Nietzsche e i suoi "recuperatori"

Di Giorgio Locchi  -  Altri Testi -  11/06/2006

 

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[Versione francese]

Ne parlano le gazzette parigine. «Sull'orizzonte filosofico contemporaneo», afferma Combat (14/05/1972), si stagliano «tre figure: Marx, Freud, Nietzsche”, la cui «influenza marca tutte le ricerche contemporanee». E dato che Nietzsche è stato sinora « po' trascurato», è lui sopratutto che si ha cura di «rivisitare». Più precisamente, come rilevava ingenuamente il cronista del Figaro a proposito ella trasmissione televisiva recentemente consacrata a Zarathustra, si recupera Nietzsche.

Dire che si è “trascurato” Nietzsche nel corso degli ultimi anni è un puro eufemismo. La cultura ufficiale della società del dopoguerra l'aveva semplicemente bandito, messo all'Indice. L'accaduto è d'altronde molto banale. I filosofi e gli ideologi del Terzo Reich si erano richiamati a Nietzsche e alla sua opera. Avevano esaltato nel nazionalsocialismo hitleriano il movimento che il visionario di Sils-Maria aveva invocato con tutte le sue forze. Meglio (o peggio) ancora, numerosi autori ben noti, avversari dichiarati del nazionalsocialismo, riconosciuto la fondatezza di queste dichiarazioni, o non avevano avanzato al riguardo che riserve marginali. Tale è stato il caso, per non citarne altri, di Karl Lövith, autore di una celebre opera, Da Hegel a Nietzsche (Europa-Verlag, Zurigo 1941, versione francese Gallimard 1969), del marxista Georg Lukaćs, impegnatosi ad illustrare la «distruzione della ragione, da Nietzsche a Hitler» (Von Nietzsche zu Hitler, Fischerer Bücherei, Frankfürt 1966, estratto da Die Zerstörung der Vernunft, Herman Luchterhand, Neuwied-Berlin 1962) o ancora di padre Valentini, S.J., che credeva di riconoscere nella Hakenkreuz della bandiera rossa-nera-bianca il simbolo dell'eterno divenire, dell'Eterno Ritorno dell'identico. Era dunque ineluttabile che per Nietzsche, come per il suo Sternenfreundi Richard Wagner, venisse il tempo di Norimberga. Questo periodo è tuttavia terminato. Oggi, si “recupera” Nietzsche, come non si smette di tentare di “recuperare” Wagner.

Il primo obbiettivo di tale recupero, obbiettivo non sempre esplicito, è di ordine puramente politico. Si tratta innanzitutto di dimostrare che i legami di parentela tra tra l'opera di Nietzsche e l'impresa politica nazionalsocialista sono inesistenti, e che unicamente una interpretazione abusiva e volgare può condurre a riscontrare una derivazione nietzschana nel movimento hitleriano; non sarebbe infatti possibile riconoscere al nazionalsocialismo un'origine tanto “nobile” quanto il pensiero di Nietzsche. Dopodiché, i “recuperatori” grazie ad una rilettura “nuova” e “legittima”, sperano di poter rendere l'opera di Nietzsche disponibile per un'integrazione nel patrimonio culturale delle ideologie di moda (democratiche, socialiste, o “contestatarie”).

Tale sforzo è semplicemente ridicolo, e depone a favore o di n'accecante stupidità filosofica, o di una flagrante disonestà intellettuale.

Certo, è possibile, ed è forse inevitabile, interrogarsi sulle reazioni che avrebbe effettivamente avuto Nietzsche di fronte ad un fenomeno come il nazionalsocialismo. Per contro, è del tutto sicuro che, confessatamente, e per poco che ci si dia la pena di lasciarlo parlare, Nietzsche si sia posto come avversario dichiarato di tutte le correnti che oggi, come del resto avveniva ai suoi tempi, dominano la nostra società e la nostra “cultura”.

