BIOGRAFIA - LETTERE E SCRITTI 1838


Schumann, conquistato dall'entusiasmo della fidanzata, progetta di passare due mesi a Parigi, città immensa che splende sul mondo. Laggiù, potrebbe incontrare molti artisti amatissimi: Berlioz, per esempio, o Simonin de Sire; il suo patrimonio intellettuale si arricchirebbe. Clara gli consiglia di dirigersi piuttosto a Vienna, poiché ella pensa non già a una escursione ma alla possibilità che Robert si stabilisca fermamente in Austria. Per giungere a questo occorre una capitale di lingua tedesca; la Neue Zeitschrift für Musik potrebbe trasportarsi nella città degli Absburgo e lui potrebbe ottenere un posto di professore nel Conservatorio.
Schumann sembra sedotto dall'idea. Fin dal 18 marzo 1838 ne parla coi fratelli Eduard e Carl. Se potrà rescindere il suo contratto con Friese, se troverà un editore a Vienna e otterrà dal governo austriaco l'autorizzazione a pubblicare il giornale, egli sceglierà senza dubbio la città di Mozart e di Schubert.
E quando tutto sarà in ordine, Clara lo raggiungerà e si sposeranno.

Una gioia ancora: Clara entra in conoscenza con Liszt, ch'è venuto a Vienna per dare una serie di concerti a beneficio delle vittime dell'inondazione del Danubio. I due pianisti, l'uno grande e di esteriore potenza, l'altra piena di semplicità profonda, si trovano a fronte e, immediatamente, scoprono un terreno d'intesa che si chiama Schumann. Il generoso Franz ha già celebrato, nella Revue et Gazette Musicale de Paris, le lodi, degli Impromptus (op. 5), della Sonata (op. 11) e del Concerto senza orchestra (op. 14); Clara gli dà da leggere il Carnaval e i Phantasiestücke. subito conquistato e grida la sua ammirazione con quella violenza tempestosa che gli è propria: non esita ad affermare che il Carnaval è l'opera di un genio.
Schumann assiste da lontano all'incontro di Liszt con Clara e ne resta tutto sconvolto. Da molto tempo egli ama quel giovane dal viso emaciato che racchiude l'Europa nel suo pianoforte, quell'artista che non esita un momento a riconoscere il talento di un collega, egli lo ama già da un pezzo. Vorrebbe esprimergli la sua gratitudine, dirgli che nessun critico lo ha mai tanto aiutato col suo incoraggiamento; vorrebbe appoggiare il suo capo dai lunghi capelli contro quell'altra chioma non meno fluente. Ma è inchiodato a Lipsia e non può far altro che chiedere a Clara di ringraziare Liszt con un lungo sguardo.

Mai Schumann si è sentito così traboccante di musica. Dire che vive solo di musica e per la musica sarebbe errato: in virtù di un miracolo che è dato in sorte soltanto a un esiguo numero di artisti, la musica, per lui, è diventata vita, è penetrata nelle pieghe più segrete della sua anima, ha riempito le cavità più profonde del suo cuore, ha conquistato i suoi nervi a uno a uno, così da regnare sulle sue sensazioni e da solennizzare i suoi sentimenti. Non si può parlare di unione, se per unione si intende l'affinità che lega due esseri distinti; si tratta piuttosto di identificazione, di fusione assoluta.
Clara non si mostra gelosa. Sarebbe come essere gelosa di Robert e di se stessa. Tutto il tempo ch'egli dedica all'arte, non è perso per lei, che sa come il musicista attraverso la musica, unica forma del vivere, rappresenta indifferentemente il passato, il presente, l'avvenire.
Un giorno, Clara ha scritto che egli le faceva l'effetto di un grande bambino. È esatto; basta che pensi intensamente ai suoi primi anni, perché Robert si senta un'anima trasparente, leggera, sensibile, un'anima di fanciullo. Siede allora davanti al pianoforte e compone le Scene infantili. Niente è più semplice. Agita dolcemente i suoi ricordi e sotto le sue dita scaturiscono melodie d'altri tempi, gli echi di quegli strani paesi in cui lo trasportava la sua fantasia di bimbo.
Clara gli scrive: "T'amo". Tutto il suo desiderio lo sospinge verso di lei, lontana. Siede allora davanti al pianoforte e compone le Davidsbündlertänze (Danze dei compagni di David),

tutte cosparse di motivi che fanno pensare al matrimonio; o quelle pagine sorprendenti, folli, quasi solenni, che egli chiama Kreisleriana [In correlazione a una raccolta di scritti pubblicata da E. T. A. Hoffmann nel 1814 con lo stesso titolo e centrata sulla figura fantastica del compositore e direttore d'orchestra Johann Kreisler, tipo ideale del musicista romantico] o quella Fantasia in do maggiore, la prima parte della quale è un immenso grido alitante verso il cielo.
Quando ella, la creatura adorata, suonerà le Danze, la Kreisleriana, la Fantasia, potrà restare stupita o esitare a riconoscersi? Il fidanzato l'ha proiettata tutta intera, così come egli la vede e l'adora, in quella musica appassionata, palpitante, fatta ad immagine del presente. Può essere altrimenti? Clara è la sua vita; la musica è la sua vita.
Durante tutta la primavera di quel 1838 la musica sgorga senza il minimo sforzo, con la violenza, l'impetuosa purezza dei torrenti di montagna.
E nel mese dei ciliegi in fiore che Clara ritorna a Lipsia. Robert la rivede con quel misto di gioia e di amarezza che prova ad ogni loro incontro. Preferisce quasi saperla all'estero o in qualche regione sperduta della Germania, per sentire con minore angoscia il tormento di esser separato da lei. Più Clara è vicina, più la loro posizione gli sembra miserabile. Pensare che Clara è seduta al Rosenthal, a cinquanta passi da casa sua, e che a lui è proibito andare da lei, parlarle, diventa insopportabile. Non sarebbe meglio se restasse a Dresda o altrove?
D'altra parte, la presenza di Wieck a Lipsia eccita Schumann. Ha sopportato con molta pazienza le lettere piene di ingiurie del Vecchio, ma ora esplode, quando viene a sapere da Clara che suo padre lo accusa di indolenza. E il Carnaval, e la Sonata in fa diesis minore, e la collaborazione agli ottanta numeri della rivista, e Bach e Beethoven di cui ha fatto il suo nutrimento quotidiano, e la corrispondenza? Evidentemente nulla di tutto ciò merita di esser preso in considerazione. Dimenticano anche che avrebbe potuto dissipare tutto il patrimonio comprando cavalli, e che, invece, continua imperterrito ad andare a piedi per la strada di Gohlis.
Così, con una specie di sollievo disperato, verso la metà di giugno, vede Clara partire per Dresda, mentre lui stesso progetta un viaggio a Vienna. Scrive a Fischof per avere informazioni sul Conservatorio e a Vesque de Püttlingen, consigliere di cancelleria, che gode vasta influenza negli ambienti politici e si dice protettore delle arti, per esporgli l'idea di trasportare a Vienna la Neue Zeitschrift für Musik. Senza dubbio la censura austriaca ha fama di essere terribile, ma Robert insiste sul fatto che la rivista non ha mai pubblicato alcun testo che avrebbe potuto offenderla e giustificare un divieto di stampa.
Le risposte dei corrispondenti sono formali: può e deve tentare il viaggio a Vienna. Schumann prende allora la decisione di lasciare Lipsia alla fine di settembre. Se conquisterà la capitale, avrà anche Clara e potrà forse veder attuato il suo sogno: ottenere dalla fidanzata la rinuncia alla professione di concertista. Soffre infatti di vederle prodigare i suoi tesori a filistei induriti, a paralitici dell'anima, a creature grette e meschine.

Riposerai le dita quando non avrai voglia di suonare davanti a persone che non ne sono degne... Mi comprendi, non è vero, mia carissima?

