HOME
 

GENESI, CONTESTO STORICO E MASSONERIA

 

I
Le notizie poco rassicuranti che arrivavano dalla Francia in quel 1790 avevano reso più cupa e sospettosa l'atmosfera della capitale austriaca, che andava adattandosi all'indirizzo imposto dal nuovo sovrano, Leopoldo II, succeduto al fratello Giuseppe II. In particolar modo venne presa di mira la massoneria, a cui Mozart si era accostato con entusiasmo, attratto dallo spirito di fratellanza che questa setta professava. Era un momento difficile per il musicista: la salute cominciava a declinare, la situazione finanziaria si faceva ogni giorno più precaria, l'amico e collaboratore Da Ponte era stato allontanato dal teatro di corte.
In questo momento così delicato, materialmente e psicologicamente, giunse a Mozart l'offerta di comporre la musica per un Singspiel da parte di Schikaneder, impresario di un piccolo teatro popolare dei sobborghi di Vienna, il Freihaus Theater. Schikaneder era un personaggio curioso, come impresario amava il teatro spettacolare, ricco di scenari e di macchine complicate, come attore era considerato ottimo interprete di Shakespeare, come uomo conduceva una vita libera da legami e convenzioni. Mozart aveva per lui molta simpatia per tutti questi aspetti del suo carattere. Schikaneder era anche autore del libretto proposto a Mozart, tratto dal racconto «Lulu oder die Zauberflöte» di August Jakob Liebeskind, pubblicato nella celebre raccolta del Wieland.
Ma questo testo, inizialmente nato dalla fusione più o meno felice di elementi fiabeschi allora di gran successo (basti pensare a un analogo rilancio del fiabesco da parte del Gozzi in Italia nello stesso periodo), subì una trasformazione profonda per l'inserimento di ideali e riti di ispirazione massonica, che arricchirono l'intimo significato dell'opera. Il Singspiel o operetta tedesca era un genere abbastanza recente, la sua origine infatti risaliva circa a vent'anni prima e si ricollegava all'Opéra Comique francese, accolta con favore a Vienna fin dal 1752. Era per lo più una miscela di ingredienti diversi che andavano dalla romanza di tipo francese, all'aria italiana, ai Lieder tedeschi. Mozart, con la sua musica, riuscì a dare unità a tanti disparati momenti musicali e, quasi in un testamento, lasciò al mondo questo suo appello agli ideali d'umanità.
Il pubblico tributò all'opera un sempre crescente favore e ciò rese felice il maestro che scriveva: «Ma quel che mi fa più felice è il consenso silenzioso!» (7-8 ottobre 1791). Entro il primo anno l'opera vide più di cento repliche, ma l'autore di quella musica era morto poco più di un mese dopo la prima rappresentazione. [...] Goethe dichiarò che solo quella musica avrebbe potuto accompagnare il suo Faust.
II
Mozart aveva rinnovato la sua amicizia con Emanuel Schikaneder quando questi si stabilì a Vienna nel 1789 per dirigere il Theater auf der Wieden e non meraviglia che Schikaneder abbia voluto che Mozart collaborasse con lui ad un dramma con musica. [...] Non si sa con assoluta sicurezza quando fu scelto [il soggetto dell'opera]. Di solito si ritiene che Schikaneder, massone, si sia rivolto a Mozart nel maggio del 1791 e l'abbia convinto a scrivere un'opera per il suo teatro per aiutarlo ad evitare una grave crisi finanziaria. Mozart, a quel tempo in stato di crisi finanziaria permanente, non si trovava nella condizione di rifiutare, anche se avvertì Schikaneder che si sarebbero potuti anche trovare con un fallimento tra le mani, dato che lui non si era mai cimentato prima con una Zauberoper, o opera magica. Ma una lettera di Schikaneder
Caro Wolfgang,¨

Qui accluso vi rimando il vostro 'Pa-pa-pa', che mi piace moltissimo. Ci incontreremo stasera nel solito posto.

