CRONOLOGIA DELLA VITA
E DELLE OPERE DI

PARTE SECONDA

[UNDER CONSTRUCTION]
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Nella primavera del 1913 Malipiero si recò a Parigi per ottenere da D'Annunzio il permesso di musicare il «Sogno di un tramonto d'autunno». I cinque mesi in cui Malipiero attese l'incontro con il poeta furono ricchi di esperienze e incontri. Conobbe infatti alcuni artisti che furono decisivi per il suo iter artistico e per il suo arricchimento culturale. In primis, Alfredo Casella, che divenne anche intimo amico. Grazie a Casella, che dal 18... si trovava nella capitale francese, entrò in contatto con il mondo musicale europeo e assistette alla prima del «Sacre du printemps»: evento determinante per la sua vita d'artista, che lo fece uscire da «un lungo e pericoloso letargo» e lo portò alla decisione di ripudiare e togliere dalla circolazione gran parte dei lavori composti tra il 1905 e il 1913. Ecco la testimonianza di Casella ne I segreti dela giara:
Il 29 maggio 1913, ebbe luogo al Théâtre des Champs Élysée Le Sacre du Printemps di Strawinski. L'autore aveva fatto conoscere ad alcuni amici della prima ora quella straordinaria musica, ma il pubblico dei Ballets Russes, che era rimasto allo Strawinski dell'«Uccello di fuoco» e di «Petrouchka», non poteva certo prevedere un simile lavoro. La rappresentazione ebbe principio in un religioso silenzio, davanti al pubblico inverosimilmente eterogeneo, elegante, intellettuale, raffinato, cosmopolita che da anni ormai aveva fatto delle serate di Diaghilef il maggior avvenimento sociale e artistico dell'annata parigina. A metà del preludio, scoppiò la tempesta, sotto forma di urli, fischi e schiamazzi di ogni genere. Quando si aperse la scena, la coreografia di Nijinski, anziché attenuare la bufera, la aggravò ancora. Si vedevano infatti sulla scena strani gruppi di uomini e di donne che parevano eschimesi raggruppati assieme in pose dolorosamente e goffamente contorte, probabilmente tolte da qualche ceramica popolare russa, ma che su quel pubblico nel quale predominavano elementì mondani di assai media intelligenza, non poteva che produrre un effetto di irrefrenabile ilarità. Per tutta la mezz'ora che dura il lavoro, fu impossibile udire qualcosa. Ogni tanto, il baccano infernale del pubblico accennava a placarsi. Ma allora emergevano fuori dall'orchestra sonorità così spaventose, terrificanti e dissonanti che il chiasso riprendeva peggio dì prima. Credo che sia stata quella l'unica serata teatrale dopo la morte di Wagner che possa paragonarsi alla famosa premíère del Tannhäuser del 1861 all'Opéra di Parigi. Di vera e propria battaglia non si può del resto parlare, perché credo che non fossimo in tutta la sala più di cinquanta persone a comprendere la grandezza storica di quella musica e la nostra azione poco o nulla poteva fare contro un simile scatenarsi di feroce bestialità. Nondimerio, numerosi furono gli incidenti ed in maggior copia ancora i cazzotti scambiati in sala. Rimase memorabile l'atteggiamento di Fl. Schmitt, il quale, veduto in un palco un vecchio signore che si comportava indecentemente con due signore altrettanto belle quanto idiote, glì urlò «vieux voyou!», ed era quello l'Ambasciatore di Austria-Ungheria. Vi fu per circa due ore, nelle vicinanze del teatro, una agitazione notturna alla quale dovettero porre fine i poliziotti. Strawinski aveva passato tutto il tempo della rappresentazione dietro le quinte, trattenendo Nijinski che voleva ad ogni momento uscire fuori per insolentire il pubblico, e ripeteva melanconicamente: «je voudrais bien entendre ma musique».
L'avvento di quella ciclopica e terrificante musica segna una data decisiva nella storia della musica, e non è certo esagerato il paragonare l'importanza storica del Sacre a quella della Nona Sinfonia. Il «Sacre» segna infatti la fine dell'impressionismo debussyano ed inaugura senz'altro l'età della costruttività che nega ogni residuo di imprecìsione lineare. Riafferma in modo sovrano - di fronte al schönberghismo - la sovranità perenne della tonalità, sia pure rinnovata coi nuovi mezzi della politonalità. Liquida infine per sempre l'orchestra mastodontica di Wagner, Mahler e Strauss, perché - come ingegnosamente disse non so più quale critico - adoperando nella «Sagra» quella medesima orchestra «inflazionistica», questa «scoppia» nelle mani di Strawinski, lasciandolo a tu per tu con nuovi problemi che egli doveva risolvere eliminando addirittura l'orchestra nelle «Nozze» oppure riducendola a complesso da camera nella «Histoire du Soldat» (egli non ritornò infatti che alcuni anni dopo all'orchestra propriamente detta e non oltrepassò mai allora gli effettivi sinfonici normali).
In ogni caso, senza pregiudicare futuri giudizi, è già luminosamente evidente l'altissima importanza rigeneratrice di quella musica, nella quale Strawinski ha definitivame e orientato la musica europea verso una tendenza anti-retorica, spoglia di artifici, priva di virtuosismi ornamentali, decisamente tonale, anti-impressionistica ed essenzialmente architettonica. Qualcuno scrisse che quella musica era quella di un primitivo. Opinione totalmente errata. Non è certo più primitivo lo Strawinski della prima danza della «Sagra» del Beethoven che chiude la terza «Leonora». Del resto credo che dal primitivismo sia ormai l'Europa assai lontana e che non sia certo in artisti di una sensibilità così profonda e di una tecnica così consumata ed audace come Strawinski che si possa parlare di primitivismo e nemmeno di ingenuità.
Continua Casella: Nel giugno seguente (1913), conobbi per caso a Parigi tre illustri italiani. Il primo era Gian Francesco Malipiero, che si trovava da alcuni mesi a Parigi ma che - non so perché - non era ancora riuscito a trovarmi. Ci legammo subito di fraterna amicizia ed egli mi mise al corrente di quanto accadeva allora in Italia nel campo musicale. Alcune sere più tardi, fui al Châtelet dove si dava la «Pisanella» di d'Annunzio colla musica di scena di Ildebrando Pizzetti (che allora era «da Parma») e vi conobbi questo altro nostro compagno di arte e di lotta [cfr. la continuazione di questo testo con l'indicazione bibliograica]
Inevitabile fu anche l'incontro con la musica di Schönberg: [...] Nella penombra, in una sala che pare una sala di ospedale, un intrepido pianista fa sentire i Sechs Stüke di Arnoldo Schoenberg. Il pubblico sghignazza, il riso idiota dei 'prevenuti' è irritante quanto il vociare di un piccolo gruppo di fanatici ammiratori. La grande sfida: da allora la musica avrebbe dovuto essere esclusivamente dodecafonica e si stava creando un martire: Arnoldo Schoenberg. [Cfr. BIANCHI, pp. 8-9]

L'idillio fra me e i giovani è durato poco. La nuovissima generazione non è ancora classificabile. Un esempio: mi si presentava nel gennaio del 1942 un giovane, non ancora ventenne, refrattario alla scuola. Egli aveva però al suo attivo alcune opere interessanti, sia per il contrappunto che per l'armonia e la forma. Purtroppo erano dominate da quello spirito schoenberghiano che straziò la musica fra il 1920 e il 1932. Lo considerai un fenomeno (non certo un innovatore, caso mai un ritardatario), e gli dedicai tutta la mia attenzione. Forse, per innato ottimismo, mi son lasciato ingannare da un volgare plagiario che si rivoltò contro di me il giorno che gli accordai un immeritato diploma. L'importanza di questa dolorosa e miserabile vicenda, sta solo nel fatto che quasi tutti i musicisti giovanissimi son privi di idealità.