Tutti questi pensieri, e molti altri ancora più cupi, agitano Schumann durante il concerto che Clara dà a Lipsia il 7 settembre. È il concerto dell'addio.
Il 28 settembre, per lo stesso cammino percorso da Clara l'anno prima, Schumann si dirige verso l'Austria. Dopo aver sostato a Praga, dove i musicisti lo divertono col loro egoismo un po' infantile (non fanno che parlare di se stessi, delle loro composizioni, dei loro idilli e si colmano di complimenti reciproci, pur continuando a restare convinti ciascuno della propria superiorità), arriva a Vienna. Della città non vede nulla, preoccupato com'è di presentare i suoi omaggi a Vesque de Püttlingen, a Sedlinsky, ministro della censura e della polizia e all'editore Haslinger. Di chi fidarsi in quella città? Haslinger, grosso e gioviale, sembra buono e amichevole; Sedlinsky promette il suo appoggio e Vesque mostra un interesse, un entusiasmo, un ottimismo di buon augurio. Quello che inquieta Schumann, è l'atmosfera dell'ambiente; ci sente puzzo di intrighi, di manovre, di consorterie. Sa che in una città consacrata al piacere, bisogna adulare e lisciare. Che convenga, per essere abili, adottare nella rivista un altro tono, a danno suo e della gente per bene? Sedlinsky consiglia caldamente di affidare la rivista a Haslinger; molti ostacoli verrebbero così superati. Ma Schumann teme che Haslinger cerchi di farvi prevalere l'influenza del suo clan.
Così, nel suo isolamento, Schumann è ben felice di incontrare un mentore: il figlio di Mozart, musicista anche lui, che lo introduce in parecchie famiglie, lo porta all'Opera ed è d'accordo nell'idea di aspettare il ritorno della signora De Cibbini per svolgere la parte più importante delle azioni progettate. La signora De Cibbini è la grande speranza di Robert e di Clara. Dama d'onore dell'imperatrice, pianista e compositrice, ha stretto amicizia con Clara quando la fanciulla era a Vienna. Clara, in una lunga lettera affidata a Schumann, le ha rivelato ogni cosa: il suo amore infelice, i suoi desideri, gli scopi di Robert. Non c'è dubbio che essa metterà tutta la sua influenza al servizio di una causa che interessa tanto la musica quanto la felicità della sua amica. Ed essa può tutto.
La signora De Cibbini deve tornare a Vienna il 24 ottobre; Schumann l'attende con ansia. Ora è indispensabile che egli riesca al più presto, perché Clara gli scrive che il Vecchio, esasperato dalla loro costanza, fatto ardito dalla lontananza di Robert, continua a inveire contro di loro. Come sempre, Schumann si sente doppiamente ferito: nella sua dignità e nella persona di Clara. Che vita sarà mai la sua, tutta sconvolta da scene di violenza, da ingiurie, da rimproveri, e come potrà lavorare? Robert scongiura la fanciulla di lasciate suo padre, di rifugiarsi presso Therese Schumann che l'accoglierà come una sorella. Ma essa preferisce ritornare su un progetto di tournée in Francia di cui si era già parlato una volta.
L'accoglienza della signora De Cibbini è deliziosa; tuttavia gli affari di Robert non sembrano per questo andar meglio. Sedlinsky ha precisato che se Schumann vuole conservare la proprietà della rivista, deve prendere la cittadinanza austriaca oppure trasferire la proprietà a un editore austriaco che gli darà il posto di redattore capo. Schumann non sa rassegnarsi ad accettare nessuna delle due soluzioni proposte. D'altra parte, teme sempre che Oswald Lorenz, al quale prima di partire da Lipsia ha affidato la direzione della rivista, abbia a pubblicare in quei giorni qualche articolo che possa spiacere alla censura, all'onnipresente censura di Metternich. Tutto è in sospeso.
Clara, da parte sua, si decide: partirà per Parigi, anche se Wieck rifiuta di accompagnarla e già pregusta un possibile insuccesso. Andrà sola, o in compagnia di un'amica, una francese. Laggiù essa lavorerà ad allargare il suo repertorio e si aprirà le porte dell'Inghilterra e della Russia. Riesca o no Robert a Vienna, il matrimonio diverrà così possibile.

***

Alla fine del '38 Robert decide di tentare una nuova avventura: conquistare il mondo musicale di Vienna, la città di Mozart, Beethoven e Schubert. Consigliato in ciò anche da Clara, intraprende il nuovo viaggio senza eccessivi entusiasmi: se avesse ottenuto un solido riconoscimento in quella grande capitale della musica, se fosse riuscito a trovare un editore per la rivista o un posto come professore, Wieck non avrebbe più potuto trovare alcuna scusa per negargli la figlia poiché, a quel punto, anche la sua posizione economica sarebbe notevolmente migliorata. Purtroppo i viennesi deludono profondamente Robert; superficiali, infatuati di Rossini e dell'opera italiana (cosa che già aveva molto infastidito Beethoven), hanno ben poca attenzione da dedicare ad uno sconosciuto compositore di musiche pianistiche tanto ardite e nuove, sommesse e cameristiche; qui tutto è facile melodia, virtuosismo, moda effimera, e Schumann è troppo nordico al confronto, troppo ripiegato su se stesso ad ascoltare ed estrinsecare senza volgari compromessi il proprio gentile mondo interiore per poter essere compreso e apprezzato. Vienna è in mano ai filistei.
Il viaggio non è però del tutto inutile; nonostante la delusione che prova nel verificare quanto fosse fragile e frivolo il mondo musicale che aveva applaudito, ma anche trascurato in alcuni periodi, Mozart e Beethoven (per non parlare dell'emarginato e incompreso Schubert), egli trova l'ispirazione per comporre nuovi importanti lavori, ancora caratterizzati da una serenità addirittura scherzosa ed estroversa; il periodo più cupo sembra ormai alle sue spalle. Così all'inizio del '39 nascono Humoreske op. 20 e il Carnevale di Vienna op. 26, specchio felice e disincantato dell'allegra leggerezza del mondo musicale viennese, una leggerezza che, seppur lontana dalla poetica del nostro autore, sembra comunque aver lasciato in lui un segno.
A Vienna incontra il fratello di Schubert, Ferdinand, che gli mostra molti manoscritti inediti e ancora ignoti al pubblico; Schumann li studia a fondo e scopre tra essi una sinfonia di ampie dimensioni, non inferiori a quelle della nona beethoveniana, dimensioni sinfoniche assolutamente eccezionali per quei tempi; sarà soprannominata "La Grande". Schumann la porta con sé e la fa eseguire al Gewandhaus di Lipsia alla fine di quello stesso anno. Così egli racconta, con enfasi, sulla rivista:

Mi fece vedere alcune composizioni (veri tesori!) del fratello Franz Schubert, che ancora si trovavano nelle sue mani. La ricchezza che ivi giaceva ammucchiata mi fece tremare di gioia; dove mettere prima le mani, dove fermarsi? Fra l'altro mi vennero mostrate le partiture di parecchie sinfonie, molte delle quali non sono ancora state eseguite, anzi spesso furono messe da parte, dopo ritoccate, perché troppo difficili e troppo ampollose [...] Chi sa quanto tempo anche la sinfonia, di cui oggi parliamo, sarebbe rimasta coperta di polvere e nell'oscurità, se io non mi fossi tosto inteso con Ferdinand Schubert d'inviarla a Lipsia alla direzione del Gewandhaus.

La fine del soggiorno viennese apporta una nuova nota tragica e sinistra; negli ultimi giorni di marzo è in preda a strane, ossessive premonizioni sotto l'influsso delle quali compone i Nachtstücke op. 23, inizialmente intitolati Fantasia funebre. In essi riversa i contenuti delle sue tristi visioni, ossia "bare, cortei funebri, uomini disperati". In aprile lo raggiunge la notizia che il fratello Eduard è gravemente malato ed egli parte immediatamente. In seguito racconterà a Clara che mentre viaggiava verso Lipsia aveva udito distintamente un corale funebre intonato da alcuni tromboni e che aveva in seguito appreso che, proprio in quel momento, suo fratello moriva. Ancora la musica precede gli eventi. È un nuovo segnale di quelle doti sensitive che Schumann svilupperà negli ultimi anni e che ci fanno meglio comprendere la natura instabile della sua psicologia e il carattere visionario della sua musica.
La stessa Clara ora lo ferisce chiedendogli di prendere il posto del fratello morto nella libreria paterna, cosí da poter assicurare una certa rendita finanziaria e quindi anche il suo futuro di concertista. Tramite un'amica gli fa sapere che "per dedicarsi seriamente alla sua vocazione di virtuosa non potrebbe dare tutti i giorni che un'ora soltanto di lezione, ciò che sarebbe insufficiente per contribuire con efficacia alle spese di una famiglia. Il miglior mezzo di Robert per soddisfare i legittimi voti di Wieck sarebbe di prendere, nella libreria paterna, il posto che la morte di suo fratello Eduard aveva lasciato vuoto". È una mossa meschina che rivela un certo egoismo in Clara. Pianista sensibile e cosciente, nonostante la giovane età, del valore di Robert compositore, ella non esita a chiedergli di accettare un ruolo cosÌ subalterno per attenuare le obiezioni di Wieck. È una lettera infelice che turba profondamente Schumann. Comunque anche questa crisi viene superata: a maggio nuovamente Robert chiede a Wieck la mano di Clara; non riceve alcuna risposta. Non resta che interpellare la Corte d'Appello mentre Clara, d'accordo, si trova a Parigi. È un momento tra i più difficili. Schumann, deciso ad andare fino in fondo, è però rimasto solo contro Wieck pronto ad usare ogni argomento ed ogni calunnia pur di non perdere la figlia; ed è in tale delicata situazione che egli, angosciato, prevede chiaramente il proprio futuro:

Entro nel mio ventinovesimo anno; senza dubbio la maggior parte della mia vita è dietro di me. Non vivrò molto a lungo, lo so con certezza: quello che ho dovuto subire per te, le mie grandi sofferenze mi hanno straziato. Ma sarai proprio tu a darmi la guarigione e la pace.

