LETTERA AL PADRE - 4 APRILE 1787
Ricevo in questo momento una notizia che mi abbatte molto - tanto più che stando all'ultima sua lettera potevo supporre che lei, grazie a Dio, fosse in buona salute - ma ora sento che lei è molto malato! Non ho certo bisogno di dirle quanto arda dal desiderio di ricevere da lei stesso una notizia consolante; lo spero veramente - nonostante abbia fatto l'abitudine a immaginarmi il peggio in ogni cosa. - Dato che la morte, a ben guardare, è la vera meta della nostra vita, già da un paio di anni sono in buoni rapporti con questa vera, ottima amica dell'uomo, così che la sua immagine non solo non ha per me più niente di terribile, ma anzi molto di tranquillizzante e consolante! Ringrazio Dio per avermi concessa la fortuna e l'occasione |: lei m i capisce: | di riconoscere nella morte la chiave della nostra vera beatitudine. - Non vado mai a dormire senza pensare che |: per quanto io sia giovane: | il giorno dopo potrei non esserci più - e di tutte le persone che mi conoscono nessuno potrà dire che io abbia un modo di fare imbronciato o triste - e ringrazio tutti i giorni il signore per questa beatitudine, che auguro di cuore a tutti gli uomini. - Nella lettera l:affidata alla Storace:l le avevo già esposto i miei punti di vista in materia |: in occasione del triste decesso del mio ottimo, carissimo amico conte von Hatzield:| - aveva 31 anni, come me - non compiango lui bensì me, profondamente, e anche tutti quelli che lo conoscevano bene come me. - Spero e mi auguro che lei stia già meglio mentre io scrivo questa lettera; se però invece pensa di non migliorare, allora la prego per... di non tenermelo nascosto, ma di scrivere o farmi scrivere la pura verità, così che io possa essere il più presto possibile tra le sue braccia; la scongiuro per tutto quanto - ci è sacro. Però spero di ricevere presto da lei una lettera rassicurante, e con questa piacevole speranza insieme a mia moglie e Carl le bacio 1000 volte le mani e sono sempre il suo ubbidientissimo figlio W. A. Mozart.
Al tempo della lettera in realtà Leopold non aveva più molto da vivere. Mozart dovette intuirlo, così almeno si direbbe stando alle sue considerazioni, benché non lo confermino con sicurezza: sanno un po' di evasione. lnoltre non si tratta di pensieri propri, ma molto più di una ripresa fedele dei contenuti del «Phädon, oder Über die Unsterblichieit der Seele», apparso nel 1767, scritto dal filosofo popolare Moses Mendelssohn, opera che Mozart possedeva e della quale deve aver letto il primo libro, a meno che non lo avessero iniziato a tali considerazioni il padre stesso o un amico più erudito, per esempio van Swieten, o il suo colto cognato Joseph Lange, che aveva anche conosciuto personalmente lo stesso Mendelssohn. Infatti non riusciamo a immaginarci Mozart come lettore se non immerso in partiture o libretti per suoi ben precisi intenti.
Non approfondiamo quanto fosse sincera l'intenzione di essere il più presto possibile nelle braccia del padre se la situazione fosse diventata seria. L'asserzione deriva molto più da un equivoco nei confronti di se stesso, da un atteggiamento di amor filiale in certo modo abitudinario piuttosto che da un impulso istintivo. E soprattutto risuona qui la ormai ben nota rimozione: non sarà poi così terribile, con l'aiuto di Dio.
Comunque stiano le cose in tutta la letteratura su Mozart questa lettera ha mantenuto carattere di documento. Un reperto fondamentale, il segno agognato di profondissima, 'costante spiritualità': la ricerca di fonti di commosso turbamento trova qui un traguardo soddisfacente. Da qui in poi fu a quanto pare possibile sviluppare la teoria di un Mozart pensatore conscio del proprio destino, e che intrattiene pensieri sereni sulla morte. l: quasi offensivo: come fosse necessario portare una prova 'irrefutabile' che Wolfgang Amadeus non sia poi stato in vita sua soltanto uno spensierato e frivolo mattacchione. La presenza della morte nella sua vita emotiva, così almeno si sostiene, è qui accertata in modo straordinario. Lo è davvero?
