Ricordo di aver sentito già nella più remota infanzia decantare le bellezze della musica italiana. Ricordo persino il suono delle voci che mi dicevano: «la musica italiana è la più spontanea, la più geniale, la più umana.» Oppure: «la musica è melodia, e soltanto la melodia italiana è sublime».
Non tardai però molto a scoprire che melodia italiana voleva dire musica melodrammatica, e che, al di là delle Alpi, esisteva anche la musica istrumentale. La curiosità di conoscere veramente la nostra musica, m'indusse a scrutare il passato, cercando anzitutto di dimenticare ciò che avevo letto nei vari libri di storia della musica, sempre opprimenti e convenzionali. Potei subito constatare che, in Italia, la musica istrumentale non solo venne molto coltivata sino alla fine del XVIII secolo, ma che le sue origini erano una gloria prettamente italiana.
Trovai che le poche musiche italiane antiche che erano state rimesse in circolazione, avevano subito deformazioni tali da renderle irriconoscibili, e, abbandonando ogni contatto con i così detti «esumatori») del XIX secolo, potei risalire alle sorgenti, non inquinate della nostra triusicalità.
Palestrina, Gesualdo da Venosa, Orazio Vecchi, Claudio Monteverdi, Domenico Scarlatti divennero i miei veri maestri e cercai pure di rintracciare la nostra musica popolare, anche attraverso il Canto Giegoriano. Quantunque tutto ciò mi avesse permesso di convincermi che la musicalità italiana non era quella che comunemente si voleva spacciare come unica manifestazione dei nostro genio, volli anche conoscere ciò che pensavano della musica gli scrittori italiani del passato, non musicisti «di professione» e con poca fatica mi riuscì di raccogliere i documenti necessari per dimostrare che nel settecento la maggior parte dei nostri letterati (poeti, commediografi, ecc., ecc.) disprezzavano il melodramma, o cercavano di riformarlo il che prova che nel secolo che precedette l'ottocento s'intuirono tutti i pericoli che minacciavano la musica e il gusto musicale, se si accordava l'egemonia all'opera in musica e sopratutto al famigerato bel canto.
Ho diviso in tre parti la raccolta degli scritti ch'io ritenni degni di formare la presente pubblicazione.
Nella prima parte (il martirio dei poeti) ho riunito le opinioni, le osservazioni e le vicende di alcuni poeti drammatici che hanno dovuto subire le assurde imposizioni della moda musicale. Ed ho principiato da Apostolo Zeno il quale, pur essendosi improvvisato librettista, per ragioni esclusivamente materiali, ha potuto salire sino all'alta carica di Poeta Cesareo alla Corte di Vienna, preparando il terreno a Pietro Metasiasio. Le lettere di Pietro Metastasio ci delineano il carattere di questo poeta- cortigiano inebbriato dalla Gloria. Gloria dovuta in gran parte alla musica, cioè alle sue poesie teatrali, rivestite, e spesso soffocate dalla musica. Ciò nonostante, quando egli può, ostenta una grande indifferenza per i collaboratori musicisti e ama dar prova della propria sapienza musicale.
Di Carlo Goldoni trascrivo parte dei capitoli XXVIII e XXIX delle sue «Memorie». Il riformatore del teatro italiano voleva iniziare la sua carriera con un dramma per musica i L'aneddoto che egli racconta è molto istruttivo, ed è strano che dopo l'infelice debutto con l'Amalassunta il Goldoni abbia potuto ancora scrivere dei melodrammi, nei quali ha fatto le più comuni concessioni, rinunziando ai suoi principi di estetica drammatica Non meno interessante è ciò che racconta Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart e successore del Metastasio a Vienna. La I. parte delle sue Memorie è importantissima per la storia dei melodramma italiano nella fine del XVIII. secolo.
L'arguto Conte Carlo Gozzi, affermando che «la non estesa o poco o superficiale o malferma educazione non lascia concepire alla generalità del popolo italiano una stima solida per gli scrittori de' nostri climi, specialmente teatrali, che sono soltanto guardati come sorgenti non curabili d'un passeggiero divertimento (*)» non poteva essere un partigiano dei melodramma. Però non ha potuto resistere alla tentazione di comporre un libretto: Eco e Narciso, che non è mai stato musicato. Egli, nell'edizione delle sue opere teatrali pubblica anche questa «favola pastorale serio faceta» e la precede un «avviso al lettore» che ho voluto riprodurre perchè in esso, con poche parole, Carlo Gozzi viene a farci conoscere la sua autorevole opinione sul melodramma italiano dell'epoca.
Il capitolo sulla Satira riunisce i documenti che meglio rispecchiano l'ambiente musicale del XVIII. secolo.
L'Abale Chiari e Gaspare Gozzi con poche, ma agili pennellate ci offrono un quadro della vita degli usignoli italiani del settecento, e le tre commedie, del Metastasio, del Calsabigi e dell'Abale Casti, ci permettono di riconoscere, nelle virtuose di canto, nel musici, nel maestri di cappella ecc. ecc. gli antenati diretti della famiglia melodrammatica di oggi.