È una premonizione che si rivelerà tremendamente esatta.
Al processo Wieck lo accusa addirittura di dubbio equilibrio mentale e alcolismo:

Tuo padre scuote rudemente i nostri alberi fioriti [...]. Ciò che mi pesa è tutta questa infinita bassezza che si rivolge contro di noi.
Sono divenuto ancor più melanconico e desidero abbandonare il più presto possibile questo paese ove non vi sono più gioie per me

scriverà a Clara. Schumann è stanco di lottare e amareggiato; non compone più nulla per quasi un anno dopo il ritorno da Vienna. [MURSIA-RAUSA]


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***

Per tutto ottobre e novembre [1838] si impegnò «furiosamente» nello studio della fuga, servendosi del manuale di Marpurg, ma le prime composizioni del 1838 recano poche tracce di questo interesse: si tratta delle Novelletten - le otto dell'op. 21 e alcuni dei pezzi pubblicati in seguito nelle opp. 99 e 124 - e delle Kinderszenen, queste ultime composte quasi tutte in febbraio.
In marzo completò, nella sua forma definitiva, la Fantasia in Do maggiore op. 17 e, verso la fine di aprile, «in quattro giorni», la Kreisleriana. Il 14 maggio i Wieck tornarono a Lipsia e in breve la vicinanza di Clara - riuscivano a incontrarsi abbastanza spesso - ebbe uno sfavorevole effetto sul suo lavoro. D'altra parte, quando in luglio Clara si recò a Dresda per un mese, Schumann passò giorni e notti di terribile depressione: nel diario annota che una notte «fu sul punto di non reggere più». Per qualche tempo avevano pensato di stabilirsi insieme a Vienna, dove Clara godeva già di grande fama, e di persuadere Haslinger a pubblicarvi la «Neue Zeitschrift»; per farsi un'idea della situazione, Schumann trascorse l'inverno nella capitale austriaca, lasciando Lipsia il 27 settembre e passando per Dresda e Praga. La direzione editoriale della «Neue Zeitschrift» fu affidata a Oswald Lorenz.
A Vienna Schumann alloggiò in una stanza al primo piano del 679 di Schön Laternengasse. In dicembre compose il finale definitivo della Sonata per pianoforte in Sol minore, lo Scherzo, Giga e Romanza op. 32, il piccolo pezzo per Clara (An C, Gruss zum Heiligen Abend e Wunsch, come è intitolato in diversi manoscritti) pubblicato poi senza titolo come op. 99 n. 1 e l'Arabeske op. 18; nel gennaio 1839 compose il Blumenstück op. 19 e il primo movimento di un Concerto per pianoforte e orchestra in Re minore; intorno alla fine di febbraio l'Humoreske op. 20; verso la metà di marzo l'inizio di «una grande sonata romantica» (forse l'opera nota come Faschingsschwank aus Wien, con quattro movimenti che risalgono a questo periodo; un Allegro in Do minore, ora perduto, poteva in realtà essere il primo movimento di questa sonata), e subito dopo i primi Nachtstücke op. 23. Il 10 dicembre 1839 l'intermezzo del Faschingsschwank fu pubblicato sotto forma di supplemento alla «Neue Zeitschrift» come «un frammento dei Nachtstücke, che appariranno tra breve».
[ABRAHAM]

***

1º gennaio al mattino

Che mattinata paradisiaca! Tutte le campane suonano, il cielo puro è d'un azzurro luminoso, la tua lettera giace innanzi a me.
A te il mio primo bacio, anima mia adorata!

2 gennaio

Come m'hai reso felice con la tua ultima lettera e già con quella che mi hai scritto a Natale! Ti vorrei dare tutti i nomi più dolci, ma non conosco nessuna parola più bella del monosillabo tedesco «lieb» che deve esser pronunciato con tono speciale. Dunque, cara fanciulla, ho pianto di gioia al pensiero che sei tutta mia, e spesso mi chiedo se sono degno di te. Quante cose passano durante il giorno in un cervello e in un cuore umano! Si crederebbe, quasi, che dovessero scoppiare! E qual è l'origine di questi mille pensieri, desideri, dolori, gioie, speranze? E così accade giornalmente, e mai non abbiamo pace. Ma ieri e ier l'altro tutto era luce in me; quante belle cose m'hai scritto! Quali nobili sentimenti, com'è fedele, sicuro e profondo il tuo amore! Oh, potessi fare qualche cosa per te, mia Clara! Gli antichi cavalieri erano più fortunati: essi potevano attraversare le fiamme o uccidere un drago per le loro amate, ma noi contemporanei dobbiamo raggranellare soldi e fumare meno sigari per meritare le nostre fanciulle, o altrimenti... Ma certamente possiamo amare anche senza essere cavalieri; e così, come sempre, sono mutati soltanto i tempi, ma i cuori sono rimasti uguali.
Ho da scriverti tante cose, grandi e piccole. Vorrei poterlo far bene e ordinatamente, ma la mia grafia si torce sempre sino a divenire illeggibile; e me ne allarmerei, se ciò fosse un riflesso del mio cuore!
Certo pure io trascorro ore spaventevoli, in cui mi sembra che anche la tua immagine voglia abbandonarmi, in cui mi faccio rimproveri e mi chiedo se ho dato alla mia vita il saggio e giusto indirizzo che avrei dovuto darle, se avevo il diritto d'incatenarti a me, mio angelo, se saprò farti felice come vorrei. E di questi dubbi e queste domande ha colpa il comportamento di tuo padre verso di me. L'uomo si ritiene facilmente ciò che gli altri lo credono. Posso io, dopo tutto ciò che m'ha fatto tuo padre, non chiedermi: «Sei dunque così cattivo, così basso, che qualcuno può trattarti in tal modo?» Abituato a vincere con facilità ed a superare ogni ostacolo, abituato alla felicità e all'amore e forse anche viziato da essi, perchè tante cose mi furono facili al mondo, vengo ora respinto, offeso e calunniato. Avevo spesso letto nei romanzi situazioni consimili, ma mi ritenevo troppo superiore per poter pensare di divenire io Pure l'eroe di una commedia familiare alla Kotzebue! Se avessi agito male verso tuo padre. allora egli avrebbe anche potuto odiarmi, ma non posso ammettere che m'ingiuri senza alcuna ragione e che, come tu stessa dici, m'odi. Ma verrà anche la mia volta, e allora egli vedrà come io amo lui e te. Perché, voglio dirtelo soltanto in un orecchio, io amo e venero tuo padre per le sue numerose ed eccellenti qualità, quanto nessun'altra persona al mondo, te eccettuata. È un sentimento spontaneo, innato, la devozione che provo per tutte le nature energiche, e che nutro pure per lui. E perciò m'addolora doppiamente il fatto ch'egli non voglia saperne di me. Ma forse verrà ancora la pace, ed egli ei dirà «Eccovi l'uno all'altra!»
Tu non puoi credere quanto m'abbia sollevato e incoraggiato la tua lettera... Tu sei una meravigliosa ragazza ed io ho ben più motivi di essere superbo di te che non tu di me; ma mi sono prefisso di nuovo di indovinare tutti i tuoi desideri, in modo che tu, anche se non me lo dici, possa sempre pensare: «È veramente un buon uomo il mio Roberto, egli mi appartiene tutto e m'ama indicibilmente». In verità, questo devi pensare; a ciò giungeremo...
Ti vedo sempre innanzi a me con la tua cuffietta, come l'ultima sera... Riodo, come m'hai chiamato... Clara, io non ho udito ciò che mi dicesti, fuorché il «tu»... Non lo ricordi più?
Ti vedo anche in molti aspetti, in cui sei indimenticabile: una volta, durante la nostra separazione, vestita di nero, quando andasti a teatro con Emilia List - certo neppur tu l'hai dimenticato, lo sento -; e un'altra volta nella stradetta di San Tommaso, con l'ombrello, allorchè mi sfuggisti all'improvviso; e una volta dopo il concerto, mentre ti mettevi il cappello, e, per caso, ci potemmo guardare negli occhi, ed io vidi nei tuoi molte belle cose, e un eterno, antico amore; poi t'immagino negli ultimi tempi, in tutte le attitudini; ti ho contemplata poco, ma mi piaci immensamente. Ah, io non posso lodarti abbastanza per i tuoi pregi, e per avermi dimostrato predilezione... Ma non ti merito!...

giovedì, 4

Sono quasi spaventato da ciò clic mi dici: «Tra breve saremo a Lipsia». E io ho proprio paura di voi! Non potresti rimanere a Dresda o altrove? Pensa, dunque, quando a mezzogiorno ti siederai al Rosental, ed io sarò a cinquanta passi da te! Non è più possibile sopportare una tal cosa! Ma ciò accadrà, tu verrai qui ed io non me ne rallegro affatto. Certamente vorrei vederti una volta. Sei diventata un po' più alta? Sei una bella fanciulla, e non posso biasimare tuo padre se ci tiene a te. E poi come parli... Tu mi offuschi troppo... Ma ti devo confessare qualche cosa: dopo il modo con cui tuo padre si è comportato verso di me, non mi sembrerebbe troppo nobile, ma piuttosto - come devo dire? - sfrontato e umile, (stavo per scrivere servile) se m'affannassi ad inalzarmi ai suoi occhi citando più spesso il tuo nome [75].
Non ne ho il motivo. Egli si stropiccerebbe le mani e direbbe ridendo: «Crede di conquistarmi con ciò?» Clara, mia cara Clara, tu sai - ed io ancora più di te - che cosa sei per me, come ti considero, con quale rispetto ho sempre parlato di te...; ma non ho bisogno di far favori a tuo padre, che già da lungo tempo non ha più alcun interesse per me, ha cercato tutti i miei difetti per abbassarmi ai tuoi occhi, non vuoi trovare in me nulla di ciò ch'egli stesso non ha. Per Dio, non ne ho bisogno! Io lo amo, ma non mi chino davanti a lui neanche di un pollice, e non voglio mendicarti! Egli m'ha già scritto una volta una lettera, in cui ci sono delle parole che esiterei un poco a perdonargli, anche se l'Altissimo me lo chiedesse ed egli stesso m'implorasse. E tacqui. Soltanto perchè è tuo padre dovetti fare questa misera figura e tacere! Ciò è accaduto una volta; ma non lo potrei sopportare una seconda, neppure se dovessi perderti. Il mio cuore - credimi - è mite e buono, ha ancora la purezza originaria che Dio gli ha data; ma non posso sopportare tutto e alle volte so mostrare anche gli artigli. Perdonami ciò che ti scrivo, ma questo non può addolorarti. Tu rimani mia - non è vero? - ed io tuo... e allora non può accadermi nulla di male. Io sono salvo e riposo sotto la tua sacra protezione, come sotto le ali d'un angelo...

