ALFREDO CASELLA

I SEGRETI DELLA GIARA III
pp. 143 ss.
SOCIETÀ NAZIONALE DI MUSICA
SOCIETÀ ITALIANA DI MUSICA MODERNA
CORPORAZIONE DELLE NUOVE MUSICHE
SOCIETÀ INTERNAZIONALE DI MUSICA CONTEMPORANEA



CON LA CRONOLOGIA DELL'



E CON LA CRONOLOGIA SINTETICA
E DETTAGLIATA DEL FASCISMO

In un concerto che davo colla cantante ungherese Ghita Lenart e nel quale essa doveva interpretare le mie quattro «liriche» di Tagore-Gide, appena cominciò a cantare, si alzò un gruppo di giovani che si misero ad inveirla e buttarono nella sala una buona quantità di pastiglie lagrimogene, col risultato di determinare la immediata fuga di tutto il pubblico. Venne a vedermi all'albergo un vecchio dottore tedesco che si chiamava Casella, il quale voleva accertare se vi fosse tra le nostre famiglie qualche parentela. Cosa forse non inverosimile essendo loro pure oriundi liguri come mio nonno.
Egli mi raccontò di un suo nipote chiamato Theodor, che era iscritto al partito nazional-socialista e del quale egli parlava con vivo affetto. Questo nipote doveva essere ucciso pochi giorni dopo nel putsch nazista del 9 novembre capitanato da Hitler, ed oggi egli dorme il suo sonno eterno accanto ai suoi 15 compagni, recando - cosa curiosa - il nostro italianissimo nome in quel sacrario di martiri germanici.



Nel gennaio del 1923, mi recai nuovamente agli Stati Uniti. Questa volta suonai e diressi colle orchestre di Boston, Cleveland, Minneapolis e Chicago. Il successo del primo anno si affermò e si consolidò. Ormai era evidente che l'America mi era schiusa e che potrei lavorarci assai utilmente.

Di ritorno in Italia, feci in primavera un viaggio in Toscana, paese che conoscevo malissimo e che mi lasciò una enorme impressione non solo per la sua arte (della quale avevo
ovviamente profonda conoscenza), ma ancora e soprattutto per la sua mirabile natura, la quale mi fece capire tante cose e dalla quale appresi definitivamente che l'italiano non poteva in nessun caso essere impressionista e che la chiarezza trasparente di quel paesaggio era quella stessa dell'arte nostra.
Passammo l'estate ad Asolo, il grazioso paesello veneto ove riposa Eleonora Duse e dove abita G. Francesco Malipiero. Ripresi - non senza una certa commossa cautela - la composizione, e nacquero così in poche settimane le Tre canzoni trecentesche, le Quattro favole di Trilussa, La sera fiesolana e due altre liriche. Di questo gruppo di dieci liriche, sono indubbiamente le trecentesche quelle dove meglio si afferma la mia definitiva personalità e nelle quali è raggiunta quella trasparenza classica che avevo appreso pochi mesi prima dalle mie osservazioni toscane.


Nei quotidiani colloqui con G. F. Malipiero - che era l'unico di quegli antichi compagni di lotta rimastomi vicino, gli altri essendosi ormai staccati da me ed avviati per vie alquanto diverse dalla mia - si pensava seriamente alla necessità di fondare un nuovo organismo di cultura moderna, che servisse a far penetrare in Italia le ultime espressioni, le più recenti ricerche dell'arte musicale contemporanea, sembrandoci che lo sforzo - pur lodevole, - delle varie società di concerti, fosse alquanto ritardatario sui tempi e che urgesse mettere le giovani generazioni a contatto più diretto col pensiero musicale europeo.
Un caso fortunato doveva fare del nostro progetto salda realtà. Avevo chiesto in quei giorni un appuntamento a Gabriele d'Annunzio al quale desideravo far udire La sera fiesolana che avevo musicata in quei giorni. Il 20 settembre, giunse un telegramma così concepito:

Casella Malipiero - Villa Occioni Asolo
Mi libero oggi da molti seccatori ignoranti di musica e aspetto i forieri della musica nuova.
Gabriele d'Annunzio.


Il giorno dopo, eravamo ospiti del Comandante al «Vittoriale», che a quei tempi aveva conservato intatto il suo carattere di villa semplice, alquanto «colonica» nascosta in mezzo agli alberi con in fondo la magnificenza del Garda.





Non avevo più riveduto il Poeta dalla storica sera della sua partenza per Quarto, ma lo ritrovai straordinariamente giovanile di spirito e di corpo. Egli ci fece un'accoglienza affettuosissima. Appena gli accennammo del nostro progetto circa la fondazione di un nuovo organismo di propaganda per la musica contemoporanca, egli si accese di vivissimo entusiasmo. Si parlò dell'avvenire per tutta la serata.



