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Luigi Rognoni

Il teatro musicale di Alban Berg

[in La scuola musicale di Vienna,
Torino, Einaudi, 1974,
pp. 161-167; 186-187]

 

Dal 1928 sino alla morte, avvenuta in un ospedale di Vienna nel dicembre I935, Berg attese alla composizione di «Lulu», il cui libretto risultava dalla fusione di due drammi di Frank Wedekind, «Erdgeist» («Lo spirito della terra», 1893) e «Die Buchse der Pandora» («Il vaso di Pandora», 1904). L'opera doveva comprendere tre atti, ma l'ultimo rimase purtroppo incompiuto, allo stato di primo abbozzo e strumentato soltanto nelle prime 268 battute della scena I, nell'intermezzo sinfonico («Variazioni») e nel quadro finale dell'opera (scena II «Adagio»).
Per quanto Berg avesse progettato di scrivere la sua seconda opera ricavandola da «Und Pippa tanzt», un lavoro drammatico di Gerhart Hauptmann, scritto nel I906, il cui simbolismo fiabesco sembrava porsi come antidoto al realismo espressionista di Wozzeck, fu costretto a rinunciarvi per difficoltà sorte con l'editore. Ma fu tuttavia una rinuncia che coincideva con l'incertezza del musicista nell'affrontare un tema di fantasia «utopistica» che, pur rivelando elementi di tecnica teatrale sensibili a nuove soluzioni musicali, lo avrebbe portato a rinunciare a quella scoperta intenzionalità «espressiva» nell'impegnare il dramma musicale nella situazione esistenziale e sociale del tempo.
Tant'è vero che, senza esitazione, si decise subito per Wedekind, il cui realismo etico si riallacciava a quella stessa tematica espressionista che Berg aveva ricavato da Buchner. In Wedekind questa tematica veniva ancor piú accentuata dialetticamente proprio all'interno dello stesso Spiessburgertum, il «gretto spirito borghese» che, reprimendo gli impulsi naturali nello sviluppo sessuale dell'uomo dall'infanzia al matrimonio, in nome della morale e della religione, aveva finito col mettere in moto il piú orribile meccanismo di dominio del mondo: la cieca e ossessiva potenza del sesso, combattuta formalmente dalle istituzioni civili, ma resa attiva dagli stessi compromessi della morale borghese regolata dal danaro.
Frank Wedekind era morto nel 19I8 e il teatro espressionista ne aveva fatto il suo araldo di battaglia, da Karl Sternheim a Georg Kaiser, a Fritz von Unruh, mentre Karl Kraus ne continuava la polemica contro l'ipocrisia sociale nei confronti del problema sessuale e della prostituzione.
La memoria di Wedekind era ancora circondata da un alone di scandalo e di ignominia. Drammaturgo, poeta, attore e regista dei propri lavori teatrali, dopo il processo intentatogli, nel 1906, dai tribunali di Berlino e di Lipsia per «attentato alla morale», egli aveva finito col trasformarsi - per difendere la tesi sociale dei suoi drammi - in un acceso missionario di un ideale moralistico di tipo anarchico, scrivendo altri drammi che andavano però sempre piú perdendo la forza artistica dei precedenti per il carattere troppo pedantesco della dimostrazione polemica.
La critica a lui avversa ne approfittò per trattarlo come un clown della letteratura drammatica, mettendo in rilievo soltanto l'aspetto cosiddetto «pornografico» delle vicende illustrate nei suoi lavori teatrali, le quali invece non volevano essere altro (come erano in effetti) che crude «dimostrazioni» di una situazione sociale in perenne contraddizione con le leggi della natura: l'eros si tramuta in forza demoniaca quando non è piú sorretto da una salda morale collettiva che garantisca, senza pregiudizi e ipocrisia di classe, la libertà individuale nei rapporti tra uomo e donna.
Anche nel teatro naturalistico del tempo il problema sessuale era sentito come una delle componenti piú drammatiche della contraddizione sociale, ma il socialismo umanitario dei naturalisti non andava oltre la pietà per l'«amore infranto» dalle diversità di classe e per la miseria o la perdizione in cui precipitavano i protagonisti dei loro drammi, vittime dell'ingiustizia borghese. In uno dei suoi primi drammi «Frühlingserwachen» (Risveglio di primavera, I89I), Wedekind affronta invece il problema alle radici, denunciando l'educazione borghese dei giovani. Il risveglio del sesso nella fanciullezza, anziché avere il suo sviluppo naturale, mediante la consapevolezza delle cause e degli effetti, la sola che possa garantire il controllo della ragione, cozza contro il falso pudore e l'ipocrisia della famiglia e della scuola; e il giovane ne sopporta le tragiche conseguenze.
In «Frühlingserwachen» Wendla s'innamora del compagno di scuola Melchior. Seguendo il proprio impulso erotico si dànno l'una all'altro con spontaneità. I genitori, per evitare lo «scandalo», costringono la ragazza ad abortire; e Wendla muore senza aver capito le ragioni del suo martirio, mentre Melchior, vittima anch'egli della disumana «morale» dei suoi educatori, si toglie la vita con un colpo di rivoltella.
Per Wedekind fra carne e anima non vi è antitesi: il goethiano «spirito della terra» (Erdgeist), inteso come vita della natura, si trasforma ora in «dominio del sesso». L'eros, alienato dall'ipocrisia borghese nel suo carattere di funzione naturale dell'amore, reso tabú moralistico nelle istituzioni sociali, si rivolta e sottrae l'amore alla vita, sostituendolo col «piacere sessuale», che diventa la cieca forza distruttrice dell'individuo in una collettività regolata unicamente dal potere di «acquisto» della classe capitalistica. Questa potenza del sesso finisce però col travolgere la stessa società che l'ha suscitata.
