ANALISI DELL'OPERA
1. Bernhard Paumgartner (Analisi di personaggi e situazioni; recitativo; orchestrazione; libretto; rapporto con «Le Nozze di Figaro» e «Don Giovanni»)

2. H.C. Robbins Landon

(Tema del perdono, della seduzione, tonalità, orchestrazione)

3. Claudio Casini (Arie, finali, ensembles)

4. A. Poggi - E. Vallora (Giudizi nell'Ottocento e attuali; simmetrie; orchestrazione)

5. Marc Vignal («Mozart et la vertu féminine»)

6. Wolfgang Hildesheimer

BERNHARD PAUMGARTNER
Il primo atto si svolge in modo piú sciolto, piú buffo degli altri. Un allegro movimento di gruppi, uno spontaneo abbandonarsi alla gioia della musica vengono in primo piano. Già fin dall'esposizione, dal succedersi dei tre terzetti virili (nn. 1, 2, 3), si può capire come in quest'atto si sia voluto contrapporre l'impulsività dei due giovani innamorati alla riflessiva aridità di Alfonso, e non tanto presentare caratteri nettamente disegnati. Conseguentemente, anche il civettuolo duetto con cui esordiscono le due ragazze (n. 4) non è che un delizioso bozzetto di due donnine frivole e innamorate. Soltanto col procedere dell'azione le varie personalità a poco a poco si differenziano e si fanno riconoscibili: Dorabella, allegra e senza scrupoli, Guglielmo, il sorridente «routinier», Fiordiligi, sensibile ed estrosa, Ferrando, il suo «partner», sentimentale e sanguigno. Ma una tagliente ironia lascia sussistere quest'ordine naturale delle coppie soltanto per il breve corso della commedia di scambi, riversando implicitamente la corresponsabilità delle pericolose confusioni sul fallace arbitrio della vita reale, sulla società, insomma.
Simbolico attuatore di questo criterio antisociale è Alfonso, l'anticonformista. Egli ammonisce, nega, preferendo poi confondersi nel trambusto e venire in primo piano raramente. I suoi pezzi solistici (nn. 5 e 30), i suoi «accompagnati» sono brevi e aforistici come tutte le manifestazioni del suo carattere. Ordisce la burla, nella prima aria, e nella seconda ne constata soddisfatto la perfetta riuscita, badando sempre di conservare un lieve tono parodistico, specialmente nelle situazioni piú sentimentali, come i deliziosi concertati della scena del commiato (atto I, nn. 6 e 10), quando il dolore delle due fanciulle e l'angoscia dei due giovani si esprimono con commozione sincera; e brillando nell'escogitare sempre nuovi intrighi utili ai propri fini, ma con saggia moderazione, senza mai passare la misura. Una provvidenziale venatura di genuino umorismo lo preserva dal cadere nelle esagerazioni tipiche dei burloni «di professione».
L'umorismo è anche la piú preziosa qualità di Despina. Le sue due arie (nn. 12 e 19) sono incantevoli chiacchierate; e nei concertati ella sa reggere i fili della vicenda amorosa con invidiabile obiettività. Di questo personaggio, un tipo molto popolare nella commedia dell'arte dalla «Serva padrona» di Pergolesi in poi, Mozart aveva già creato una variante con la Serpetta della «Finta giardiniera». E non è senza un fondato motivo che sia lei sia Alfonso, gli esponenti dell'antico sentimentalismo della opera buffa, manchino di calore affettivo, perché ciò rende maggiormente efficace il destarsi di sentimenti profondi negli altri quattro personaggi. I quali, benché dapprincipio appaiano ancora piú amorfi del loro burattinaio, diverranno a poco a poco, nel respiro vivificatore della musica, gli annunziatori del nuovo rivolgimento verificatosi nel patrimonio degli antichi valori teatrali.
Questo mutamento avviene per gradi, in un ben dosato crescendo, prima di toccare il punto culminante nell'ultimo duetto del secondo atto (n. 29). I primi, esagerati accenti di disperazione delle ragazze dopo il lacrimoso congedo dagli amanti (atto I, arie nn. 11 e 14) conservano ancora gli atteggiamenti ultrapatetici dell'opera seria italiana. Ma già fin d'ora si può notare una certa differenziazione dei due caratteri: fra il tono esaltato, teatrale, di Dorabella e la comica serietà di Fiordiligi, la cui natura di eroina (un po' simile a quella di Elvira) pare sentire la solennità piuttosto come affettazione che non come fatto interiore.
Anche il carattere dei due uomini si delinea già piú chiaramente quando l'irresistibile conquistatore Guglielmo, nel nuovo travestimento, prende a corteggiare la bella abbandonata e a implorarne sorridendo i favori (aria n. 15), oppure quando la canzone amorosa del sentimentale spasimante Ferrando (aria n. 17), anche a motivo di alcune lievi banalità del testo e della situazione, assume un tono vagamente ironico.
Nel variopinto intreccio di sentimenti della commovente scena del congedo (atto I, quintetto e terzettino, nn. 6, 9, 10) già aflfiorano emozioni piú intense, ma soltanto in maniera allusiva. La caustica secchezza di Alfonso impedisce, per fortuna, un prematuro capovolgimento degli stati d'animo. Poiché l'azione vera e propria, la burla che ha dato spunto alla commedia, incomincia soltanto all'apparire degli innamorati travestiti, con l'elegante sestetto (n. 13).
Dovrà ora scatenarsi la folle mascherata galante e sconvolgere a tal segno la mente dei fatui e spensierati personaggi, uomini e donne, da porli infine, con un senso di sgomento, innanzi alla gravità dei fatti provocati dalla sfrenatezza dei loro stessi istinti. Ma con quale finezza di intuito teatrale sono collocate negli incalzanti sviluppi del primo atto, le due perle dell'opera, i due pezzi d'assieme staticamente lirici, il quintetto del commiato (n. 9: «Di scrivermi ogni giorno»), sommessamente lieto, con le battute mormorate «a parte», fra i denti, da Alfonso («Io crepo se non rido»), e lo stupendo terzettino (n. 10: «Soave sia il vento») che quasi immediatamente segue!