L'indomani mattina, quando lo ritrovammo, egli aveva trovato il nome della associazione che volle battezzare Corporazione Delle Nuove Musiche, col bellissimo motto latino «Concentus Decimae Nuncius Musae ». La sua iminaginazione da poeta vedeva le cose molto in grande. La C. D. N. M. avrebbe dovuto - oltre ai concerti di musica contemporanea - organizzare un vasto coro per restituire alla luce le più belle musiche antiche nostre, prime fra quelle le monteverdiane, avere più tardi anche un'orchestra, ed infine (e qui il Comandante precorreva i tempi) «andare verso il popolo» creando ovunque in Italia audizioni per le masse, e facendo così realtà del paragrafo LXV del suo «Statuto» fiumano del 1920, nel quale egli scriveva: «Le grandi celebrazioni corali ed orchestrali sono 'totalmente gratuite' come dai padri della Chiesa è detto delle grazie di Dio». Del problema finanziario egli diceva di non preoccuparsi, perché essendo allora capo delle genti di mare di tutta Italia avrebbe prelevato un modesto contributo su ognuna di quelle 500.000 persone, ciò che avrebbe assicurato alla C. D. N. M. vastissime possibilità.
A dir il vero, ero alquanto scettico sulla possibilità di attuare integralmente questo smisurato programma. Ma pensavo tuttavia che - limitandoci a qualcosa di più modesto - l'azione della C. D. N. M. avrebbe nondimeno potuto riuscire altamente benefica al paese. Ritornato a Roma, cominciai ad organizzare l'associazione. Mi recai più volte al Vittoriale, dove trovavo il Comandante sempre acceso di entusiasmo, ma viceversa gli vedevo sempre accanto quel capitano Giulietti che fungeva da tramite fra il Poeta e la gente di mare, e che non dimostrava nessun interesse ai piani musicali del Comandante. Le mie previsioni sul lato chimerico dei grandiosi progetti del Comandante si manifestavano ogni giorno più fondate. Occorreva quindi trovare mezzi finanziari altrove. Non mi preoccupavo del resto eccessivamente perché ho sempre veduto che quando un'idea è veramente buona il denaro finisce sempre per venir fuori.
Ed infatti il 15 novembre Malipiero riceveva un cablo da Mrs Elizabeth Sprague Coolidge, alla quale egli si era rivolto, ove essa annunciava di sottoscrivere mille dollari (erano, al cambio di allora, circa 23.000 lire nostre) per la C. D. N. M. Ricevemmeo pure un altro cospicuo dono di 10.000 lire dall'avv. Riccardo Gualino di Torino ed altri ancora minori da amici romani. Dimodoché ci trovammo a febbraio del 1924 con una bella sommetta che potevamo spendere liberamente secondo i nostri desideri. Nel secondo e terzo anno di vita della C. D. N. M., la signora Coolidge ci donò ancora altri 1.500 dollari, portando così il suo contributo personale a circa 57.000 lire italiane, che ci permisero di svolgere una serie di manifestazioni dedicate alla musica contemporanea quali non si erano mai vedute prima in Italia e quali purtroppo non si rividero poi.
Mrs Elizabeth Sprague Coolidge è una delle figure più nobili del mecenatismo musicale. Rimasta vedova ancor giovane, appassionata cultrice della musica sin dall'infanzia (è una eccellente pianista colla quale ebbi più di una volta il piacere di suonare a due pianoforti), decise di consacrare ogni anno la metà del suo cospicuo reddito all'arte musicale. La sua immensa attività in favore della musica è malamente nota in Italia. La signora Coolidge ha fondato un premio annuale di 1.000 dollari per un lavoro da camera, del quale furono vincitori tra altri Bloch e Malipiero. Essa ha donato alla Library of Congress di Washington una sala di concerti ed una fondazione finanziaria per darvi concerti periodici. Ha organizzato per oltre vent'anni concerti per gli studenti in tutte le maggiori Università americane.


Ha fondato quel magnifico Berkshire Festival che ha luogo ogni anno nelle montagne vicine a Pittsfield, la graziosa cittadina del Massachussetts dove essa visse per lunghi anni col marito, festival che dura circa una settimana e che riesce sempre una festa musicale incomparabile per qualità di musiche eseguite e per eccellenza di esecutori. Essa ha introdotto negli Stati Uniti esecutori e complessi europei di larga fama, come Paul Hindemith e come i quartetti Rosé, Kolisch, Pro Arte e Roth ed il Trio Italiano, complessi che debbono quindi a Mrs. Coolidge la loro fortuna americana. Essa ha infine «commissionato» ai maggiori compositori europei ed americani una quantità enorme di lavori, tra i quali ad es. l'«Apollon Musagète» di Strawinski, che fu scritto per la sala della Library a Washington. Non è possibile nemmeno lontanamente elencare qui tutti i nomi di compositori che hanno lavorato per Mrs Coolidge, ma è doveroso in ogni caso ricordare almeno che oltre venticinque tra i migliori lavori da camera della scuola italiana contemporanea furono scritti dietro suo invito da Respighi, Pizzetti, Alfano, Malipiero, Castelnuovo-Tedesco e Casella.





Credo che basti quanto precede ad illustrare la eccezionale importanza della figura di questa donna, la cui attività in favore della musica, da camera non ha riscontro in nessun paese del mondo. Aggiungerò che Mrs Coolidge ha sempre agito in perfetta indipendenza critica e senza che nessuno di noi abbia mai potuto esercitare una benché minima influenza sul suo gusto né su qualche sua scelta. Essa è sempre stata sorretta nella sua azione, oltreché dalla sua alta intelligenza e dalla sua incomparabile generosità, da una solidissima cultura musicale e da un «fiuto » di prim'ordine. È del resto una donna di psicologia curiosissima ed abbastanza difficile da conoscersi. Abituata da lunghi anni ad essere il bersaglio di tutti i mediocri che sperano di trovare nella sua generosità qualche buon «affare», ha imparato da un pezzo a saper distinguere i pochi veri amici disinteressati che ha attorno a sé, quelli cioè che le rimarrebbero fedeli anche se domani divenisse improvvisamente povera, dagli innumerevoli che cercano di spillarle quattrini più o meno onestamente. E quando si accorge che una persona nella quale aveva riposto fiducia ne era invece indegna, allora tronca ogni rapporto con questa persona e non c'è possibilità di farla ritornare sulla sua decisione.
Un Campanile potrebbe scrivere un volume meraviglioso sui viaggi artistici della signora Coolidge in Europa. In quegli anni che vanno dal 1924 al 1928, la nostra mecenate diede numerosi
concerti a Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, Praga, Cambridge, Roma, Napoli, Venezia, ecc.
Questi concerti erano consacrati a composizioni scritte appositamente per lei ed a lei dedicate. I concerti avevano luogo per invito ed erano eseguiti da esecutori di eccezionale valore. La signora Coolidge viaggiava portando seco la maggior parte di quei musicisti. Ed inoltre invitava amici, personalità, critici da tutte le nazioni ad assistere (naturalmente ospiti suoi negli alberghi più lussuosi) alle sue audizioni. Essa amava immensamente vivere circondata da artisti tanto creatori quanto interpreti e da amici sicuri ed affezionati. L'arrivo in albergo di quella signora altissima ed occhiaiuta che entrava seguita da un codazzo di venti, trenta persone la maggior parte delle quali armata di strumenti musicali, era di un inarrivabile umorismo.
L'albergo veniva preso d'assalto da tutta quella compagnia cosmopolita, guardata con un certo stupore dai viaggiatori che non ne facevano parte. La vita con Mrs Coolidge non era facile, perché, ospiti suoi, bisognava tenersi a sua disposizione tutta la giornata ed anche sino a tarda ora se occorreva. E siccome ovunque si organizzavano attorno alla personalità di Mrs Coolidge infiniti ricevimenti, ufficiali e non ufficiali, the, garden-party, banchetti e via discorrendo, accadeva che lei - donna dotata di una resistenza fisica veramente fenomenale - non era mai stanca, mentre invece gli ospiti che le stavano attorno non ci vedevano più dalla spessatezza. Ma l'atmosfera di ammirazione e di gratitudine che suscitava dappertutto quella straordinaria figura di donna era tale, che finalmente tutto si risolveva in una generale e rumorosa allegria.
Ma ritorniamo alla nostra C. D. N. M. Questa associazione visse cinque anni, ma furono brillantissimi. La prima stagione si svolse in parte al Teatro delle Arti che fondava in quei medesimi mesi Luigi Pirandello in un identico momento di entusiasmo e di fede. Lo stesso pubblico frequentava le sue rappresentazioni ed i nostri concerti. In quell'al ipo facemmo venire per la prima volta in Italia Bela Bartòk come pianista e Paul Hindemith col suo quartetto. Nei concerti si fecero udire musiche di Strawinski (tra cui l'Histoire du soldat e l'Ottetto per fiati, ambedue nuovi per l'Italia), Honegger, Milhaud, Auric, Hindemith, Szymanowski, Bloch, Krènek, Bartòk, Kodàly, Poulenc, Ravel, Bliss, Respighi, Malipiero, Pizzetti, Castelnuovo-Tedesco, Veretti, Rieti, Labroca, Massarani, Mortari, P. Clausetti e Casella.