Nietzsche non è un filosofo come gli altri. Non vuole esserlo, e lo proclama ai quatto venti. Ormai, afferma, il compito del filosofo non si limita più ad una semplice riflessione sul passato, né ad un'organizzazione del sapere. Il filosofo deve essere un artista che fa dell'uomo stesso la sua materia prima. Deve essere colui che assegna dei fini agli uomini e, grazie alla sua opera, li costringe a ricercare i mezzi per raggiungerli. Nietzsche proclama così la fine della vecchia filosofia. Annuncia l'avvento di un pensiero che è finalmente sfuggito alla “Circe dei filosofi”, di un pensiero sottratto al pregiudizio “morale”.

Si è fatto di Nietzsche un martire della “ricerca della verità”. Strano destino postumo, che egli aveva d'altronde previsto e ricusato in anticipo, giacché la “ricerca della verità” cui Nietzsche si è dedicato ad un dato momento della sua speculazione, consiste innanzitutto nel rifiutare e distruggere una certa verità, che è stata storicamente “voluta” e affermata dalla “morale cristiana”, ovvero “degli schiavi”. Inoltre, sul piano strettamente gnoseologico, tale “ricerca” porta a compimento la critica kantiana della Ragione.

Kant aveva mostrato i limiti invalicabili della Ragion pura. Ma, osserva Nietzsche, ha immediatamente ristabilito i diritti dell'assoluto, riconoscendo alla Ragion pratica la possibilità di attingere alla “verità” e di dare risposta alle “questioni ultime”. Una tale procedura, agli occhi di Nietzsche, corrisponde ad uccidere Dio per cadere in adorazione di fronte all'Asino-che-dice-Sì. E' qui che la speculazione nietzschana prende assume un carattere critico. Nietzsche si sforza di dimostrare i limiti della Ragion pratica. Non può esserci una “verità assoluta”: il vero e il falso non sono che punti di vista “interessati”. Ogni affermazione è vera e falsa al tempo stesso; tutto è arbitrario. La ragione non è che un mezzo, uno strumento. Non pone giammai il principio, il punto di partenza del discorso e dell'azione. Al contrario, essa riceve questo principio, che sempre è anche un fine implicito. In breve, il suo compito consiste nel chiarire la via che permette di raggiungere tale fine, e di riaffermare il principio in ogni circostanza, contro ogni opposizione.

Questo Irrationalismus, questa “distruzione della ragione” per cui il marxista Lucaćs (seguito da vari altri) biasimava Nietzsche, non appaiono come tali che rimanendo nella prospettiva che Nietzsche stesso pretende di aver storicamente superato. In realtà, Nietzsche non fa che rimettere la Ragione al suo posto. La considera esattamente come noi oggi potremmo considerare un “cervello elettronico”, come una macchina logica destinata a servirci, che riceve da noi le sue informazioni, e non può fornire che le risposte contenute in potenza nelle informazioni fornitegli; giacché non è l'uomo che è al servizio di una Ragione astratta, universale e trascendente; è la ragione, la facoltà di pensare ed agire logicamente, che è posta al servizio dell'uomo e della sua volontà. In questo senso, ogni affermazione è effettivamente arbitraria, in quanto è umana ed in quanto ogni uomo rappresenta una prospettiva unica aperta sull'universo delle cose.

L'uomo ha bisogno nondimeno di affermare, e di affermarsi. Qui Nietzsche è il contrario di un certo tipo di relativista, di un nichilista. Se cadesse nella illusione egualitaria, potrebbe essere una cosa o l'altra: l'equivalenza delle prospettive condurrebbe fatalmente all'anarchia ed alla paralisi. Ma Nietzsche è sovrumanista. Per lui, una prospettiva vale sempre più di un'altra; è necessario che valga più di un'altra. La sorte dell'intera umanità, in ciascun momento storico, è governata dalla prospettiva più vasta, più alta, quella che ingloba le altre e le organizza gerarchicamente nel proprio seno. Questa prospetta è quella dell'uomo superiore. Ed è solo nella misura in cui trionfassero definitivamente l'egualitarismo ed il livellamento, nella misura in cui si producesse l'avvento dell'ultimo uomo, che non vi sarebbe più, in effetti, che una sola prospettiva, una “verità assoluta”. Ma una verità miserabile.