Per rendere giustizia a questa lettera dobbiamo fare anticipazioni. C'è un'altra lettera, più tarda e in italiano, che tratta della morte, scritta poco prima di morire. Si dubita, con qualche diritto, della sua autenticità per lo meno in quanto manifesta un atteggiamento diverso nei confronti della morte stessa. Nel settembre 1791 Mozart avrebbe scritto a Da Ponte:
Affmo Signore

Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi l'immagine di questo incognito. Lo vedo di continuo esso mi prega, mi sollecita, ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo, perché il comporre mi stanca meno del riposo. Altronde non ho più da tremare. Lo sento a quel che provo, che l'ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur si bella, la carriera s'apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiar il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla provvidenza, termino, ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto.

Vienna 7 ottobre 1791
Parecchi elementi parrebbero confermare l'autenticità della lettera. Non la menzione al «canto funebre», cioè il Requiem, né al misterioso messaggero latore dell'incarico e nemmeno alla sua immagine che perseguita Mozart - al contrario, tutto ciò deporrebbe piuttosto a favore di una falsificazione romantica - sì invece l'uso di quei sufficientemente noti luoghi comuni relativi alla morte dei quali Mozart si è più volte servito, specialmente dopo la morte della madre: l'ineluttabilità del destino, il doversi rassegnare. In certo modo dunque viene qui esposto il contrario della lettera al padre, la morte non compare più come la miglior amica dell'uomo, piuttosto come garbata nemica. È chiaro che non è la stessa cosa consolare un moribondo e cominciare a sentire su di sé la morte.
Ulteriore prova a favore dell'autenticità sarebbe lo stile compassato e artificioso, quella lingua dei libretti di cui Mozart si serviva scrivendo in italiano. Chi avesse falsificato la lettera avrebbe dunque imitato questa lingua, forse era lui stesso un librettista, certo non un italiano. Ma perché poi scriverla in italiano? Il destinatario prescelto avrebbe anche potuto non essere Da Ponte. O forse l'autore del falso lo scelse perché Da Ponte avrebbe sollecitato Mozart a recarsi con lui in Inghilterra. Soprattutto, in fine, la lettera ha il carattere di una risposta, come se chi scrive rifiutasse una proposta fattagli dal destinatario, costrettovi dalla ineluttabilità del destino. La frase «Continuo, perché il comporre mi stanca meno del riposo» ha una notevole forza persuasiva. Qui un osservatore psicologicamente acuto ha pronunciato, forse per primo, una norma di comportamento valevole per ogni individuo creativo, appunto la fuga nel creare. Fu lo stesso Mozart, in un momento irripetibile di riflessione autounalitica?
L'originale della lettera è scomparso, nessun biografo l'ha mai visto. Se si tratta di una falsificazione, è un gioiello di identificazione glorificante. Dunque non vogliamone al suo autore, chiunque sia stato. Essa ci mostra Mozart di fronte alla morte non solo come lo si è immaginato molte volte ma anche come lo si desidererebbe. Certo però questo verbale tono minore di silenziosa rassegnazione è nonmozartiano, e l'afflato di euforica trasfigurazione è proiezione di desiderio. Tuttavia la lettera contiene, già altrove espresso, quel respiro di superiorità, di dignità di un uomo cui nulla era più estraneo dell'autocompassione, e che non conosceva il sentimentalismo. Al contrario di altre falsificazioni, servite per lo più a sminuire il loro oggetto, a togliergli dignità o a calunniarlo, questo documento sarebbe una dimostrazione anonima di venerazione e nello stesso tempo un'indicazione per i posteri. Detto sinceramente, spiace che non ne sia provata l'autenticità. Anche se noi tentiamo di non tracciare immagini ideali, non riusciamo tuttavia a impedire che qualcosa in noi le vada formando.
Wolfgang Hildesheimer, «Mozart», Milano, Rizzoli, 1982, pp. 211-215.