Mary Wooton in the Library's Conservation Office treating the autograph manuscript of Arnold Schoenberg's Pierrot Lunaire, and a page from the manuscript ("Heimweh") showing a hinged paste-over which has been removed in conservation, and replaced so that its original location and the underlying material can be examined. In this major innovative work of the twentieth century, Schoenberg made his first use of Sprech-stimme, in which the voice replaces the sung pitches with speech-song. Its premiere evoked as much furor and adverse critical reaction as Stravinsky's Rite of Spring (1913). Pierrot Lunaire (1912) predates Schoenberg's development of his "method of composing with twelve different notes related entirely to one another," his so-called serial or twelve-tone system. (Gertrude Clarke Whittall Foundation Collection) (Photograph by Jim Higgins)

Nell'aprile poi ebbe luogo un avvenimento di alta importanza: una lournée di otto audizioni del Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg, giro che si svolse a Roma, Milano, Napoli, Firenze, Torino, Venezia e Padova. Il Pierrot Lunaire era recitato da Erika Wagner ed eseguito da Onnou, Prévost e Maas del quartetto Pro Arte di Bruxelles, oltre al compianto flautista Fleury ed al clarinetto Delacroix. Dirigeva l'autore. Avevamo quindi potuto assicurare al lavoro una interpretazione veramente mirabile, della quale Schönberg si dichiarò del resto pienamente soddisfatto. In ogni concerto, il Pierrot Lunaire veniva preceduto dal mio nuovo Concerto per quartetto, il primo lavoro di mole che avessi intrapreso da parecchi anni e che considero tuttora come un notevole passo innanzi su quella via di chiarificazione e di realizzazione stilistica che aveva inaugurato sin dai «pezzi infantili». E desideravo pure che il Pierrot Lunaire venisse accompagnato da un lavoro italiano che valesse a dimostrare quanto la nostra rinnovata sensibilità, la nostra risorta tradizione fossero indipendenti dall'arte del maestro viennese. Il giro fu una serie di rumorosi scandali. Ogni sera, in ogni città si scatenava invariabilmente una reazione violentissima del pubblico, che rendeva arduo il compito degli esecutori e persino difficile il sentire la musica. Schönberg poi - che è un uomo di natura spaventosamente irrequieta ed agitatissima - non capiva perché la sua musica potesse destare tanta opposizione e voleva tornarsene a Vienna dopo ogni concerto.

Howard Schleeter
"Der Mondfleck" (Moonspot) 1944
from Pierrot Lunaire by Arnold Schonberg
Mixed media, 14.75" H x 10.5" W image
Come Dio volle, il giro terminò, ed a Roma trovammo finalmente, davanti al pubblico eccezionale che aveva già formato in poche settimane la C. D. N. M. una audizione che si svolse in perfetta calma ed in un religioso silenzio e che riescì a calmare alquanto Schönberg. A Firenze tuttavia, egli aveva avuto una viva soddisfazione. Puccini era venuto appositamente da Torre del Lago per sentire quel lavoro che lo interessava enormemente e del quale egli aveva recato con sé una partitura. Prima dell'esecuzione, volle essere presentato a Schönberg, per il quale ebbe parole non solamente cortesi ma anche di alta ammirazione. Era uno spettacolo curiosissimo di vedere a colloquio quei due musicisti che rappresentavano due arti così diverse, animati però da tanta reciproca cordialità e stima [1].

Negli anni seguenti, la C. D. N. M. continuò a svolgere una attività altamente utile, che sarebbe troppo lungo riferire in particolare. Il totale dei concerti che diede durante la sua esistenza fu di 50 a Roma e di circa una ventina in provincia ed a Parigi, Vienna, Berlino e Praga. Lo sforzo compiuto in quel periodo dalla C. D. N. M. in favore dell'arte contemporanea è rimasto sino ad oggi senza eguale nella storia musicale italiana. Fu un periodo felice per la musica nuova, il quale purtroppo non si è più rinnovato né forse si rinnoverà più nella vita di noialtri superstiti della «vecchia guardia»...
Il Comandante si staccò poco alla volta dalla nostra C. D. N. M. Tuttavia volle sempre essere informato sulla nostra attività che ebbe ognora la sua alta approvazione.

Dobbiamo adesso ritornare indietro, per parlare di altri importanti avvenimenti artistici dei quali fui attivamente partecipe e con me la C. D. N. M. Si tratta della fondazione della
Società Internazionale di Musica Contemporanea, la quale - come è noto - ebbe origine dalla nobilissima iniziativa di alcuni compositori appartenenti alle nazioni ex-nemiche, che vollero organizzare a Salisburgo, nell'agosto del 1922, un «festival» nel quale, per la prima volta dopo il 1919, si udirono musiche di 44 compositori tutti appartenenti a quei paesi che avevano combattuto gli uni contro gli altri. Questa necessità di riprendere al più presto intatti spirituali che la guerra aveva così dolorosamente interrotto, era da tutti i veri artisti sentita come una immediato. necessità, ed è innegabile che la S. I. M. C. nacque in mezzo ad un entusiasmo straordinario e che segnò veramente la pace degli spiriti musicali.
Appena fondata la Società, il prof. Edward J. Dent che ne era subito stato eletto presidente, si rivolse a Guido M. Gatti ed a me, come alle persone che gli parevano più adatte per assumersi il non lieve compito di organizzare in Italia una sezione della Società.
Nella primavera del 1923, festival che doveva aver luogo nel prossimo agosto a Salisburgo (e che era il primo ufficiale della S. I. M. C., essendo questa stata fondata alla fine del festival 1922), e parve a certuni dei nostri maestri che l'Italia vi fosse insufficientemente rappresentata (Liriche di Malipiero, Il raggio verde di Castelnuovo-Tedesco e la Fantasia contrappuntistica di Busoni).Alcuni giornali allora (fra i quali il Popolo d'Italia che pubblicò un articolo violentissimo di Alceo Toni) tentarono di porre Gatti e me in istato di accusa.



