Piero Mioli

Vie parisienne

 

Genesi di «Orphée et Eurydice»
A Parigi, all'Hótel de l'Empereur di rue de Grenelle, Gluck continuò a lavorare, anche approfittando della sospensione dell'attività teatrale dovuta al lutto per la morte del re: fece tradurre da P.L. Moline, aggiustò e in minima parte accrebbe la partitura di «Orfeo ed Euridice», che come «Orphée et Eurydice» il 2 agosto oolse successo all'Académie Royale. E nonostante la resistenza delle avversità minute e occasionali, i successi ufficiali erano incondizionati: Maria Antonietta gli assegnò una pensione di seimila lire, l'Académie Royale gliene promise altrettante a ogni nuova opera, J. S. Duplessis gli cominciò un ritratto che avrebbe completato nel '75.
Umanamente Gluck era schietto e semplice, impulsivo come sempre. Frequentava i salotti cittadini: Madame de Genlis, poi memorialista, cantò alcune arie di Gluck che l'accompagnava alla tastiera e suonò sull'arpa alcune sue ouvertures, né il maestro esitava a suonare e cantare anch'egli, con un filo di voce, rauca per di piú, ma con grande espressione. Frequentava anche i pranzi, con minor facilità di rapporto, a volte. Narra Mannlich:
«Una volta, invitato a cena dalla signora De Forbach, venne in discorso il ricevimento di Gluck a Versailles. Il re era solito ricevere gli stranieri passando loro davanti nella galleria per andare a messa, e appena li salutava con un cenno del capo. Visto Gluck, si fermò, circondato da tutta la corte, prese dalle sue mani la partitura, lo ringraziò e si congratulò del brillante successo. Durante la cena il duca, sorpreso dal silenzio che Gluck teneva su questo episodio, gli chiese se era contento. 'Sì Monsieur', rispose Gluck, 'sapevo che Sua Maestà parla raramente alle persone che gli vengono presentate. Devo essere dunque molto lusingato, perché si è fermato davanti a me, mi ha rivolto la parola e ha ccettato il mio dono. Pertanto se farò ancora un'opera per Parigi, la dedicherò piuttosto a un fermier général, perché egli mi darà degli ungari (dei soldi, n.d.r.) invece che dei complimenti'. Questa risposta agghiacciò i convitati, tutti buoni cortigiani, e visibilmente spiacque al duca che cambiò discorso.
«Un'altra volta, invitato a pranzo dal direttore dell'Opéra in un,a sua villa di campagna, aveva alla destra una dama assai graziosa, probabilmente la piú nobile delle presenti. Il discorso cadde sulla musica, sul successo e sulle bellezze di «Iphigénie». Gluck pensava soltanto a mangiare come un affamato. La moglie, che non lo perdeva di vista, gli fece dire dalla figlia, che era seduta accanto a me, di rispondere qualche cosa, una buona volta. Io feci l'ambasciata a bassa voce. Gluck me la fece ripetere due volte, e quando l'ebbe udita, mentre stava per ingoiare un boccone prelibato, gridò in francese: 'E che diavolo volete che risponda? quelle non capiscono niente.' Un profondo silenzio seguì questa esclamazione poco galante. Per fortuna arrivava in quel momento un inviato del conte d'Eu, portando in dono dodici bottiglie d'un eccellente vino di Normandia. A quella vista Gluck riacquistò il buon umore. Incaricò il gentiluomo di esprimere al conte la sua riconoscenza, pose una bottiglia davanti al suo posto e fece consegnare le altre al suo domestico perché le deponesse con cura nella carrozza, e non ne offrì neppure un bicchiere ai commensali».