Il primo atto si chiude dunque senza scostarsi dall'ambito dell'opera buffa, né nella petulante risata del terzetto virile (n. 16), né nello scorrevole finale (n. 18). La caleidoscopica varietà dei raggruppamenti e la drasticità degli scherzi devono supplire alla mancanza di personaggi e di intrighi nuovi che intervengano ad accrescere l'interesse. La compassione delle ragazze per i presunti suicidi per amore si è già impercettibilmente mutata in simpatia ma, nel momento critico dell'incertezza, la balorda indiscrezione dei due tangheri le induce a riflessione. A questo punto, per confondere la situazione e creare i presupposti necessari al proseguimento della vicenda, non rimaneva che ricorrere all'esplosione di collera delle due dame deluse, inserendola nel turbinoso vortice della consueta «stretta» finale.
Anche il secondo atto si mantiene per un certo tempo sullo stesso terreno. La curiosità di sensazioni nuove ha reso le due sorelle piú condiscendenti, ma soltanto nell'aderire a un giochetto galante non tale da farle venir meno ai loro doveri di oneste fidanzate. Cosí il loro gaio duetto (n. 20) può conservare il tono rilassato del pezzo ad esso corrispondente nel primo atto (n. 4). Ma l'intermezzo della bella serenata per fiati e coro (n. 21) dà felicemente l'avvio alla nuova piega della vicenda. Con questo omaggio, i due pretendenti travestiti sono riapparsi in scena. Il brevissimo quartetto seguente (n. 22) è ancora nello spirito dell'opera buffa piú genuina, spirito abilmente alimentato da Alfonso e Despina che mostrano di essere i paraninfi ideali per quei loro clienti tutti chiusi in un ben simulato (o forse un poco anche vero) imbarazzo. Esitando, balbettando, i cavalieri cadono nella trappola delle frasi galanti, mentre le dame attendono in silenzioso riserbo. Ma quando alfine le coppie, lasciate sole dai loro intermediari, si ritrovano, le mani nelle mani, confuse e smarrite, la comica situazione assume all'improvviso un significato ben piú profondo. Perché proprio qui, dove la costruzione del libretto fallisce in pieno, incomincia a risplendere in tutta la sua bellezza il prodigio vivificatore della musica.
Da Ponte voleva logicamente far seguire un secondo e piú fortunato tentativo di seduzione a quello irruente e infelice con cui si era concluso il primo atto; ma questa intenzione fu meglio pensata che realizzata. Il secondo atto non è piú un vario succedersi di concertati, bensí una stanchevole sequenza di pezzi solistici. Ma proprio a questo punto, drammaticamente il piú fiacco dell'opera, Mozart inattesamente interviene a rianimare gli anemici personaggi del librettista, riversando in loro tutto il calore dell'anima sua. E quanto piú questi, trascinati dalla potenza di un sentire sincero, paiono dimenticare l'originaria natura, tanto piú evidente appare l'abisso che separa l'opera buffa di Mozart dai suoi modelli stereotipati. Apprezzamenti critici posteriori credettero di scorgere in questa irruzione di elementi sentimentali piú profondi, di opera giocosa, nell'opera buffa una minaccia a una forma melodrammatica convalidata dal tempo; senza riflettere che soltanto cosí l'organizzazione interiore mozartiana dell'opera, e con essa l'unicità del suo significato, prodigiosamente connesso con l'evoluzione artistica dell'autore, poteva conservarsi intatta.
Il cardine dell'interessantissimo rivolgimento psicologico è costituito dai due duetti delle coppie scambiate (nn. 23 e 29); e fra questi passano cinque pezzi solistici che, per così dire, riflettono il medesimo sentimento nell'animo dei quattro diversi tipi di innamorati. Nel primo dei duetti (n. 23) la piú arrendevole Dorabella cede alla mondana scaltrezza di Guglielmo. La cosa riesce piú difficile a Ferrando. Il suo ardente sfogo (aria n. 24) lo trascina al punto da fargli dimenticare se stesso e ogni finzione; e quel trasporto di passione sincera riesce a toccare il cuore di Fiordiligi piú profondamente di qualsiasi artificio teatrale. Ce ne renderemo subito conto dall'agitazione con cui la fanciulla rimasta sola piangerà per l'amato lontano (n. 25). I passaggi dell'allegro seguente tendono però a ricondurci verso una realtà piú distensiva. A questo punto lo sfrontato atteggiamento di superiorità di Guglielmo risulta molto ameno: orgoglioso di avere una fidanzata fedele, egli malignamente si compiace di far trasecolare l'amico annunziandogli l'infedeltà di Dorabella. Ben diverso appare lo schietto dolore di Ferrando nel forte recitativo «accompagnato» che precede la Cavatina (n. 27), fervida premessa allo stupendo duetto (n. 29), formalmente assai libero, durante il quale anche Fiordiligi finisce col cedere alle implorazioni del suo adoratore, abbandonandosi, immemore di tutto, all'estasi di una felicità nuova.
Il breve riassunto del vecchio cinico Alfonso (n. 30) che si conclude con la maliziosa morale: «Cosí son tutte», già accennata nell'ouverture, ci riporta nel mondo freddo e razionale dell'opera buffa. Il contrasto è felice. Ciò nondimeno l'intimo palpito di un amore oblioso torna ad effondersi dal sublime canone del secondo finale (larghetto, n. 31 ) che in un certo senso ci richiama al finale del Figaro («Contessa, perdono»). Soltanto l'atteggiamento antitetico di Guglielmo, il navigato uomo di mondo, impedisce che in questo momento la scena volga decisamente al tono serio. Con l'entrata di Despina travestita da notaio, la farsa riaccampa definitivamente i suoi diritti ed esige un rapido scioglimento dell'imbroglio. Ma lo stesso «allegro molto», scaturito dalla contenuta espressività del « sotto voce», come nel «Figaro», anziché congedare l'uditore con la molesta chiassosità dell'opera buffa lascerà in lui una pensosità conciliante e serena.
L'importanza preminente dei pezzi d'assieme su quelli solistici si nota pure nei recitativi. Perfino il «secco» è talvolta trattato a piú voci, nel tono scorrevole, arguto, accentuato, dell'opera buffa. Gli andamenti espressivi dei bassi ne accrescono ancora, qua e là, la vivezza. L'inserzione di numerosi «accompagnati» e una loro piú stretta coesione con i pezzi chiusi additano digià alle scene parlate del «Flauto magico» e, oltre ancora, al non piú lontano ideale dell'opera musicata per intero.
