HOME
 

LA REGIA TEATRALE SECONDO

GILBERT DEFLO

 

Nella realizzazione d'una regia d'opera, è l'opera stessa a trasmettere diversi contenuti a differenti livelli [...]. Tutti questi elementi, con un'analisi drammaturgica approfondita, possono ritrovarsi nella rappresentazione d'un'opera del passato. Ma devo dire che mi fa orrore la cosiddetta drammaturgia "visuale", dove ogni materia e ogni scienza, riunite, vengono esposte direttamente allo sguardo dello spettatore.
La perfetta conoscenza d'un'epoca e dei personaggi, la full immersion nella situazione - tutto questo non deve essere offerto alla 'lettura' o alla 'decifrazione'. Una rappresentazione deve operare mediante una recitazione appassionata che colpisce direttamente lo spirito e il cuore dello spettatore.
La rivalutazione dell'aspetto teatrale dell'opera lirica - già avviata, per esempio in Germania, dalla Kroll Oper fra le due guerre - ha provocato numerose tentazioni di personalizzare in modi sempre più ingordi la regia; ne è risultata una deviazione della stessa funzione del regista: da semplice artigiano qual era in precedenza, crede di dover diventare un creatore assoluto, e il suo ruolo assume carattere nefasto quando vuole sostituirsi all'autore o al compositore. Invece di avvalersi dell'apporto dei registi del teatro parlato, spesso possiamo porci domande sul ruolo del regista che considera la musica come inesistente o d'importanza secondaria.
 

 

Ai nostri giorni troppo spesso si vedono registi che svuotano le opere della loro sostanza interiore che poi essi sostituiscono con tecniche esteriori, messe in scena e sfolgoranti costumi che provengono dal campo della moda e delle arti plastiche. L'immagine sostituisce la recitazione, e la regia si riduce al banale movimento dei cantanti sulla scena. Senza il lavoro approfondito con il cantante-attore il teatro corre alla sua fine. Sottoscrivo interamente le parole di Jean Vilar: l'arte della regia non dev'essere considerata fina a se stessa. Bisogna evitare di fare del palcoscenico un crocicchio dove si incontrano tutte le arti - architettura, scenotecnica, luci - a tutto danno della cosa più importante: la recitazione scenica, più esattamente la recitazione dell'attore-cantante. Anche un genere come l'opera romantica, dove pure sussistono un certo fasto e ricchezza d'immagini, è la recitazione dei cantanti, la verità dei rapporti umani a determinare, alla fin fine, la forza della rappresentazione.
In primo luogo, la mia regola è di servire il compositore, sia che mi trovi in un piccolo teatro sconosciuto o nel teatro d'opera più celebre del mondo: il palcoscenico è sacro, qualsiasi esso sia. [... Ho appena messo in scena a Barcellona «La dama di picche»: ho imparato il russo per poter leggere Puskin e capire quest'opera. Allo stesso modo mi sono preparato per il repertorio tedesco, italiano, cecoslovacco ecc. Penso che con l'amore e il lavoro è possibile arricchirsi con queste diverse culture e l'opera lirica mi sembra un mezzo appropriato perché, al di là delle singole nazionalità, è un'arte profondamente europea. Credo infatti che nessun pubblico possa appropriarsi di un'opera in nome della sua nazionalità e della sua cultura. Verdi appartiene a tutti. Il palcoscenico di un teatro è senza frontiere e io, pur essendo fiammingo, mi sento molto a mio agio in questa diversità di culture europee.
Da un'intervista a Gilbert Deflo pubblicata sul Programma di Sala della Scala di Milano dedicato a «Rigoletto», stagione lirica 1993-1994, pp. 120 e 122; a cura di Jeanne-Martine Vacher, traduzione dal francese di Olimpio Cescatti.
HOME