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ATTO I

 

Scena I. Il giovane principe Tamino (tenore) è a caccia. Ha l'arco in mano, ma senza frecce e un serpente l'insegue. Chiede ripetutamente aiuto, poi cade svenuto dal terrore. A salvarlo intervengono tre ancelle velate e armate di lance d'argento,che uccidono il drago. Le tre ancelle indugiano ad ammirare la bellezza di Tamino e ciascuna vorrebbe rimanere sola per prendersi cura di lui, ma siccome nessuna cede all'altra, partono tutte e tre.Tamino rinviene e si domanda quale potenza l'ha salvato.
Oltre all'Ouverture, ho registrato di questa prima scena la parte di Tamino, per la sua concitazione drammatica, che rappresenta una concezione certamente originale per un tenore del settecento, di solito impegnato - come dice il Della Corte - in virtuosismi belcantistici o in arie sospirose e galanti. È una delle pagine che hanno suggerito, per «Il Flauto magico», la definizione di opera preromantica. Ho registrato anche la prima parte delle tre ancelle, le quali esultano per la vittoria riportata sul drago. Anche musicalmente è importante prendere subito conoscenza di queste tre voci omogenee, che danno il senso del meraviglioso e del soprannaturale a tutta l'opera, dapprima nel regno della Regina della Notte, come ancelle, poi in quello degli iniziati del Gran Sacerdote Sarastro, come geni, sempre nel numero di tre.
Ascoltiamo l'Ouverture, la parte di Tamino e la prima parte del canto delle ancelle. I tre accordi iniziali dell'Ouverture introducono subito nell'opera il simbolismo esoteríco. Dall'Allegro essa è elaborata in stile contrappuntistico come una fuga. Qualcuno ha interpretato le note ribattute che caratterizzano quest'Allegro come un simbolico lavoro di loggia dei «maglietti».
Scena II. Rinvenuto, Tamino si domanda chi mai può averlo salvato e dove si trova; e poiché avverte l'arrivo di qualcuno, si nasconde dietro un albero. Chi arriva? È Papageno l'uccellatore, il personaggio buffo dell'opera, che va in giro tutto vestito di piume, con una gabbia di uccelli e suonando il flauto di Pan. L'aria che canta, presentandosi con la prosopopea dello scaltro prenditore di uccelli, è popolare, ma nel gusto raffinato della liederistica viennese e gustosamente punteggiata dalle cinque note del flauto di Pan.
Nel parlato che segue, caratteristico del Singspiel tedesco, Papageno fa poi lo smargiasso con Tamino e commette l'imprudenza di attribuirsi il merito di averlo salvato. Ascoltiamo la famosa aria di Papageno «Der Vogelfänger bin ich ja» (Son io l'uccellatore).
Scena III. Ricompaiono le tre ancelle che hanno salvato Tamino e che ora, per ordine della Regina della Notte, vengono a punire Papageno perché ha mentito. Invece dei doni quotidiani di «liquor, fichi e ciambelle», portano un lucchetto dorato per chiudergli la bocca. Deve imparare «a non mentire con gli stranieri», ed anche, secondo una di quelle sentenze moraleggianti di cui il libretto è cosparso, a non usurpare mai l'onore delle azioni meritorie compiute da altri. Le tre ancelle rivelano a Tamino che è per loro se vive, e a salvarlo le mandò l'Astrifiammante alta Regina, la quale vede in lui il liberatore di Pamina, sua figlia, rapita dal Gran Sacerdote Sarastro.
Scena IV. Tamino osserva il ritratto di Pamina, che prima di partire gli hanno lasciato le tre ancelle; è estasiato dalla sua bellezza e canta l'aria «Dies Bildnis ist bezaubernd schön» (O immagine meravigliosa), che è di un lirismo appassionato e alto e comprende tutta la IV scena. L'aria è accompagnata, oltre che dal quintetto d'archi, da 2 clarinetti, 2 fagotti e 2 corni, che intrecciano una trama orchestrale di grande trasparenza.
Segue l'ascolto dell'aria di Tamino.
Scena V. Le tre ancelle dicono a Tamino che la Regina ha udito le sue espressioni di ammirazione per la figlia e che confida nel suo valere affinché venga liberata. Esse gli dicono inoltre che il rapimento fu compiuto da un «empio», che in mille modi cambia forma e aspetto e che, inosservato, seguí Pamina, la sorprese e la rapì.
 