Nietzsche non esclude tale eventualità. Ciò può succedere, dice. Bisogna dunque impedirlo. E' per questo che Nietzsche vuole che la sua opera sia anche (e sopratutto) una gigantesca impresa di provocazione e seduzione, che essa susciti, per mezzo della poesia, un nuovo tipo d'uomo, un “uomo superiore”, eternamente «teso verso il superuomo», capace di assicurare di per ciò stesso all'umanità un eterno divenire storico, un'eterna creazione e ri-creazione di se stessa.

Nietzsche non si nasconde l'“immoralità” del suo progetto. Ma, così come ogni verità è anche menzogna, egli afferma già che ogni morale è anche “immorale”. Per lui, la vita non ha un senso, se non estetico. L'uomo, scrive, ha tratto sinora la forza di vivere solo dalla convinzione che esistesse un fine ultimo, tale da realizzare il Bene e la Verità assoluti. Ora, sa ormai che «Dio è morto», che non vi sono fini ultimi. Non gli resta più dunque che assumere lui stesso il ruolo che attribuiva precedentemente a Dio, che trarre «dalla terra», e non più dall'«Altro Mondo» la forza di vivere di cui ha bisogno, che dare un senso alla sua propria esistenza e un obbiettivo all'umanità pur sapendo che tale obbiettivo, una volta raggiunto, svanirà nel nulla, e che sarà allora necessario, una volta di più, ridefinire un senso e ristabilire un fine. Mito di Sififo? Niente affatto. Perché Sisifo non voleva la sua pena: vi era costretto dalla malevolenza di un dio. Non si metteva in gioco; era posto in scena. Per Nietzsche, Sififo rappresenta «lo spaventoso dominio dell'assurdo e del caso che ha, sinora, portato il nome di Storia, di cui la formula assurda del più gran numero non è che l'espressione più recente». E', se si preferisce, l'eroe-vittima di un caso cui è stato dato il nome di Dio, o di suffragio universale, o di primato morale del proletariato. Il vero eroe, che Nietzsche invoca con tutte le sue forze, è l'antitesi di Sisifo. E' colui che non accetta più, coscientemente, che di essere al tempo stesso vittima e boia di se stesso: che è capace di volere «la sua propria sconfitta affinché il superuomo viva». «Bisognerà», scrive Nietzsche, «insegnare all'uomo che l'avvenire dipende dalla sua volontà, che tale avvenire dipende dal volere umano; bisognerà preparare grandi esperienze collettive di disciplina e selezione. [...] Avremo bisogno un giorno di una nuova sorta di filosofi e di capi, la cui immagine farà impallidire e ripiegare tutto ciò che la terra ha mai visto di spiriti secreti, temibili e benevolenti».

Nelle sue linee fondamentali, il progetto di Nietzsche, ciò che viene talora chiamata la sua “Grosse Politik”, è dunque perfettamente chiara, e non si presta ad alcun equivoco. Nietzsche non cessa di precisare a cosa si oppone e cosa vuole. Dichiara espressamente guerra all'egualitarismo in tutte le sue forme storiche (che assimila d'altronde nel suo disprezzo): al cristianesimo, che, con la formula dell'uguaglianza degli uomini davanti a Dio, inoculò la dottrina egualitaria al mondo greco-romano, al “liberalismo” esplicitato dalla rivoluzione del 1789, alla democrazia ed alla «tirannia del suffragio universale», al socialismo, al comunismo, all'anarchismo, etc.