A Parigi, Malipiero conobbe, tra gli altri, Claude Debussy, e Medardo Rosso, artisti che lasciarono un segno nel suo animo. [...] In giugno <D'Annunzio> giunse finalmente a Parigi, mi ricevette nella sua abitazione, mi offerse un libro con una graziosissima dedica ma autorizzazioni niente. Sorrisi, forse che sì, forse che no, arrivederci presto ad Asolo, e basta.» Malipiero non capiva. [...] Roso dal dubbio che il poeta non apprezzasse la sua arte, si consigliò con gli amici, i quali riferirono che «D'Annunzio non capiva perché, con tanto entusiasmo per il suo poema, non ne avessi scritto nemmeno una nota. Trovai giusto il rimprovero, perciò mi misi immediatamente al lavoro e ben presto la condussi a termine. [...] Scoprì infine, da amici, che D'Annunzio non osava confessare di aver ceduto i diritti dell'opera ad un dilettante, R. Torre Alfina, il cui valore risiedeva soltanto nel fatto di sanare, con il suo contributo, una parte dei debiti del poeta. Eppure, questa vicenda ebbe un merito, quello di attirare finalmente l'attenzione di D'Annunzio sul giovane e tenace musicista, complici le comuni frequentazioni parigine: e la mancanza in Malipiero di risentimento è il motivo principale del sorgere di un'amicizia importante. Così, rassegnatosi, il musicista scrisse: «Il giorno che gli annunziai che relegavo nel vuoto cassetto delle mie opere postume il «Sogno d'un tramonto d'autunno», la sua amicizia si manifestò spontanea, quasi a dimostrare la sua gratitudine per il mio sacrificio che lo liberava da un penoso imbarazzo.» [BIANCHI pp. 8-9; cfr. anche 40-42]

A Parigi, aprile 1913: Non parta. In maggio avremo la rappresentazione del nuovo balletto di Igor Strawinsky: «Le sacre du printemps» che segnerà certamente un altro passo avantì in quella direzione che tutti dobbiamo seguire per la salute dell'arte musicale. Così mi parlava Alfredo Casella mentre stavo congedandomi da lui e gli sono grato di avermi quasi costretto ad attendere «l'avvenimento». Sono però convinto che in ogni modo avrei dovuto rimanere perchè certi incontri sono inevitabili.
Sulla presunta distruzione di opere giovanili da parte di Malipiero scrisse John C. G. Waterhouse:

La severità e lo zelo con cui Malipiero tolse dalla circolazione e nascose tante sue opere giovanili possono sembrare strani se si considera la grave mancanza di autocritica dimostrata qualche volta nelle sue composizioni successive. Evidentemente gli era piú facile riconoscere segni d'immaturità nelle sue prime composizioni che individuare differenze di qualità da un'opera all'altra, una volta che il suo stile personale si era ben affermato: si spinse addirittura a scrivere che avrebbe preferito «esser uscito dal silenzio non prima del 1911, con le prime 'Impressioni dal vero' e che a queste avessero fatto seguito, sia pure dopo sei anni, le sole 'Pause del silenzio [I]». Un cosí categorico rifiuto di quasi tutta la produzione prebellica e persino (com'è dato ad intendere) delle giustamente famose «Impressioni dal vero II» del 1914-15, sembra eccessivamente severo, da imputarsi, certamente, alle sue tanto diverse esigenze creative dei successivi periodi della sua vita. Persino gli interessantissimi «Poemetti lunari» per pianoforte (1909-10), con ragione definiti da Prunières «la première oeuvre vraiment caractéristique de Malipiero», vennero piú tardi scartati dal loro autore come «musica che si riferisce sempre a qualche cosa che non m'interessa piú.

Partecipa al «Concorso nazionale di musica» indetto dal Comune di Roma, presentando cinque lavori sotto nomi diversi e vince quattro dei cinque premi in palio.
Sempre nel 1913 ottenne un'improvvisa affermazione come compositore con la vittoria al Concorso Nazionale di Mus. dove ben 4 suoi lavori vennero premiati. Sulla rivista «Musica», di Roma, pubblica (8 giugno) «Del dramma musicale italiano e dei suoi pregiudizi».


1914

(24 Gennaio). Prima e ultima rappresentazione al Costanzi di Canossa. Grande scandalo. Polemiche. Si canta il mio elogio funebre.A Venezia compone il «Sogno d'un tramonto d'autunno», cominciato l'anno precedente, ma che non potrà comunque essere eseguito poiché D'Annunzio aveva ceduto in precedenza i diritti ad altri. (Prima esecuzione postuma: Mantova, Teatro Sociale, 3-5 ottobre 1988: direttore Vittorio Parisi, «Gradeniga» il soprano ungherese Sylvia Sass.) Dello stesso anno sono i Preludi autunnali per pianoforte (editi a Parigi nel 1917) dedicati a Ildebrando Pizzetti. «La loro malinconia è forse effetto della guerra appena incominciata e non ancora sentita», scrisse l'autore stesso. Compose anche il Canto crepuscolare e canto notturno, poi rifiutato, le prime tre delle Cinq mélodies. Sulla «Rivista musicale» di Torino pubblica (27 dicembre) «La fisionomia musicale dell'epoca»; e due mesi dopo (22 febbraio 1915) «L'arte di ascoltare».
I «Preludi autunnali» per pianoforte (1914), la prima composizione a stampa, dopo «Impressioni dal vero I», che non sia stata esplicitamente ripudiata da Malipiero, non sono cosi costantemente vivi e convincenti come i «Poemetti lunari» [cfr. supra], anche se nel complesso non mancano di effetto. Nei primi due Preludi, idee che rammentano i «Poemetti» e le «Impressioni dal vero I» sono piuttosto diluite da figurazioni pianistiche convenzionali, ancora una volta di sapore leggermente raveliano; mentre le involuzioni cromatiche del primo Preludio suggeriscono pure, saltuariamente e quasi per l'unica volta nella produzione malipieriana, una certa analogia con Skrjabin. Nell'ultimo «Preludio» (No. 4), invece, il modo 'grottesco' di Malipiero acquista una violenza nuova: gli aperti scontri semitonali dell'inizio rispecchiano indubbiamente il fatto che egli era ormai in stretto contatto con Casella i cui audaci «Nove pezzi» per pianoforte, op. 24, recano la stessa data; mentre le frequenti irrequietezze e tensioni armoniche della musica che segue anticipano di nuovo «Pantea». Lo strano, funereo terzo Preludio è ancora piú profetico: le dissonanze lugubremente ripetute in ritmi esitanti, e la melodia di ispirazione lievemente russa, costituiscono un anello di congiunzione fra il primo dei «Poemetti lunari» e i pezzi per pianoforte composti da Malipiero negli ultimi anni di guerra; e c'è almeno un breve passaggio (battute 19-21) che guarda assai piú in là, ad una delle idee printipali di «Torneo notturno», di quindici anni dopo. [WATERHOUSE, p. 41]
Alla fine del 1914 inizia la corrispondenza con Guido M. Gatti (che diviene fitta a partire dal novembre dell'anno successiva fino al 1972), pubblicata da Olschki a cura di Cecilia Palandri. Scrive la studiosa:

Il vincolo di fondo di questa cinquantennale «conversazione», il sodalizio fra un compositore di grande «personalità», qual è Malipiero, ed un critico infaticabile, qual è Gatti, da lui prescelto ed eletto a ideale deposítario delle sue spiegazioni [...] merita senz'altro di essere evidenziato come punto di partenza e motivo principale di questa iniziativa editoriale. L'impressione immediata che si prova di fronte a questo mare di lettere è infatti che si tratti di una monumentale apologia del rapporto fra l'artista ed il critico, monumentale come poche altre la storia della cultura del Novecento ci ha reso. Il punto cruciale, in termini espressivi, di questo sentimento d'amicizia attiva, che pure illumina tutto il carteggio, si trova forse in una delle ultime lettere, nella quale, commentando un incontro in Venezia con Malipiero, Guido Gatti ci propone questo umile atto di amorosa confessione:

Anche per me rimane indimenticabile la nostra conversazione [...] che nel mio ricordo costituì la sintesi ideale di un'amicizia nata più di cinquant'anni fa e mai incrinata nel fondo [...]. Considero la nostra amicizia come una delle cose più belle e amabili che la mia vita - che ora volge al termine - mi ha riservato.

