FIAMMA NICOLODI

MALIPIERO E IL FASCISMO

pp. 200-203
------------------------------------------------------------------------
Disincantato e argutamente ironico, in conflitto perenne con se stesso e il mondo, Gian Francesco Malipiero (Venezia, 1882 - Treviso, 1973) fu il musicista piú originale e anticonformista della sua generazione, ma anche il piú sfuggente ed elusivo. Al punto che non solo alcune tappe del suo iter biografico e compositivo restano talvolta lacunose e in ombra 1811 [...] - secondo modalità di censura e rimozione dal compositore stesso preliminarmente disposte -, ma anche il suo rapporto con il regime, come vedremo, ha potuto essere travisato dalla critica, spesso fuorviata dalle successive dichiarazioni dell'artista o dal rispetto di un asse ideologico troppo unilateralmente direzionato [...]. Perché come i risultati di questa ricerca parrebbero suggerire, né una concezione pessimistica, né il tedium vitae, né un'intesa conflittuale con il reale, né la poetica del negativo, risultano antidoti sufficienti per resistere alle lusinghe del potere.
Senza indulgere verso facili psicologismi, si potrebbero nondimeno cercare le radici del carattere introverso, scettico e per molti lati regressivo di Malipiero (soprattutto nella strategia di approccio al fascismo), piú pronto al colloquio disinibito e franco con gli animali che non con i rappresentanti della sua stessa specie (e invece non solo la sua casa di Asolo, ma molte partiture sembrano fare le veci di un giardino zoologico in miniatura: vivace e confidente fuor dell'usuale), indagando fra i pruni spinosi di un'infanzia e di un'adolescenza difficili, segnate da abbandoni e tragici lutti (la separazione, quando aveva undici anni, dei genitori: una Balbi, appartenente alla migliore aristocrazia veneziana, la madre, musicista, di lontane discendenze dogali, il padre; nel '96 la scomparsa della nonna, avvenuta in circostanze drammatiche, informa il primo e piú accreditato biografo, «qui laissèrent une empreinte profonde eri son âme» [Prunières].
Ombre di disfacimento e di morte, fantasmi macabri e luttuosi spesso mediati dalla visionarietà stralunata e decadente dell'amico pittore e collaboratore Marius Pictor (Mario de Maria) [...], brividi allucinati e stravolti che solcano l'opera poetica fino alle soglie degli anni '30, risolti però con un'inclinazione nihilista piú corrosiva, nervosa, e meno maladive del simbolismo fin de siècle, non sarebbero forse altro che forme di una trasposizione sublimata, operata su immagini ed esperienze realmente, angosciosamente vissute.
Del resto, su un piano piú strettamente formale, fu proprio Gastone Rossi-Doria, il quale, volendo esemplificare il carattere fermamente oppositivo (piú che dialettico), non consequenziale, alogico, teso a ribaltamenti e rovesciamenti imprevisti del Malipiero prima maniera, fece esplicito ricorso alla psicologia (o a quanto di sperimentale e approssimativo all'epoca si conosceva), introducendo la definizione di «associazione per contrasto» [...] per suggerire il senso di un divenire stilistico, affidato alle contrapposizioni brusche, ai repentini mutamenti di registro che vietano soste appaganti sul materiale esposto, alterato, contraffatto, distorto da un'idea contraria o reso irriconoscibile da spostamenti, condensazioni, sovrapposizioni simboliche nel corso dell'opera.
Ed è inutile sottolineare quanto questo stile dei contrasti in bianco e nero, con la poetica delle forme illusorie che lo sorregge, sia destinato a rispecchiarsi nel relativismo novecentesco, nella crisi dei valori (che fu anche crisi della sensibilità e delle verità borghesi), propri dell'avanguardia europea di inizio secolo.
La predestinazione alla pratica musicale dopo un fugace avvio di carriera come violinista, sembrava per Malipiero segnata: pianista era il padre, operista di una certa notorietà il nonno [...], violoncellista e violinista i due fratelli.
Il curriculum didattico [...] aveva avuto inizio nell'area del tardo romanticismo germanico, secondo l'insegnamento impartito dal suo maestro Marco Enrico Bossi (1902; 1904), cui seguí un breve corso di analisi musicale sotto la guida di Max Bruch a Berlino (1908). Ma a questi discepolati, vissuti entrambi con insofferenza verso la pedantesca ortodossia accademica, il musicista anteponeva come assai piú fruttuoso il tirocinio di trascrittore di musiche antiche svolto per proprio conto nel 1902 alla Marciana di Venezia (elaborò manoscritti di Monteverdi, Baccusi, Nasco, Stradella, Tartini, Galuppi), nonché la conoscenza 'pratica' dell'orchestrazione, appresa lavorando nel 1905 con il vecchio Antonio Smareglia (ormai cieco, questi gli faceva scrivere sotto dettatura le partiture che veniva componendo).