La sera del 5

[...] Dunque l'imperatore t'ha parlato? Non ha detto: «Conosce il signor Schumann? » E tu hai risposto: «Maestà, un poco». Ah, come avrei voluto vederti!...
Forse ti verrà concessa qualche onorificenza? Suona talvolta un po' maluccio, per non entusiasmarli troppo. Pensa che ad ogni tempesta d'applausi, tuo padre mi spinge un passo più lontano da te. Ah, no! Come mi rallegro di queste tue corone d'alloro! Ma veramente mille di quelle non valgono una d'arancio! Io solo la porrò sui tuoi bei capelli neri!
Le «Danze di Davide» e i e «Pezzi fantastici» saranno terminati tra otto giorni. Te li manderò, se vuoi. Nelle «Danze » troverai vari motivi nuziali; essi sono nati nei più bei momenti di esaltazione che io possa ricordare. Te li spiegherò un giorno. Ed ora chiudo. Ho trascorso sei giorni di felicità scrivendoti; ora tutto sarà di nuovo tranquillo, solitario e buio...

A Clara
Lipsia, 6 febbraio 1838

Tutti i giornali parlano di te (vado perciò ogni giorno a leggere gli articoli viennesi); era da prevedersi. Mi scrivi ch'io non conoscevo ancora bene tutta la tua valentia d'artista. In parte hai ragione, ma in parte molto torto. Essa può divenire ancora più completa, ricca, individuale. Ma del resto io conosco perfettamente e da lungo tempo la mia entusiasta fanciulla, e so che vale la pena di valicare i monti per ascoltarla.
La poesia di Grillparzer è la più bella che sia mai stata scritta su di te. Quant'è divina la facoltà del poeta, che può esprimere in poche parole imperiture l'essenza delle cose. Mendelssohn era appunto da me quando l'ho ricevuta; egli provò la medesima impressione. «Pastorella, piega le bianche dita». Quant'è dolce tutto ciò! Sembra di averti vicina e di vederti! Anche verso il pubblico questi pochi versi ti saranno più utili di tutte quelle parolone dei giornalisti viennesi, chè anche l'uomo comune prova, dinanzi alla pura poesia, un timore rispettoso: egli ha fede in essa e non le si oppone. In breve, questa poesia m'ha reso felice, e se il tuo innamorato e in generate chi ama sapesse cantare e poetare, comporrebbe versi simili. Che un altro li metta in musica, non è poetico e toglie tutto l'effetto. Un vero compositore non avrebbe intrapreso una tale opera. Ma fanciulle come te possono indurre anche a commettere cose assurde ! Però possono anche far ridiventar buoni come lo sei tu, mia Clara. Tu m'hai ridato la vita e m'hai spinto a sollevarmi, allacciato al tuo cuore, verso altezze sempre più pure. Ero un povero uomo abbattuto, non sapevo più pregare nè piangere da diciotto mesi: cuore ed occhi eran freddi e rigidi come l'acciaio. Ed ora? Tutto è mutato, ed io sono rinato attraverso il tuo amore e la tua fedeltà. Qualche volta ho l'impressione che il mio cuore sia solcato da varie strade, e che in queste i miei pensieri e le mie sensazioni si rincorrano, come uomini clic camminano senza meta, e si chiedano: «Dove si va da questa parte?» «Da Clara». - «E da quest'altra?» - «Da Clara». - Tutto fluisce verso di te.
Non hai ricevute le «Danze di Davide»? Sabato erano otto giorni che le avevo spedite. Occupatene, ti raccomando: sono il mio patrimonio... La mia Clara discernerà lo spirito che anima le «danze», le quali son dedicate a lei più di ogni altro mio lavoro. L'argomento è appunto la vigilia delle nozze, e tu ora puoi immaginarne il principio e la fine. Se mai mi son sentito felice al pianoforte, è stato quando le ho composte...
Ascolta, devo rivolgerti una preghiera: non vorresti fare una visita al nostro Schubert? E a Beethoven? Prendi alcuni rami di mirto, intrecciane due assieme e ponili sulle loro tombe: se ciò è possibile, là accanto pronuncia sottovoce il tuo nome e poi il mio. E nessun'altra parola. Tu mi comprendi...

A Clara
Lipsia, 11 febbraio 1838

Mia soave, amata fanciulla, siedi dunque presso a me, inclina un po' verso destra il tuo capo, in quella posa che ti fa apparire così graziosa, e ascolta ciò che ti narrerò.
Da un po' di tempo sono tanto felice, come non lo sono stato quasi mai. Deve essere per te una bella constatazione quella di aver ridato la serenità e la gioia ad un uomo corroso da anni dai più spavelitosi pensieri, e che con maestria sapeva trovare il lato nero di tutte le cose (facoltà di cui ora egli stesso raccapriccia), ad un uomo che non avrebbe dato alla sua vita il valore d'un soldo! - Voglio mettere a nudo dinanzi a te tutta la mia anima, come non ho fatto con nessuno. Tu devi saper tutto di me, tu che adoro, insieme a Dio, più d'ogni cosa al mondo.
La mia vera vita cominciò soltanto quando ebbi chiara coscienza delle mie attitudini, quando mi decisi a dedicarmi all'arte e diedi un indirizzo preciso a tutte le mie forze. Dunque nel 1830. Tu eri quella volta una piccola, singolare fanciulla, con una testolina testarda e un paio di begli occhi, e le ciliege erano per te la più grande aspirazione. In quel tempo io non avevo che la mia Rosalia [76]. Trascorsero alcuni anni. Già allora, nel 1833, cominciò ad invadermi un umor tetro; evitai di ricercarne le cause; erano le disillusioni che ogni artista esperimenta, quando tutto non procede così celermente come egli sognava. Ero ben poco compreso. Inoltre sopravvenne l'incidente alla mia mano destra, che mi impedì di suonare. Tra tutti questi cupi pensieri e queste dolorose immagini, tu sola e unica mi balzasti incontro; sei stata tu, che, senza volerlo e senza saperlo, già da lunghi anni mi hai tenuto lontano da ogni relazione femminile. Certamente sin d'allora mi balenò il pensiero che forse potresti divenire mia moglie, ma tutto apparteneva ancora ad un avvenire molto lontano. Comunque, io ti amavo già quella volta così profondamente, come lo comportava la nostra età. Il mio amore per l'indimenticabile Rosalia era di tutt'altra natura: noi eravamo della medesima età, essa era per me più che una sorella; ma non era il caso di parlare di un amore fra noi. Ella si occupava di me, parlava sempre per il mio bene, mi rianimava; in breve, aveva molta stima di me. E perciò i miei pensieri si volgevano volentieri alla sua immagine. Ciò avveniva nell'estate del 1833. Malgrado ciò, mi sentivo di rado felice; qualche cosa mi mancava; la malinconia, che già imperava nel mio animo ed era stata accresciuta dalla morte di un amato fratello, aumentò ancora. Ero in quello stato d'animo aliorchè appresi la morte di Rosalia. - Solo poche parole su questo argomento: nella notte dal 17 al 18 ottobre 1833, mi venne all'improvviso il più orribile pensiero che un uomo possa concepire (il Cielo non potrebbe punire in modo più spaventevole!): quello di «perdere la ragione». Tale idea s'impossessò di me con tanta violenza, che di fronte ad essa ogni conforto, ogni preghiera, ogni scherno e derisione ammutolivano. Quest'angoscia non mi diede requie. Il respiro mi si arrestò all'idea: « Se anche tu giungessi a non poter più pensare...
Clara, colui che ha sopportato un tale schianto, non conosce più alcun dolore, alcuna malattia, alcuna disperazione. Allora, in quelle condizioni di perenne, terribile sovraeccitazione, corsi da un medico, gli raccontai tutto: che spesso pendevo la coscienza, che non sapevo dove mi spingeva quell'angoscia, che non avrei potuto rispondere di me stesso, che in quello stato di estremo abbandono avrei potuto persino attentare alla mia vita...
Non spaventarti tu, mio angelo del Cielo, ma ascolta. Il medico mi consolò amorevolmente e mi disse infine sorridendo: «La medicina qui non serve, cerchi una moglie che La curerà subito». Mi sentii sollevato; pensai che sarebbe stata una cosa facile. Tu quella volta ti curavi poco di me, eri ancora al bivio tra l'adolescenza e la giovinezza. Allora incontrai Ernestina [77], una fanciulla buona come non ce n'è un'altra sulla terra. Questa pensai - è colei che mi salverà. Io volevo con tutte le forze aggrapparmi ad un essere femminile. M sentii anche meglio: essa mi amava, lo vedevo. Tu sai tutto, sai della separazione, sai che ci siamo scambiati delle lettere, che ci davamo del tu e così via. Era l'inverno del 1834. Quando Ernestina partì e io cominciai a chiedermi come sarebbe finito tutto ciò; quando appresi della sua povertà e considerai che io stesso, per quanto attivo, guadagnavo ben poco, mi sentii come oppresso da catene, e non vidi nessuna via d'uscita, nessuna possibilità d'aiuto. Inoltre venni a conoscere le malaugurate complicazioni familiari di Ernestina, e ciò che soprattutto le rimproveravo era ch'essa me le aveva taciute per tanto tempo. Tutto questo insieme di cose - condannami pure - mi rese più freddo, lo devo confessare. La mia carriera artistica mi sembrò compromessa. L'immagine di colei, in cui avevo creduto di trovare la mia salvezza, mi perseguitava nei miei sogni come uno spettro. Ernestina non poteva portarmi nessun contributo finanziario; io mi vedevo costretto a lavorare come un operaio per guadagnarmi il pane quotidiano. Parlai a questo proposito con mia madre, e concludemmo di comune accordo che ciò non poteva arrecarmi che nuove preoccupazioni, oltre alle tante già esistenti ......