Lulu è una povera ragazza proletaria raccolta, ancora minorenne, dal dr. Ludwig Schön, direttore e proprietario di un grande quotidiano, per farsene un'amante. Nei due drammi «Erdgeist» e «Die Buchse der Pandora», che Wedekind riunisce sotto il titolo generale «Lulu, dramatische Dichtung in zwei Teilen», la protagonista travolge come eros apocalittico la stessa società che l'ha resa efficiente quale oggetto di lusso. Ella diviene uno strumento inconsapevole di nemesi: l'amore è sottratto alla vita ed ogni speranza di riscatto, che ancora trapelava nella requisitoria di «Frühlingserwachen», perduta. Wedekind mette ora a nudo il demone scatenato dalla società stessa che tutto travolge, sia nella sua sfarzosa ascesa sia nella sua aberrante discesa. L'orribile fine di Lulu nei bassifondi di Londra non può essere certo intesa come una giusta «punizione» del destino, ma la semplice conclusione o l'esaurimento «individuale» di un ciclo esistenziale che continuerà a riprodursi a catena nella quotidianità della vita contemporanea.
In Wedekind, autore anche di numerose commedie ferocemente satiriche per le quali scriveva egli stesso le canzoni, l'elemento tragico è talvolta intenzionato nella parodia di forme letterarie auliche.
La critica ha messo in rilievo come «Franziska, ein modernes Mysterium» in cinque atti, scritto da Wedekind nel 19I2, voglia essere una trasposizione del «Faust» in chiave femminile. Ma il Redlich trova che già Lulu rivela una netta derivazione goethiana non solo nella concezione dei due personaggi principali (Lulu-Faust e Geschwitz-Mefistofele), bensì in precisi riferimenti e parafrasi poetiche che egli cita e analizza. Io non insisterei troppo su una schematizzazione di questo tipo, giacché il modello faustiano è presente, in differenti forme e significati, un po' in tutta la letteratura romantica e postromantica. Tuttavia si potrebbe forse intendere questo atteggiamento di Wedekind anche come «disprezzo» nei confronti dei contenuti e delle forme letterarie classiche divenuti schemi retorici per la borghesia, in un modo analogo a quello poi praticato da Brecht allo scopo di svuotare il mito di eroismo dei grandi massacratori della storia, eternati nel teatro tragico, equiparandoli a quelli del nostro tempo.
Berg non accetta passivamente la tesi wedekindiana. I personaggi del drammaturgo sono vittime di un unico ineluttabile destino, senza speranza: il dr. Ludwig Schön lotta invano fra uno spirito razionale di conservazione borghese e lo «spirito della terra» come dominio del sesso; con lui e dopo lui soccombe anche il figlio Alwa, come sono caduti il Consigliere medico Goll e il pittore Schwarz, mariti di Lulu. Schigolch, padre adottivo della donna e l'atleta Quast, personaggi ignobili e turpi, non mostrano di avere coscienza della propria bassezza, ma sono semplici strumenti di una situazione sociale che segue il suo destino, come Lulu infine che unisce alla incoscienza la perfidia in un freddo delirio.
Soltanto la contessa Geschwitz, vittima della propria degenerazione di lesbica, mostra in Wedekind una coscienza e una volontà proprie ed è la vera protagonista della tragedia che si rivela nella «Buchse der Pandora»: «Lulu, prescindendo da singoli intrighi, ha in tutti i tre atti una parte puramente passiva; la contessa Geschwitz, invece, dà nel primo atto la prova di una, posso ben dire sovrumana abnegazione. Nel secondo atto lo svolgimento dell'azione la costringe a tentar di superare, ricorrendo a tutta la sua energia spirituale, il suo terribile destino di degenerata, finché nel terzo atto, dopo aver sopportato con fermezza stoica i piú orribili tormenti interiori muore sacrificandosi in difesa dell'amica».
Il concetto del fato della tragedia greca sembra dunque ritornare in Wedekind, ma sotto forma di «anànke», di necessità che domina l'uomo e lo travolge; soltanto, qui la «necessità» del sesso è degradata da necessità naturale a «prodotto di consumo» della società borghese e piccolo-borghese.
Nell'opera di Berg la vera e assoluta protagonista è invece Lulu che, per quanto incarnazione dell'istinto sessuale del mondo, non diviene mai simbolo, ma rimane sempre donna psicologicamente individuata nei suoi sentimenti di bassezza e di calcolo abominevole, ma anche di «umiliata e offesa» femminilità che rivela barlumi di calda umanità, assenti quasi del tutto nel moralismo di Wedekind, per il quale Lulu è solo un simbolo. Berg ne fa invece un personaggio estremamente lirico in netto contrasto con la cruda violenza drammatica degli altri personaggi: il canto di Lulu domina l'opera e vince catarticamente nei momenti di massima tensione.
In Lulu la voce umana è veramente l'elemento di primo piano, assoluta determinante espressiva dell'opera: la «voce umana», non il canto tradizionalmente inteso, giacché quest'ultimo è soltanto uno dei piani della ricca gamma vocale impiegata da Berg, che si può suddividere in sei forme:
1 ) il «parlato libero» senza musica;