Sotto la pressione di questa campagna di stampa, si decise di inoltrare alla S. I. M. C. una protesta contro la giuria che aveva formato i programmi, notificando anche la nostra astensione da festival, protesta che venne firmata da tutti i maggiori musicisti italiani e della quale si mandò anche una copia a Busoni (che faceva parte del Comitato di Patronato della Società). G. M. Gatti si ritirò dalla «mischia», lasciandomi solo fiduciario italiano della Società. Io decisi di recarmi a Salisburgo come «osservatore». Nelle assemblee dei delegati si chiarì poi ogni cosa. La «protesta» lasciò il tempo che doveva trovare, e mi venne riconfermato l'incarico di formare la sezione italiana della Società. E, siccome appunto poche settimane dopo veniva fondata al Vittoriale la «Corporazione delle Nuove Musiche», così questa, sin dal suo apparire, venne senz'altro riconosciuta come sezione italiana della S. I. M. C.

La S. I. M. C. ha svolto indubbiamente per parecchi anni un'opera altamente benefica. I primi festivals (Salisburgo, Praga, Venezia, Zurigo, Francoforte-Meno e Siena)

allinearono - in una fraterna e disinteressata collaborazione - i più bei nomi della musica contemporanea: Strawinski, Schönberg, Prokofief, Szymanowski, de Falla, Ravel, Bliss, Roussel, Honegger, Milbaud, Bartòk, Kodàly, Hindemith, Krènek, Bloch, Schmitt, Kaminski, Martinu, Villa-Lobos, Ibert, V. Williams, W. Walton, von Webern, Mossolof, Janacek, Hàba ecc. Si può veramente affermare che tutto quanto la musica contemporanea ha prodotto di migliore è passato per quelle manifestazioni. Col festival di Siena (1928) si chiude il periodo aureo della S. I. M. C. e ne comincia la decadenza. Allo spirito magari rivoluzionario ma anche così generoso nel suo internazionalismo tanto nobilmente inteso, doveva subentrare poco a poco un giuoco alquanto demagogico e parlamentaristico di interessi non sempre lodevoli, nuovo spirito dovuto soprattutto alla preponderanza presa da certi elementi israeliti medieuropei (sopratutto cecoslovacchi) che, a traverso i lavori delle assemblee dei delegati nazionali e delle giurie, cominciarono a svolgere una lenta ma tenace opera antilatina alla quale vanamente. si oppose lo stesso presidente Dent. Dimodoché il festival doveva finire per divenire il feudo di una specie di congrega formata da compositori che si eseguono solamente in quella occasione e che poi non si rivedono più su nessun programma. Comunque, fino a tutt'oggi, l'Italia è stata sempre presente e la nostra sezione ha saputo essere fra le più attive della S. I. M. C. organizzando in Italia ben tre festivals: Venezia 1925, Siena 1928, e Firenze 1934.
L'opera della sezione è stata spesso criticata in Italia dai soliti malcontenti che non potevano giungere sino a quelle manifestazioni. Ma la seguente breve statistica basta a dimostrare come tutti i compositori meritevoli di figurare in quei festivals ci siano entrati, ed anche Più di una volta:

Compositori - Numero di esecuzioni

Malipiero 9
Petrassi 2
Castelnuovo-Tedesco 5
Tommasini 1
Rieti 4
Mulè 1
Busoni 3


Mortari 1
Casella 3
Veretti 1
Dallapiccola 4
Nielsen 1
Alfano 2
Gorini 1
Pizzetti 2
Pilati 1
Labroca 2
Totale

42 composizioni

di
17 autori italiani

eseguite in
18 festivals.
Se qualcuno osservasse che Respighi non è mai stato eseguito in nessuno di quei festivals, risponderò che fu lui a non voler mai partecipare in nessun modo a quelle manifestazioni, per ragioniche non volle mai dirmi, ma che rispettai sempre pur non conoscendole. [...]
Il 22 giugno 1926 la Partita veniva eseguita al quarto festival della S. I. M. C. che si svolgeva quella volta a Zurigo. Il lavoro da me diretto, ebbe l'alto onore di venire suonato da Walter Gieseking che ne diede una interpretazione prodigiosa. Il vasto successo ottenuto da quella mia composizione in quella circostanza ne determinò decisamente la diffusione in tutti i paesi del mondo. Stando alle semplici cifre della statistica, è certo che la Partita fu per lunghi anni il lavoro moderno per pianoforte ed orchestra che ebbe maggior numero di esecuzioni. Quantitativo però che doveva più tardi essere raggiunto e forse superato da Scarlattiana.
La C. D. N. M. intanto continuava brillantemente la sua opera culturale. In quella medesima primavera essa diede in onore di Mrs Coolidge che si trovava a Roma, un concerto per piccola orchestra da me diretto, nel quale si eseguì per la prima volta a Roma Pulcinella di Pergolesi-Strawinski.
[...]
[Nella] stagione 1926-1927, la mia attività concertistica fu intensissima e raggiunse la bella cifra di 150 concerti e di 50.000 chilometri percorsi. [...] Ai primi di gennaio 1927, partenza per il quarto giro americano. [...] Nel marzo tornai in Italia dove mi attendeva un'impresa altamente interessante : il giro che la C. D. N. M. organizzava a Roma, Padova, Milano, Torino, Firenze, Napoli per l'esecuzione delle Nozze di Strawinski.
[...] Il giro si iniziò col Teatro di Torino (erano quelli gli anni aurei ove Riccardo Gualino aveva fatto di quel teatro il centro più importante ed interessante della vita artistica italiana) e riuscì un magnifico successo. Successo che si rinnovò del resto in tutte le città, in parecchie delle quali si giunse persino a chiedere il bis dell'ultimo quadro.
A Milano (dove eravamo ospiti dei Teatro del Popolo), un gruppo di musicisti, lividi per la rabbia, tentarono di opporsi a questa replica, e si distinse particolarmente tra quegli scalmanati Felice Lattuada, il quale mi urlava sotto al podio: «Buffone! Pagliaccio! Ciarlatano!» ed altre cortesie del genere. Ciò che però non servì che a far espellere dalla sala lo sparuto gruppo degli oppositori.
Nel maggio-giugno, disimpegnai i miei 62 concerti a Boston. Il successo mi valse un contratto per altre due stagioni. [...]