L'introduzione lenta dell'ouverture propone il titolo musicale in modo quasi misterioso, come se la possibilità di uno svolgimento serio del tema fosse ancora in discussione. Decide della cosa il «presto» seguente, un tempo di sonata liberamente trattato, con l'impiego dell'idea principale nel gruppo secondario, affine, per vivacità, all'ouverture del «Figaro» anche se tematicamente non altrettanto incisivo. Quel non so che di inconsistente, di irreale, della vicenda si riflette anche nei colori cangianti dello sviluppo fortemente modulante. Nella coda riappare ancora una volta il «motto», il titolo dell'opera, come un discreto interrogativo. Risponderà con inequivocabile chiarezza la piena orchestra. Ridacchiando, il tema principale sancisce il perentorio dato di fatto, per subito lanciarsi, su un inebriante crescendo, nel festoso «fortissimo» delle battute conclusive.
All'orchestra, importantissimo elemento di forza drammatica, sono qui riservati compiti assai grati. Dopo il piú aspro linguaggio sonoro del «Don Giovanni», è ora la bellezza timbrica del «Figaro» che ritrova una nuova, forse ancor piú eterea, perfezione. Balzano in primo piano certe consuetudini italiane, come l'elastica adattabilità del periodo, la tendenza agli effetti descrittivi e al gioco aforistico con piccoli temi. Per contro, la trattazione dei fiati risulta piú moderna e personale. L'impiego di strumenti solistici concertanti, come nella seconda aria di Fiordiligi (n. 25), potrebbe ricondursi all'«Idomeneo»; ma l'amalgama dei colori è diventato piú morbido. La calda sensualità del clarinetto si fa espressiva interprete dei sentimenti d'amore, mentre la voce piú asprigna dell'oboe accompagna di preferenza il sarcasmo di Alfonso. La gioia di riprodurre in orchestra l'architettura scenica, vale a dire un impulso puramente formale, conferisce al quadro della partitura una sua nota tutta speciale. Una piú accentuata differenziazione dei raggruppamenti strumentali crea momenti di squisita modernità. Si consideri il tono prettamente serenatistico del quartetto (n. 22) e della precedente serenata per fiati appartenente al delizioso duetto con coro (n. 21): questi due pezzi si direbbero il tempo centrale e finale di una «Abendmusik» (serenata) galante.
Se il sanguigno fervore del «Figaro», se la superumanità di «Don Giovanni» tendevano fin da principio a scostarsi dal genere ornamentale della tradizione per entrare nel mondo della vita vera, «Cosí tan tutte», lieve gioco satirico, evanescente condusione del meraviglioso trittico di amore, ci riconduce sorridendo alla commedia di tipi stilizzata, svincolata da condizioni di tempo e di luogo.
Non per nulla, delle tre opere questa è la meno legata ai cambiamenti di scena (tradizionali nell'opera buffa) prescritti dal librettista. Notevoli riedizioni recenti hanno dimostrato come sia possibile rappresentarla con un'unica scena senza comprometterne il significato originario. Alla sola condizione, però, di non turbarne l'olimpica, quasi geometrica, simmetria strutturale.
Bernhard Paumgartner, «Mozart», Torino, Einaudi, 1994, pp. 450 ss.
H. C. ROBBINS LANDON
Da Ponte era un gran cinico, come le sue «Memorie» dimostrano, e non vi è dubbio che nei suoi intendimenti «Così fan tutte o sia La scuola degli amanti» dovesse essere un monumento al cinismo, come il titolo completo dell'opera lascia capire con il riferimento alla «Scuola degli Amanti». Mozart, però, aveva eliminato una gran parte degli aspetti cinici. Come abbiamo visto, nelle due opere precedenti, due dei pilastri su cui è costruita la musica sono l'amore ed il perdono, l'amore più profondo ed il più profondo perdono di cui l'essere umano è capace. Ritengo che «Così fan tutte» sia il massimo esempio di quanto Mozart amasse il perdono perché, nella più musicalmente perfetta delle sue opere, vi è grande spazio per il perdono, e conseguentemente il più forte desiderio di amore sincero. Mozart stesso perdonò Constanze quando lei si trovava a Baden, nell'agosto del 1789, per le cure - per quale motivo? In una lettera a lei indirizzata scrisse:
Cara mogliettina: voglio parlarti molto francamente. Non hai motivo di essere triste. Hai un marito che ti ama, che fa per te tutto ciò di cui è capace - per quanto riguarda la tua gamba ammalata, devi solo avere pazienza, questa [cura] ti farà certamente bene. Io sono certamente molto contento quando sei felice - davvero - ma vorrei chc tu non ti comportassi così grossolanamente come a volte fai - sei veramente troppo disinvolta con N.N., ed anche con N.N., quando era ancora a Baden - considera che N.N. non è così volgare con le altre donne, che probabilmente conosce meglio di te, come lo è nei tuoi confronti e persino N.N., il quale peraltro è un tipo decente e specialmente rispettoso nei confronti delle donne, anche lui si permette di scrivere nelle sue lettere le osservazioni più spaventose e rozze - una donna deve tenere alla sua rispettabilità, altrimenti diventa un argomento di conversazione. Mia cara, scusami se sono così aperto con te, ma la mia pace mentale e la nostra stessa felicità lo richiedono - ricordati che tu stessa una volta hai ammesso che cedi troppo facilmente - sai che cosa succede poi - e ricordati anche la promessa che mi hai fatto - O Dio, provaci, Mia cara - sii contenta e felice e gentile nei miei confronti -, non contrariare te stessa e me con inutile gelosia - abbi fiducia nel mio amore, ne hai avuto dimostrazione a sufficienza - e vedrai quanto possiamo essere felici, devi essere convinta che solo il saggio comportamento di una moglie può legare a lei il marito con anelli d'acciaio - adieu - domani ti manderò un bacio dal profondo del mio cuore.
Mozart evidentemente pensava di avere una ragione per perdonare Constanze, ma probabilmente c'era meno da perdonare di quanto immaginasse, altrimenti Constanze difficilmente avrebbe conservato la lettera dopo la morte di Mozart.