Massoneria e potere

 

In questa scena V incomincia ad intessersi, sotto il velo della favola, la situazione politico-sociale del tempo. La Regina simboleggia verosimilmente l'imperatrice Maria Teresa d'Austria, che era stata nemica acerrima della Massoneria, benché il marito vi avesse appartenuto e vi si iscrivesse poi anche il figlio. Rimasta vedova, convinta com'era che la setta svolgesse un'azione nefasta, non esitò a perseguitarla e vietarla, mentre il figlio, co-reggente dell'Impero, ne favoriva l'attività segreta, in quanto si armonizzava - dice il Paumgartner - coi suoi ideali liberali e umanitari.
Fino a questo momento, la vicenda della favola è favorevole alla Regina, che appare come la vittima di Sarastro. In quest'ultimo, a sua volta, è individuabile il capo della Loggia piú importante di Vienna, detta della «Vera Concordia», che era l'illustre mineralogista Ignaz Nobile von Born.
Scena VI. Preceduta da lampi e tuoni, appare la Regina della Notte, la quale canta la famosa Aria che viene spesso eseguita nei concerti vocali-strumentali. La Regina ripete a Tamino la storia del rapimento e gli esprime il suo dolore. Se tornerai vincitore - gli dice - Pamina sarà tua per sempre.
Quest'Aria consta di un recitativo d'introduzione, un Larghetto e un Allegro. Il Larghetto, nella tonalità di sol minore, è una pagina stupenda e conferisce al canto della Regina un'espressione umana e toccante, molto appropriata al dolore per il rapimento della figlia. L'Allegro è vocalmente virtuosistico, ma improntato a quell'eleganza e a quella luminosa invenzione che caratterizzano tutta l'opera di Mozart.
Segue l'ascolto della notissima aria della Regina della Notte e,
Scena VII, del breve duetto fra Tamino e Papageno il cui comico mugolio è dovuto al lucchetto che gli chiude la bocca.
Scena VIII. Tornano le tre ancelle, le quali perdonano Papageno e gli tolgono il lucchetto, non senza ammonirlo che non dovrà piú mentire. Il libretto annovera qui un'altra sentenza moraleggiante e dice: «Se tutti i mentitori ricevessero un tal lucchetto sulle labbra, l'amor fraterno regnerebbe sull'odio e sul livore». Le tre ancelle consegnano poi a Tamino il dono della Dea stellifera, la Regina della Notte, e cioè un flauto d'oro, il cui suono lo sosterrà «nell'alte imprese», un flauto insomma dal magico potere. E ordinano a Papageno di seguire Tamino, con conseguente comica protesta di Papageno, il quale pensa che Sarastro lo metterà arrosto per il suo pranzo.
La vicenda dell'opera è dominata dall'esoterico numero «tre»: tre sono gli accordi che introducono all'Ouverture e che si ripeteranno nel corso dell'opera; tre sono, le ancelle, ed ora sono le stesse ancelle che informano Tamino e Papageno che nel regno di Sarastro il cammino sarà loro indicato da tre Geni. Anche Papagerio, per questo víaggio, avrà il suo talismano: uno strumentino di campanelli, il cui suono promuove allegria, cioè un glockenspiel.
Scena IX. Nella scena che segue siamo già in territorio nemico. C'è un andirivieni di schiavi che portano dei sofà e uno di essi dice che Monostato, il loro capo, colui che ha l'incarico di tener prigioniera Pamina, e che nella realizzazione scenica viene presentato come un negro, dovrebbe essere impiccato, impalato, perché vorrebbe «assaggiare il boccone prima del padrone».
Scena X. Pamina è condotta dagli schiavi davanti a Monostato e si ribella alla sua volontà di possederla. Monostato minaccia di metterla alla catena, ma inaspettatamente, da una finestra, entra Papageno (Scena XI), il quale, come s'è detto, rappresenta nella favola l'elemento comico che si alterna a quello serio. Papageno non sa dove si trova, si guarda attorno e vede per prima Pamina, della cui bellezza rimane colpito. Quando però si vedono, Papageno e Monostato si osservano, hanno paura l'uno dell'altro, e fuggono in opposte direzioni.
Si ascolta il breve duetto fra Monostato e Pamina, l'entrata di Papageno e il brevissimo, umoristico duettino tra Monostato e Papageno.
Scena XII. Pamina, rimasta sola, invoca la madre e si chiede se finiranno i suoi affanni.
Scena XIII. Papageno ritorna dove è prigioniera Pamina, la quale, sentendolo pronunciare il nome della Regina della Notte, vuol sapere chi è. Papageno si pavoneggia e le dice di essere un messo dell'Astrifiammante, venuto col principe Tamino per liberarla. Fra i due personaggi ha luogo un lungo dialogo parlato ed una mimica, da parte di Papageno, che richiede l'arte non facile di rendere l'elemento comico. Pamina è ansiosa di vedere Tamino, cioè il principe che per amor suo sfida il pericolo.
Segue l'ascolto del duetto, in cui' sia Pamina che Papageno esprimono, attraverso il tempo ondeggiante del sei ottavi, tutta la dolcezza del sentimento d'amore, Pamina per Tamino e Papageno per una Papagena che non ha ancora trovato.
 