In linea con il comportamento - oomunque insidiato se non dall'aneddotica dal gusto per la boutade - potevano essere l'aspetto di Gluck e il suo carattere visibile: «La sua statura era superiore alla media; senza esser grosso era atticciato, forte, muscoloso; testa rotonda, volto largo, sul rosso e butterato, occhi piccoli, un po' infossati, ma scintillanti, pieni di fuoco e d'espressione. Carattere franco, vivo, acceso, non poteva sottomettersi alle regole consuete della cortesia. Fedele alla verità, chiamava le cose con il loro nome e offendeva venti volte al giorno le gentili orecchie dei parigini abituati alla lusinga e a quello scambio di menzogne che è la politesse. Insensibile agli elogi delle persone che non stimava, aveva cari quelli dei competenti Amava sua moglie, sua figlia e gli amici, senza mai carezzarli o blandirli. Era un gran mangiatore e bevitore, ma non si ubriacava mai, né faceva indigestioni. Interessato, amava il danaro e non lo nascondeva; mostrava apertamente una forte dose di egoismo, soprattutto a tavola, dove i bocconi migliori gli appartenevano per diritto» (Mannlich).
Quanto alla professione, nemmeno l'allestimento di «Orphée et Eurydice» fu senza oontrasti.
«Le prove di Orphée procedevano meno tempestosamente di quelle di «Iphigénie», perché gli orchestrali cominciavano a capire oiò che Gluck voleva e i cantanti erano soggiogati dalla sua graande superiorità. Si giunse alla prima scena in cui Orfeo, prostrato dal dolore mentre il coro canta alle esequie di Euridice, improvvisamente si alza e grida con accento disperato "Euridice", poi ricade nella prostrazione. Gluck non era contento di Le Gros, e gli fece piú volte ripetere quel grido, in cui egli metteva troppo canto. Infuriato, gli disse: "È incredibil!e, voi gridate sempre quando dovreste cantare e una volta che bisogna cantare, non ci riuscite. A questo punto, non pensate né alla musica, né al coro, ma gridate con dolore come se vi si tagliasse una gamba, e, se lo potete, date a questo dolore un accento interiore, morale, che parta dal cuore". Si ricominciò, e Le Gros rese perfettamente l'intento del ,oompositore. Le prove furono un po' turbate dal fatto che Gluck disse ai danzatori di accompagnare il canto di Orfeo con dei semplici "non", in toni differenti, furiosamente. Quelli rifiutarono di prestarsi all'inaudita innovazione, contraria agli immutabili e consacrati statuti dell'Accademia di musica. Si discusse a lungo. Gluck insistette. Infine i demoni gridarono "Non", scuotendo i loro serpenti e balzando attorno a Orfeo con molta precisione e leggerezza. I danzatori ci presero gusto. Quella scena produsse un grande effetto. Le grida rauche e dure coprendo di tanto in tanto i suoni armoniosi e doloi della voce e della lira del supplice, li rendevano piú lamentosi e commoventi.
«Finalmente il 2 agosto del 1774 ebbe luogo la première di «Orphée», che malgrado la vecchia cabala dei sostenitori di Lulli e di Rameau fu accolta col massimo entusiasmo. Le grida dolorose e penetranti mediante le quali Orfeo interrompe con un accento così vero e patetico il canto sensibile e dolce delle rlinfe che piangono sulla tomba di Euridice; l'aria dei demoni che vietano l'acoesso all'inferno; i famosi "Non", tutto ciò fu accolto dal pubblico con l'entusiasmo piú vivo e costrinse gli antagonisti di quel nuovo stile veramente drammatico a confessare che nessuna musica aveva finora fatto loro un'impressione tanto viva e profonda» (Mannlich)
A metà ottobre del '74, dopo circa undici mesi di permanenza, Gluck ripartí da Parigi, passò per Zweinrucken, Mannheim, Schwetzingen (dove assistette all'«Amor vincitore» di Johann Christian Bach), finalmente approdò a Vienna dove dal 18 dello stesso mese, era stato nominato Hofcomponist (compositore di corte) con un onorario di duemila fiorini.
Piero Mioli, «Invito all'ascolto di Gluck», Mursia, Milano, 1987, pp. 70-73.