Quando gli innamorati si salutano, alla fine del primo atto, siamo immersi in uno struggente quintetto: «Di scrivermi ogni giorno». Dopo di che accade l'incredibile, non solo fra gli amanti sulla scena, ma nella musica di Mozart. Perché chi ascolta deve essere persuaso, così come i due spasimanti turchi devon persuadere le giovani donne ad ingannare i loro fidanzati; e se in qualche modo ciò è sia pur lontanamente possibile, di certo lo è per mezzo della musica. E per quanto toccante sia la musica dell'addio dell'Atto I, come pure «Soave sia il vento», quando gli uomini salpano dalla baia di Napoli per la guerra, la musica che Mozart scrive nel punto in cui le coppie di amanti sono rovesciate, raggiunge vertici di erotismo e passionalità imprevedibili. Per la grande scena in giardino, Ferrando e Guglielmo assoldano una Harmonie [complesso di fiati] perché li aiuti nel loro progetto. È molto curioso che la musica ricordi la Serenata per tredici strumenti (K. 361), che forse è effettivamente musica nuziale. A proposito dei due manovratori dell'azione, Don Alfonso e Despina, Richard Mohr afferma:
Per quel che riguarda Despina e Don Alfonso, presentati nella loro complessità, essi sono qualcosa di più di due burloni di repertorio. È persino possibile avvertire un leggero imbarazzo nei loro confronti, considerando il loro innocuo scherzo in una luce più sinistra. Essi arrivano sulla scena proprio nel momento critico in cui i quattro amanti sono totalmente immersi l'uno nell'altro, ed immediatamente si trasformano nel serpente del giardino dell'Eden. Trovano l'inizio di un amore incantevole, e il loro intervento crea immediatamente dissensi e incomprensioni.
Quando Ferrando e Guglielmo tornano dalle guerre turche e rivelano la loro identità, siamo messi di fronte al più grande atto di perdono di Mozart (e Da Ponte). Forse l'intera perfidia non potrà essere mai perdonata, dal momento che tutti e quattro - o meglio tutti e sei, inclusi Despina e Don Alfonso -sono egualmente colpevoli di un grossolano imbroglio, ed anche più - di aver vilipeso l'amore.
Il tema della seduzione è forse espressione del gusto tipico del diciottesimo secolo, qualcosa che il diciannovesimo secolo trovò ripugnante ed il ventesimo trova affascinante. Credo si possa fare un parallelo con la considerazione fredda e priva di sentimento della donna nella letteratura dell'epoca, per esempio nello spietato «Les liaisons dangercuses» di Laclos, uscito a Parigi pochi anni prima che Mozart scrivesse «Così fan tutte». Oggi non troviamo più scioccanti le tematiche apertamente sessuali di Laclos e Mozart (Da Ponte), ma certo è sconcertante la freddezza con cui la seduzione e la rovina di una donna erano tramate. Il libro fu messo al bando a Parigi dopo la restaurazione dei re Borbone nel 1814, e allo stesso tempo furono fatti passi per riscrivere la trama di «Così fan tutte», specialmente in Germania, dove l'opera era rappresentata spesso. La calcolata seduzione è in realtà un aspetto del pensiero di Da Ponte (e Mozart) quasi completamente estraneo alla gran parte delle persone di oggi.
Mozart si accorse dell'enorme differenza emotiva del testo di «Così» rispetto alle precedenti opere di Da Ponte. L'uso delle tonalità è più complesso e formalmente perfetto di quanto lo sia mai stato prima, e qui si può dimostrare che Mozart deve qualcosa ad Haydn.
Ne «La fedeltà premiata» di Haydn (che Mozart poté probabilmente ascoltare a Vienna sul finire del 1784), tanto il finale dell'Atto I quanto il finale dell'Atto II sono basati non sulla solita relazione tonica-dominante-sottodominante, ma sui collegamenti per terze. Questo fatto rappresentava una novità assoluta e Mozart dovette esserne colpito, particolarmente perché Haydn usa i collegamenti per terze per assecondare la «progressione discendente» dell'intreccio; man mano che le cose diventano sempre più complesse e convincenti, le armonie si susseguono ad illustrare la situazione. [...]
In questo capolavoro operistico del 1789 e 1790, l'orchestrazione di Mozart è completamente diversa rispetto a ogni lavoro precedente: c'è una brillantezza diamantina nell'uso del do maggiore e le trombe, impiegate in modo più massiccio che nelle due precedenti opere di Da Ponte - sono utilizzate persino nella tonalità (per Mozart) insolita di si bemolle («Come scoglio»). La differenziazione fra corni e trombe - che i critici hanno immediatamente notato in Figaro - è qui ancor più sofisticata. Nel gran Terzetto (n. 3) in do maggiore dell'Atto I, Mozart utilizzò trombe e timpani, ma non i corni, che teneva in serbo per la presentazione delle due dame nel numero successivo (in la maggiore). Parimenti nel piccolo coro (n. 8) «La marcia militare in lontananza» - che richiama i due innamorati alla guerra -vi sono trombe e timpani, ma non i corni; Mozart tiene i corni in serbo per il Terzettino in mi maggiore (n. 10), il tenero addio «Soave sia il vento». L'orchestrazione dell'intera opera è di una precisione assoluta, tale da mettere in risalto le sottigliezze della trama. Eppure, per una volta, sembra esserci una leggera, ma non per questo meno ben definita divergenza di intenti fra il testo di Da Ponte e la musica di Mozart. Il compositore, che, diversamente da Da Ponte, non era precisamente un cinico, si immedesima, più di quanto il testo non giustifichi, nelle sorti delle dame quando i ruoli sono rovesciati. Questo è dovuto in parte al fatto che Mozart ha sempre dimostrato una speciale attenzione per i problemi, le aspirazioni e le motivazioni delle donne, e in parte al fatto che si è spinto molto in là nel convincere il pubblico del nuovo stato delle cose, finendo forse col convincere se stesso della verità della falsa situazione.
Pertanto ritengo che la particolare intensità di «Così fan tutte» stia nel fatto che la necessità del perdono è presente non solo alla fine dell'opera, ma in tutte le scene di inganno, in cui il pubblico sa - benché le protagoniste non sappiano ancora - che le loro azioni richiedono più perdono di quanto forse sia stato mai richiesto da qualsiasi altra azione in un'opera di Mozart. Le emozioni che l'opera genera sono quindi doppiamente intense e il cinismo del libretto è in parte mitigato.
H.C. Robbins Landon, «Mozart. Gli anni d'oro 1781-1791», Milano, Garzanti, 1989, pp. 175-179 .
