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Luigi Rognoni

La «regressione» di Alban Berg

[Fenomenologia della musica radicale,
Milano, Garzanti, 1974,
pp. 224-225]

 

Nessun musicista ha saputo affondare le radici così profondamente nella società fin de siècle, partecipe e ribelle nello stesso tempo, quanto Alban Berg. Il carattere «regressivo» riflesso nella sua opera va appunto inteso come il tentativo di riscatto dell'individuo in una società che la tecnocrazia avvia all'autodistruzione. Berg è il diretto erede spirituale di Mahler più di quanto non lo appaia Schönberg stesso; e l'eredità mahleriana si protrae in Berg nella volontà di riattivare i mezzi consunti del linguaggio musicale postromantico, col risalire alla più pura origine dell'espressione musicale: il canto. Il carattere essenzialmente lirico dell'opera di Berg, sia essa strumentale, sia essa vocale o drammatica, si determina e trova i suoi limiti appunto in quella tradizione musicale viennese che, pur partecipe della coscienza del romanticismo tedesco, ha una sua ben caratterizzata Weltanschauung e una differenziata visione etica della vita.
Questa tradizione ha le sue radici luminose in Mozart e in Schubert; in Beethoven anche, ma come centro di rottura che apre il processo di quella crisi della soggettività, dalla quale si irradierà, nelle differenti direzioni e nei diversi atteggiamenti esistenziali, il romanticismo europeo.
Schubert, l'ultimo degli innocenti, già proietta la propria Sehnsucht nel passato e tende all'originario attraverso l'immediatezza della percezione sensibile dell'orecchio: al «canto della terra», alla melodia popolare. Attraverso Schubert si determina, nella sua caratteristica autoctona, tipicamente viennese, la linea dei grandi «nostalgici»: Brahms, Bruckner, Wolf, Mahler e infine Berg. Se si considerano questi cinque musicisti dal punto di vista qui appena accennato, ci si avvede come il processo di saturazione spirituale (progressiva chiusura soggettiva spinta sino al solipsismo) si traduca, di necessità, in una corrispondente saturazione dei mezzi espressivi, la quale, ogni volta, tende a «regredire», attraverso il passato, verso la condizione originaria, finché, con Mahler, la saturazione tocca il limite massimo dell'allargamento dei mezzi costruttivi ed espressivi consentiti dallo spazio tonale armonico e melodico.
Dopo Mahler, Berg riprende il processo di ricupero «regressivo» realizzando la più impressionante sintesi dell'esperienza romantica viennese, nel giro febbrile di poco più di un ventennio. Tale sintesi è resa possibile grazie all'individuazione dodecafonica che rappresenta il punto di partenza per la ricostruzione oggettiva, da Berg appunto intesa come «ricupero» della tradizione, così come gli era stata consegnata da Mahler; e la sintesi comincia ad attuarsi quando la «riduzione fenomenologica» dello spazio sonoro ha raggiunto per Berg un limite per lui essenziale e sufficiente al ricupero dei mezzi tradizionali nello «spirito del tempo», che Berg non vuole oltrepassare e al quale egli si sente fatalmente legato.
In lui le affinità estetiche e di gusto con lo Jugendstil e la «secessione» viennese sono assai più pronunciate di quanto non lo siano in Schönberg, e permangono più durature nel corso di tutta la sua opera. Il suo espressionismo sonoro è spesso simile a quel colore brulicante che avviluppa la pittura di Gustav Klimt, dove la figura umana sembra sorgere dall'horror vacui del tratto decorativo stratificato nelle più complesse reminiscenze naturalistiche orientali.
I caratteri formali della «secessione» che trapassano in Kokoschka e in Klee per assumere nuovi contenuti umani e più profondi significati etici, subiscono un analogo trapasso anche in Berg. Come Klee che isola il dettaglio di Klimt e da «reminiscenza» lo tramuta in immagine cosmica, così Berg scompone la materia sonora di Mahler e ne desume, dal frammento melodico, dall'inciso armonico e timbrico, i nuclei determinanti della propria intuizione lirica. Ma, al pari di Kokoschka, Berg ha anche una sensibilità dai nervi scoperti, penetrante, analitica, che fruga attraverso la materia impura e irriducibile dell'essere umano, in cerca di un barlume di luce e di speranza («Wozzeck» e «Lulu»); e, come in Klee, anche in Berg il sentimento infantile della creazione originaria (pure presente in Mahler) appare associato al sentimento della morte («Lyrische Suite» e «Violinkonzert»).