A Clara
Lipsia, 17 marzo 1838

Come devo cominciare a dirti ciò che fai di me, tu cara, tu sublime! La tua lettera mi ha trasportato da una gioia all'altra. Quale vita schiudi a me, quali prospettive! Quando talvolta scorro le tue lettere, sento ciò che deve aver provato il primo uomo, allorchè il suo angelo lo condusse, di altezza in altezza, attraverso la nuova giovane creazione, in cui sempre, appena dileguata una bella visione, ne appariva una ancora migliore. E l'angelo gli diceva: « Tutto ciò sarà tuo!»
Tutto ciò sarà mio? Non sai tu dunque che uno dei miei più antichi e più vivi desideri è quello di poter trascorrere una serie di anni nella città dove in due cuori d'artisti nacquero, attraverso numerose bellezze esteriori, le più sublimi concezioni artistiche: nella città dove Beethoven e Schubert hanno vissuto? Tutto ciò che tu m'hai scritto, con parole tanto care e sincere, mi è così chiaro ed evidente che vorrei partire subito...
[...] Dammi dunque la mano; dopo matura riflessione, la nostra meta è decisa: Vienna. Il mio nostalgico desiderio verrà esaudito. Però lasciamo qualche cosa dietro a noi..., la patria, i parenti, e infine e particolarmente Lipsia, che non è una città disprezzabile! Il giorno in cui mi congederò da Teresa e dai miei fratelli sarà ben triste; e tale sarà pure quello del distacco dalla patria, perchè io amo questa zolla di terra e sono sassone anima e corpo. Ma anche tu sei un sassone e devi separarti dal padre e dai fratelli. Si sentirà come un incrocio di campane vespertine e mattutine quando noi partiremo insieme, ma le campane del mattino sono le più belle, e tu riposerai sul mio cuore, il più felice dei cuori. E deciso: noi andiamo!
Bisogna ancora conquistare il cuore e la fiducia di tuo padre, che io vorrei chiamare così volentieri babbo, e al quale devo molte gioie, molti insegnamenti.., ed anche molte pene. E non vorrei dargli che felicità nei suoi tardi anni, affinchè possa dire che siamo dei buoni figliuoli. Se mi conoscesse meglio, mi avrebbe risparmiato molti dolori, e non mi avrebbe mai scritto una lettera che m'ha fatto invecchiare di un paio d'anni. Ma via, tutto è dimenticato, perdonato; ed egli è tuo padre, ti ha nobilmente educata, e vorrebbe che la bilancia della tua sorte pendesse dalla parte della felicità; vorrebbe saperti contenta e sicura, così come quando amorevolmente ti proteggeva.
Io non ho il diritto di disputare eon lui: certamente egli vuole il tuo massimo bene sulla terra...

sabato pomeriggio

[...] Ho appreso che nulla dà più ali alla fantasia della tensione e nostalgia per qualche cosa. Così mi accadde di nuovo negli ultimi giorni: mentre attendevo la tua lettera, ho riempito interi volumi di composizioni sorprendenti, folli.., persino serene. Tu spalancherai tanto d'occhi quando le suonerai. Insomma, mi sembra quasi di sentirmi scoppiare il cervello dalla sovrabbondanza di idee musicali. Basta che non dimentichi tutto ciò che ho composto! Fu un'eco delle parole che mi scrivesti un giorno: che io ti apparisco a volte come un bambino. In breve, mi sembrava di esser ridiventato un fanciullo e ho scritto trenta piccoli e graziosi pezzetti, di cui ho scelto circa dodici che ho chiamato «Scene fanciullesche». Ne proverai gusto, ma devi naturalmente dimenticare di essere una grande pianista. Ci sono titoli come: «Spauracchio», «Presso il caminetto», «Acchiappino», «Bimbo che implora», «Sul cavallo d legno », «Paesi stranieri », «Storia curiosa», ecc. E ehe ne so io? Insomma, si vede di tutto, ma in fondo son bolle di sapone...
Vorrei indovinare ciò ehe accadrà quest'estate. Ho deciso di esser saggio con te, ma la posizione di semplice amico di casa non la sopporto più. Dai nostri rapporti non potrà risultare alcuna gioia, finchè tuo padre non mi considererà come futuro figlio, sia pure tacitamente e senza fidanzarti a me. Se acconsentisse, non se ne pentirebbe. Io vorrei fare tutto ciò che gli dà piacere. Oppure egli ha soltanto voluto procurarti con le sue parole un'ora serena a Vienna, e ha poi dimenticato tutto di nuovo? Tu sei una ragazza così cara: se gli parli nuovamente di noi due, impegnalo in modo che non possa trovare più scuse. Gettagli le braccia al collo e digli: «Caro padre, accondiscendi, e conducilo qualche volta con noi, poichè egli non può vivere senza di me».
Se tu sapessi il valore che hanno per me le tue osservazioni su ogni cosa; sino a qual punto quando il lavoro non procede a mia guisa - le tue lettere mi rasserenano! Parlami di ciò che pensi degli uomini, delle loro abitudini, delle città che visiti. Tu hai una visione delle cose così giusta, ed io son tanto felice di poterti seguire nei tuoi apprezzamenti! Non bisogna rinchiudersi troppo in se stessi e nei propri interessi; altrimenti si corre il rischio di perdere la facoltà di giudicare acutamente il mondo che ci circonda; ed è così bello, così ricco, così nuovo questo mondo! Se mi fossi ripetuto ciò prima e più spesso, sarei arrivato più in alto, e avrei prodotto (li più e di meglio!
Tu hai perfettamente ragione su ciò che concerne l'ultima parte della sonata. Essa mi piace tanto poco (salvo un certo passaggio appassionato) che l'ho interamente rifatta. Ho reintegrato il primo pezzo come l'avevo composto di primo getto - di conseguenza non è più quale tu lo conosci - ma credo che ora ti piacerà. La terza sonata è in fa minore, molto diversa dalle altre. Inoltre, ho ripreso e terminato una «fantasia» in tre parti, che avevo abbozzato nel giugno 1836. La prima parte è certamente ciò che ho scritto di più appassionato: è il mio profondo lamento che si slancia verso di te! Le altre son più deboli, quantunque non ci sia d'arrossire d'averle scritte!
Non mi meraviglio che tu non possa comporre in questo momento: tutto è talmente in ebollizione all'esterno e all'interno di noi!
Tu suoni, dunque, il tuo concerto, seguendo soltanto le tue ispirazioni personali? La prima parte racchiude tesori di pensiero; tuttavia esso non m'ha procurato un'impressione perfetta. Quando sei seduta al piano, non ti conosco più; la tua personalità è al di sopra del mio giudizio...
Del resto, la mia vita, da tre mesi, trascorre tranquillamente, e forma quasi un vivo contrasto con la tua. S'io fossi al tuo posto, ne rimarrei stordito.
M'alzo di buon mattino, quasi sempre prima delle sei, e allora trasorro la mia ora più bella. La mia stanza diventa per me una cappella, il pianoforte un organo, e il tuo ritratto è l'immagine dell'altare... A proposito, come ti farai chiamare? Wieck-Schumann, o viceversa, o semplicemente Clara Schumann? Come suona bene quest'ultimo! Come se dovesse essere così...