ARIE, FINALI E ENSEMBLES
L'itinerario teatrale di Mozart si interruppe per tre anni, che furono dedicati alle ultime sinfonie, al penultimo concerto pianistico e alle composizioni cameristiche. Nel 1790/1791 si concentrarono le tre ultime opere, «Così fan tutte» e «a Clemenza di Tito», più la «tedesca» «Il Flauto magico». Apparentemente, «Così fan tutte» chiuse il ciclo del realismo nel teatro di Mozart, che con «La Clemenza di Tito» tornò al genere dell'opera seria italiana, sul modello di «Idomeneo». In realtà, da un punto di vista musicale, esiste una vera continuità tra le due ultime opere italiane: essa consiste nella progressiva stilizzazione della drammaturgia e del linguaggio musicale. Sotto questo profilo, è logico che all'opera «buffa» (cosi l'indicazione per «Così fan tutte») seguisse la seria: l'unica differenza, rispetto alla tradizione, sta nel fatto che Mozart superò la distinzione tra i generi secondo una caratteristica che contrassegna tutta l'ultima parte della sua creatività.
In «Così fan tutte», la novità rispetto alle due opere italiane precedenti è costituita dal fatto che gli ensembes sono numericamente superiori; si tratta inoltre di ensembles prefigurati dalla presenza di personaggi (Fiordiligi e Dorabella, Guglielmo e Ferrando) disposti a coppie di voci virili e femminili, anche se diverse (due soprani di differenti caratteristiche, il tenore e il baritono), e dalla presenza di due altri personaggi, Don Alfonso e Despina (basso e soprano soubrette o, se si preferisce una vecchia dizione gergale, di coloratura), che si prestano a entrare nel gioco delle coppie. A questa struttura delle parti vocali, che si potrebbe definire cameristica, si aggiungono le grandi arie, che rispecchiano la passione di Mozart per la vocalità italiana tradizionale, già espressa nelle arie staccate e applicata emblematicamente nei ruoli "aristocratici" di «Don Giovanni». Infine nei finali dei due atti, la condotta sinfonica appare ampliata rispetto alla stringatezza degli analoghi in «Don Giovanni», ma di più ampio respiro unitario rispetto ai finali-serenata delle «Nozze di Figaro».
In altre parole, «Così fan tutte» è un paradigma complesso del teatro e della musica di Mozart: il trattamento cameristico viene applicato agli ensembles, in cui le voci figurano come strumenti "concertanti", con funzioni analoghe a quelle del clarinetto, del corno, dell'oboe, del violino, sperimentate appunto nella recente produzione da camera mozartiana, i finali e le arie, invece, appartengono alla condotta sinfonica unitaria che era maturata nelle ultime sinfonie, su fondamenti contrappuntistici di estrema sottigliezza.
Il libretto rispecchia questa distribuzione di funzioni musicali. Estremamente semplice, quasi privo di eventi e ricco invece di situazioni teatrali a sfondo emotivo, è fondato su una geometria amorosa: la coppia dei giovanotti, Ferrando e Guglielmo, è sfidata dallo scettico Don Alfonso, in cui è visibile la caricatura del philosophe illuminista inviso alla cultura massonica e progressista di fine-secolo. Guglielmo e Ferrando devono dimostrare la costanza dell'animo femminile, fingendo di lasciare le rispettive fidanzate e tentando di sedurre ciascuno quella dell'altro: il travestimento cui i giovanotti ricorrono è pura convenzione teatrale, per rendere più evidente la finzione, ma la sua inverosimiglianza copre in maniera volutamente goffa uno scambio che potrebbe avvenire a viso scoperto.
Ferrando dovrà conquistare Fiordiligi e Guglielmo dovrà sedurre Dorabella. Questo è il "plot" dell'opera. Don Alfonso e Despina sono invece naturali alleati: Don Alfonso deve dimostrare che è giusta la sua convinzione sulla fragilità della natura femminile, di cui Despina è l'incarnazione maliziosa. Alla fine, i due giovanotti perdono la scommessa, e sono costretti a cantare la "morale" dell'opera all'unisono con Don Alfonso: «Cosi fan tutte». Ma se alla fine del primo atto hanno creduto di aver vinto, quando le due ragazze li respingono sdegnate, e poi devono riconoscersi a loro volta battuti, nel finale ultimo trionfa la forza dell'amore e del perdono: le coppie si ricompongono.
L'ensemble è il fondamento dell'opera, che si apre con tre terzetti virili; e un'altra serie, nella scena del finto congedo e della finta partenza dei giovani per il servizio militare, si conclude con una pagina suggestiva, il terzetto «Soave sia il vento», in cui Fiordiligi, Dorabella e Don Alfonso si congedano da Guglielmo e Ferrando, ormai fuori scena. Le coppie sono presentate e intrecciate nei duetti: esordiscono le due ragazze, «Ah guarda sorella», ancora innocenti, e torneranno insieme quando innocenti non sono più, al secondo atto, «Prenderò quel brunettino»; seguono i due giovanotti, «Al fato dàn legge», simmetricamente ripreso al secondo atto, «Secondate aurette amiche». I duetti della seduzione sono anch'essi simmetrici, «Il core vi dono» (Guglielmo e Dorabella) e «Fra gli amplessi» (Fiordiligi e Ferrando). Al terzetto degli addii, nel primo atto, corrisponde il terzetto detto «delle risate», quando Guglielmo e Ferrando credono, ma troppo presto, di aver vinto la scommessa. Un quartetto segna l'inizio delle seduzioni, due quintetti quasi consecutivi precedono gli addii, e un sestetto introduce Guglielmo e Ferrando travestiti da Albanesi.
Le arie sono attribuite equamente, due per ciascuno, più una terza a Ferrando: insieme con i finali, sono elaborate nello stile sinfonico caratteristico della fase conclusiva nella creatività di Mozart. In realtà, costituiscono analisi raffinatissime dei mutevoli stati d'animo in cui vengono a trovarsi i quattro protagonisti: conformemente al desiderio di Don Alfonso, studioso scettico della psiche umana, Da Ponte ha creato un libretto che corrisponde a un asettico gabinetto analitico, simile a quello degli scienziati-alchimisti dell'epoca.
Claudio Casini, «Amadeus. Vita di Mozart», Milano, Rusconi, 1990, pp. 306-308.