Una testimonianza di stima, peraltro corrisposta, che verrà ripetuta e riconfermata più volte; una lettura più profonda, però, coll'andare delle lettere, ci evidenzia altre figure nell'affresco assai ricco e variegato del Novecento musicale. Il fitto tessuto della vita musicale italiana ed europea che va dal 1914 al 1972 si rispecchia infatti - non senza enigmatiche rifrazioni - nelle lettere, nel clima e nello stile colloquiale e familiare di un'ininterrotta, intensa ed affettuosa conversazione fra due amici sinceri e animosi.
[PALANDRI, pp. VI-VII]

1915

Fra il 1914 e il 1915 a Venezia e ad Asolo scrive le illustrazioni sinfoniche «Per una favola cavalleresca» (Roma, Augusteo, 13 febbraio 1921: direttore Antonio Guarnieri) che, secondo l'autore, sarebbero «Resti di un'opera innominabile, ridotti a loro volta in cenere dal bombardamento di Milano del 1942» [Cat. Op.] L'opera innominabile è «Lancelotto del lago» (1914-15)

Se il «Sogno d'un tramonto d'autunno» fu tenuto fuori dalla circolazione più per circostanze esterne che per desiderio dello stesso compositore, la sua sola opera lirica successiva, prima di «Pantea» e «Sette canzoni», fu tolta dalla circolazione da Malipiero di mano propria, e poi nascosta cosí bene che fino al 1980 nemmeno il titolo è apparso in qualsiasi lista delle sue composizioni a me nota. Inoltre persino Prunières, che fa fugace riferimento a questo lavoro, volle risparmiare la sensibilità del compositore al punto di non farne il nome, chiamandolo semplicemente «un drame lyrique en trois actes sur un sujet légendaire». Sembra, in verità, che le ragioni per cui Malipiero ritirò «Lancelotto del lago» (1914-15; [in quattro atti; autore l'allora poco conosciuto Alessandro De Stefani. ]) non fossero musicali ma personali, essendo sorte da un dramma della sua vita privata nel quale il librettista dell'opera si comportò come un «volgare malfattore». Le uniche parti del lavoro alle quali il compositore permise nondimeno di restare in circolazione furono dodici estratti puramente orchestrali (in massima parte preludi ed intermezzi), cuciti insieme artificiosamente a formare le quattro cosiddette 'illustrazioni sinfoniche' «Per una favola cavalleresca» (pubblicate nel 1921). Da questi estratti si può avere un'idea generale dello stile, dell'armonia e orchestrazione ricche di sensibilità, ecc.; ma Prunières aveva certamente ragione nel dire che «ayant tous une intention descriptive et impressioniste» questi estratti «perdent leur signification si on les détache de l'action». Egli descrive l'opera nel suo insieme quale un'«oeuvre inégale mais d'une fraicheur de sentiment, d'une délicatesse de touche, unique dans l'ensemble des créations artistiques de Malipiero. [Waterhouse]

E Malipiero stesso: «L'affinità (forma ed atmosfera) col teatro di Maeterlinck (la stessa che mi trasse in inganno con l'opera Elen e Duncano), ha eccitato la mia fantasia: senza fatica è nata la mia quarta opera drammatica» (1916: «Ho distrutto la partitura di quest'opera perché ritengo impossibile che la musica possa accoppiarsi alla poesia di un mostro»). Dietro a tutto questo sta un dramma privato: la moglie di Malípiero diviene la compagna del De Stefani (morirà, di parto, nel 1921).
Sono del 1915 le Impressioni dal vero II: «colloquio di campane, i cipressi e A vento, baldoria campestre», dedicate ad Alfredo Casella. (Prima esecuzione all'Augusteo l'11 marzo del 1917, direttore A. Guarnieri).

La seconda e la terza parte [1921-221 delle Impressioni dal vero non le rinnego, ma non le amo. Nelle seconde, più ampie delle prime, vi sento certi rintocchi, incertezze, dubbi, e mi ricordano gli angosciosi bombardamenti aerei di Venezia che, abitando io allora sul canale del Brenta, potevo osservare nelle notti di luna: stavo appunto realizzando la partitura d'orchestra in quell'orribile estate del 1915...

Nel 1915 facevo la conoscenza del musicologo Oscar Chilesotti il quale mi chiedeva di realizzare il basso delle magnifiche cantate di Giovanbattista Bassani (l'armonia delle sirene e languidezze amorose) e me ne garantiva la pubblicazione presso l'Editore Ricordi di Milano, che invece le rifiutava. Volle il caso che a Milano (1916) incontrassi Umberto Notari dell'Istituto Editoriale Italiano, il quale, udito del rifiuto, mi proponeva di elaborare il programma di una grande collezione di musica del passato. Il mio proposito di evitare le antologie e di pubblicare di ogni autore una o più opere complete venne realizzato soltanto in parte, ché le conseguenze del disastro di Caporetto (1917) si fecero sentire pure nell'attività editoriale, perciò videro la luce soltanto frammenti di ogni singola opera. Ottenni da Gabriele d'Annunzio che accettasse la presidenza e che scrivesse una specie di prefazione. Le cantate del Bassani rappresentano la mia prima realizzazione del basso di un'opera del passato e, pur evitando anacronismi, l'elaborazione, contrappuntisticamente, risultò molto ricca. Seguirono alcune sonate del Tartini, l'«Orfeo» di Luigi Rossi (questo manoscritto è andato perduto), la «Rappresentazione di anima e di corpo» di Emilio del Cavaliere, la «Passione» di Nicolò Jomelli, «Il filosofo di campagna» di Baldassare Galuppi.

1916

Nell'autunno, ad Asolo, scrive i Poemi asolani per pianoforte e le ultime due delle Cinq mélodies (pubblicati a Londra, Chester, 1918, con dedica a Henry Prunières).

Solo «La notte dei morti», cioè il primo dei tre «Poemi asolani», è veramente lo specchio di me. Dai colli asolani avevo veduto accendersi tutti i cimiteri della pianura, sino al Monte Grappa e quelle luci, accompagnate dai rintocchi delle campane, stavano già allora a dimostrare che solo i morti potevano ancora dirsi vivi. Eravamo al prologo della tragedia (Cat. Op.).

Quella di Malipiero fu la sola voce musicale che insorse in Italia contro la guerra, anche per questo dandoci la misura antiprovinciale della sua esperienza. Né l'esperienza così iniziata doveva essere senza seguito, bensii proiettarsi nel 'dramma sinfonico' «Pantea», le cui allucinazioni simboliche dell'invincibile prigionia umana, di una vita prigioniera delle tenebre contro cui invano si ribella il gesto inane dell'uomo quasi espressionisticamente sentito, s'integrano teatralmente nel ciclo Orfeide di cui le Sette canzoni sono il momento culminante [Pestalozza].

«Musica tedesca» di G.F.M., in «Musica», x, 6, 25 marzo

1917

Tra l'aprile e il giugno, parte a Roma e parte a Crespano del Grappa, compone le Pause del silenzio (si badi alla prima ricorrenza, in Malipiero, del numero sette, per lui fatidico -prima esecuzione all'Augusteo il 27 gennaio 1919, direttore Bemardino Molinari, cui sono dedicate; editore: Wien, Universal Ediion, 1919).

Nel 1914 la guerra sconvolse tutta la mia vita che, fino al 1920, fu una perenne tragedia. Le opere di questo periodo rispecchiano forse la mia agitazione, ciononostante ritengo che, se qualcosa ho creato di nuovo nella mia arte (forma-stile), è appunto in quest'epoca.
Le «Pause del silenzio» compendiano tutte le caratteristiche dei Rispetti e strambotti [1920] e delle «Sette canzoni», cioè quelle preferenze che definiscono lo stile di un autore, il che non significa che lo si debba.amare [1942]


Nel luglio, ancora a Crespano, compone il
Ditirambo tragico per orchestra; nell'ottobre, ad Asolo, Armenia, canti tradotti sinfonicamente, Barlumi per pianoforte ( London, Chester, 1918):

[...] nonostante i titoli, e l'antipatia che ispiravano alla maggior parte dei virtuosi-pianisti, altro non sono che sonorità squisitamente pianistiche [...] (Cat. Op.).

A Crespano è colto dalla ritirata di Caporetto (24-25 ottobre 1917). Si trasferisce con la famiglia a Roma, dove dimorerà fino al 1921, trascorrendo i mesi estivi a Capri.