Ai fratelli Edoardo e Carlo
Lipsia, 19 marzo 1838

Miei carissimi fratelli Edoardo e Carlo,

è da molto tempo che non ho potuto scrivervi coi cuore così pieno di felicità come oggi. Comprenderete certo ciò che intendo: so di sicuro che il vecchio papà cederà un po' alla volta, e una delle più straordinarie fanciulle che esistano al mondo sarà tra breve mia. Purtroppo, però, dovrò allontanarmi da voi per lungo tempo: una grande artista come Clara deve vivere in una grande città, e io pure ho il desiderio di portare in un altro luogo il mio centro d'attività artistica. In una parola, probabilmente andremo ad abitare a Vienna. Il mio avvenire è pieno delle più belle prospettive. Trasporto il mio giornale laggiù, ove Clara è già altamente apprezzata e può guadagnare con facilità molto denaro. Anch'io son conosciuto là; Clara mi scrive che otterrei facilmente un posto di insegnante al Conservatorio di Vienna (l'imperatrice ha molta simpatia per Clara). In breve, tutto mi è favorevole, e voi lo comprenderete dopo un po' di riflessione. Se ogni cosa va bene, cioè se posso sciogliere un anno prima il mio contratto con Friese [78] (che veramente terminerebbe alla fine del 1840, se trovo un editore a Vienna (e su ciò non v'è dubbio), se ottengo l'autorizzazione del governo austriaco di pubblicare il mio giornale (il che - credo - non può venirmi negato), il vecchio finirà con l'acconsentire al nostro matrimonio. Potrebbe darsi benissimo che già nel Natale 1839 mi diriga verso Vienna, che mi stabilisca lì e per Pasqua vi porti la mia Clara. Pregate per me, affinchè il Cielo benedica questo progetto!
Vi prego insistentemente di serbare il silenzio su tutto ciò, perché il vecchio non deve sapere nulla delle nostre lettere segrete, il che lo disporrebbe male. Così pure, non dite nulla a nessuno dell'idea del mio trasloco a Vienna, perché mi potreste guastar tutto.
Non vi parlo della mia felicità di possedere una simile fanciulla, con la quale ho affinità artistiche e spirituali, accresciute da rapporti lunghi e profondi. Tutta la mia vita non è altro che gioia e attività.
Vorrei che anche voi partecipaste alla mia felicità. E rimanete per me i buoni e cari fratelli che siete sempre stati.

A Clara
Lunedì, 19 marzo

Mia deliziosa fanciulla, vorrei poter trovare una parola che compendiasse ciò che sei per me, ma non ne esiste alcuna. Io ti venero - lasciamelo dire - come un essere superiore; conosco il tuo cuore e il mio. E poi, come mi renderai felice con la tua arte! Quando una volta ti dissi d'amarti unicamente perchè sei tanto buona, ciò era vero soltanto a metà, poichè tutto è connesso, tutto s'accorda e conviene in te, e non saprei pensarti senza l'arte - e in te amo l'una e l'altra...

A Teresa Schumann
Lipsia, 25 marzo 1838

Se tu avessi letto la mia ultima lettera a Clara, sapresti i motivi che mi rendono tanto doloroso il distacco da qui. Ma Dio ha disposto così e disporrà anche in avvenire. Io calcolo, dunque, che tu ci accompagnerai per le nozze a Vienna; là trascorreremo un paio di settimane, il cui bei ricordo ci allieterà per un anno e anche più. In fin dei conti, essere un po' più o un po' meno distanti è la stessa cosa. Ci vedevamo forse sin'ora più d'una volta all'anno? Ed io penso di venire in futuro ogni anno a trovarvi, tanto più che i genitori di Clara rimarranno certo per ora a Lipsia. Dunque, allegri! E in quanto a ciò che non potremo dirci, ce lo scriveremo spessissimo.
Anche Clara voleva scriverti. Io le ho detto di chiamarti sorella. Al che essa mi rispose: «La chiamerei volentieri sorella, ma a questo nome va aggiunta ancora una parolina; la parolina, cioè, che ci ha portati l'uno così vicino all'altra, e che m'ha fatta tanto felice». Anche per scriverti non ha proprio potuto trovare il tempo. Ne ha appena per me; quindi non adirarti con lei. Ma verrà a trovarti per qualche ora durante il suo viaggio di ritorno da Monaco. Ti scriverò più tardi il giorno preciso. E tu accogli la nobile fanciulla com'essa lo merita per amor mio; chè, Teresa, io non posso descriverti l'essere sublime che essa è, e come riunisca in sè tutto - tanto ch'io non la merito. Ma voglio farla felice. Lasciami tacere su quest'argomento. Non ci sono parole adatte al mio sentimento. Chiamala sorella, quando la vedi - e in quell'occasione pensate a me!
Ancora una faccenda importante, per cui desidero il tuo consiglio e il tuo appoggio. Clara ha raggiunto un grado abbastanza alto con la nomina a pianista di camera. Quantunque anch'io abbia un titolo onorifico, esso non è pari al suo. Per conto mio, vorrei morire artista, e sopra di me non riconosco alcuno all'infuori della mia arte; ma, per i suoi genitori, vorrei divenire qualche cosa anch'io. Tu conosci bene Hartenstejn [79] e dovresti perciò scrivere a lui o a Ida quanto segue:
Che io (puoi fare o non fare il mio nome, come meglio credi) ho, con una distinta ragazza, un legame tollerato dai genitori; che un « dott.» davanti al mio nome procurerebbe a questi ultimi certamente un gran piacere ed aiuterebbe a raggiungere più presto la meta. Perciò vorrei sapere a mezzo della gentilezza di Hartenstein se sarebbe assai difficile ottenere un titolo dalla facoltà di filosofia. Io non potrò dedicare molto tempo a tale scopo, perché sarò assorbito totalmente dal mio lavoro professionale. Egli dovrebbe scriverti quali sono le prime pratiche che dovrei fare. Non miro con ciò che ad ottenere un titolo, tanto più che poi abbandono senz'altro Lipsia. Del resto ciò non è molto urgente. Appena saprò la sua opinione, mi rivolgerò personalmente a lui per pregarlo d'aiutarmi nel resto. Infine gli chiedo se l'Università di Lipsia non crea nessun dottore in musica. In chiusa, prego lui e Ida di mantenere il più assoluto silenzio, poiché si tratterebbe d'una improvvisata. Voi donne potete tutto, e così io dico in un orecchio a Ida principalmente che potrebbe in questo caso ricordarsi di un vecchio conoscente. Ti raccomando caldamente la questione. Fa' tutto ciò che puoi, e scrivimi presto ....

A Clara
Lipsia, 13 aprile 1838

La musica mi domina realmente; e quante graziose melodie! Pensa che, dopo la mia ultima lettera, ho terminato tutto un volume di nuove composizioni, che chiamerò «Kreissieriana», nelle quali tu e il ricordo di te sostenete la parte principale. Te lo dedicherò - sì, a te e a nessun altro e tu riderai di gran cuore nel ritrovarti in quei suoni. La musica, ora, mi sgorga spontaneamente, senza sforzo, senza lavoro, soffusa di semplicità: essa produce infatti la medesima impressione in coloro a cui la suono - cosa che ora faccio abbastanza spesso. Quand'è che sarai presso a me, accanto al piano? Sì, entrambi piangeremo come fanciulli. Lo so: sarà più forte di me.
Tu dovrai parecchie volte dar prova di gran pazienza, e anche sgridarmi spesso. Ho parecchi difetti, ma tuttavia meno di prima. La nostra lunga attesa avrà prodotto qualche buon risultato! Io credo che anche la parola tedesca «Ehe-» [80] sia molto musicale; rassomiglia ad una quinta:

Per ritornare ai miei difetti, ti dirò che ne ho uno insopportabile: quello di mostrare il mio affetto alle persone che più amo facendo loro tutti i generi di dispetti. Così, per esempio, faccio attendere loro indefinitamente una parola di risposta. Tu mi dirai: «Caro Roberto, rispondi dunque a questa lettera; è tanto tempo ch'essa giace là!» Credi ch'io lo farò? No. Addurrò un monte di scuse assurde, ecc. ecc.
Ho anche im altro difetto molto spiacevole: sono, cioè, un grandissimo ammiratore delle graziose facce femminili. Sorrido loro con compiacenza, poi nuoto in un mare di complimenti indirizzati al bel sesso. Se un giorno, andando a passeggio per le vie di Vienna, incontreremo qualche bella ragazza, ed io dirò: «Clara, guarda dunque questa divina fanciulla »' o farò un'altra esclamazione del genere, non spaventarmi e non sgridarmi!
Ecco com'è il tuo vecchio Roberto! Non è forse sempre lo stesso ingenuo narratore di racconti terrificanti, di storie di folletti? Ma qualche volta so anche essere molto serio, persino durante un'intera giornata. Allora non diventare inquieta: vuol dire che mi metto in comunicazione con la mia anima, che mi concentro nella musica e nelle mie composizioni. Tutto ciò che c'è ai mondo mi colpisce: la politica, la letteratura, gli uomini. Rifletto su tutto a modo mio, ed i miei pensieri si traducono in musica. E questo che la rende talvolta così difficilmente comprensibile. Essa si riferisce a impresioni lontane, spesso importanti, ispirate dai fatti notevoli di quest'epoca, che io vorrei ritrarre nelle mie opere. È perciò che poche delle nuove composizioni mi soddisfano, non solo per i loro difetti di fattura, ma anche perchè devono venir annoverate, come sentimento musicale, nel gruppo volgare delle forme liriche...
Quando io comporrò, non occuparti di me; ciò mi farebbe disperare! Da parte mia, m'impegno d'ascoltare assai raramente alla tua porta... Così ci renderemo la vita piena di poesia e di fiori: suoneremo, comporremo contemporaneamente, come angeli, per il maggior godimento dell'umanità...