AMEDEO POGGI E EDGAR VALLORA
Anche sul piano della critica ufficiale, un giudizio duro e inappellabile investì il «Così fan tutte»: il libretto fu ritenuto una banale filiazione della commedia dell'Arte e l'Opera, nel suo insieme, una «copia sbiadita» delle «Nozze di Figaro». A partire dalla condanna di Beethoven, inorridito dalla frivolezza del libretto, il disprezzo serpeggiò in tutta la critica dell'Ottocento sino all'interpretazione di Wagner che riassume un mezzo secolo di incomprensioni.
È stata proprio la nostra epoca a far luce sui veri valori del «Così fan tutte» attraverso il recupero dei tanti elementi letterari e musicali: il percorso rettilineo, quasi spoglio, della vicenda con il conseguente taglio «geometrico» della partitura; la simmetria insistita che, a partire da elementi figurati, trova la corrispondenza in un perfetto gioco di equilibrii narrativi e di corrispondenze musicali; l'introduzione del concetto di ironia (sviluppando l'intuizione dell'«ironia giocosa» lanciata da E.T.A. Hoffmann nei suoi «Serapions Brüder»); la luce continua, senz'ombre, che ricorda l'atmosfera artificiale di una ribalta teatrale.
Sul piano espressamente musicale, la critica ha sottolineato le novità del trattamento orchestrale: dopo il linguaggio forte e sanguigno del «Don Giovanni» e la bellezza sensuale dei colori delle «Nozze», Mozart ha infatti raggiunto una «nuova» perfezione sonora, eterea, trasparente, rarefatta, che morbidamente accompagna la stilizzazione descrittiva: accentuazioni discrete, sfumature, sottintesi, in luogo di violente sottolineature di affetti.
Le interpretazioni più attuali insistono, infine, sul potere trasfigurativo della musica del «Così fan tutte» e invitano, indipendentemente dal controverso valore del testo, a considerare tale Opera come un vertice della produzione mozartiana, espressione di pura e inimitabile poesia.
MOZART ET LA VERTU FÉMININE
Les idées véhiculées dans «Così fan tutte» ne sont pas obligatoirement de celles que Mozart aurait reprises à son compte, et dans cette œuvre, il ne livra au public ni lui-même, ni Constance, ou du moins ne le fit que très partiellement. Mozart prenait le mariage très au sérieux, même si à l'occasion il se permettait quelques escapades, et pour lui, cette institution devait être fondée - ses lettres et ses actions en témoignent - sur le choix personnel, l'affection réciproque et la satisfaction sexuelle, cela par opposition aussi bien aux pratiques d'ancien régime qu'à celles de la paysannerie, où volonté des familles d'une part, considéra tions économiques et sociales d'autre part, étaient déterminantes.
La conception mozartienne était celle des classes moyennes intellectuelles, de la bourgeoise ou de la petite noblesse éclairées, et pas du tout celle de Don Alfonso. En outre, Mozart ne se serait jamais prêté à l'expérience acceptée par Guglielmo et Ferrando. Les femmes n'étaient pas pour lui objet de mépris. Mais elles devaient se soumettre à des règles précises, comme en témoigne la fameuse missive qu'en août 1789, au début du travail sur «Così fan tutte» ou juste avant il envoya à Constance, en cure à Baden et dont la conduite donnait lieu à des ragots: «Je n'ai rien contre le fait que tu ttamuses, mais pas de façon aussi vulgaire que jusqu'à présent. Je trouve qu'avec N.N. tu es bien trop familière... Une femme doit toujours se faire respecter, autrement elle fait jaser... Sois bien persuadée que seule la sage conduite d'une femme peut enchamer son mari».
Mozart n'aimait pas savoir Constance dans la situation qui devait être celle de Fiordiligi et de Dorabella: livrée à elle-même, assiégée par de jeunes galants dans une atmosphère sensuelle mettant à l'épreuve sa fragilité. D'autant que ce faisant, elle singeait en quelque sorte les mœurs de l'aristocratie. En avril 1782 déjà, il avait été horrifié en apprenant que Constance, alors sa fiancée, avait permis lors d'un jeu de société qu'un jeune homme lui mesurât les mollets: «C'est inconcevable de la part d'une femme soucieuse de son honneur... Il faut en une telle occasion se poser certaines questions, se demander si l'on est une enfant ou déjà une fille à marier, voire même une fiancée en bonne et due forme, et surtout savoir si l'on se trouve au milieu de gens du même rang ou de rang inférieur, ou encore, car ce serait plus grave, de rang supérieur».
Pour Mozart, faire sien le comportement de l'aristocratie en matière de relations entre sexes était déchoir, en particulier en présence de membres de cette classe. Il ne mettait pas pour autant les femmes sur un piédestal, et dans «Così» se moqua cruellement de ceux qui, comme Guglielmo et Ferrando, estimaient pouvoir le faire. Mais bien que clairvoyant sur ce point, il faisait dépendre son honneur, comme ces deux personnages et contrairement à beaucoup de membres de l'aristocratie, de la conduite de sa femme.
Marc Vignal, «Sources, composition et créateurs», in «Così fan tutte», Avant-Scène Opéra, mai-juin 1990, nº 131-132, pp. 9-10.
WOLFGANG HILDESHEIMER
Una cosa è sicura: Mozart immedesimandosi nell'argomento ha pienamente aderito alla realtà di quest'opera e alla tesi ivi sostenuta. «Cosi fan tutte!», l'esclamazione convinta dei clue ufficiali, istigati cla Don Alfonso, non si trovava nel libretto, è stata aggiunta cla Mozart, e non perché condividesse l'opinione, ma perché faceva sua l'opinione testé acquisita dai suoi eroi. Non sarà stato a farsi problemi sulla veridicità clella tesi, a meno che non gli sia stata maestra l'esperienza - con Constanze ad esempio. Tale tesi acl ogni modo è in contrasto stridente con quella di altre opere, e relativi personaggi, soprattutto con la Constanze del «Ratto dal serraglio» e anche con le figure femminili del «Figaro», sia la Contessa, la cui granclezza consiste appunto nel suo rigore morale, sia Susanna che non cede al Conte, come pure Donna Elvira, nel suo fatale attaccamerlto a Don Giovanni, indicano piuttosto il contrario; provano che Mozart anche qui si era calato nei suoi personaggi, perdendo con ciò di vista l'obiettività.