2) il «parlato libero» sopra la musica;

3 ) il «parlato ritmico e timbrico» entro un tempo musicale;

4) la «declamazione ritmica» derivata dalla Sprechstimme schönberghiana, che sta nella zona intermedia fra la nota e la parola e che è strettamente legata al ritmo e all'altezza degli intervalli; in essa la nota musicale deve essere soltanto accennata; viene indicata con una crocetta sulla stanghetta della nota (come usa anche Schönberg);

5 ) la «declamazione ritmica» nella quale la parola si deve avvicinare di piú al canto, assumendo la forma di «mezzo cantato» (halb gesungen); viene indicata col seguente segno sulla stanghetta della nota: [trattino obliquo che interseca la stanghetta].

6) il «canto» in senso tradizionale, con tutte le sue varietà espressive [ Il Redlich osserva che «Lulu è senza dubbio una delle opere piú ricche di varietà del canto e indicative dei rapporti parlati nella storia del genere »; e indica come esempio un passo tratto dall'atto III (scena I, batt. 477 sgg.), il quale «coi suoi quattro tipi di canto nettamente ditterenziati (parlato, recitativo, "tempo parlando'', "cantabile'') richiama la molteplicità dei tipi recitativo e arioso delle opere piú antiche che si ricordino, molteplicità che ha dovuto cedere nel tardo XIX sec., all'uniforme impronta dello Sprechgesang wagneriano».