Maggio e giugno [1928] si passarono nuovamente a Boston, nell'intenso lavoro dei concerti popolari. Tornato in Itafia, dovetti occuparmi attivamente del festival della S. I. M. C. il quale aveva luogo quell'anno a Siena. Dapprima accolto con una certa sfiducia dalle autorità senesi, il festival venne poi organizzato con cospicua larghezza di mezzi dalla C. D. N. M., fortemente appoggiata dal Governo Nazionale, dal Monte dei Paschi ed infine dal Conte Guido Chigi-Saracini, del quale è ben nota la luminosa attività di mecenate. Il festival ebbe questa volta la fortuna di essere ospitato in eccezionali ambienti quali la Sala del «Mappamondo» al Palazzo comunale, la basilica di S. Francesco ed infine l'incomparabile palazzo ancestrale posto a disposizione dal Conte Chigi-Saracini. Fu quello l'ultimo dei grandi festivals della S. I. M. C. (dico grandi non nel senso dimensionale, ma in quello qualitativo).
Il programma infatti era concepito con molta larghezza e comprendeva musiche di primissimo ordine. L'Italia offerse - oltre ai lavori normali - un concerto italiano antico coll'orchestra dell'Augusteo diretta da Molinari ed una
esecuzione delle Nozze di Strawinski coi medesimi elementi del 1927 e pure da me diretta. Vi fu infine - oltre alla musica - un «Palio» fuori serie organizzato specialmente per i convenuti. Quando si aggiunga che vennero dall'Italia e dall'estero oltre 700 persone per quella settimana, bisogna ammettere che un simile festival non si è più incontrato nella storia ulteriore della S. I. M. C. [...]

Nel maggio-giugno 1929 disimpegnai la mia terza ed ultima stagione popolare sinfonica a Boston. [...] Il 19 agosto di quell'anno, morì improvvisamente a Venezia Serge de Diaghilef. Morì solo, in una camera di albergo e povero come era sempre stato (da oltre un anno viveva di espedienti e non pagava l'albergo). La notizia di questa morte prematura (aveva soli 57 anni) passò pressapoco inosservata in Italia, ma fu causa di grave dolore e di profonde meditazioni per tutti quelli che da tanti anni avevano imparato a conoscere questa straordinaria personalità e sapevano che cosa significasse il nome di quell'uomo così geniale nella storia universale dell'arte in generale e del teatro in particolare.
Nel gennaio del 1930, feci un giro di dodici concerti in Spagna con Arrigo Serato ed Arturo Bonucci. Avemmo la fortuna di dare uno di quei concerti a Granada, dove trovammo Manuel de Falla nella sua incantevole minuscola casa (casa para muchachos, come egli diceva sorridendo). Nel suo studio vidi subito l'opera omnia di Domenico Scarlatti, e ci scambiammo un muto sorriso d'intesa. La visita all'Alhambra con lui fu un godimento eccezionale. Ci fece ammirare la Puerta del vino, raccontandoci che ne aveva mandato una volta una cartolina illustrata a Debussy, il quale ne aveva tratto ispirazione per il meraviglioso preludio omonimo. Nei giardini del «Generalife» pareva che venisse fuori la musica stessa dei Notturni del Maestro. La mirabile città, tutta bianca e mollemente stesa alle falde della Sierra Nevada, dietro la quale una luce abbagliante lascia indovinare la presenza del Mediterraneo; il paesaggio di una bellezza incomparabile; quella reggia, capolavoro dell'arte moresca; la casa infine di un così illustre musico: tutto concorreva a formare attorno a quell'omino andaluso dal viso magro ed ascetico una cornice che aderiva con rara perfezione non solo alla sua magistrale arte ma anche alla sua grande umanità.



MANUEL DE FALLA

Al principio di settembre [1930] vi fu il festival della S. I. M. C. a Liegi, dove diressi pure un concerto orchestrale in occasione di quella esposizione.
In quel festival il gruppo Pro Arte di Bruxelles diede una esecuzione della mia Serenata che non è esagerato di qualificare prodigiosa e che valse al lavoro un eccellente successo.
Nel medesimo mese ebbe poi luogo a Venezia il primo Festival di musica contemporanea.
Sin dal 1925, il successo del festival della S. I. M. C. dato quell'anno nella medesima città, aveva lasciato nei dirigenti della «Biennale» il desiderio di rendere periodica quella manifestazione, facendone in certo qual modo la sezione musicale della grande esposizione di arti figurative. Idea che - dopo un lavoro preparatorio da me compiuto col prezioso concorso di Mario Labroca, venne poi realizzata da Adriano Lualdi, il quale ne resse le sorti per parecchi anni.
Nel dicembre 1930 dovevamo recarci, assieme a Serato e Bonucci in Egitto per darvi dodici concerti di trio. All'ultimo momento, Serato fu impedito di partire, e così si fece appello a Poltronieri come al miglior violinista da camera che ci fosse in Italia. Siccome nel giro vedemmo quanto andavamo bene d'accordo come talento, come complesso ed anche come carattere, si decise di rimanere assieme.



MASCAGNI E LUALDI

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E sorse così quel Trio italiano il quale ha occupato tanta parte della mia attività degli ultimi anni, sia coi cinquecento concerti dati in Europa, Africa ed America, sia coi numerosi lavori di composizione e di trascrizione che scrissi appositamente per il nostro complesso e per le nostre necessità.
Nel primo semestre del 1931, ebbi molti concerti in Europa: Roma, Parigi, Londra (dove diressi alla Royal Philarmonic Society, primo italiano che avesse quell'onore dopo la guerra, dandovi la prima esecuzione inglese del Concerto per l'estate di Pizzetti), Berlino (dove diressi la prima esecuzione tedesca del Torneo notturno di Malipiero), Amburgo (dove suonai Scarlattiana col vecchio Karl Muck, meraviglioso direttore il quale non è purtroppo mai venuto in Italia), Praga, Vienna e Ginevra. [...]
--[Morte della madre - Prima rappresentazione de La donna serpente ad Amsterdam il 17 marzo 1932. Compone La favola d'Orfeo.-----------------------------------------------
In novembre e dicembre mi recai per uno dei soliti giri di concerti a Parigi, Praga, Bruxelles, ecc. Tornando dall'estero la mattina del 17 dicembre, alla stazione di Milano, trovai pubblicato nel «Corriere della sera» un manifesto che recava le firme di Respighi, Mulè, Pizzetti, Zandonai, Gasco, Toni, Pick-Mangiagalli, Guerrini, Napoli e Zuffellato. In questo lungo e singolare documento si sfoderavano uno dopo l'altro i soliti luoghi comuni contro l'arte moderna: cerebralità, snobismo, internazionalismo, confusionismo, anti-romanticismo, ecc., ecc., e si invocava nel «concertato» finale un rapido ritorno al romanticismo come l'unico mezzo per salvare la musica pericolante. A dire il vero, avevo già sentito parlare da un pezzo della confezione di questo manifesto, che era stato in gran parte elaborato durante continui e misteriosi abboccamenti tra Toni e gli altri «cospiratori» durante l'ultimo festival veneziano, e molti amici mi avevano avvertito che si stava preparando un «fiero colpo» per porre tanto me quanto Malipiero fuori combattimento. Era così nato il documento e si erano raccolte quelle dieci firme, che andavano dalla celebrità mondiale di un Respighi sino alla totale oscurità di un Zuffellato [2].