Osservando la sua epoca, Nietzsche vede tutte le forme di egualitarismo convergere già verso un nichilismo più o meno consapevole, e la «democratizzazione degli spiriti» tradursi, in Europa, nella costituzione di un'immensa «massa di schiavi». Prevede l'amalgama e il livellamento dei popoli europei. Indovina anche che gli imperativi economici scateneranno il movimento d'unificazione dell'Europa. Considera il «partito della pace», il «movimento dell'ultimo uomo» come un fenomeno praticamente irreversibile, che il nichilismo non smetterà di rafforzare. Nietzsche non intende opporsi a questo movimento di “massificazione”. Al contrario, consiglia ai “suoi” di accelerarlo. Ma invoca un altro movimento, il “suo” movimento, che vede costituersi ed espandersi al tempo stesso. Questo movimento, è il «partito della guerra». Un giorno verrà, dice, quando la «razza padrona», la «casta dei signori», di cui tale partito è il mezzo d'esprimersi, farà della massa il proprio strumento, le darà di per ciò stesso un senso, e instaurerà, a partire dall'Europa, il dominio del mondo in una terra planetarizzata dal progresso tecnico.

E' inutile decrivere ed analizzare qui ulteriormente il progetto nietzschano. Per ignorarlo, o negarlo, bisogna non aver letto Nietzsche – o pretendere che Nietzsche intendesse il contrario di ciò che ha scritto, come non si esita a fare. Si tratta, in fin dei conti, di un progetto risolutamente antiegualitario, che si oppone all'egualitarismo sin nei suoi aspetti più attuali (1).

In tali condizioni, parrebbe molto improbabile, per un qualsiasi avversario dell'egualitarismo, che l'opera di Nietzsche possa mai essere “recuperata”. Tuttavia, in ogni tempo ed oggi più che mai, i nemici naturali di Nietzsche hanno tentato di annetterselo, a beneficio dei loro sforzi. Abbiamo dunque diritto di chiederci come una tale manovra sia concepibile, in cosa consista, e sopratutto, tenuto conto del pericolo che esiste, per gli egualitaristi, a “maneggiare” il progetto nietzschano, quali ne sono le ragioni.

La risposta a tale ultima domanda è senza dubbio la più agevole. Se gli ideologi alla moda si ritengono costretti a tentare di “recuperare” Nietzsche, è perché non riescono ad impedirgli di parlare. L'opera di Nietzsche è là, e provoca e seduce a dispetto degli ostracismi di cui possa essere fatta oggetto. Inoltre, come un mostruoso ruminante, la nostra civilizzazione non riesce a proibirsi le droghe e gli eccitanti più pericolosi; al massimo, può sperare di mitridatizzarsi contro di essi. Il mondo egualitario tenta perciò di intorbidire con il suo proprio rumore questa voce che lo disturba e lo inquieta. Si sforza per questo di porre un vetro deformante (ma che pretende invece “chiarificatore”) tra un'opera “impossibile da leggere” e il lettore dalla vista corta. Di consequenza, falsifica.

I metodi impiegati in tale impresa non sono nuovi. Uno di questi, il più antico forse, consiste nell'operare una distinzione cronologica nell'opera di Nietzsche. Vi sarebbe così un periodo di immaturità, quello del Nietzsche romantico e wagneriano; poi un periodo di maturità, considerato come l'unico “valido” (2); infine un terzo periodo (quello della formazione definitiva di ciò che noi sappiamo essere il suo progetto), in cui si esprimerebbe un pensiero influenzato da una follia ancora sotterranea, ma già operante. In conseguenza di che converrebbe non prendere mai sul serio le “stravaganze” dell'ultimo periodo, le quali, del resto, sarebbero in contraddizione con il pensiero “autentico” del filosofo “ancora sano” (3).

Questa critica ha il vantaggio di basarsi su un'analisi che in effetti fa riferimento all'autore. Ma essa non riguarda che gli oggetti successivi della speculazione nietzschana. Non ci dice nulla sui contenuti e sulle conclusioni della stessa. In realtà, Nietzsche non ha mai smesso di volere la stessa cosa, e questo sin dall'inizio della sua riflessione. Lo rimarcava lui stesso, non senza trarne motivo di orgoglio, prefacendo di nuovo le sue opere (in Ecce Homo) poco prima di sprofondare nella follia. Certo, vi è in Nietzsche un'evoluzione, ma tale evoluzione è solo quella di una progressiva presa di coscienza, sempre più spinta, della volontà che lo anima e, di per ciò stesso, di tutto ciò che si oppone a tale volontà, e dei mezzi da impiegare per combatterlo. La “trasvalutazione di tutti i valori” è già proposta, implicitamente, in La nascita della tragedia. Il Nietzsche wagneriano, che invoca l'apparizione di Sigfrido, è già il Nietzsche che annuncia l'uomo superiore e la “razza padrona”, e che propone a tal fine il mito dell'Eterno Ritorno.