Sviluppo della simbologia e degli ideali massonici

 

Scena XIV. In questa scena riprende, e si sviluppa la simbologia massonica. Essa raffigura infatti tre templi, quello della Sapienza, quello della Ragione e quello della Natura, che corrispondono agli ideali illumínistici del tempo, che la Massoneria condivideva e propagava nella sue Logge. Siamo nel regno del Gran Sacerdote Sarastro, che è il capo degli iniziati, e i tre Geni, di cui abbiamo parlato, guidano Tamino. Da questo momento ha luogo la svolta della vicenda: Tamino è dapprima convinto dell'offesa subita dalla Regina della Notte, tanto che parte con l'animo di chi deve affrontare in Sarastro un nemico, ma a poco a poco viene conquistato dal mondo segreto degli iniziati. Intanto i tre Geni lo istruiscono e gli rammentano che la sua impresa potrà riuscire solo se avrà indomita Costanza, Fede e Silenzio. Quando però Tamino bussa alle porte dei templí laterali, voci ammonitrici lo invitano a tornare indietro.
Solo dalla porta centrale esce un vecchio sacerdote, il quale gli dice che nessuna porta del tempio può aprirsi per lui, perché non ha compreso il senso dell'insegnamento dei tre Geni ed è ancora animato da spirito di vendetta, anziché di amore e virtú. Dal dialogo fra Tamino e il vecchio Sacerdote emerge un contrasto di idee sulla figura di Sarastro, che può benissimo essere interpretato come quello che doveva esistere, al tempo di Mozart e Schikaneder, fra l'ambiente di Corte e della Chiesa da una parte, rappresentati ancora dalla coscienza di Tamino, e la Massoneria progressista e umanitaria dall'altra, rappresentata dal vecchio Sacerdote, il quale dice a Tamino che Sarastro non è un mostro, un tiranno, come egli crede, ma un benefattore illuminato e saggio. Tamino chiede al Sacerdote, il quale è legato all'obbligo del silenzio, che gli indichi almeno dov'è Pamina, se vive, e se «può sperare che cada il velo del mistero». Il vecchio Sacerdote gli risponde che il velo sarà tolto quando un sentimento di amicizia lo condurrà nella via eterna del santuario. Qui il gioco si fa estremamente sottile fra la favola, che ci fa pensare a una Pamina in carne ed ossa, effettivamente rapita alla madre, ed una Pamina simbolo della Massoneria stessa, di cui il libretto di Schikaneder fa inequivocabilmente l'apologia.
Le parole del vecchio Sacerdote contengono in sostanza questa equazione: «Tu potrai raggiungere Pamina quando sarai capace di vera amicizia», cioè «Tu potrai ottenere la iniziazione quando sarai capace di vera amicizia». L'identificazione è sottile, ma a quel tempo agitava un tema di grande attualità, come, del resto, l'identificazione di alcune personalità politiche del tempo coi personaggi della favola. E l'interesse che dopo le prime rappresentazioni cominciò a suscitare l'opera sul pubblico, probabílmente si dovette, oltre che alla musica, alle allusioni del libretto.
Pamina, dunque, è viva. Voci misteriose lo comunicano a Tamino e questa scena si conclude con un'aria che esprime lo smarrimerito di Tamino stesso, il quale suona per la prima volta il flauto datogli dalla Regina della Notte, perché si compia la magia dell'apparizione di Pamina.