Prima della forzata partenza numerosi furono gli Incontri con D'Annunzio, a Venezia (il 1916, l'anno della «Casa Rossa» e del «Notturno»): nel
1916 Malipiero offre al Poeta la presidenza della «Grande raccolta nazionale dei classici della musica italiana», che sta cercando di avviare (D'Annunzio detta un discorso inaugurale nel marzo del 1917: «Sotto un libro di musica aperto fra varii strumenti fu scritto da un antico nostro: CONCORDIA DISCORS. Concordia discorde è questo smisurato travaglio umano che di sotto al camaio e alla rovina scava le forme necessarie della vita nuova») e che sarà stroncata in fasce dalla catastrofe di Caporetto (edizioni di cantate del Bassani, di brani della «Rappresentatione» del Cavalieri, del «Filosofo di campagna» del Galuppi, de «La Passione di Jommelli», di cantate di B. Marcello e di sonate del Tartini, curate dal Malipiero, vedranno la luce fra il 1919 e il 1921, con la ridimensionata ripresa del progetto):

Gli fui molto vicino [a D'Annunzio] prima di Caporetto. Durante una gita in gondola gli annunziai che un male inesorabile aveva orinai condannato Claude Debussy, dal suo silenzio potei misurare il suo dolore e la musica certo accompagnò l'immagine dell'amico morente.

A Roma dimorerà fino al 1921. «Abitai a Roma fra Caporetto e la mia nomina al Conservatorio di Parma (1917-21) cioè fra due sconfitte.» Quando Gabriele d'Annunzio, ai tempi della Capponcina, come tutti gli appassionati raccoglitori di oggetti antichi, li accatastava nella sua dimora, l'esuberanza corrispondeva un po' al suo stile d'allora. Nel Vittoriale invece, cioè dopo l'avventura di Fiume, egli applicò la sua rettorica alle idee politiche che lo tormentavano, e gli abbondanti tendaggi, i cuscini, le comode poltrone assorbivano la sua voce senza eco. Il Vittoriale è stato, dal giorno in cui entrò a Cargnacco, la tomba di Gabriele d'Annunzio.

1918

Dell'aprile è il Grottesco per piccola orchestra. «Servì per un ' balletto con le marionette del pittore [Fortunato] Depero [1892-19601, mititolato «I selvaggi» (paesaggio tropicale; selvaggi rossi e neri; la selvaggia gigantesca e il serpe verde), rappresentato al Teatro dei piccoli a Roma neTaprile del 1918 sotto la direzione di Alfredo Casella» (fu poi ripreso, le sole musiche, ai Pasdeloups di Parigi, 13 novembre 1924, diretto da Piero Coppola).
Nel settembre compone
Keepsake per canto e pianoforte, e nel novembre Maschere che passano e Risonanze, per pianoforte.
Su «Ars Nova» (Roma, n/3 febbraio) esce l'articolo di Casella sulle «Pause del silenzio»; e nella «Critica musicale» di Firenze, il primo saggio su Malipiero di G.M. Gatti. «Hanno scritto su 'Ars Nova' [pubblicazione della Società italiana di musica contemporanea: 1917-191 Henry Prunières, Giovanni Papiní, S.A. Luciani, jean d'Udíne, Ferruccio Busoni, Alberto Savínio, Louis Laloy, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Guido M. Gatti, e Casella figura sempre fra i più attivi e polemici» (Fil. Ar.).
Di Malipíero, sulla Rivista musicale (1916-1917), «Orchestra e orchestrazione», anticipo del libro del 1920 «L'Orchestra» (editore Zanichelli), il primo libro a stampa di Malipiero. Su Ars Nova: nel marzo, «Le musiche nuove all'Augusteo», nel novembre, «Musiche nuove (Strawinsky, Ravel, Schmitt)». Su Musical America di New York (9 novembre) «Pure Music again in ascendancy in Italy», il primo articolo di Malipiero fuor dei confini italiani (l'anno dopo, nell'ottobre, «The history of Italian melodrama», su «The Chesterian», bollettino della casa editrice londinese; cfr. poi La Ronda, Roma, novembre 1919: «La vera storia del melodramma italiano»).

1919

In febbraio, a Roma, termina le Sette canzoni, che successivamente entreranno a far parte dell'Orfeide. Successivamente compone la Mascherata delle principesse prigioniere, azione coreografica su un soggetto di H. PRUNIERES, finita in maggio e sùbito pubblicata dal Chester, ma eseguita, anch'essa, con anni di ritardo (Bruxelles, Th. La Monnaie, 19 ottobre 1924, direttore Maurice Bastin). Nell'estate, a Capri compone il Canto della lontananza, per violino e pianoforte e conclude il balletto Pantea (iniziato nel 1917), «dramma sinfonico per una sola danzatrice, baritono, coro e orchestra» (l'explicit è da Capri, 3 agosto 1919, con dedica a G.M. Gatti; editore il Chester, London 1920; la prima rappresentazione tardò 13 anni: Venezía, V Festival Internazionale di Musica Contemporanea, 6 settembre 1932, direttore Fritz Reiner, ballerina Attilia Radice).

Dopo due anni di tregua, il melodramma riprende il sopravvento, ma voglio abolire il cantante, forse perché, dopo le precedenti esperienze, la parola mi fa paura .
Le vicende belliche dell'autunno 1917 hanno quasi suggerito le allucinazioni di una donna prigioniera mentre «fuori» infuria la battaglia.

Presso l'Istituto Editoriale Italiano di Milano, pubblica una serie di composizioni di BASSANI, GALUPPI, JOMMELLI, B. MARCELLO, TARTINI.


1920

Nel 1920 a Parigi suscitano scandalo e «Sette canzoni», che invece, nel 1925, avranno un successo «anche di critica», sia a Parigi, sia (con l'intera «Orfeide») a Düsseldorf (Mem. Ut.). Per Malipiero, da quello scandalo sboccia la fama internazionale definitiva, mentre nasce una «ottava canzone»: «1920. L'avventura delle «Sette canzoni» mi ha suggerito «Orfeo», ovvero l'ottava canzone, dove si rappresentano tre pubblici: uno ingenuo, uno parruccone, uno indifferente: ma il canto di Orfeo addormenta l'uditorio».
In quest'anno assai fecondo Malipiero compone:
Oriente immaginario per piccola orchestra (Roma, marzo); il quartetto Rispetti e strambotti (Roma, aprile); un omaggio A Claudio Debussy per pianoforte (Roma, maggio), le Tre poesie di Angelo Poliziano ('Inno a Maria nostra Donna, l'Eco, Ballata'), per una voce e pianoforte, entrambe le composizioni edite dal Chester (London 1921).

Le «Tre poesie di Angelo Poliziano», i «Quattro sonetti del Burchiello» [Parma 1921] e i «Due sonetti» del Berni [Parma 1922], sono «nove canzoni» che discendono direttamente dalle «Sette canzoni». Musica e parola, armonia e ritmo, qui vanno insieme. Si manifesta una specie di processo chimico che appunto genera la canzone, la quale può assumere centomila aspetti: può diventare persino una sinfonia in molti tempi.

Il 24 giugno finisce l'opera in un atto Orfeo, ovvero l'ottava canzone, che costituirà la terza parte del L'Orfeide. A Capri scrive Omaggi e La siesta, per pianoforte.
Nell'anno stesso compone
Le Baruffe chiozzotte, e pubblica due volumi presso l'editore Zanichelli di Bologna; «L'orchestra» [in esso, in direzione del teatro è da vedere in particolare il capitolo conclusivo, Voce e orchestra neldramma musicale] e il proprio Teatro, ossia i testi di «Pantèa», «Sette canzoni», «Baruffe chiozzotte» e «Orfeo», con prefazione di G. M. Gatti: «Il 'Dramma musicale' di G. Francesco Malipiero (ripresa del saggio «Le espressioni drammatiche di G.F.M., uscito nel 1919 sulla Rivista musicale italiana, di rincalzo a S.A. Luciani, «Una nuova forma di teatro (Le espressioni drammatiche di G.F.M.)», tempestivamente uscito in Ars Nova [novembre 1918]).
Il nodo effettivo dell'opera malipieriana è stretto dunque al collo del teatro; e il teatro malipieriano nasce ora, nell'atto in cui le «Sette canzoni» («fìníte a Roma nel febbraio 1919») si fanno L'«Orfeide», con l'aggiunta prima dell'«Orfeo», ovvero l'ottava canzone («finita di comporre a Roma, il 14 giugno 1920») e da ultimo di un prologo,
La morte delle maschere, conclusa a Parma il 15 gennaio 1922 e dedicata a H. Prunières). Alcuni spunti chiarificativi dell'autore:

I. L'«Orfeide» non è un ciclo di tre opere in un atto, ma un'opera sola in tre parti; la seconda («Sette canzoni») e la terza («Orfeo» [...]) sono state concepite avanti la prima, ed eventualmente possono anche conservare la loro indipendenza.

