorni alla Normale trascorsero laboriosi, sempre a contatto con il maestro. Ricorda ancora: «Gentile fu sempre estremamente comprensivo e generoso, indipendentemente dalle ideologie. A me diceva: "Cosa vieni a scocciarmi tu che sei tutto contro di me? Non sei idealista, sei cattolico, sei antifascista, cosa vuoi?". Ma nel volgere di pochi secondi il suo volto tradiva un sorriso e aggiungeva: "Vediamo, vediamo... Intanto so che studi bene e poi cerchi la verità"». Grande parola. Oggi è un po' difficile da usare, ma in quel contesto, in quegli anni, qualche volta la si poteva spendere.
Del resto, Gentile era pur sempre un filosofo e il suo lavoro consisteva, tra le altre incombenze, anche nel cercarla. Poi le parole di Branca si infittiscono. Gentile lo portava nel suo palco a teatro (e tra le immagini spunta anche la pancia che non favoriva particolarmente la visione al giovane, seduto in seconda fila), lo riceveva, lo sgridava, lo proteggeva da un'espulsione nel 1933. I ricordi si spingono sino a quel fatidico 1944. Allora, già laureato da tempo, l'allievo era impegnato nel Comitato di Liberazione. «Mi aveva cercato al telefono in quella tragica primavera. Io mi negavo, un po' per prudenza e un po' per imbarazzo.» Un giorno però Gentile riuscì a parlare con Olga, la moglie. Con piglio deciso disse: "Ma Vittore mi crede così rimbambito da non capire che non si vuol far trovare da me?".
Confessa Branca: «Non resistetti al richiamo umano. Andai da lui nel sontuoso Palazzo Serristori, sede dell'Accademia d'Italia, di cui aveva accettato, anche in quelle tragiche circostanze, la presidenza.» C'è un sospiro che tradisce un'emozione, inevitabile nel rivivere quel particolare momento: «La sua accoglienza familiare - continua Branca - nonostante un pesante velo di preoccupazione, mi fece subito chiedergli di intervenire in favore di Attilio Momigliano e di un ex normalista, Aldo Braibanti, arrestato e torturato per attività antifascista e deferito al tribunale militare. Promise. Ma quando cominciò a sollecitarmi "per quest'Italia per la quale noi vecchi siamo vissuti e vorremmo accertare i giovani ch'essa è sempre nelle menti e nei cuori" mi irrigidii. Mi chiedeva pateticamente di collaborare con un qualsiasi articolo critico o filologico sui miei autori (Boccaccio, Barbaro, Alfieri) alla rivista "La Nuova Antologia": solo per carità di patria e di cultura, per solidarietà nella ricerca scientifica.» Segue un po' di silenzio. Mi accorgo che Branca è visibilmente turbato, che quei secondi sono lì, fermi nella sua memoria, e non riesce a dissolverli.
Prosegue: «Respinsi e calcai il rifiuto. Gli dissi: senatore, ormai c'è troppa tragedia, ci sono troppi morti, ci sono troppe inumanità tra le diverse sponde su cui siamo. Non posso...». Le altre parole di questo giovanotto di 87 anni si bloccano, incalzate dalla replica che udì da Gentile. Ferma, decisa. Anche quelle frasi non è facile dimenticarle: «Tu non capisci niente, sei troppo giovane, non hai vissuto i drammi della storia di questa nostra Italia; e non hai visto quell'uomo, cui io devo tutto, tutto, distrutto dall'angoscia e che quattro mesi fa mi chiedeva aiuto per salvare il salvabile.» Scappò una risposta: «Non c'è più possibilità di salvare nulla dalla stessa parte.» Poi un nuovo silenzio. Altri secondi si trasformarono immediatamente in dolore reciproco.
E Branca commenta: «Non c'era più nulla da aggiungere. Capiva la mia posizione di sempre; capivo il vecchio siciliano di fedeltà e d'onore.» Che dire? Ci si accorge che ogni parola può tradire la descrizione di quei fatti. «Me ne andai via con il cuore stretto, più stretto ancora quando constatai che per Momigliano e Braibanti aveva fatto, e che per altri continuava a fare.» Ora, nel rivivere quel momento, gli sfugge un «mi addolora di come andò»; c'è insomma qualcosa che lo separa e, al tempo stesso, lo lega al suo maestro. Radio Londra insultò Gentile come "Arlecchino filosofo", qualcuno aggiunse altro. Ma nessuno può cancellare con altri epiteti ciò che quell'uomo fece disinteressatamente. Branca ricorda Kristeller, ebreo tedesco, accolto per volontà di Gentile alla Normale nel 1936. «Quando entrarono in vigore le leggi razziali - prosegue il nostro interlocutore - tentò di tenerlo lì, senza riuscirci. Allora lo aiutò, lo protesse, gli procurò il passaporto, nonché l'appoggio a Yale e alla Columbia.» E quando stava partendo, un giorno del 1939, gli «fece pervenire una busta in questura che conteneva una grossa somma, perché non potevano riconoscergli una liquidazione. Incredibile a dirsi, ma quei soldi provenivano dal gabinetto del duce.»
Chi scrive, a questo punto, ha cercato di rompere l'incalzare di quei ricordi chiedendo qualcosa sui libri della stanza, stipati sino all'inverosimile; domandando altro. Ma Branca vuole chiudere l'antico debito con il suo maestro con un'ultima precisazione: «A me quello che conquistava era il suo liberalismo; fu il padre ideologico del fascismo, ma mai richiese o impose ai suoi allievi o a chi aiutava un'adesione.» Ancora: «Quelle parole dure che gli dissi, le ho ancora sul cuore. Sì, fu un cattivo ideologo, ma devo anche riconoscere che fu un grande uomo che aveva il senso del rispetto per la verità altrui.» Accidenti, ancora questa dannata parola, che ai filosofi dà ormai fastidio. Non ci sono più verità, non è più tempo di cercarla in qualche sistema, forse nemmeno nel prossimo. Quella poca che si trova, basta e avanza per il nostro uso quotidiano. Venezia, poi, che appare dalle finestre di casa Branca, è implacabile: sembra una macchina per smontare tutte le verità che amiamo accumulare. I sogni politici, i grandi amori, l'arte, le architetture si sono dati qui appuntamento per secoli e ora si sono trasformati in un viavai di turisti che, divisi a frotte, vogliono vedere, visitare, goderequell'incanto in tempi stretti. Valeva la pena? Come si fa a rispondere. Si può soltanto aggiungere semplicemente: ognuno ha la sua verità.