Vostro E. Schikaneder

che si riferisce chiaramente al duetto Papageno - Papagena dell'Atto II dello «Zauberflöte» si dice sia datata 5 ottobre 1790. Quindi l'opera può essere stata cominciata in quell'autunno, anche se la lettera di Schikaneder, riferendosi ad un incontro per quella stessa sera, non può assolutamente recare la data del 5 ottobre, perché Mozart era a Francoforte in quel periodo e rimase lontano da Vienna dal 23 settembre al 10 novembre.
In qualsiasi momento possa aver cominciato a lavorare a «Die Zauberflöte», Mozart aveva finito il primo dei due atti dell'opera prima del 2 luglio 1791, quando chiese a Constanze di «dire a quell'idiota di Süssmayr di mandarmi la partitura del primo atto, dall'introduzione al finale, così che la posso orchestrare». Sussmayr, anche lui a Baden, stava ricopiando per lui delle parti della partitura. Mozart scrisse molta parte dell'opera in un piccolo padiglione di legno nel giardino del Theater an der Wieden. Il principe Starhemberg in seguito donò il padiglione alla città di Salisburgo, dove oggi è collocato nel giardino del Mozarteum.
Mozart riusciva ad inviare denaro a Constanze per le sue spese a Baden solamente continuando a rivolgersi a Puchberg. È penoso osservare la crescente mancanza di rispetto per se stesso che si manifesta nelle lettere a Puchberg. La situazione era davvero disperata, ma l'irresponsabilità insita nel suo carattere, a cui in più di un'occasione il padre aveva alluso, contribuì alle sue difficoltà, anche se non ci sono prove concrete che, a questo punto della sua vita, egli fosse quel giocatore e quel libertino impenitente che le chiacchiere lasciarono intendere fosse, immediatamente dopo la sua morte. [...]
Il 29 [settembre] annotava nel suo catalogo personale che l'opera era stata completata. Il 30 ne diresse la prima rappresentazione al teatro di Schikaneder. Senza dubbio le prove della maggior parte dei numeri musicali dell'opera erano cominciate molto prima e molte furono dirette dal giovane Kapellmeister del teatro, Johann Henneberg, che diresse l'opera dalla terza rappresentazione in poi. Schikaneder in persona cantò il ruolo di Papageno, che Mozart aveva costruito appositamente per lui, mantenendo la musica semplice di stile e ristretta come estensione. Le arie della Regina della notte erano tutt'altro che semplici ed abbracciavano una fantastica estensione vocale, dato che questo personaggio fu cantato dalla sorella di Constanze, Josepha Hofer, nata Weber, che era famosa a Vienna per l'estensione e l'agilità della sua voce.
Fin dall'inizio, I'opera fu un immenso successo e fu rappresentata quasi ogni sera per tutto l'ottobre, il che, anche per il Theater auf der Wieden, era una cosa eccezionale. [...] Schikaneder viene considerato autore unico [del libretto]: sia sul cartellone che sul libretto, sul cui frontespizio c'è una simbolica incisione del Gabinetto di Meditazione massonico. Mozart assisté a diverse della prime repliche. Dopo quella del 7 ottobre, scrisse a Constanze: «Sono appena ritornato dall'opera, che era piena come sempre. Al solito, sono stati ripetuti il duetto 'Mann und Weib' ed il carillon di Papageno delI'Atto I, e così il trio dei fanciulli nell'Atto II. Ma quello che mi dà sempre il massimo piacere è l'approvazione muta. Si può vedere come quest'opera venga sempre più apprezzata.» [...]
III
Il lavoro di cui Schikaneder si servì di più fu un lungo romanzo francese, Sethos, pubblicato per la prima volta nel 1731 ed in seguito tradotto in molte lingue. Ci furono due traduzioni tedesche; la prima nel 1732 e la seconda nel 1778. [...] Molti dettagli dello «Zauberflöte» provengono direttamente da Sethos, e nella prima aria di Sarastro e nel coro degli Armati, il romanzo viene citato quasi alla lettera.
Che «Die Zauberflöte» fosse qualcosa di più di una mera, sciocca pantomima, gratificata dalla sublime musica di Mozart, fu riconosciuto fin dall'inizio. Fin dal 1794 cominciarono ad apparire articoli sul significato del lavoro. Fu descritto come una parabola della lotta tra il bene e il male e come un'allegoria politica, con la Regina della Notte che rappresentava Luigi XIV, Tamino il popolo francese e Pamina 'la liberté'. Comunque non fu che verso la metà dell'Ottocento che si cominciò a discutere apertamente sui riferimenti massonici dell'opera e fu nel 1866 che Moritz Alexander Zille, un massone di Lipsia, decise che Pamina rappresentava il popolo austriaco, Maria Teresa la Regina della notte e Tamino (non Sarastro) l'imperatore Giuseppe II (anch'egli massone).
Solo nel 1914 fu pubblicato qualcosa che identificava cautamente certe parti del libretto con aspetti del rituale segreto massonico. Al tempo della prima produzione dello Zauberflöte, e per molti anni in seguito, i massoni presumibilmente risposero al reale significato del lavoro, mentre i non massoni poterono apprezzare il dramma in generale, senza porre i misteri di Iside e Osiride in relazione a quelli della massoneria. È noto come Goethe, massone, abbia parlato dei due livelli sui quali ci possiamo accostare al lavoro. Egli produsse l'opera a Weimar nel 1794, progettò e cominciò a scrivere un seguito, di cui ci sono rimasti alcuni frammenti, per il quale voleva che Wranitzky componesse la musica. In effetti Schikaneder scrisse e nel 1798 mise in scena un seguito, «Das Labirint, oder Der Kampf mit den Elementen», con musica di Peter von Winter.
