ITALIAN MUSIC DURING
THE FASCIST PERIOD


LA MUSICA ITALIANA DURANTE IL FASCISMO

LA MUSIQUE ITALIENNE PENDANT LE FASCISME

DIE ITALIENISCHE MUSIK WÄHREND DES FASCISMUS

CON, TRA GLI ALTRI,
UN SAGGIO DI LAURETO RODONI
CURATORE UNICO DELLE RODONI.CH'S WEBSITES
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Suddiviso in due parti fra di loro disgiunte eppur complementari, questo volume tenta di ricostruire la fisionomia delle principali correnti musicali italiane attive durante il fascismo (verismo, futurismo, generazione dell'80), le loro alterne fortune e l'atteggiamento tenuto dai singoli musicisti nei confronti del potere.
Se per quest'ultimo punto, corrispondente alla seconda parte del libro, la storia, o come si vedrà meglio, una porzione di cronaca minuta è quella raccontata dagli stessi artisti (testimonianze, carteggi, promemoria, raccomandazioni inviati a Mussolini, ministri, gerarchi influenti), la prima parte si propone di rendere manifesto il significato delle rispettive tendenze, a seconda di aree e tempi diversificati d'influenza.
Pur con tutte le ambiguità, incertezze, contraddizioni, sfasature che la politica culturale fascista coltiva nel settore musicale, si assiste infattì a una periodizzazione del ventennio in due tronconi grosso modo decennali, quando, a partire all'incirca dal '30, il filone maggiormente incentivato e promosso nella prima fase, quello modernista, passa nelle retrovie o si adatta ad assimilare indicazioni e stilemi piú tradizionali (per istinto di sopravvivenza, conformismo, usura generazionale, maggior permeabilità del gusto, spinte restaurative comuni all'avanguardia europea e altri motivi che avremo modo di segnalare). Ma a questa data la parola di ricambio e di novità spetta in buona parte ai giovani, ossia ai nati nella prima decade del secolo, dei quali la nostra trattazione si occuperà però solo marginalmente.
Come i risultati di questa indagine parrebbero indicare, dopo un primo periodo contraddistinto da latitanze e ammiccamenti pseudo-avanguardistici, quando la dittatura cominciò a elaborare lo statuto confacente a un regime reazionario di massa, più che incrementare in senso tecnologico la ricerca sullo specifico offerto dai nuovi mezzi di comunicazione o sulle mutate prospettive di ascolto, essa si limiterà a scandire a gran voce parole d'ordine demagogiche («teatro per il popolo», «melodia»,«melodramma»,«coralità»), il cui unico effetto - per cbì vorrà accoglierle - sarà quello di virare verso i modelli piú obsoleti del passato.
Queste tendenze restaurative e un'indistinta aurea mediocritas che vediamo affermarsi soprattutto nei lavori teatrali degli anni Trenta - si sa la cura posta dal fascismo nei riguardi del teatro lirico, mediante promozioni, sovvenzioni e controlli del Ministero della cultura popolare - invitano a farsi leggere come riflesso di direttive - esplicite o implicite - di una politica culturale 'incolta', ma non per questo meno caratterizzata.
Nel corso della prima sezione, cercando di evitare letture preconcette e data la difficoltà di ricondurre un'arte a/polisemantica come la musica a cifra ideologica nettamente percepibile, di per sé sempre e comunque significante, saremo costretti a ripercorrere in un sintetico excursus gli antecedenti formativi della produzione del ventennio (trascurato e in ombra resterà, soprattutto per limiti di spazio, quanto a essa segue), anche per tentare di stabilire, con l'eventuale infrazione a regole stilistico-formali pregresse, nonché la possibile assunzione di prescrizioni culturali (spesso late), ciò che con maggior probabilità aderisce al periodo e che potrebbe essere pertanto considerato come indice di sedicente 'fascistità' delle opere stesse.
Per far questo, piú che indagare fra i lavori di compositori, il cui ruolo nelle strutture del regime non destando equivoci sulla loro collocazíone politica (deputati, segretari del Sindacato fascista musicisti, ecc.) avrebbe reso l'esame una semplice ratifica a posteriori di un determinato settore della musica 'fascista', si è preferito procedere a una campionatura meno ovvia, ma non per questo meno paradigmatica: opere dedicate o commissionate da Mussolini, di soggetto romano, celebrative della guerra etiopica.
Gli esempi prelevati, come il lettore avrà modo di constatare, sono numericamente esigui. Ma questo trae origine da una scelta di metodo che aspira - almeno idealmente e fin dove i materiali ne consentono la conversione pratica - ad angolare la ricerca su tre livelli: storico-biografico, di pensiero critico, compositivo. Ciò per avere a disposizione píú strumenti di controllo e per restituire ai musicisti - perché da essi, prima ancora che dalle loro opere, il regime otterrà l'allargamento del consenso - quell'organicità operativa che troppo difrequente siamo soliti trascurare. Finendo per rinvenire supposte dissociazioni (fra testo, autore, suoi ruoli istituzionali) all'interno di piú probabili unità e per avallare in altri casi schemi interpretativi datati, come l'equazione genio e sregolatezza (alibi abusato e non sempre molto verosimile) o l'assegnazione indiscriminata di aureole di santità e di patenti morali a chi pratica l'arte (qualora a quest'ultima sia stato riconosciuto un suo imprescindibile valore estetico).
Naturalmente l'autrice è ben cosciente di non aver saputo raggiungere che raramente il punto di congiunzione ottimale fra questi tre livelli, spesso refrattari a ogni sonda rivelatrice la loro presunta compromissione con il periodo. Non suoni generica scusante se ricordiamo però di sfuggita, fra gli ostacoli incontrati dallo studioso alle prese con questo spaccato storico, le lacune documentarie, le omissioni, i silenzi che, frutto di rimozioni e censure postume, hanno cancellato o alterato perfino i dati piú elementari delle normali schede enciclopediche. Indichiamo due soli esempi, ma a loro modo significativi, desunti dai dizionari musicali odierni piú accreditati: la voce riservata al direttore del Conservatorio della Gioventú italiana del littorio che registra la definitiva soppressione di quest'ultima (compromettente) parola e quella relativa a un noto operista, vincitore nel '35 del premio Mussolini, il quale si trova indebitamente convertita l'onorificenza nell'altra, dalla denominazione assai piú anodina, di accademico d'Italia (forse equivocando sul fatto che all'Accademia spettava il conferimento del premio intitolato al dittatore).
Intento primario di questo studio, che non ambisce affatto a inserirsi nel dibattito ben altrimenti argomentato e vivo di coloro che sostengono o negano le interferenze tra cultura e fascismo [...] (ma è chiaro che la stessa metodologia adottata inclina a sposare piuttosto la tesi dei primi) e neppure aspira al censimento completo e 'poliziesco' dell'intera gamma dei prodotti musicali e dei musicisti sotto il fascismo, è stato píú semplicemente quello di dissodare un terreno semi-vergine, portando alla luce materiali inediti che permettano di arricchire la discussione e disegnare un quadro piú frastagliato, e complesso della realtà musicale durante il ventennio. Si è cercato soprattutto di formulare ipotesi, segnalare contraddizioni, razionalizzare problemi, evitando, nei limiti consentiti da una materia cosí scottante e vicina, di ergerci in giudizio, convinti come siamo che nessun documento né alcuno sforzo ermeneutico siano di per sé garanti della verità. [...]