II. «La Morte delle maschere» (1922) è la condanna del convenzionale (le maschere vengono rinchiuse, come balocchi fuori uso, in un armadio), e l'invito a cogliere la vita semplice, dal vero, per farne della musica.

III. Le «Sette canzoni» sono sette episodi da me vissuti e che ho creduto di poter tradurre musicalmente senza contraddire me stesso.

IV. Il testo delle «Sette canzoni» è preso dall'antica poesia italiana, perché in essa si ritrova il ritmo della nostra musica, cioè quel ritmo veramente italiano che a poco a poco, durante tre secoli, è andato perdendosi nel melodramma.

V. Le «Sette canzoni» nacquero dalla lotta fra due sentimenti: il fascino per il teatro e la sazietà per l'«opera», ma più che sazietà fu antipatia per quell'assurdo chiamato «recitativo».

VI. Nelle «Sette canzoni» (sette drammi in cui della vita reale è stata colta la musicalità attraverso un processo díametralmente opposto a quello dell'opera verista) il recitativo è bandito. Ma già nella «Morte delle maschere» e nell'«Ottava canzone» esso diventa inevitabile; però non si presenta sotto forma di didascalia cantata, bensì con una linea musicale nella quale la pronunzia delle parole si deve rispettare ad ogni modo.

VII. Dell'«Orfeide», oltre la partitura per grande orchestra, esiste una seconda versione, per 25 istrumenti.

L'incontro con Igor Strawinsky in carne e ossa avvenne a Ginevra, nel 1920 durante una visita al mio editore, (J. W. Chester), uno svizzero residente a Londra. Approfittai dell'occasione per recarmi a Morges da Strawinsky. Affabile accoglienza. Invito a pranzo. Come antipasto una bottiglia dì wodka alla quale l'ospite fece molto onore. Tardi nella notte egli mi fece sentire, nel suo studio tutto tappezzato di tamburi grandi e piccoli, di gran casse ed altri istrumenti a percussione, l'«Histoire du soldat». Al pianoforte egli metteva in evidenza il ritmo, la rappresentazione scenica coi gomiti e coi piedi percuoteva istrumenti immaginari mentre il diabolico Josè Porta rendeva a meraviglia la parte del violino.

1921

È incaricato dell'insegnamento di alta composizione al R. Conservatorio di Parma.
Il 25 maggio, in Parma, finisce di comporre il mistero per soli, coro e orchestra
San Francesco d'Assisi (prima esecuzione, New York, Carnegie Hall, 29 marzo 1922, direttore Kurt Schíndler; editore Chester 1921); il 28 la «Cimarosiana», «cinque frammenti sinfonici per orchestra» (prima esecuzione: Londra, Queen's Hall, 31 maggio 1922, direttore Eugène Goossens; editore Chester, 1927). In questo giorno, a Roma, muore la moglie».
In novembre scrive
Cavalcate, per pianoforte.

Quando il ballerino Massine si staccò dalla compagnia di Diaghilew, mi portò alcuni pezzi per pianoforte di Domenico Cimarosa e mi chiese di istrumentarli, cosa che feci e che chiamai «La Cimarosiana» (il titolo in 'ana' data dunque dal 1921. Quanti ne son venuti poi con la medesima desinenza!)

Il 15 dicembre 1921 esce su «Il Pianoforte» di Torino l'articolo polemico su «I conservatori». Sul primo numero dell'anno seguente, la risposta di Pizzetti L'infezione musicale ottocentesca («Lettera aperta a G. Francesco Malipiero»), cui Malipiero risponde fra l'amaro e a tagliente nel numero successivo della rivista (a sua volta Pizzetti replicherà brevissimamente con una lettera al Gatti, direttore della rivista):

[...] Non so per quale ragione tu voglia farmi passare per un iconoclasta. Ossia lo so: tu tenti aizzarmi contro l'opinione pubblica italiana. Non so perché tu mi voglia mandare proprio a Sant'Agata in pellegrinaggio d'espiazione: il tuo tono solenne mi ha molto divertito, e in fondo tu hai scelto Sant'Agata per bontà d'animo. Se avessi dovuto andare a trovare tutti gli idoli che tu dici ch'io ho offeso, le spese di viaggio mi avrebbero certamente rovinato. [...] Tutta la tua lettera deve strappare le lacrime a chi ha un cuore sensibile. Ah! non potrò mai dimenticare la scena «quando sei entrato nella tua stanza all'Istituto Musicale». [...] che c'entrano i balli russi col mio articolo sui Conservatori? [...] Vuoi, credo, accennare a un altro mio crimine: nel 1913, a Parigi, fui vivamente impressionato dal «Sacre du Printemps» d'Igor Strawinsky, mentre tu ne provasti disgusto. È stata però una vera fortuna che non sia accaduto il contrario, altrimenti mi avresti forse mandato Dio sa in qual paese della Russía in pellegrinaggio d'espiazione!

Coinvolgendo un musicista che lavora a Parma, e uno parmigiano che lavora a Firenze, la polemica diventa un libretto dell'editore locale Battei (
Oreste e Pilade, ovvero Le sorprese dell'amicizia: melodramma senza musica e con troppe parole», Parma, 1922).


1922

Anno di grande lavoro: nel gennaio, a Parma, finisce la terza parte delle Impressioni dal vero; nello stesso mese porta a compimento La Morte delle maschere, con la quale opera introduttiva completa L'Orfeide.

Del marzo è Il tarlo per' pianoforte, e del giugno
Due sonetti del Berni, per canto e pianoforte.

Ad Asolo compone
La bottega da caffè e Sior Todaro brontolon (che, con le Baruffe chiozzotte, formano le Tre commedie goldoniane), entrambe finite nel settembre, e ne ricava i Frammenti sinfonici. Inoltre cura l'edizione di «Sei solfeggi» di L. Leo.

Durante certi miei prolungatissimi soggiorni asolani, rileggevo le commedie più veneziane, come «Il campiello», perché, nonostante il mio amore per la campagna, la nostalgia per Venezia di quando in quando si faceva sentire. La lettura di una commedia goldoniana mi calmava istantaneamente. Le mie «Tre commedie goldoniane» sono nate da un forte sentimento nostalgico quando, pur non essendo «da Venezia lontan do mile mia», fra il 1920 e il 1922 non vedevo la possibilità di un ritorno in patria. Nella prefazione alle «Tre commedie goldoniane» scrivevo allora: «La nostalgia per Venezia, per quella Venezia che va scomparendo, è stata la vera origine delle mie tre commedie goldoniane...»

In quest'anno passa a seconde nozze con ANNA WRIGHT, di nazionalità inglese.


1923

1923. Si stabilisce ad Asolo dove, alla fine dell'anno precedente, aveva acquistato la casa che tuttora abita. Continua tuttavia l'insegnamento a Parma, e ivi, nel marzo, compone il secondo quartetto per archi Stornelli e ballate, e nel maggio Una canzone a Chioggìa (da Le baruffe chiozzotte) per coro a quattro voci sole. Ad Asolo, il 29 luglio, finisce le Variazioni senza tema, per piano e orchestra, e in dicembre Le stagioni itatiche per soprano e pianoforte.
Pubblica un'edizione integrale dell'Orfeo di MONTEVERDI.