Le idee di critica sociale presenti in forma larvata nel lihretto non sono sfuggite a Mozart, che al contrario ha tentato di dar loro risalto. All'epoca di «Così fan tutte» a Mozart si erano aperti gli occhi sul mondo, avvertiva ingiustizie che prima non rilevava, il suo modo di guardare alle cose era di un bel po' più amaro. Qui solo Despina appartiene a uno strato sociale inferiore. È meno coinvolta quindi nel continuum musicale. Rispetto al flusso malizioso eppur sempre elegiaco della musica non si pone in un contrasto ribelle - al contrario i suoi pezzi solistici risultano più convenzionali cli quelli clegli altri personaggi - e tuttavia Nfozart si è declicato a lei in un altro modo, l'ha dotata di una sua personale comicità, non è tanto una burlona quanto una briccona raffinata. Dalle divergenze tra libretto e partitura risulta che Mozart si è occupato con particolare gusto clelle sue battute. Alla frase cli Don Alfonso «Ti vo far del ben» Despina risponde con Da Ponte « Non n'ho bisogno, un uomo come lei non può far nulla».Mozart ha modificato la risposta mettendola anche in rima: «A una fanciulla / un vecchio come lei non può far nulla».
La grossa calamita con la quale, travestita cla medico, dà ad intencìere di scacciare il veleno dal corpo clei clue albanesi che simulano pazzia amorosa, non è invenzione di Da Ponte, che non conosceva i meìodi terapeutici di Mesmer. Mozarì invece già a dodici anni aveva conosciuto Franz Anton Mesmer, nel cui giardino sarebbe stata rappresentata «Bastien und Bastienne»: il metodo di cura mediante forze magnetiche gli era dunque familiare. Qui per altro lo spaccia per ciarlataneria. E a questo medico che sproloquia in latino non vuole nemmeno concedere solide nozioni, ragion pr cui trasforma il «bonae puellae» della formula introduttiva in « bones puelles»: a torto, perché se Despina si era studiata qualcosa a memoria se l'era studiata certo per bene, è una ragazza sveglia. A Don Alfonso al contrario vuol mettere in bocca latino autentico, corregge quindi in «ipso facto» lo sbrigativo «isso fatto» scritto da Da Ponte. Nessun dubbio, la faccenda lo ha divertito.
La vittoria del razionalismo impersonata da Don Alfonso e, su un piano diverso, da Despina sta a indicare che il vero amore e le sue tenere espressioni d'ora in poi sono persi per sempre, non solo per le due coppie ma per tutti. In futuro si agirà facendo uso di ragione. Regna così su questa musica superba una velata malinconia, che la porta a diventare una cosa sola nell'amore e nel suo scherno.
Qui è riuscito a Mozart qualcosa di unico, mai tentato prima né più tentato dopo. I recitativi accompagnati, nella loro libertà di variare i tempi e nella loro espressiva dinamica, acquistano il significato che avevano nelle prime opere serie, l'espressione diretta di sentimenti svincolata dallo schema delle arie e degli ensembles. Non stiamo poi a chieder se sia espressione di sentimenti veri o simulati. Quando Einstein ritiene parodia l'aria di Fiordiligi in si bemolle maggiore «Come scoglio» (n. 14) e Abert la ritiene una presa in giro, entrambi gli autori si sbagliano: il suo conflitto è autentico fin dall'inizio, Fiordiligi esordisce già subito come vittima di un gioco crudele. Il passaggio «Così ognor» poi è la ripresa fedele del Kyrie della Kronungsmesse (K. 317). Non si potrebbe qui ritrovare nessuna somiglianza di contenuti, ma la figurazione musicale contraddice l'ipotesi di intenzioni parodistiche.
Quando però nel primo atto i due ufficiali travestiti lasciano il recitativo secco per dare espressione - obiettivamente entusiastica - al loro rapimento - soggettivamente falso - in un recitativo accompagnato di grande portata («Amor»...., battuta 28 del recitativo . «Che sussurro».), quando prima Ferrando poi Guglielmo si abbandonano al canto, da re minore fino al sol minore, quando viole e violini portano a effetto in un poderoso crescendo ascendente la tensione dilagante, allora siamo di fronte a una superiore parodia, parodia come disciplina, che rispecchia il suo oggetto in una singolarissima bellezza, in una grandezza sui generis come non si è data mai a nessun altro, nemmeno a Mozart, né prima né dopo. Noi constatiamo: la morale non è sorgente della musica.
La simulazione qui è evidente. Eppure ci chiediamo a chi in realtà si riferiscono le espressioni amorose dei due giovani, ad esempio l'aria in si bemolle maggiore di Ferrando «Ah lo veggio» (n. 24) che deve cantare «lietissimo». Si riferisce alla nuova amante che gli cede così facilmente o alla precedente che, in rapporto diametralmente inverso a lui, rischia di cadere nell'oblio? Lo svela la musica? Non lo svela. È vero che qui e là incontriamo un apparente accenno, ma a che cosa precisamente accenni non lo sappiamo mai con sicurezza: alla commedia stessa o alla commedia nella commedia? Il testo dell'aria in sol maggiore di Guglielmo «Non siate ritrosi» (n. 15) ci sembra decisamente assurdo, non riusciamo a immaginare che le due donne siano conquistate da modi cosi volgarmente espliciti. L'aria è anche musicalmente poco pregevole (non a caso a introdurne il tema sono proprio i flauti, che Mozart normalmente non tiene troppo in onore).
In origine era prevista qui un'altra aria, in maggiore, «Rivolgete a lui lo sguardo» (K. 584) il cui testo non è meno insulso ma che musicalmente è una delle più significative arie da buflo che Mozart abbia mai scritto. Anche qui la scrittura musicale trascende il testo: nella musica úno spasimante ridicolo viene trasformato in un vero uomo. Come mai ha sostituito a quest'aria una di qualità inferiore? I biografi dicono che il senso della proporzione non gli ha qui permesso di inserire un'aria di dimensioni tali che avrebbe fatto saltare i limiti del satirico e del leggero. La spiegazione ci sembra poco illuminante, quanto meno perché non è vera. Evidentemente è stato necessario qui risolvere drasticamente un problema, forse relativo agli interpreti. In realtà l'atteggiamento di Guglielmo contrasta con il suo stesso ruolo, in quanto la assoluta mancanza di serietà del suo argomentare e il gloriarsi di attrattive solo esclusivamente esteriori possono semmai scoraggiare le due sensibili donne, tanto più se in uno stato di momentanea labilità.