A Clara
Lipsia, 14 aprile 1838,
vigilia di Pasqua

[...] È così umano che... di nuovo m'assalga spesso un odio contro di lui [81], un odio profondo, che certamente produce una strana e brutta impressione accanto all'amore che nutro per la figlia. Ma egli - come ha già fatto tante volte - ritrarrà ancora spesso ciò che ha promesso. In una parola, non aspetto nulla da lui: noi dobbiamo agire da soli. Dunque ascolta, Claretta mia: io partirò al più presto possibile per Vienna; attendo soltanto il tuo consenso. Da quando sono fermamente deciso e mi brilla davanti agli occhi il tuo splendido progetto, mi sento bruciar la terra sotto i piedi... Ma devo farti ancora un'importante domanda, a proposito della quale devi rassicurarmi: dunque, prescindendo dal consenso di tuo padre, ti senti l'ardire di fissare l'epoca della nostra unione? Penso che se stabiliremo d'attendere sino alla Pasqua del 1840 (più di due anni da oggi), tu avrai adempiuto tutti i tuoi doveri di figlia, e anche se dovrai separarti con la violenza, non avrai da farti alcun rimprovero. Tu sarai allora maggiorenne, ti sarai piegata alla preghiera di tuo padre di attendere più di due anni; non sarà il caso di parlare di una prova della nostra fedeltà e della nostra costanza, perchè io non rinuncerò mai a te... Dunque, dammi la mano: «oggi a due anni» la nostra parola d'ordine...

A Clara
Lipsia, 10 maggio 1838

Dunque tuo padre mi tratta di flemmatico ? «Carnevale» e flemmatico; la «Sonata in fa diesis minore» e flemmatico! Innamorato d'una simile fanciulla e flemmatico! E tu ascolti ciò tranquillamente? Egli dice che da sei settimane non ho scritto nulla sul giornale? Anzitutto non è vero, e poi, se lo fosse, non sa che cosa ho prodotto d'altro. Infine da dove deve provenire sempre il materiale? Fino ad ora, ho esposto negli ottanta numeri del giornale le mie idee personali, senza contare tutto il lavoro di redazione; in due anni ho prodotto dieci composizioni importanti - il sangue del mio cuore c'è in esse! - ho fatto, ogni giorno, per parecchie ore dei difficili studi di Bach e Beethoven e anche miei; ho sbrigato puntualmente una numerosa corrispondenza, spesso molto difficile e prolissa. E sono un uomo giovane di ventott'anni, un artista dal sangue bollente, che, tuttavia, da otto anni non ha abbandonato la Sassonia, che ha conservato il suo denaro, senza spenderlo in festini e in cavalli, e che continua senza lamentarsi a passeggiare sulla strada di Gohlis [82]. E questa attività, questa semplicità in una vita di lavoro non vengono apprezzate da tuo padre? Si vorrebbe essere sempre modesti, ma gli uomini non lo permettono! È perciò che, per la prima volta, ho fatto l'elogio di me stesso. Ora sai che cosa puoi pensare di me e quale partito prendere...

A Clara
Lipsia, 9 settembre 1838

Ciò che ho udito ieri e ciò che è accaduto intorno a me, mi sembra ancora un sogno [83]. Era un insieme di ira e di felicità, che mi estenuava. M'ero nascosto nel buio per non dover guardare nessuno negli occhi. Tu pure, certamente, non m'hai visto, quantunque lo desiderassi tanto; ma io t'ho veduta tutto il tempo, e così pure l'anello che portavi all'anulare della mano sinistra. Come brillava! E ti ringrazio dal più profondo del cuore per tutto ciò che m'hai fatto udire ieri; sì, dal più profondo del cuore! Era proprio la mia Clara, col suo bel sentimento e tutta la sua arte perfetta! Hai suonato stupendamente. Gli uomini non ti meritano. Tu m'hai spinto anche ad altre considerazioni, mentre sedevi lassù sola, superando magistralmente ogni difficoltà, e la gente parlava di te, come se tu non potessi essere diversa. Pensavo che è veramente una grande fortuna il poter chiamar sua una tale fanciulla. Ma - il Cielo mi sia testimone! - noi non abbiamo bisogno di coloro che ti ascoltano soltanto per doverti poi lodare. In una parola, tu sei troppo cara, troppo nobile per quel genere di vita che tuo padre considera come la meta più alta, la più grande felicità. Quante fatiche, quante lotte, quante giornate di lavoro per un paio d'ore di successo! Potresti sopportare ciò a lungo, e farne lo scopo della tua vita? No, la mia Clara deve essere una donna felice, una donna amata, contenta. Io considero la tua arte come una cosa elevata, sacra, e non oso neppur pensare alla felicità che mi procurerai con essa. Ma non avremo necessità d'approfittarne; tu non affaticherai le tue dita quando non avrai voglia di suonare davanti a gente che non è degna neppure di sentirti far le scale. Mi comprendi, non e vero, fanciulla mia?...
Vorrei dirti ancora tante cose, ma sono troppo agitato e voglio ricominciare a sognare e non pensare che a te. Addio, tu, amata, amata sopra ogni cosa al mondo, tu, tesoro del mio cuore, tu, buona, tu, il migliore dei cuori, tu, Clara. Io sono tuo, unicamente tuo.

A Clara
Vienna, domenica mattina,
7 ottobre 1838

Buongiorno, amor mio, dalla nostra nuova patria. Ah, essa non è tale per me, poichè tu vi manchi. Già venerdì sera sentivo una nostalgia, un abbattimento simile a quello che può provare un esiliato... Parecchie cose mi passarono pel capo... Doppler mi portò una lettera, il cui indirizzo era scritto con una grafia ch'io non conoscevo. L'aprii: era di tuo padre, composta in stile alla Kotzebue; voglio copiartela in calce. Ma desideravo fervidamente uno scritto tuo, e mi recai alla posta. Non trovai nulla. Ritornai a casa abbattuto. E allora la madre di Fischhof mi consegnò la tua lettera. Che cosa devo dirti, essendo così lontano da te che, nel tempo impiegato dalle lettere per andare e venire, possono succedere tante e così spaventevoli cose? Non posso che rimettermi in te. Tu hai dimostrato tanta energia, che, qualunque cosa dovesse ancora accadere non ti spaventerà. Dunque, ascolta; se tuo padre esige la tua lontananza, va'. Io posso immaginare la tua lotta, il dissidio nel tuo cuore tra la riconoscenza verso tuo padre e l'affetto per me. Consolati pensando che hai adempiuto tutti i doveri d'una figlia e hai tentato di risolvere ogni cosa con bontà ed amore. E pensa pure che tante nobili fanciulle hanno dovuto fare il passo a cui ora tuo padre ti spinge! Per l'appunto in questo momento bisogna che noi sappiamo vincere. Forse sei stata energica e l'hai già fatto! Tu stessa vedi e dici ch'egli non acconsentirà mai, e che dovrai liberarti con la forza. Allora staccati già ora alla prima occasione; cercala, anzi. Non devi continuare questa vita; essa distrugge la tua salute. Hai doveri anche verso di le. Parti da Lipsia già ora, in questi giorni, domani. Ma per dove? Mia povera, paziente Clara, guardami ancora una volta negli occhi. Per dove? Ah, non ancora verso di tue, ma verso la strada che conduce a me: va' da Serre o da Teresa... Da Teresa sarebbe il passo più ardito, al quale dovrebbero seguire presto altri... Ne parleremo poi.
[...]Se invece ti senti la forza di andare a Parigi e credi di potervi rimanere, vacci. Io ho in te una fiducia assoluta; dunque decidi ciò che ti costa minor sacrificio.
Ed ora ascoltami, mia buona Clara: in tutti i modi, tu avrai bisogno di danaro... Contemporaneamente a te, scrivo a Lipsia, al dottor Günz, dal quale troverai sempre a tua disposizione mille fiorini. Günz sa quasi tutto di noi. Quando ho preso congedo da lui, egli mi disse, con un tono che non ho scordato: «Mi chieda ciò che vuole, farò tutto per Lei e per Clara». Non esitare, cara sorella del mio cuore, a chiedere denaro, se ne hai bisogno; esso è più al sicuro in mani tue, che nelle mie...