Ritrovo le due partiture (Elen e Fuldano, Canossa), e le condanno al rogo insieme a quelle di un balletto e di un'opera in un atto dei quali non voglio che si ricordi nemmeno il titolo. Il mio entusiasmo per Maeterlinck mi ha fatto scoprire (1907) nel libretto di Elen e Fuldano quello che non c'era. Il fuoco ha purificato anche le mie illusioni.


1924

1924. Dal Conservatorio di Parma è trasferito a quello di Firenze, ma rinuncia alla carica.
Ad Asolo compone
Pasqua di resurrezione. per pianoforte e la favola cantata La Principessa Ulalia.
Pubblica presso « Bottega di poesia » di Milano il volume antologico «I profeti di Babilonia».

1925

Scrive il dramma musicale Filomela e l'Infatuato, terminato il 22 giugno; i Ricercari per undici strumenti, compiuti il 23 ottobre; in fine l'opera in un atto Il finto Arlecchino, che ultima il 15 dicembre.

1926

Dedica a gran parte dell'anno al lavoro di trascrizione ed edizione di musiche antiche. Oltre a dare inizio all'edizione di TUTTE LE OPERE DI MONTEVERDI, pubblica Dieci cori di autori antichi, Concerti per organo e archi trascritti da CORELLI, D. SCARLATTI, TARTINI,
altre trascrizioni per orchesta d'archi da MONTEVERDI,
BASSANI, STRADELLA, FRESCOBALDI.
Inoltre, nel febbraio, compone
Tre preludi a una fuga
per pianoforte e la seconda parte delle Pause del silenzio, e nel novembre i
Ritrovari per undici strumenti.

1927

Sono di quest'anno il dramma musicale Merlino mastro d'organi, finito il giorno di Pasqua, la Sonata a tre, e la Cena (Asolo, 11 dicembre).
Presso la casa editrice Alpes di Milano pubblica una nuova edizione del suo Teatro, accresciuta dei testi delle ultime opere.

1928

Il 12 maggio termina la partitura de Le aquile di Aquileia (dedicato a Ríccardo Gualino), e il 23 dicembre quella de I corvi di S. Marco («dramma musicale senza parole», concluso quest'ultimo il 23 dicembre: «[...] la terza parte è senza parole: guai dire (o cantare) certe verità») che, con Il finto Arlecchino, costituiscono la nuova trilogia drammatica Il mistero di Venezia.
L'opera è edita dalla Universal Edition e va in scena a Coburgo il 15 dicembre 1932 (direttore Karl Friedrich).

Gatti gli scrive da Torino [27.1]:

Ti chieggo ora, sic et simpliciter, di pensare ad uno studio tuo su Monteverdi, da pubblicare quanto prima nella mia rivista. Ci terrei enormemente [...]. So che D'Annunzio sta facendo uno studio o qualche cosa di simile su Monteverdi: tu stai pubblicandone le opere: mi pare dunque che il momento sia ottimo per pubblicare un ritratto critico fondato su le opere e non su supposizioni, nello stesso tempo vivace e profondo.

Malipiero risponde il 10.2:

Puoi star certo che SE scriverò l'articolo sarà per la tua rivista. [...] Ora sto ultimando le mie «Aquile d'Aquileia». Questa è una mia opera drammatica che spero sia la realizzazione di una mia idea non disprezzabile. [...] questa volta mi trovo di fronte a un'opera che ha un significato speciale, e lo avrebbe anche se fosse riuscita inferiore alle mie altre opere musicali. [...] Ma col VIº volume finisce la prima maniera di Monteverdí e vorrei aver finito il VIIº e VIIIº volume, che contengono tutto lo sviluppo che si potrebbe definire la seconda e ultima maniera, prima di parlare del grande Claudio. [...] Sarebbe ridicolo scriverlo prima. [...] Credo tu troverai giusto quello che dico, tanto più che la mia attività filomonteverdiana deve passare in seconda linea, non essendo io né un musicologo, né un musicista mancato.

Di nuovo a Gatti il 18 aprile:

[...]
Eccoti la lista dei miei successi in Italia.
Milano: «Sonata a tre» insulti.
Roma: «Cimarosiana», critiche idiote. Ti faccio notare che quest'opera mia è delle meno importanti, ma ha avuto un successo ovunque di critica e pubblico. La partitura è pubblicata da lo mesi e già si sono avute una quarantina di esecuzioni fra Europa e America.
Milano: «Stornelli e ballate». Fischi. NB. due anni fa vollero persino il bis che venne concesso, ed era la 5ª esecuzione milanese.
Torino: Rícercari.???????? A te dire come sono andati.*
Purtroppo dipendiamo molto dagli esecutori.
Questi, quando non ti conoscono e ti eseguiscono perché si interessano, anche se fanno qualche errore di interpretazione, sempre finiscono per rendere le tue intenzioni mentre quando si tratta di amici è il caso di ripetere il vecchio detto: dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io!

*
Il concerto «è andato benissimo, secondo me. L'esecuzione fu lodevolissima. ed a me i tuoi ricercari sono piaciuti moltissimo. Ti dirò che nel casmpo della tua musica da camera, essi siano fra le cose migliori e forse la migliore senz'altro. [30.4]

1929

1929. Il 10 dicembre finisce di comporre il Torneo notturno. Dello stesso anno sono i Vocalizzi nello stile moderno.

1930

Il 6 luglio termina di scrivere la commedia musicale Il festino.
Pubblica «Interpretazioni sinfoniche» da MONTEVERDi e, presso l'editore Treves di Milano, il volume «Claudio Monteverdi».

1931

Sono di quest'anno i Concerti per orchestra (Asolo, 22 aprile), i Cantàri alla madrigalesca, il terzo quartetto (Asolo, 7 maggio), e un Epitaffio per pianoforte.
Dà inoltre una speciale edizione del «Combattimento di Tancredi e Clorinda» di MONTEVFRDI, col basso realizzato.

1932

Pubblica il XIV tomo delle Opere di MONTEVERDi. Dal 1926 aveva dato nuovamente in luce oltre duemila pagine di musica monteverdiana, tutte personalmente trascritte dagli originali. L'edizione ha poi una sosta di nove anni.
Inoltre, nel febbraio compone gli
Inni per orchestra, il 10 maggio compie il Concerto per violino e orchestra; scrive poi Epodi e giambi per oboe, violino, viola e fagotto.
In autunno inizia un corso di perfezionamento al Liceo musicale «B. Marcello» di Venezia, che continuerà negli anni seguenti fino al 1940.

1933

Compone la Prima Sinfonia, finita in Asolo, il 29 febbraio; le Sette invenzioni per orchestra (Asolo 14 aprile). L'8 agosto termina l'opera in tre atti, su libretto di L. PIRANDELLo, La favola del figlio cambiato; in settembre, le Quattro invenzioni per orchestra. Inoltre è di quest'anno un omaggio a Bach Prélude à une fugue imaginaire.


1934

In tre mesi, da maggio a luglio, ad Asolo, conclude il Quarto quartetto d'archi, il Primo concerto per pianoforte e orchestra, la Sonata a cinque e il Commiato per orchestra e una voce.

1935

Il 10 febbraio termina la partitura del Giulio Cesare e in settembre scrive, sempre ad Asolo, La passione.

1936

La Seconda sinfonia è finita in Asolo il 1º giugno.

1937

Il 2 aprile compie il dramma musicale Antonio e Cleopatra, da cui ricava poi alcuni Frammenti sinfonici. Nel luglio scrive un De profundis dedicato a I. PIZZETTI. Il 4 settembre finisce a Venezia il Secondo concerto per pianoforte e orchestra e il 28 ottobre, ad Asolo, il Concerto per violoncello e orchestra.
Scrive ancora
Preludio, ritmi e canti gregoriani.

1938

A Venezia compone il Concerto a tre per violino, violoncello, pianoforte e orchestra. Il 12 giugno, in Asolo, pone la parola fine alla Missa pro mortuis, dedicata a D'Annunzio. È nominato direttore dell'Istituto musicale «Cesare Pollini» di Padova.

1939

Il 5 maggio termina a Venezia la partitura di Ecuba.
È chiamato a dirigere il Liceo musicale di Venezia.