È per noi incomprensibile clle una ragazza come Dorabella, per quanto più frivola della sorella, si lasci incantare da un uomo clle per presentarsi non trova niente di meglio del tipico atteggiamento da pappagallo. Si potrebbe avanzare l'ipotesi clle Guglielmo non vuole piacerle per vincere così la scommessa, a dispetto delle istruzioni di Don Alfonso. Ma questa è pura supposizione, la questione rimane aperta.
Nel quinetto in fa maggiore «Di scrivermi ogni giorno» (n. 9) sotteso da un ininterrotto ostinato degli arclli in figure di sedicesimi, il ductus del canto dei due uomini che fingono afflizione non si diffferellzia da quello delle due afflitte dame, e persino l'«a parte» di Don Alfonso «io crepo se non rido», pur in contrasto contrappuntistico, non ha effetto di parodia. Intervalli come le settime dei due ufficiali vengono per lo più usati da Mozart per genuini turbamenti emotivi dei suoi personaggi. Eppure in questo numero - rappresentativo anclle per altri - si manifesta l'elemento del gioco, come ad esempio nel passaggio in cui le due donne, in staccato su note cli un quarto, raccomandano di scrivere ogni giorno. Chi prende in giro, qui, e chi è preso in giro? Sono gli uomini a prenclersi gioco delle donne, i personaggi di noi o noi dei personaggi?
Nel terzettino in mi maggiore «Soave sia il vento» (n. 10), un capolavoro anche poetico, come alcuni altri numeri di quest'opera, lo stesso Don Alfonso si unisce all'augurio di una felice traversata, assecondato dagli archi in sordina con i loro sedicesimi, proprio come se la traversata avvenisse poi davvero, su un mare appena mosso. Qui niente sembra alludere alla finzione di Don Alfonso, lui stesso sembra involontariamente coinvolto nel gioco, e lo sono infine tutti, incluso lo stesso Mozart, che sprofonda nella finzione trascinato dal suo ingannevole fascino. La musica «non partecipa all'equivoco, ma neppure rappresenta solo la situazione esteriore e la malinconia dell'addio. La musica di Mozart rende invece evidente, in questo addio di cui il terzettino è l'epilogo, che qui vien preso congedo da qualcosa di mai più recuperabile, senza che i personaggi in questione ne abbiano sentore.» [Stefan Kunze]
Più tardi la parentesi sembra chiusa, la suggestione svanisce, anche nei brani strumentali: l'introduzione del duetto «Secondate aurette amiche» (n. 21) ci pare un andante delle prime serenate per fiati, inoltre nel suo mi bemolle maggiore si avverte già qualcosa del «Flauto magico». Il gioco crudele è sempre sul punto di farsi serio, il 'quasi' pervade tutta l'opera, specialmente nei molti ensembles rispetto ai quali talvolta l'accentuazione drammatica delle arie ci fa quasi trasalire; come numeri singoli sono non di rado in contrasto con quell'ubiquitario elemento di nostalgica malinconia per un mondo in cui può anche regnare l'alienazione ma che è anche possibile godere sotto l'aspetto della bellezza. In esso Mozart assume l'atteggiamento di Don Alfonso col dare al realismo e alla presunta realtà la sua voce. Ma si cala anche in Fiordiligi, vittima compassionevole, e in Despina, che da questo mondo cerca di trarre quanto di meglio può; è infine presente in ogni momento vissuto soggettivamente, se anche consista nel compimento di qualcosa di assolutamente prosaico: quello che la musica invece non esprime è Mozart stesso. Infatti qui, come sovente, la musica in quanto tale diventa inganno, rappresentazione del 'bello' come immagine mistificante del 'buono', e quindi Mozart ha provato piacere a questo lavoro, gli serviva forse come fuga dalla miseria che in questo periodo acquistava dimensioni minacciose, una fuga nell'arte e nell'artificio verso i suoi personaggi, i suoi manichini. Voleva far partecipare anche altri a questo gioco, perciò forse invitava gli amici alle prove, fatto non testimoniato per nessuna altra opera.
Rendiamoci ancora una volta che la musica stabilisce una sua propria logica, la logica appunto del 'musicale' nel senso kierkegaardiano. Ma oltre ad avere una sua speciale logica l'opera dispone anche, obbedendo a una volontà extramusicale, di una sua propria morale, svincolata dal testo. Su ciò Beethoven avrebbe avuto molto da dire, e nel «Fidelio» l'ha anche detto. Ma non ci riferiamo a questo, né all'espressione non traslata di un atteggiamento etico né al manifesto morale. La componente morale presente nell'opera - così potremmo argomentare - consiste nel fatto che la musica riproduce il rapporto di distanza dal suo oggetto, affidandosi in ciè alla nostra valutazione. Qui in realtà Cosi fan tutte ci sottopone enigmi maggiori che tutte le altre opere di Mozart. E se la sua musica sembra avallare, rivestendole di gioielli, le idee diaboliche dei suoi protagonisti dobbiamo dedurre che Mozart voleva lui stesso essere visto come diabolus ex machina, che ci spaccia inganno per bellezza e che dalla sua eternità sta a osservare le nostre reazioni.
«Così fan tutte» riscosse a Vienna un successo relativamente soddisfacente. Da parte di Mozart non ne sappiamo nulla. Introdusse l'opera nel suo catalogo personale con le prime battute dell'ouverture, e la faccenda per lui era risolta, almeno per quanto possiamo arguire dalla sua autodocumentazione.
Con cià la serie di lettere-petizioni e lettere-questua a Puchberg non si interruppe aflatto, esse anzi raggiunsero non di rado livelli di penosa autoumiliazione, come l'8 aprile 1790: «Ha ragione, caro amico, a non accordarmi risposta! - la mia insistenza è veramente seccante... ». Ciononostante in questa stessa lettera chiese ancora denaro in prestito che lo «cavasse» da un «momento critico». Il momento durò a lungo, fino alla sua morte.
Wolfgang Hildesheimer, «Mozart», Milano, Rizzoli, 1982, pp. 314-320.