Nel 1968 il professor Jacques Chailley scrisse un libro [«The Magic Flute, Masonic Opera», Gollancz 1972] che, molto accuratamente, confortato da una grande quantità di informazioni riguardanti la massoneria nella Vienna del Settecento, dimostra come «Die Zauberflöte» sia un lavoro in cui compositore e librettista si proposero del tutto consapevolmente di costruire una storia simbolica con un significato nascosto, un lavoro i cui ideali massonici sono intrecciati in modo vitale alla sua struttura e non aggiunti semplicemente come ornamenti secondari. Chi non conosce gli argomenti del professor Chailley, non ha bisogno di sentire che la sua fruizione dello «Zauberflöte» è per questo necessariamente superficiale, ma chi si prende la briga di leggere il libro, sicuramente troverà di apprezzare di più l'opera, quando poi la rivede a teatro.
Ogni generazione, dal 1791, ha trovato in quest'opera le proprie idee, desideri ed aspirazioni: allegoria storica, rituale egizio, satira sociale ed anche le cerimonie simboliche della massoneria. Ma il professor Chailley dimostra esaurientemente che il libretto dello «Zauberflöte*, lungi dall'essere quel miscuglio di vaudeville messo insieme alla svelta che molta gente pensa che sia, come rituale massonico ha perfettamente senso. Questa naturalmente, non è un'opinione sorprendentemente originale. Ciò che è nuovo è la minuzia con cui Chailley sostiene le sue ragioni, illustra le sue prove ed arriva alle sue conclusioni. Egli ha sottoposto ad un esame estremamente attento non solo il libretto ma anche la musica. La lotta, come lui la vede, non è tra il bene ed il male, ma tra l'Uomo (Sarastro) e la Donna (la Regina della Notte).
Prendiamo qui solo due esempi per illustrare il suo metodo. La primissima scena dell'opera, dice, «è piena di allusioni al rituale femminile delle Logge di Adozione», rituale in cui, per esempio, l'esaminatrice applica un lucchetto alla bocca della futura Compagna, per difenderla dai pericoli del chiacchiericcio inutile. E questo è esattamente ciò che accade a Papageno. Sebbene egli sia un uomo, è tuttavia al servizio di una donna, la Regina della Notte.
Le prove d'iniziazione del secondo atto, secondo Chailley, sono modellate molto da vicino sui cosiddetti 'viaggi' dell'iniziazione massonica nel primo grado, o grado 'dell'Apprendista' e successivamente evocano i quattro elementi, Terra, Aria, Acqua e Fuoco. Queste prove massoniche, a quanto pare, sono accompagnate da una severa ingiunzione al silenzio. Nella seconda scena dell'Atto II dell'opera, Tamino viene esaminato sulla sua sapienza e sulle sue intenzioni riguardo all'Ordine nel quale egli chiede di essere ammesso. Ecco perché, ci dice Chailley, le tre Damigelle, che qui rappresentano l'aspetto sociale del mondo femminile, sorgono da sotto il palcoscenico - ossia la Terra - cercando di screditare gli Iniziati agli occhi di Tamino. Questo dà origine ad una scena piena di quelle che allora erano allusioni contemporanee e permette a Schikaneder e a Mozart di protestare pubblicamente contro le accuse che venivano allora lanciate contro la massoneria.
Se il professor Chailley ha interpretato bene i suoi elementi massonici, ed io devo supporre che l'abbia fatto, allora questo è davvero molto convincente. Convincente, cioè, su un livello. Sappiamo che Mozart e Schikaneder erano massoni, e se la loro opera ha senso in termini massonici, allora sarebbe assurdo negare che è così perché sia il compositore che il librettista consapevolmente lo vollero. Comunque, anche se «Die Zauberflöte» può essere un'opera massonica, non è solo quella. È sia una farsa provinciale viennese, sia un capolavoro di spiritualità trascendentale. La linea di separazione tra il ridicolo ed il sublime è sottile come quella che esiste tra la maggior parte degli altri opposti evidenti. Se Die Zauberflöte tratta della lotta tra gli elementi maschili e quelli femminili, tratta anche dell'unione di quegli elementi in una creatività più grande e più libera. Per 'lotta', forse è meglio leggere 'tensione creativa'. Il grande coro finale, che in apparenza loda Iside e Osiride per aver penetrato i recessi della tenebra con la loro luce sfolgorante, è un inno di lode alla virtù ed alla saggezza di qualunque credenza religiosa o filosofica.
Nelle rappresentazioni, l'opera viene invariabilmente accorciata, non togliendo qualcosa della musica di Mozart, ma abbreviando il testo di Schikaneder. Questo, specialmente in una esecuzione in tedesco davanti ad un pubblico non tedesco, è forse comprensibile. Ma una volta ho assistito ad una rappresentazione studentesca in cui il libretto veniva recitato senza tagli e dovetti rendermi conto di quanto diverso appaia il lavoro quando si alterano drasticamente le proporzioni di musica e parola. Chiaramente, «Die Zauberflöte», nel teatro periferico di Schikaneder nell'autunno del 1791, somigliava più ad un dramma con qualche brano di musica che ad un'opera con dialoghi, e nel dialogo parlato si trovano altrettanti elementi massonici che nelle parole cantate.
HOME