Un altro metodo volto al suo “recupero”, dalle varianti innumerevoli (4), consiste nel decretare che l'opera di Nietzsche (definita per l'occasione “frammentaria”, “discontinua”, “aforistica”, etc.) nasconderebbe il suo “vero significato” dietro il velo dei “segni”, delle “cifre” o delle “metafore”, così che l'apparenza del discorso si distruggerebbe da se stessa mano mano che esso si sviluppa. E' il modello stesso dell'intorbidamento: se l'evidenza non è bella, è perché essa significa tutt'altro. Ciò che si “dimostra”, proclamando a piena voce che la “nudità dell'imperatore” va ignorata.

Di fatto, agli occhi di colui che vede, una siffatta procedura testimonia unicamente della incapacità costituzionale di accogliere il testo nietzschano. Meglio ancora, essa attesta la bisogno, per un certo tipo di lettore, d'ignorare la realtà di un testo di cui sente confusamente che l'offende e lo umilia nel suo essere più profondo. Non è neppure possibile, in effetti, prendere a pretesto la difficoltà di leggere e capire il discorso di Nietzsche. Certamente, in un testo come Also sprach Zarathustra, Nietzsche dà alla sua trattazione la forma del Mito, al fine di far esplodere la “razionalità” del linguaggio filosofico della sua epoca, che non è altro che la razionalità del discorso del discorso egualitario imposto da una storia secolare. Ma ci ha ugualmente consegnato, sopratutto nelle sue ultime opere, le chiavi che permettono un'interpretazione autentica del Mito. Molto di più: ha esplicitato la natura e la genesi del Mito, che ha consapevolmente concepito come «una dottrina che, scatenando il pessimismo più mortale, produrrà la selezione dell'elemento più forte» e che «farà perire l'umanità ad eccezione di coloro che la sopporteranno».

Confrontato all'opera di Nietzsche, l'uomo che crede ancora alla Verità e al Bene assoluti, non vuole, non può riconoscere come evidente un discorso che si situa in una nuova dimensione della coscienza storica. Passa letteralmente attraverso questa dimensione, e se ne esclude. Così, l'evidenza rivoluzionaria che Nietzsche ha creato resta inaccessibile agli avversari del suo progetto, pur permettendo loro di pervenire ad un sottofondo che li affascina, e che dovrebbe condurli alla perdizione. Questo sottofondo costituisce l'aspetto filosofico (e di conseguenza critico) dell'opera, nel suo modo di portare a compimento la speculazione di Immanuel Kant. Quanto all'“evidenza invisibile”, al “giardino in cui gli Altri non possono penetrare”, essi sono l'intera opera nella sua “poeticità”, poieticità, ovvero, al tempo stesso, la proposta del Mito, un discorso psicologicamente attiv (creatore di un nuovo tipo d'uomo), schizzo di un progetto di “grande politica”, e la messa in cantiere dei mezzi necessari alla sua realizzazione.

Il fascino che l'opera di Nietzsche, nei suoi aspetti critici, può esercitare sul mondo egualitario cristiano, si spiega non meno agevolmente, ma sotto un aspetto particolare. Questa critica, Nietzsche lo dichiara apertamente, costituisce in effetti il prolungamento storico della speculazione egualitaria cristiana; si esercita a partire dalla prospettiva finale dell'egualitarismo cristiano. Goethe diceva che per distruggere un'idea è sufficiente «pensarla sino in fondo». Specie nel suo secondo periodo, Nietzsche si fa carico di pensare sino in fondo l'idea egualitaria, la morale cristiana del Bene e del Male, al fini di distruggerle portandole sino al punto in cui esse basculano nel proprio contrario.