Se non mi fossi prefisso di bandire da questa raccolta gli scritti dei musicisti, il Teatro della moda di Benedetto Marcello, avrebbe completato molto efficacemente questa seconda parte.
La terza parte, la critica, è la più ricca di ammonimenti!
L'Algarotti col suo «saggio su l'opera in musica» iniziò la discussione sul diritto d'esistere del melodramma. Scrittori di secondaria importanza l'imitarono, esponendo però spesso idee nuove e acute. Per esempio il mantovano Matteo Borsa (1751-1798) ha dedicato alla musica imilativa leatrale un suo saggio che, al momento della pubblicazione, non passò inosservato e nel quale esprime anche dei concetti e degli apprezzamenti personalissimi.
L'autore, fra le altre cose, deplora che il saggio su l'opera in musica dell'Algarotti si trovi «fra le mani di tutti fuorchè dei maestri, dei musici e di chi n'ha più bisogno».
Per ripubblicare tutto ciò che, durante il XVIII. secolo, è stato scritto sull'opera in musica, ci vorrebbero pareecchi volumi. Credo che una scelta possa bastare allo scopo che mi son prefisso. Perciò ho preso come base del capitolo sulla critica il saggio dell'Algarotti, al quale ho fatto seguire quasi tutto il XVIII capitolo dell'interessantissima opera di Stefano Arteaga: Le rivoluzioni del leatro musicale italiano. (**)
Pietro Verri nel giornale «Il caffè» ha dedicato un articolo alla musica, dando prova di essere dotato di uno spirito e di un gusto musicale molto individuali e liberi da pregiudizi. Egli non discute il melodramma, ma purtroppo, nell'epoca in cui questo articolo venne scritto, con la parola musica in Italia, già si sottointendeva il dramma musicale.
Il ferocissimo Aristarco Scannabue, o Giuseppe Baretti che chiamar si voglia, spesso si contradice parlando del melodramma. Specialmente quando esalta Pietro Metastasio perchè ha saputo concepire «tante quasi perfettissime tragedie sottomettendosi a quelle tante leggi» ch'egli poc'anzi trova «ridicole alla ragion comune d'ogni poesia».
E Rainieri de' Casalbigi, se chi legge la sua apologia metastasiana non dimentica che è autore di alcuni libretti musicati da Cristoforo Gluck, il nemico dell'opera italiana sullo stampo di quella del Piccini, si giudicherà un un librettista che non aveva delle idee molto precise sul melodramma, quando nelle Dissertazioni sulle poesie drammatiche di Pietro Melastasio, inneggia alle bellezze della musica italiana d'allora, attribuendone il merito alle qualità poetiche dei dramini metastasiani! La sua satira «L'opera seria» venne pubblicata 19 anni dopo le dissertazioni e perciò si può ritenere che il Calsabigi si sia evoluto a poco a poco.
La maggior parte dei letterati del XVIII secolo, trovavano che la camerata fiorentina, tentando imitare la tragedia greca, si era messa sulla buona strada, ma che nel settecento il melodramma, sopratutto causa l'importanza che vi si attribuiva alle arie, era in piena decadenza.
Per non rendere troppo pesante questo libro e per evitare ripetizioni, ho scelto soltanto dei piccoli frammenti di autori importantissimi, come Lodovico Antonio Muratori, Scipione Maffei, Vincenzo Gravina e ne ho eliminati completamente altri che hanno fatto degli studi non insignificanti sull'opera in musica come l'Albergatti, il Napoli-Signorelli ecc. ecc.
L'oscurissimo, Antonio Planelli nel suo Trattato dell'opera in musica (Napoli 1762) espone molte idee personali e si rivela un profondo conoscitore delle questioni diammatico-musicali che allora appassionavano gli uomini di lettere. Per questo non ho potuto fare a meno di trascrivere qualche pagina del suo trattato e per la stessa ragione non riuscii a escludere Francesco Milizia, architetto e archeologo e il parmigiano Ireneo Affò [#].
Nel secolo a torto giudicato il più frivolo, molti si preoccupavano delle conseguenze che il melodramma poteva avere sul gusto, non soltanto dal punto di vista musicale, ma anche da quello drammatico, perchè ritenevano il teatro, un mezzo di educazione.
I letterati italiani del settecento prevedevano quella «Babilonia» musicale che poi è divenuta un'istituzione e per questo furono dei profeli, e il loro verbo oggi, più che mai si può ascoltare con attenzione e forse con riconoscenza!

Asolo, Dicembre 1922.

* Carlo Gozzi, Memorie Inutili, Parte II, capitolo IV.

** Venezia 1785.
# Dotto frate bibliotecario della Palatina parmense nasce a Busseto (PR) nel 1741.
Trasferito nel 1768 a Guastalla vi rimase dieci anni svolgendo la funzione di insegnante di filosofia ma anche di instancabile ricercatore storico, bibliografo, erudito, editore. Tra gli innumerevoli saggi scritti, fondamentali rimangono la monumentale "Istoria della Città e Ducato di Guastalla" Guastalla 1785-1787 e "Ragionamento sulle antichità e pregi della Chiesa di Guastalla" Parma 1776.