1940

Nel febbraio compone a Venezia Quattro vecchie canzoni, per una voce e sette strumenti.
Il 22 dello stesso mese, gli muore in Asolo la madre.
Il Liceo musicale di Venezia diventa R. Conservatorio.

1941

L'8 febbraio finisce di comporre a Venezia La vita è sogno.
Riprende l'edizione monteverdiana, con la collaborazione di due allievi, e la termina l'ann o seguente pubblicando i voluminosissimi XVº e XVIº tomo.

1942

Il 29 gennaio finisce in Venezia I capricci di Callot; il 30 luglio il mistero Santa Eufrosina. Scrive ancora la Sonatina per violoncello e pianoforte e il coro Universa universis.

1943

Nuova versione secnica dell'«Orfeo» di MONTEVERDI.
Il 18 settembre termi na la partitura de
L'allegra brigata.
Trascorre il periodo dell'occupazione tedesca (1943-1945) dentro il Conservatorio, e valendosi della sua posizione sottrae insegnanti e allievi alle chiamate alle armi e ai campi di concentramento. «Confesso (egli ha scritto) che dal 28 aprile 1945 in poi, ho atteso che qualcuno venisse a dirmi grazie per quello che ho fatto per il Conservatorio Benedetto Marcello durante la guerra».

1944

Il 14 settembre termina la «sinfonia eroica» Vergilii Aeneis.

1945

Il 24 febbraio finisce di scrivere la Terza sinfonia, e il 20 dello stesso mese le Sette allegrezze d'amore, per una voce e quattordici strumenti.
Stampa una
monografia su Strawinsky (Edizioni del Cavallino, Venezia) e un libretto di ricordi La pietra del bando (Edizioni Ateneo, Venezia) che per vicissitudini editoriali non fu posto in commercio.

1946

Compone due cantate, Li sette peccati mortali finita a Venezia il 7 maggio, e La terra (Asolo, ottobre). Inoltre la Quarta sinfonia, (Venezia, 3 dicembre) e il primo libro dell'Hortus conclusus per pianoforte (Asolo, 30,dicembre).
Pubblica due volumetti: «Antonfrancesco Doni musico» (Edizioni della Caravella, Venezia) e Cossì va lo mondo (Edizioni del Balcone, Milano), e presso gli editori,Rosa e Ballo di Milano il libro
L'armonioso labirinto sui teorici italiani della musica da Zarlino a Padre Martini.

1947

Ad Asolo, il 17 agosto, termina il suo sesto quartetto per archi, L'arca di Noè; il 25 settembre, a Venezia, la Quinta sinfonia; il 26 novembre, pure a Venezia, la Sesta sinfonia.
Assume la direzione artistica dell' Istituto Italiano «Antonio Vivaldi», che in quest'anno inizia la pubblicazione delle opere del grande veneziano. Malipiero ha curato personalmente il testo di 112 concerti.

1948

Compone il Terzo concerto per pianoforte e orchestra
(Venezia, 3 luglio),
Mondi celesti per voce e dieci strumenti (Venezia, 18 luglio), Settima sinfonia (Asolo, 28 agosto), Stradivario, balletto (Venezia, 6 ottobre). Inoltre, In memoria di un amico (Paolino Giordani) per una voce e pianoforte.

1949

Nell'agosto finisce di comporre ad Asolo i tre atti di Mondi celesti e infernali.
È nominato membro del National Institute of arts and letters di New York, il solo italiano con Benedetto Croce.

1950

In gennaio termina ad Asolo il Settimo quartetto, in aprile la nuova stesura del Quinto quartetto. In giugno scrive, a Venezia, il Quarto concerto per pianoforte e orchestra. Seguono: Cinque favole per una voce e piccola orchestra, La festa de la Sensa, cantata (Asolo, 4 novembre), Sinfonia in un tempo (Asolo, 22 dicembre).

CONTINUAZIONE PROVVISORIA TRATTA DA
L'ARMONIOSO LABIRINTO

Il dopoguerra nasce per Malipiero nel segno del sette e nel nome della antica Firenze, «dei Medici, dei Canti Carnascialeschi e delle Mascherate», con Le sette allegrezze d'amore, per voce di soprano e quattordici strumenti, da Lorenzo de' Medici (Milano, Teatro Nuovo, 4 dicembre 1945, direttore Hermann Scherchen), da cui in certo modo dipendono Li sette peccati mortali, da Fazio degli Uberti, per coro e orchestra. Lavora altri venticinque anni con impeto di una quasi rinascita:
Sinfonie: del 1946 è la quarta, «in memoriam» di Natalie Koussewytzky; del 1947 la quinta «concertante, in eco» e la sesta «degli archi», del 1948 la settima «delle canzoni» (eseguita alla Scala), del 1950 la Sinfonia in un tempo - per «non voler oltrepassare il fatidico numero sette». Seguono la Sinfonia dello Zodiaco («quattro partite: dalla Primavera all'Inverno») (1951), quella Per Antigenida (1962) - «Antigenida tebano antichissimo e peritissimo sonator di pifferi» che disse al suo discepolo Ismenia, sgomento anzi «mal contento» di non piacere alla gente: «non ti curare Ismenia del popolo, perciochè basta che tu piaccia a me et alle Muse», indi, riprendendo a numerare, la Ottava sinfonia: Symphonia brevis (1964), la nona dell'ahimè, la decima, Atropo (in memoria di Hermann Scherchen, morto a Firenze dopo avervi diretto l'«Orfeide») (1967), e l'undicesima, delle cornamuse (1º ottobre 1969).
Concerti: del 1948 è il terzo per pianoforte e orchestra, del 1950 il quarto (dedicato a Mitropoulos) - «anche per esso si può dire che il discorso musicale si guarda in ogni momento da quella inutile retorica che si chiama virtuosismo» -, il quinto è del 1958; nel 1963 nasce il secondo concerto per violino e orchestra, nel 1964 il sesto per pianoforte o «delle macchine», del 1968 è uno per flauto e orchestra, per Severino Gazzelloni.
Opere per orchestra, intera o dimensionata, dalla sfrenata invenzione nelle combinazioni e nei titoli affascinanti, eventuali spunti di balletto: Stradivario, «fantasia di istrumenti che ballano» e balletto (1948), El Mondo novo, altro balletto (1951, diretto a Roma da Scherchen) (poi, musica pura, La lanterna magica); la Vivaldiana del 1952, con le Passacaglie, e, l'anno dopo, una Elegia-Capriccio e le Fantasie di ogni giorno:

Senza accorgermi annotavo, quasi come un diario, idee, temi, impressioni ecc. Raccolsi un bel giomo le pagine sparse e non fu nemmeno necessario riordinarle. Non volendo, né potendo chiamarle «Sinfonia» le intitolai «Fantasie di ogni giorno», titolo non letterario, ma appropriato perché questa mia opera sinfonica rappresenta il viaggio quotidiano nel regno della fantasia. Certo che questi viaggi sono molto pericolosi, ché la fantasia è una compagna molto capricciosa.