Hannah Arendt ha rimproverato a Nietzsche di essere, come Marx e Freud, ricaduto nella illusione, dopo aver «distrutto la tradizione». Ma si tratta di un ulteriore errore. Contrariamente a Kant, Marx o Freud, Nietzsche non pretende di aver trovato la vera risposta alla “questioni ultime”. Del tutto al contrario, e in modo sovrano, egli dà la sua risposta alle sue proprie domande. All'arbitrario del tipo d'uomo che trionfa nella sua epoca, e che egli disprezza, oppone consapevolmente il suo arbitrario e il suo Geschmack (“gusto”). Il Mito che propone non è, e non vuole essere, che un'opera d'arte: mira a sedurre, a provocare. Il linguaggio quotidiano direbbe ingenuamente che tale opera è un'azione di propaganda. Nietzsche, sotto la maschera di Zarathustra, si fa predicatore.

E' davvero rimarchevole come Nietzsche, per tutta la sua vita, non abbia mai cessato di stabilire una comparazione tra se stesso, da un lato, e Socrate o Gesù il Nazareno dall'altro. Nella sua opera, Socrate è presentato come il filosofo che, per mezzo della sua riflessione dialettica, ha dischiuso al virus egualitario le porte del mondo pagano, che veniva così surrettiziamente privato dei mezzi per difendersene. Gesù, e con lui Paolo di Tarso, passando attraverso tale porta socchiusa, hanno inoculato al mondo pagano la malattia egualitaria. Nietzsche, da parte sua, si propone di essere per il mondo egualitario ciò che Socrate e Gesù, nel complesso, sono stati per il mondo pagano europeo. Da qui il doppio aspetto della sua opera: critico e distruttivo, quando si attribuisce il ruolo socratico; poetico e creatore del Mito, quando assume, all'inverso, quello di Gesù.

E' del tutto naturale che i partigiani dell'impresa egualitaria cristiana si sforzino di trarre partito dalla critica nietzschana, e che si accorgano sempre di più che non saprebbero privarsene. Nietzsche, ripetiamolo, ha pensato il loro mondo sino in fondo. Hanno dunque molto da imparare da lui su se stessi. Parimenti, al livello più terra-terra della propaganda quotidiana, è altrettano comprensibile che essi moltiplichino i loro sforzi per cancellare ogni traccia della “parentela” che potrebbe legare al fenomeno nazionalsocialista questo pensiero sempre presente e sempre affascinante, a cui sono incapaci di negare i suoi titoli di nobiltà. Questa parentela è nondimeno innegabile, bisogna pur riconoscerlo.

Il che, tuttavia, non permette di trarre alcun argomento significativo, né contro Nietzsche, né a favore del nazionalsocialismo.

Di fatto, per abbordare con qualche consistenza il problema, bisogna innanzitutto interrogarsi sul senso che all'interno di un discorso di quest'ordine viene dato alla parola “parentela”. Così, si potrebbe sostenere, in modo del tutto legittimo, che Paolo di Tarso avrebbe falsificato la predicazione del Cristo, o che il Cristo non si sarebbe “riconosciuto” nel “cristianesimo” di Paolo (o almeno non più di quanto Marx si sarebbe riconosciuto nel “marxismo” di un Lenin, di un Trozsky o di un Mao Zedong). Ma questa dichiarazione, per interessante che possa essere da un punto di vista intellettuale, risulta storicamente insignificante. In effetti, la forza e la grandezza dei Vangeli consiste precisamente nel fatto che hanno storicamente generato tutti i cristianesimi, e che continuano, non meno storicamente, a riassorbirli perpetuamente nel proprio seno. Nello stesso modo, ogni “lettura”, ogni interpretazione (ivi compresa quella di Nietzsche da parte del movimento hitleriano) possono essere giudicate e dichiarate “abusive”. Ma un giudizio di questo tipo, indipendentemente dalla sua fondatezza o meno, non ha alcun reale significato. E' astrazione pura, deriva da quel regno dell'assoluto in seno al quale non vi è “comunicazione” possibile. Giacché ciò che conta, dal punto di vista storico, non è il fatto che San Paolo abbia o meno “tradito” la parola di Cristo. E' il fatto che egli vi si richiama, e che non è inteso che per il fatto di richiamarvisi. Così Lenin, o Trotzky, in rapporto a Marx. Il genio del fondatore di una religione, di un maestro del pensiero o del creatore di una scuola, si misura dall'abbondanza dei “prodotti” che andranno a situarsi da se stessi all'interno del suo discorso, e pretenderanno di essere tale discorso. E' esistita una moltitudine di sette cristiane, di cui ciascuna ha forse realizzato un aspetto del progetto proposto da Cristo, ma di cui solo alcune hanno acquisito il peso storico suscettibile, in fin dei conti, di decidere ciò che il cristianesimo effettivamente sia, ovvero ciò che il Cristo è divenuto nella sua posterità (5).