Gli anni '10 vedono la nascita del primo lavoro sinfonico già pienamente malipieriano (Impressioni dal vero prima serie) e il dispiegamento di un'alacre attività organizzativa. Aspetto, quest'ultimo, generalmente trascurato dagli studiosi, piú inclini a ritrarlo prigioniero fra le mura di un asfittico isolamento che negli spazi di una vita culturale piú aereata e storicamente omogenea. Ecco in realtà il musicista, saturo del ristagno in cui versava la musica, avvertire l'esigenza di un radicale mutamento e andare in cerca di giovani sodali con cui tentare nuove imprese: il lancio di una casa editrice (sarebbe stata riservata alle composizioni sinfoniche contemporanee), scegliere interpreti e un circuito di istituzioni adatto a garantirne la diffusione, indire appelli per la formazione di una «lega» (quella poi varata ufficialmente da Bastianelli sulle colonne delle «Cronache letterarie») e ideare poco piú tardi, sotto l'alto patrocinio di D'Annunzio, un'iniziativa arcaizzante, inedita per l'epoca: «I classici della musica italiana» [...]
In effetti, se non si anticipa questo lato di Malipiero promotore attento di cultura musicale, resterà sempre stridente il passaggio all'immagine burocratica quale le carte degli archivi storici tendono a restituire: là dove il musicista mette per esempio a disposizione del regime e di Mussolini la sua provata scienza didattica e operativa («sarebbe una gioia per me di collaborare alla rinascita musicale fascista e la prego di tener presente che ho elaborato un piano che offro a lei», scriverà al capo del governo il iq aprile '26), oppure quando, in veste di segretario interprovinciale per Venezia del Sindacato musicisti, è intento a stilare la programmazione dei concerti dell'Unione, riferendone a Cornelio Di Marzio, presidente della Confederazione fascista dei professionisti e artisti. [...] Bisogna eventualmente precisare - e i documenti sembrerebbero confermarlo - che non solo certe forme di attivismo servirono in alcuni periodi a mascherare un sentimento ben altrimenti dominante in Malipiero, ossia la solitudine, ma che questa, con tutta la casistica affettiva a essa correlata (senso di isolamento, esclusione, vittimismo), fu una categoria psicologica prima ancora che reale, capace di alimentare spettri di emarginazione, complotti, intrighi, persecuzioni i quali, risultando alla resa dei conti il piú delle volte inesistenti, si configureranno come proiezione di timori immaginari e di una diffusa, radicata, sensazione di precarietà.
Qui basta accennare a un episodio apparentemente esterno ma che si ritiene chiarificatore ai fini del nostro assunto.
Nel '34 La favola del figlio cambiato, l'opera di Malipiero su libretto di Pirandello andata in scena al Reale di Roma la sera del 24 marzo, venne soppressa dal cartellone dopo la prima per intervento dello stesso capo del governo [...]. Personalizzando questa vicenda, indubbiamente traumatica e allarmante, il musicista ne assimilò le conseguenze al pericolo incombente sul proprio ruolo didattico al Liceo musicale di Venezia, affrettandosi a chiedere la protezione del governo. Dall'anirnata consultazione epistolare che ne segui fra Malipiero stesso, il segretario di Mussolini, O. Sebastiani e il prefetto di Venezia, G. Beer, si apprende però, come chiarirà appunto quest'ultimo, che l'origine del paventato danno era stata provocata da ragioni tutte psicologiche, senza alcun riscontro plausibile nella realtà. Leggiamo l'epilogo.
È assolutamente destituita di fondamento la notizia che questo Liceo musicale Benedetto Marcello - in seguito all'insuccesso dell'ultima opera del maestro Malipiero al Teatro Reale - abbia deliberato o si proponga di deliberare l'allontanamento di lui dall'insegnamento, che egli impartisce presso quell'Istituto.
Un provvedimento simile non è stato neppur pensato dal Liceo Marcello.
Temo, anzi, che sia lo stesso Malipiero - con le sue trepidazioni non celate e con i suoi allarmi mal repressi - a dare adito a congetture del genere.
Ma su questo argomento della sovrapposizione dei confini onirici su quelli reali, che forse aiuterebbe a comprendere anche certi giochi mimetici instaurati da Malipiero con l'Autorità, senza esclusione di colpi e di pose (anche le piú teatrali e spregiudicate), è impossibile addentrarsi proprio per la complessità, al limite della contraddizione, del suo carattere. E inspiegabile resterà cosí anche il senso (quello meno superficiale della ratifica dei sentimenti espressi) da assegnare a tante forme di viscerale, resistente insofferenza, ad aspetti superstiziosi legati al simbolismo numerico (si pensi all'importanza che riveste nella sua opera il numero 7) o ai meccanismi autocensori che lo indussero a ripudiare tutti i primi lavori, rifiutando la paternità di quelli a stampa e simulando la distruzione degli inediti (dove la contraddizione è offerta dai ritmi di una creatività incontinente che non rese sempre il musicista altrettanto selettivo). [...]