Seguono le
Fantasie concertanti (1954, dirette alla Scala da Scherchen), il Notturno di canti e balli (1958), una Serenata mattutina per 14 strumenti (1959), e, per lo stesso organico, l'Endecatode (1966), e una sorta di (involontario?) trittico finale, «per orchestra», nel 1971: l'Omaggio a Belmonte (=Schoenberg), la Gabrieliana - «Come per Cimarosa, Monteverdi, Vivaldi ]» -, il Sanzanipolo per Giampaolo Sanzogno giocando sul nome...
Quartetti e opere per un solo strumento, per pianoforte solo (a quartetto L'Arca di Noè, 1947, sesto per tale formazione; il settimo lo segue di tre anni, insieme con uno, dalla numerazione retrodatata: il quinto «dei Capricci»; l'ottavo, Quartetto per Elisabetta, ci porta al 1964 - tutti son dedicati a Mrs Elizabeth S. Coolidge la patronessa americana); per pianoforte l'importante Hortus conclusus del 1946, i Cinque studi per domani, del 1959, Bianchi e neri, del 1964 (a intenzione di Gino Gorini).
Ma la via maestra dell'opera malipieríana pare ancora legata al teatro e, del teatro, alla voce, fino alla possibile liberazione di essa dall'obbligo della scenicità e alla ricombinazione (fino alla sparizione/fiapparizione) in contesti di forte inventività/significanza/eccentricità: due, probabilmente, i punti, insieme culminanti e riepilogativi, secondo una caratteristica molto malipieriana: per il teatro, le Metamorfosi di Bonaventura, «opera in tre parti», del 1965, ispirata ai Nachtwacben di Bonaventura (rappresentata con solennità celebrativa alla Fenice, nel Festival Internazionale di Musica Contemporanea, 4 settembre 1966, maestro Ettore Gracis); per l'altro verso, i Dialoghi (Asolo 14 aprile 1956-31 marzo 1957): I. Con Manuel De Falla «in memoria» (per piccola orchestra); II. Fra due pianoforti; III. Con Jacopone da Todi, per canto e due pianoff.; IV. Per cinque strumenti a perdifiato; V. Per viola e orchestra «quasi concerto»; VI. Per clavicembalo e orchestra «quasi concerto»; VII. Per due pianoff. e orchestra «concerto»; VIII. La morte di Socrate (per baritono e piccola orchestra).
Affini a La morte di Socrate: 1949, In memoria d'un amico («dalla vita di San Gerolamo tradotta da Domenico Cavalca») (per baritono e pianoforte); 1950-52, le Cinque favole (Washington, Fondazione Coolidge), per voce e orchestra, e La Festa de la Sensa (per baritono, coro e orchestra); ma, in particolare (innovanti, nel «genere», fin dal titolo) le «rappresentazíoní da concerto»: Magister Josephus (1957), Preludio e morte di Macbeth (1958) («La voce di Macbeth interviene quando l'orchestra rifiuta di trasformarsi in musica a programma»; L'asino d'oro, da Apuleio (1959; la prima esecuzione fu diretta per la RAi da Celibidache); il Concerto di concerti ovvero dell'Uom malcontento (per baritono, violino concertante e orchestra) (Venezia, XXIII Festival Internazionale di Musica Contemporanea, 1960):
«È l'ultima delle 4 Rappresentazioni da Concerto, essa riassume lo spirito del mio teatro, giustificando la classifica di «rappresentazione.»
Ma non va dimenticato l'
Abracadabra per baritono e orchestra (Venezia, XXVI Festival Internazionale di Musica Contemporanea, 1963, diretto da Bruno Maderna, antico allievo del Maestro).
Resta che si dica delle opere (teatrali) del dopoguerra (eravamo rimasti all'Allegra brigata, dunque v'è un intervallo di circa nove anni fra questa e la «ripresa»):

1952,
Il figliuol prodigo, da Pierozzo Castellano de' Castellani (Torino, RAi, 25 gennaio 1953);

1954,
Donna Urraca, da una commedia di Mérímée (Bergamo, Teatro Donizettí, 2 ottobre 1954);

1955,
Il capitan Spavento, «mascherata eroica» (Napoli, San Carlo, 16 marzo 1963); Venere prigíoniera, «commedia musicale» (spagnolesca) (Firenze, Teatro alla Pergola, 14 maggio 1957; dedicata, ancora, a Guido M. Gatti);

1962,
Don Giovanni, da Puskin (Napoli, San Carlo, 22 ottobre 1963); 1965, Le metamorfosi di Bonaventura (Venezia 1966);

1966,
Don Tartufo Bacchettone, commedia (Venezia, 20 gennaio 1970); 1968, Il marescalco, dall'Aretino (Treviso, 22 ottobre 1969); Gli eroi di Bonaventura, «dramma musicale in due atti, un prologo e sette quadri» (Milano, Piccola Scala, 7 febbraio 1969);

1970,
Uno dei Dieci e L'Iscariota, due atti unici (Siena, Teatro dei Rinnuovati, 28 agosto 1971).

Direttori i varii (i più, fedeli), Gracis, Scaglia, Bartoletti (Venere prigioniera), Caracciolo; e specialmente Nino Sanzogno.
Non è una vita che si specchia nell'opera, fino quasi a esserne cancellata, è una vita che dall'opera viene come moltiplicata e infinitamente rifratta; fino quasi a fondare una rara leggenda. I fatti, gli accadimenti «solo» personali, stentano a ritrovarsi fuori dell'opera strettamente creativa, critica, polemica; nel 1947 si inaugura, sotto la direzione artistica di Malípíero, l'Istituto Italiano Antonio Vivaldi, per l'edizione di un'altra opera leggendariamente copiosa. Dei 530 volumi» dell'opera strumentale usciti fra il 1947 e il 1972, più di cento sono stati curati personalmente da Malipiero. (Sul piano letterario va ricordato l'«Antonio Vivaldi». Il prete rosso scritto da Malipiero, con raffinata concisione, per la Piccola Biblioteca Ricordi nel 1958). Nel 1949 è nominato membro del National Instítute of arts and letters di New York, il solo italiano con Benedetto Croce. Nel 1952 va in pensione e lascia Palazzo Pisani, definitivamente, per la casa di Asolo che abita dal 1922. I suoi settant'anní sono anche onorati dal volume-monumento dedicatogli da Gino Scarpa e dagli amici, L'Opera di Gian Francesco Malipiero (Edizioni di Treviso, 1952), dove un importante contributo conoscitivo è costituito dal Catalogo annotato dall'Autore stesso.
Tale Catalogo appare aggiornato al 1971 (anno in cui di fatto Malipiero cessa la propria attività creativa) in appendice a un altro omaggio librario che gli è tributato dalla Fondazione Cini, nel 1977 (quando si stampano gli Atti del Convegno Malipieriano promosso dalla Fondazione nel 1972, per gli ottant'anni del Maestro).
Nel
1960 Alberto Mantelli ha dedicato a Malipiero il numero di gennaio-marzo della sua rivista, «L'Approdo musicale» (ívi un saggio fondamentale di Piero Santi sul teatro malipieriano). Del 1962 è un saggio di Gavazzeni sulle «Sette canzoni» (nel numero speciale della «Rassegna musicale» «dedicato all'Opera del XX secolo») a segnare una punta di interesse nuovo, per Malipiero, da parte dell'interprete (musicale e letterario) forse più autorevole dell'opera - oppositiva - di Pizzetti. (Sul piano musicale, al nome di Gavazzeni si associano, per Malipiero, esecuzioni geniali delle «Sette canzoni» e della «Favola del figlio cambiato»).
Nel 1966 Malipiero è il musicista della «scuola storica» che Luigi Pestalozza assume come lievito di tutta l'esperienza novecentesca della musica italiana (v. l'antologia da Pestalozza esemplarmente e polemicamente procurata de «La Rassegna musicale», per Feltrinelli).
Nel
1968 gli «Eroi di Bonaventura» alla Piccola Scala «assumono un carattere conclusivo, ché io ho voluto in essi riassumere una parte del mio teatro»: due anni prima esce da Einaudi «Il filo d'Arianna», esso stesso, rispetto alla saggistica e memorialistica malipieriana, fortemente riepilogativo e «conclusivo», seguito tuttavia da una piccola costellazione di opere, del medesimo carattere, «All'Insegna del Pesce d'Oro» di Scheiwiller: «Ti co mie mi co ti» (soliloqui di un veneziano) (1966), «Così parlò Claudio Monteverdi» e «Di palo in frasca» (1967), «Da Venezia lontan» (1968). Nel 1960, per la Capitol di Bologna, pubblica una sorta di strenna, «Maschere della commedia dell'arte»; e nel 1972, per il Le Monnier di Firenze, cura una edizione de «Le convenienze e inconvenienze teatrali» di A.S. Sografi.
Nel
1964 era morta Anna Wright Malipiero. Nel 1967 Malipiero sposa Giulietta Olivieri. Muore, novantunenne, il 1º agosto del 1973.
Nel
1982, nel centenario della nascita, la Fondazione Cini e il Teatro La Fenice gli dedicano un mini-convegno («atti» pubblicati col titolo «Malipiero scrittura e critica» [1984]) e il Comune di Reggio Emilia un maxi-convegno («atti»: Malipiero e le nuove forme della musica europea, «Musica/Realtà» 3 [1984]). Nel 1990 esce la monografia di Waterhouse.