RICCARDO ZANDONAI
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Non mi meravigliò dunque il vedere pubblicato su tutti i giornali della penisola quel documento reazionario e provinciale, che probabilmente parecchi dei firmatari non

dovevano avere letto prima di firmarlo.
L'unica novità di questo manifesto risiedeva nel fatto che tutti i precedenti documenti artistici del genere - a cominciare dai famosi proclami romantici per giungere a quello di Marinetti - erano sempre stati dei veri e propri appelli insurrezionali, animati da uno spirito rivoluzionario e semmai iconoclastico. Miravano insomma all'avvenire dell'arte e dell'umanità. Ma non si era ancora mai veduto un manifesto come questo dei «dieci» che preconizzasse l'urgenza di una retromarcia. In questo senso, quel manifesto era davvero senza precedenti ed è augurabile - per il buon nome della terra nostra - che rimanga senza indomani. Del resto i firmatari dovevano vanamente attendere da quella pubblicazione gli effetti che ne speravano e tanto Malipiero quanto Casella hanno continuato a vivere egregiamente e persino a lavorare meglio di prima. Fu tuttavia per me un vivo dolore il vedere - accanto alle firme di alcuni miei nemici - anche quelle di certi compagni che, in anni già ricordati, avevano lottato accanto a me per la resurrezione della nostra arte, compagni che avevo sempre aiutato colla mia opera di musicista-interprete, e dai quali non rni sarei mai atteso un simile gesto.


GOFFREDO PETRASSI
[Nel 1932-1933 rientra come insegnante di pianoforte alRegio Conservatorio di Santa Cecilia] Da pochi anni, era entrato nel gruppo dei giovani che si riunivano continuamente a casa mia a Roma («a bottega », come dicevamo sempre scherzando), Goffredo Petrassi. Sin dall'ultimo, suo «saggio» scolastico, ero rimasto impressionato dalla sua forza d'ingegno. Dotato di un «mestiere» formidabile, egli ha inoltre una personalità sua inconfondibile per il suo sentimento cosi austero, grandioso e nel quale si scorge una profonda influenza cattolica. Il cammino che porta dalla Partita al mirabile Salmo IX passando per il Concerto rappresenta una continua evoluzione nell'approfondimento del sentimento e della tecnica. Qui non si tratta di un giovane che sperimenta se stesso e i propri mezzi; si tratta invece di un artista completo, di una spiccatissima individualità, che costituisce una delle poche autentiche certezze sulle quali può contare domani la musica italiana.
Fu dunque con viva gioia che ebbi l'occasione di dirigere nel'giugno 1933 questa Partita al festival della S. I. M. C. ad Amsterdam. Il lavoro aveva ottenuto due anni prima il premio nel concorso della «Rassegna» sindacale, vittoria che Respighi aveva cercato di ostacolare con tutti i modi, ma che fu determinata finalmente dall'atteggiamento deciso di Molinari e del sottoscritto in seno alla Commissione giudicatrice.
Nella primavera di quell'anno 1933, fui invitato dall'EIAR a dirigere nel prossimo agosto alla stazione di Roma una serata di opere moderne, la quale includeva Merlino, mastro d'organi di Malipiero, l'Amor brujo di de Falla ed infine la prima esecuzione in Italia dell'Oedipus Rex di Strawinski [3]. Trovandomi a Parigi nel giugno di quell'anno, e ben conoscendo la grande difficoltà dell'Oedipus, pensai bene di chiedere un appuntamento a Strawinski onde studiare assieme il lavoro. Avevo una certa apprensione nel domandargli questo favore, perché da parecchi anni Strawinski era totalmente mutato cogli amici deila prima ora. Era divenuto duro, indifferente, sprezzante verso l'arte dei colleghi; un nuovo uomo si era insomma sostituito allo Strawinski degli antichi anni. Temevo quindi di dover constatare una volta di più questa inspiegabile e dolorosa trasformazione. Invece egli mi rispose con una cordialissima telefonata, dandomi per il giorno successivo l'appuntamento desiderato.
Passai con lui un lungo pomeriggio di oltre cinque ore ed ebbi la gioia di ritrovare l'amico di altri tempi.La sua intelligenza ed il suo senso critico non avevano perduto nulla della loro straordinaria acuità, ma si sarebbe detto che l'atto di profonda fede religiosa che rappresenta nella sua vasta opera la Sinfonia di Salmi gli avesse conferito un nuovo senso di superiore bontà il quale completava la sua formidabile personalità di uomo e di artista.
Ebbe per me, durante il lavoro, parole di alta e benevola ammirazione che non dimenticherò mai. Da quel giorno, la nostra amicizia è ridivenuta quella del 1913 e mi auguro che possa rimanere tale sino all'ultimo.

Nell'aprile del medesimo anno, l'Italia ospitava per la terza volta il festival della S. I. M. C., e questa volta a Firenze. Siccome la sezione italiana poteva questa volta godere di maggior «voce in capitolo», così avevo influito sulla giuria in modo da tentare di ritornare - almeno per questa volta - al tipo dei primi programmi comprendenti nomi di grandi personalità, e riducendo alquanto i troppi nomi di giovani (e nemmeno illustri) ignoti. Si formò così un insieme di programmi dove figuravano Ravel, Berg, Honegger, Markevitch, Bartòk, Malipiero, Pizzetti, Alfano, ecc.

LUIGI DALLAPICCOLA
Per la prima volta, apparve in quei programmi il nome di Luigi Dallapiccola, che avevo da poco tempo conosciuto, ma nel quale avevo subito individuato una personalità di primissimo ordine. Le tre serie dei Cori di Michelangelo Buonarroti il giovane, la Musica per tre pianoforti, la Rapsodia sulla morte del Conte Orlando, l'opera infine Volo di notte sono frutti di una fra le più ricche fantasie che conti oggi la musica non solamente nazionale, ma dell'intera Europa.Più sensibile di Petrassi agli insegnamenti di Schönberg e soprattutto di Berg, Dallapiccola non è però meno italiano del suo giovane compagno romano, e rappresenta accanto a quello una delle maggiori energie sulle quali possa fare affidamento il nostro immediato avvenire musicale.