Nietzsche, all'immagine di Cristo, pretende di essere l'iniziatore di un movimento storico. Questo movimento ha generato delle tendenze e delle scuole di pensiero che l'hanno forse oggettivamente tradito, ma che dal punto di vista strettamente storico si sono presentate tutte come la sua realtà e la sua continuazione. E' questo che bisogna prendere in conto se si vuol parlare in modo appena coerente dei rapporti tra Nietzsche e nazionalsocialismo. Nell'opera La rivoluzione conservatrice in Germania, Armin Mohler ha messo in evidenza il brulicare di sette filosofiche, politiche e letterarie che dopo la prima guerra mondiale si richiamavano al Mito nietzschano. Queste sette si collocavano le une in rapporto alle altre, e si giudicano l'un l'altra nello stesso modo di quanto fanno tra di loro le sette marxiste. Esse adottarono, di fronte al nazionalsocialismo, atteggiamenti molto variati. Così, se è vero che il nazionalsocialismo fu “nietzschano”, poiché si situava all'interno della dialettica antiegualitaria di cui Nietzsche ha contribuito a precisare i lineamenti, è falso che qualsiasi “nietzschanesimo” sia nazionalsocialista. Allo stesso modo in cui le “aberrazioni gosciste” non compromettono Marx agli occhi dei comunisti ortodossi, allo stesso modo il nazionalsocialismo non saprebbe “compromettere” o esaurire in alcun modo il progetto nietzschano.

Giorgio Locchi

(1) Nietzsche ha previsto persino la “contestazione”, e ce ne ha lasciato una descrizione che colpisce. Il dicorso con cui, in Also sprach Zarathustra, l'ultimo uomo esprime i suoi desideri anticipa, in un registro alquanto grottesco, le conclusioni con cui un Marcuse corona le sue speculazioni “utopiche”.

(2) E' sintomatico che i “recuperatori” di Nietzsche abbiano la tendenza a prendere sopratutto in considerazione tale secondo periodo, quello di Umano, troppo umano, periodo di cui Nietzsche stesso ci dice espressamente aver voluto costringersi, per onestà intellettuale e per “affilare” i suoi propri mezzi, a «pensare contro se stesso».

(3) I critici cattolici furono i primi a sviluppare questa argomentazione, insistendo d'altronde sulla “morbosità” generale di un'opera il cui autore, sin dalla sua prima giovinezza, sarebbe stato colpito da un male ipotetico (in cui la sintomatologia dell'epoca ha voluto vedere un'affezione sifilitica).

(4) Ne citeremo solo due recenti esempi: Jean-Michel Rey, L'enjeu des signes. Lectures de Nietzsche, Seuil, Parigi 1971; Sarah Kaufmann, Nietzsche et la metaphore, Payot, Parigi 1972.

(5) Che importa, d'altronde, se questi sviluppi anche avessero avuto luogo storicamente “suo malgrado”, Ciò starebbe semplicemente a significare che Gesù non sapeva ciò che faceva, pur facendolo.