La tecnica dodecafonica, ormai pienamente acquisita da Berg, viene sempre piú piegata alla funzione di «ricupero»: non solo rispetto alle grandi forme classiche, ma soprattutto per quanto riguarda l'armonia che in Lulu assume apertamente l'«atmosfera» del linguaggio tonale. Il rapporto tonica-dominante è latente nello spazio cromatico dell'armonia, senza però mai ricondursi a precise strutture tonali; la stessa «sostanziale durezza della dodecafonia (osserva l'Adorno) è mitigata fino a diventare irriconoscibile e il procedimento seriale può ticonoscersi solo nel fatto che l'insaziabilità berghiana non ha talora a sua disposizione l'infinita scorta di note di cui abbisognerebbe».
Per questo la serialità di Berg non segue rigorosamente i procedimenti schonberghiani, fondati sulla neutralizzazione della polarità dell'armonia tonale (salvo rare eccezioni) e sul carattere non-tematico della costruzione dodecafonica, derivante dall'equivalenza delle quattro forme della serie. In Lulu la serialità è essenzialmente tematica: questo non vuol però dire che Berg rinunci all'idea unificatrice della serie fondamentale; soltanto, da questa serie di base egli ricava, mediante differenti procedimenti simmetrici, altre serie che vengono usate come Leitmotive dei singoli personaggi dell'opera, i quali sono anche «definiti», in taluni casi, mediante forme strumentali o tipicamente melodrammatiche (come la «sonata» per il dr. Schön o le varie forme virtuosistiche dell'opera per Lulu, quali «canzonetta», «aria», «cavatina» ecc.). Del resto questo procedimento delle «serie derivate» si ricollega, di principio (e non solo per le opere legate ad un testo drammatico), al concetto di «permutazione» e della «serie allargata» di Schönberg.
Berg stesso ha fornito gli elementi per un'analisi dei procedimenti dodecafonici impiegati in «Lulu» a Willi Reich, che è stato suo allievo e il Redlich l'ha approfondita con nuovi apporti; si è infine aggiunta una «nuova analisi» di George Perle che tende a dimostrare come Berg s'allontani totalmente dal «sistema» schonberghiano e come in definitiva la serialità di Berg sia molto meno dodecafonica di quanto i precedenti commentatori vogliano farla apparire. [...]
Del resto anche per «Lulu» potremo ripetere le stesse parole scritte da Berg per «Wozzeck»: «Qualunque cosa si conosca circa l'impiego di forme musicali in quest'opera, per quanto si sappia come tutto sia «lavorato» con logica severa, quale abilità di mestiere si nasconda in ogni minimo particolare... dal momento in cui il sipario si solleva sino a quando si chiude per l'ultima volta... nessuno dovrebbe essere preso da altra idea che da quella di quest'opera, la quale trascende il destino individuale» di Lulu. [...]
[...]
Berg crea il proprio teatro musicale al tramonto dell'esperienza espressionista e ne risente i temi piú incisivi ed eticamente impegnati: quelli proposti da Georg Buchner, il poeta rivoluzionario, e quelli di Frank Wedekind che mette a nudo l'anima del male, individuandola nell'ossessiva e cieca potenza del sesso.
Lulu potrebbe virtualmente terminare con l'ultima scena dell'atto II* , quando si compie l'ascesa di Lulu, in una luce di desolazione simile a quella di «Wozzeck», il cui finale non lascia respiro, né speranza. Una medesima impostazione etica ed una analoga visione drammatico-musicale accomuna le due opere: la forza del male che domina, con ogni mezzo, la vita dell'uomo contemporaneo, trasferita nel tormento di una creazione artistica, nella quale il dualismo tra spazio e tempo drammatici e spazio e tempo musicali sembra risolversi «regredendo» in un vibrare lirico della parola che si fa melodia: un ritorno al canto, ma come melos della solitudine umana.
*Corrisponde all'atto I di «Die Büchse der Pandora», che rappresenta la fine della tragedia di cui è protagonista Lulu, con la caduta della sua ultima vittima. Nei due atti successivi, protagonista sarà, come s'è già osservato, la contessa Geschwitz, vittima volontaria di Lulu, la quale diverrà invece sempre piú «passiva» nella sua rapida discesa.