[1934 - 1935: viaggi in America e in Russia]
La mattina del 18 aprile [1936], una telefonata dalla «Cammilluccia» ci apprese che Ottorino Respighi era morto nella notte. Ci recammo subito a visitare la salma, che riposava nello studio. Mi colpì l'espressione amara che aveva conservato il viso, una espressione senza pace e senza quella serenità che normalmente la liberazione suprema conferisce la tutti i volti. Per quanto negli ultimi anni Respighi avesse purtroppo assunto verso di me e verso la mia arte un atteggiamento di aperta ostilità, ed avesse continuamente tentato di nuocere tanto a me quanto ai miei discepoli con mezzi non sempre leali né simpatici, tuttavia posso dichiarare che di fronte alla sua salma il mio solo sentimento fu quello del perdono e del più sincero dolore nel vedere prematuramente stroncata un'esistenza così felice ed operosa.
Una volta di più ripensai a quei lontani anni della fondazione della «Società Nazionale di Musica», quando i miei coetanei formavano veramente con me un fronte unico dell'intelligenza contro la mediocrità e che un fraterno sentimento ci univa tutti in, una magnifica comunione di spiriti.
Accanto al suo grandissimo (e ben meritato) successo, non hanno mancato all'opera di Respighi critiche acerbe. Non è forse ancora giunta l'ora di valutare con tutta la serenità augurabile la sua personalità di artista. Ma, se anche la via da lui percorsa doveva fatalmente creare quel distacco fra noi due, nondimeno io ritengo che per procedere ad una giusta valutazione della posizione artistica di Respighi occorra anzitutto non dimenticare che il suo punto di partenza fu quello medesimo di tutta la nostra generazione: la necessità dì uscire al più presto dall'atmosfera ormai superata ed isterílita del verismo, dell'arte cioè della generazione precedente la nostra.
Per reagire contro il verismo, la unica via possibile era quella di appoggiarsi sulle avanguardie europee nate dall'impressionismo. Ed in questo, Respighi fu con noi tutti. Ma gli mancò ad un dato, momento il coraggio di andare avanti su quella via, la quale doveva portare - ed infatti portò - ad una totale reazione contro l'impressionismo. In questo nuovo travaglio di carattere essenzialmente architettonico e costruttivo, Respighi si trovò distanziato. Da una parte, se egli aveva magnifiche doti di colorista e di «immaginista», non altrettanto cospicue erano le sue qualità di costruttore, e la forma fu sempre il suo lato più debole. D'altra parte, vi erano in lui due nature: una sensibilità sinceramente orientata verso il modernismo e specialmente verso la novità degli impasti timbrici, sensibilità che è già palese in lavori giovanili quali Semirâma e che avrebbe potuto portarlo molto lontano se egli non avesse avuto in sé una seconda natura, che purtroppo ebbe il sopravvento sull'altra: quella dell'amore al quieto vivere, pigrizia

spirituale che lo portò a comodamente adagiarsi sulle posizionì del successo, impedendogli di superare l'impressionismo franco-russo dal quale era partito e che rimase sempre assieme con un certo carattere romantico alquanto intedescato che egli aveva ereditato dal suo maestro Martucci e dal quale egli non ebbe la forza di liberarsi -la base della sua arte. Ma queste osservazioni - se possono forse diminuire il valore storico della figura di Respighi - non tolgono nulla alla sua altissima virtuosità di orchestratore e di colorista, e nemmeno intaccano il lato morale della sua personalità artistica, che fu sempre quella di un uomo che amava profondamente la sua arte e che anche ebbe il raro merito di parlare poco e di lavorare moltissimo.
Nel medesimo mese ebbe luogo a Barcellona il quattordicesimo festival della S. I. M. C., al quale però questa volta l'Italia non prendeva parte in conseguenza delle famose «sanzioni» ginevrine [4].
Essendo stato nuovamente invitato a partecipare al festival di Venezia nel veniente settembre, cominciai la composizione di un vasto trittico per pianoforte, che intitolai Sinfonia, arioso e toccata.

Una mattina di giugno, Mario Labroca (che era stato nominato da poco sovrintendente del Teatro Comunale di
Firenze) capitò da me e mi chiese se avrei accettato di scrivere un atto per il prossimo Maggio Fiorentino. La proposta - della quale mi sentivo molto onorato ma di cui misuravo anche l'alta responsabilità - fu accolta, e pensai subito di chiedere a Corrado Pavolini - che già così efficacemente mi aveva aiutato per La favola di Orfeo - di fare questa volta veramente il «librettista», o meglio di essere il poeta del musicista.


SCENA DI F. CASORATI PER IL III ATTO DE
«LA DONNA SERTPENTE» - SCALA 1942
Dopo non poche ricerche (si pensò in un primo tempo al bellissimo Nembo di Bontempelli), Pavolini si ricordò di un racconto che gli aveva fatto suo fratello Alessandro ritornato dall'Etiopia, narrazione che si riferiva ad una impressione avuta durante un volo sul deserto dell'Ogaden, e nacque così l'idea della trama del Deserto tentato. Un mistero cioè a carattere prevalentemente religioso e guerriero, nel quale si evocassero le voci astratte di una natura vergine, ansiosa di essere fecondata dalla civiltà umana, l'intervento di un gruppo di aviatori scesi dal cielo in quell'orrido deserto, quasi novelli Argonauti, la loro lotta contro le forze oscure della barbarie e le insidie di quella natura, la pace infine e la trasformazione delle colossali ambe in gigantesche costruzioni umane.
Il poema di Pavolini era, dunque un atto di fede nella possibilità di un futuro rinnovamento del melodramma nel senso di avvicinarlo, nuovamente al suo punto di partenza, le sacre rappresentazioni cioè e gli antichi misteri, rinnovandolo però col soffio della più attuale modernità. [...] La prima rappresentazione, ebbe luogo la sera del 19 maggio 1937 davanti ad una sala imponente. L'opera fu ascoltata colla massima attenzione. Alla fine vi fu un certo disorientamento nel pubblico, assai più che una vera e propria reazione. I dissensi furono pochi e gli applausi prevalsero facilmente. La critica fu in parte deferente, in parte bestialmente ostile, specialmente il solito Incagliati il quale mandò al Messaggero di Roma un articolo il quale fece credere nella capitale che l'opera avesse riportato un fiasco clamoroso. [...]
Nel settembre di quel medesimo 1937, doveva aver luogo il quinto «Festival di musica contemporanea» a Venezia. Questa volta la Presidenza della Biennale e la Direzione Generale del Teatro vollero affidare a me (assieme a Mario Corti) il compito di organizzare questa manifestazione. Colla preziosa collaborazione di Corti, riescii a mettere su un programma vivo ed attraente, nel quale avevo fatto il debito posto ad una figura storica della nostra arte che era stata ostinatamente eliminata nei festivals dal 1930 in poi, cioè Arnold Schönherg. Avevo avuto la fortuna di ottenere la collaborazione di Strawinski per dirigere la prima esecuzione, assoluta del suo balletto Jeux de cartes. Accanto a lui, dirigevano altri insigni compositori, quali Milhaud e Markevitch. Vi era infine la prima esecuzione per l'Italia della meravigliosa suite di Bela Bartòk per archi, percussione, batteria, arpe e celeste. Avevo d'altra parte cercato di eliminare per quanto possibile tutte quelle mediocri che si erano infiltrate nei programmi durante la precedente organizzazione e che non avrebbero mai dovuto pervenire a cotanto onore. Era inevitabile che questo nuovo programma avesse a suscitare le ire di tutta la mediocrazia, musicale italiana.