Segue l'ascolto di tutta la scena XIV, che comprende la parte dei tre Geni, il bel recitativo accompagnato di Tamino, l'unico di tutta l'opera, il dialogo di Tamino e del vecchio Sacerdote, il suono del flauto e l'aria di Tamino. Si noti il tono di solennità che Mozart conferisce alla parte del vecchio sacerdote.
Scena XV. Alla bell'Aria di Tamino si collega, in questa scena, un grazioso duetto di Papageno e Pamina, i quali cercano a loro volta Tamino con l'ausilio del flauto di Pan di Papageno.
Scena XVI. Monostato sorprende Papageno e Pamina mentre cercano di fuggire e minaccia di farli incatenare. Papagerio suona allora il suo carillon magico e Monostato e gli schiavi rapiti dal suono, si mettono a ballare e cantare.
Segue l'ascolto di questo brano che, accompagnato dal glockenspiel di Papageno, è di una comicità e di un'invenzione musicale veramente squisite.
Papageno e Pamina rimangono soli e in un delicato duetto ìntroducono ancora una sentenza moraleggiante: se ogni buon uomo potesse possedere un carillon simile a questo, i suoi nemici dileguerebbero presto ed egli vivrebbe nella migliore armonia. Solo l'armonia dell'amicizia addolcisce le pene e senza di essa non v'è felicità sulla terra.
Una marcia interna e il coro annunciano l'arrivo del Gran Sacerdote Sarastro, mentre Papageno recita una delle sue solite scene di comica paura. Si domanda che cosa dirà a Sarastro, e Pamina, a conferma dell'intonazione moralistica della favola, gli risponde: dovrai dire il vero, non mente un cuore nobile. Nel testo tedesco gli ripete due volte «die
Wahrheit, die Wahrheit», la verità, la verità. Il libretto è tutto imperniato su questi valori morali e lo stesso Tamino - come osserva il Paumgartner - non è un eroe nel senso eroico, ma nel senso etico del termine.
Si ascolta il breve coro che inneggia a Sarastro, la scena di Papageno e l'intervento di Pamina.
Scena XVII. Entra Sarastro sopra un superbo cocchio. I. sacerdoti che l'accompagnano cantano un inno in lode di Iside. Sarastro dice a Pamina, che gli chiede pietà per aver tentato di fuggire, di non sperare che possa lasciarla libera, perché aggiunge - ciò ti costerebbe la felicità. La vicenda continua a volgere in favore del tempio degli iniziati: l'empio, il mostro sembrava Sarastro, mentre è lui che ora giudica la regina spietata e di cuore altero, è lui che ora vuole la felicità di Pamina, che si realizzerà solo quando uno sposo fedele la guiderà al vero. L'allusione massonica sulla necessità di conoscere e amare la verità, per essere veramente liberi, e di combattere l'ipocrisia e la tirannia del potere, simboleggiate dalla Regina della Notte, è chiara.
Scena XVIII. Il primo atto si conclude col coro dei sacerdoti che inneggiano a Sarastro e mentre Tamino e Pamina vengono condotti nel recinto delle prove del fuoco, dell'acqua, dell'aria e della terra, che sono le prove della purificazione e, secondo il rituale massonico, si benda loro la fronte.
 

ATTO II

 

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