Togliendo infatti pretesto da una innocente intervista da me concessa alla Tribuna nel giugno 1937, si scatenò nel Messaggero dapprima (dove l'inevitabile Incagliati pubblicò uno dopo l'altro sei ignobili articoli) ed altri giornali e riviste poi, una violenta campagna, la quale però non tolse nulla al grandissimo successo della manifestazione, che risultò indubbiamente assai vivace e completa e di un tono molto alto. Il grande successo del festival, anziché ridurre al silenzio gli avversari, non fece che accrescerne l'ostinazione, e così si entrò in una fase di polemiche profondamente dolorose e che non mi sarei mai attese nel mio paese ed all'età di 54 anni.

Ho già detto poc'anzi che e polemiche causate dal festival di Venezia non ebbero tregua nemmeno dopo la manifestazione. Presero anzi una forma più subdola, perché si tentò di trasportare la discussione (dato e non concesso che tale potesse chiamarsi, poiché io non risposi mai a quel fuoco di fila di ingiurie e di basse diffamazioni) sul piano politico, rinnovando la vecchia manovra già inscenata ai tempi dell'Elegia eroica (durante la guerra cioè) la quale tendeva a porre la mia arte sotto accusa di anti-italianità e ad affermare l'azione corruttrice della mia attività di musicista sul gusto nazionale. Un doloroso incidente si ebbe al Congresso del «Sindacato Nazionale Musicisti» tenutosi a Cagliari nell'ottobre di quell'anno, quando un giovane musicista sardo, Ennio Porrino, discepolo del compianto Respighi, tenne un discorso che era un'aperta messa in accusa di tutto un gruppo di compositori italiani dei quali facevo parte. Questo attacca di Porrino mi addolorò tanto maggiormente in quanto che sino a quel giorno egli non aveva avuto da me - benché la sua tendenza non fosse quella che desidero veder seguire ad un giovane - altro che incoraggiamenti ed anche aiuti di vario genere.
L'incidente ebbe vasta rìpercussione ed attorno a Porrino - divenuto improvvisamente paladino della musica cosidetta «nazionale» - si raccolse una notevole quantità di modestissimi maestri: compositori falliti, operettisti, bandisti, persino direttori d'orchestra da cinematografo, i quali iniziarono contro di me una fierissima campagna diffamatoria che ebbe sede principale nel Pèrseo e nel Tevere. La campagna sul Pèrseo venne affidata a Porrino e Della Porta, e quella sul Tevere a Francesco Santoliquido (del quale avevo, avuto la dabbenaggine, qualche anno prima, di dirigere alcuni lavori sinfonici in America). Gli articoli di Santoliquido erano altamente esilaranti per il loro analfabetismo provinciale, e tentavano di sostenere che l'arte moderna era una invenzione giudaica e che quest'arte era stata introdotta in Italia da Casella, naturalmente corrotto dai semiti. Potrà sembrare stupefacente, fra pochi anni, che articoli di questo tipo abbiano potuto trovare accoglienza in giornali e riviste di una nazione di altissima civiltà culturale quale la nostra.
Accanto a queste abbiezioni, a questo malcostume del nostro mondo musicale, non mancavano però alte soddisfazioni all'estero. Il nuovo Concerto, da me diretto colla magnifica orchestra di Mengelberg ad Amsterdain ed all'Aja ai primi di dicembre ebbe un grande, sincero successo. Il lavoro rappresenta indubbiamente la mia affermazione più completa nel campo sinfonico, ed il raggiungimento di una meta stilistica e formale alla quale ho mirato sin dalla lontana Rdia. Voglia Iddio che questa meta non sia ancora che una tappa verso qualcosa di meglio....
n viaggio incantevole di sei settimane in Egitto, Grecia e Sicilia (nel gennaio-febbraio 1938), ebbe la virtù di far totalmente dimenticare tanto a me quanto a mia moglie, l'esistenza di un Pèrseo o quella di un Santoliquido.

Il rifugiarsi nella meravigliosa indifferenza della natura oppure nel più profondo dell'arte, rimane l'unica salvezza quando occorre dimenticare certi uomini e le loro azioni....



NOTE

[1] Nel gennaio del 1925, Schönberg ebbe a scrivermi: «La morte di Puccini mi ha recato un profondo dolore. Non avrei mai creduto di non dover più rivedere questo così grande uomo. E sono rimasto Grgoglioso di aver suscitato il suo interesse, e Le sono riconoscente che Ella lo abbia fatto sapere ai miei nemici in un recente Suo articolo».
[2] È opportuno il ricordare - per la storia - che gli «organizzatori» del colpo avevano incluso coi loro anche il nome di A fano. Ma questi, inforniato in tempo titile, svento il disonesto trucco e fece toglieie la ~na fimia che non Ccia mai stata,
[3] Mi sia permesso di ricordare che i seguenti lavori di Strawinski hanno avuto la loro prima esecuzione in Italia sotto la mia direzione: Petrouchka (Roma, 1915), Ottetto per fiati ed Histoire du soldat (C.D.N.M., 1924), Trois berceuses du chat e Trois lyriques japonaises (C.D.M., 1925), Noces (giro italiano del 1927), ed infine Oedipus Rex (E.I.A.R., Roma, 1933). Furono, inoltre da me dirette le ptime esecuzioni a Milano di Petrouchka (1916) e della Sinfonia di Salmi (Scala, 1932). Diedi pure la prima esecuzione a Roma ed in parecchie città d'Italia della Sonata per pianoforte (1926). Ebbero infine la loro prima esecuzione in Italia alla «S. I. M. M.» ed alla C.D.N.M. gli Otto pezzi per pianoforte a quattro mani (1918) ed il Concertino per archi (1924).
[4] 1935, 18 novembre: a Ginevra la Società delle Nazioni decide il blocco economico contro l'Italia. Il paese reagisce di slancio contro le «inique sanzioni»: è autarchia.