A Clara
Vienna, 8 ottobre 1838

Devi aver ricevuta la mia lettera da Praga...
I giovani musicisti mi hanno divertito assai; sono brave persone che parlano sempre di loro stessi, dei loro idilli, delle loro composizioni, di cui si fanno reciprocamente l'elogio, quantunque ognuno dica tra sè e sè che è superiore agli altri. Ne ho incontrato uno solo che m'è sembrato geniale. Lunedì sera, essi s'erano dati appuntamento al mio albergo. Un dottor H., che aveva dimostrato una certa arroganza al nostro primo incontro, volle continuare su questo tono e mi diede alcuni buoni consigli - sicchè io m'alzai, lo ringraziai come si meritava e me ne andai! Ciò produsse gran fermento. Egli venne più tardi, piangendo, nella mia stanza, e mi chiese scusa: fu un incidente tempestoso.
M'accorgo che a Vienna bisognerebbe dirigere il giornale in tutt'altro modo a scapito suo e delle persone oneste. Decideremo tutto ciò più tardi; è d'altronde ancora in dubbio ch'io venga autorizzato a pubblicano. Pensa e dimmi come dovrei agire per il meglio. C'è da fidarsi di Haslinger? Sembra buono e amico...
Ho da darti una bella notizia: Sedlinsky m'ha accolto molto bene e m'ha promesso il suo appoggio. Egli dice che, se Haslinger sarà il mio editore, non incontrerò nessun ostacolo, e che devo anzitutto rivolgermi a lui; altrimenti dovrei mettere sul giornale il mio nome quale redattore capo, e nessuno straniero ha mai potuto farlo... Mi consigliano, nel caso che Haslinger non accettasse, di farmi cittadino austriaco! Ecco a che punto sono le cose; esse non si delineano ancora che in una nebbia lontana. Domattina presto andrò a parlare con Haslinger. Ciò che temo è ch'egli voglia far dominare nel giornale l'influenza della sua cricca - che tu conosci pure! Son diventato così serio, che non immagino ancora ciò che può essere la gaiezza viennese...

Ai parenti a Zwickau
Vienna, 10 ottobre 1838

Non ho in questo momento la tranquillità necessaria per mettervi al corrente di tutto ciò che è accaduto in me e attorno a me dalla nostra separazione. Già due giorni dopo il mio arrivo qui, sono stato turbato da così tristi notizie da Lipsia, che i miei pensieri ne furono completamente assorbiti. Il vecchio..., reso ancor più furioso dalla nostra attitudine risoluta, s'è di nuovo scagliato contro Clara, che gli si è opposta tranquillamente e seriamente. Non so ancora ciò che è successo in seguito, ma, temo, molte cose. La preghiera che ho rivolto a Clara di separarsi da suo padre e di venir ad abitare da voi per qualche tempo, è giunta forse troppo tardi. Ma se ella si deciderà a farlo, sono certo che l'accoglierete come una sorella.
Anche nella mia impresa, non ho fatto grandi progessi. La città è così vasta, che si adopera per ogni cosa il doppio di tempo. Sono stato ricevuto dappertutto con cortesia. Anche il ministro della polizia, che m'ha concessoudienza ier l'altro, mi ha accolto amabilmente. Egli mi disse che nulla avrebbe potuto intralciare il mio soggiorno qui, purchè trovassi un editore viennese, disposto ad assumere assieme a me la direzione. Se non potessi trovano, allora ci sarebbero per me, che sono straniero, difficoltà. Anzitutto vorrei cercar di seguire la prima via indicatami, e poi tornare da lui. Mi rivolgerò anche a Haslinger. Oggi o domani andrò da lui.
Voi non potete immaginare quali meschini partiti e combriccole vi sono qui. Per sentirsi sicuri del terreno su cui si cammina, bisognerebbe essere striscianti come un serpente, ed io non posso farlo. Ma coraggio.
Abbiamo riposto la nostra speranza nella signora von Cibbini [84]. Ella può tutto! Clara, le ha scritto una stupenda lettera, in cui le confida ogni cosa ma ella non ritornerà a Vienna che il 24.
Ora languisco dal desiderio di notizie vostre e di Clara. In così breve tempo non ho potuto naturalmente trovare un confidente, e perciò rinchiudo tutto in me stesso. Ma mi ammalerei, se non avessi tante cose pel capo... L'Opera, che è eccellente (soprattutto i cori e l'orchestra) lui procura un gran godimento. A Lipsia non abbiamo un'idea di ciò. Anche il balletto vi divertirebbe. Non sono ancora stato al teatro di prosa, noto come il migliore della Germania, nè al piccolo Teatro Comico... Clara è davvero idolatrata qui; dappertutto mi parlano di lei con espressioni entusiaste. Del resto, sarebbe difficile trovare al mondo un uditorio più incoraggiante: lo è quasi troppo, a teatro si sentono più spesso gli applausi della musica. Ciò è molto divertente, ma talvolta m'arrabbio. Dunque, la prossima settimana verrà fissata la nostra sorte. Se non posso rimanere qui, sono deciso ad andare a Parigi o a Londra; non ritornerò a Lipsia. Ma su tutto ciò bisogna che rifletta profondamente. Non temete che agisca con sventatezza. Appena potrò comunicarvi qualche cosa di preciso, vi scriverò. Rispondetemi immediatamente. Vi bacio con amore e con nostalgia.

A Clara
Vienna. 3 dicembre 1838

Thalberg [85] abita così lontano da me, che già da quattro settimane non ci siamo veduti. Stasera lo incontrerò da Dessauer; domani partirà per Berlino, passando da Lipsia, ecc. Egli ha suonato molto bene nei suoi concerti, ma - sai? - alle sue composizioni manca ogni vigoria. In confidenza, cara Clara, tu sei, a parer mio, dieci volte superiore come artista, e qui molti sono di questa opinione. Molto m'accora, e qui soprattutto, d'avere una mano inferma. E a te dirò ch'essa va di male in peggio. Spesso mi sono rivolto al Cielo lamentandomi ed ho chiesto: «Dio, perchè m'hai inflitto proprio ciò?» Mi sarebbe talmente utile la mia mano, qui! La musica s'agita piena e vivace in me, avrei bisogno d'esprimerla, e non posso che balbettarla, inciampandomi con un dito nell'altro. È una cosa terribile, che m'ha già cagionato grandi dolori.
Ma non ho forse in te la mia mano destra? E tu, sta' bene attenta che non ti capiti nulla.
Penso spesso alle ore felici che mi procurerà il tuo talento. Lavori sempre molto? Certamente. La tua superiorità ti fa felice, e forse questa felicità aumenterà quando avrai sempre vicino, ad ascoltarti, colui che ti comprende ed è capace di seguirti in altezza e profondità.
E come procede la composizione? Vorrei a tal proposito darti un consiglio, e cioè quello di non improvvisar troppo. Facendolo, si sprecano inutilmente molte idee, che si potrebbero utilizzare meglio. Prendi dunque l'abitudine di scrivere tutto senza indugiare. Così i pensieri si riuniscono e si concentrano sempre più. So ciò che ti manca ora per portare a buon termine un pezzo: riposo e tranquillità. Forse il futuro ci apporterà anche ciò.

A Clara Vienna,
mercoledì 18 dicembre 1838

Buon giorno, mia cara fanciulla. Tu hai creato la primavera attorno a me. Fiori dorati fanno capolino con le loro corolle. In altre parole, da che ho ricevuto la tua lettera, io compongo e non mi posso saziare di musica.
Eccoti il mio piccolo dono di Natale. Tu comprenderai il mio «Desiderio» [86]. Ricordi ancora la notte di Natale di tre anni fa, quando mi gettasti le braccia al collo? A volte sembrava quasi che tu avessi paura di te stessa, quando ti abbandonavi così a me. Ma ora tutto è mutato, e tu riposi tranquilla e sicura sul mio cuore, e sai cosa possiedi. Tu, amor mio, mia fidata compagna, mia soave futura consorte, quando, tra due anni, aprirò l'uscio e ti mostrerò tutti i miei doni una cuffietta, molti balocchi, delle nuove composizioni - mi getterai in modo ancor diverso le braccia al collo ed esclamerai: «Com'è bello avere un marito, soprattutto se è buono come te!» Ed io non potrò più porre un ritegno alla tua gioia; e mi condurrai poi nella tua stanza, dove tu, agghindata e soddisfatta dei regali ricevuti, mi donerai ii tuo ritratto in miniatura, una lavagna per comporre, una pantofola di zucchero, che mangerò subito, ed altre cose; perchè tu - io lo so bene mi dai molto più di quanto io dia a te. La felicità! Poi diverremo sempre più silenziosi; sull'albero di Natale si affievoliranno a poco a poco le luci; i baci saranno la nostra preghiera: che la nostra vita sia sempre così, che Dio ci conceda d'essere uniti sino alla fine. Quest'anno sicuramente la tristezza vagherà ancora intorno a me. Mi canticchierò delle melodie, andrò qualche volta alla finestra e guarderò come sfavillano le stelle, e tutta la sera sarò presso a te...
Che il Cielo mi mantenga così sereno... Soltanto quando manco a lungo di tue notizie, le forze cominciano ad abbandonarmi. Allora la malinconia mi vince. Mi sembra che mi afferrino e mi avviluppino in panni nerissimi - uno stato indescrivibile...


LE ULTIME COMPOSIZIONI DI FRANZ SCHUBERT

Se la fecondità è una caratteristica principale del genio, Franz Schubert appartiene ai geni più grandi. Non oltrepassò di molto i trent’anni, ma scrisse tanto da far stupire e forse soltanto la metà delle sue composizioni è stata sinora stampata, una parte attende ancora la pubblicazione, un’altra molto più grande sarà concessa al pubblico dopo lungo tempo oppure molto probabilmente mai. Nella prima rubrica abbiamo i suoi canti, che si sono diffusi più presto e più largamente; egli forse avrebbe messo in musica a poco a poco tutta la letteratura tedesca; e quando Telemann richiede “che un vero compositore dovrebbe poter mettere in musica il passaporto”, avrebbe trovato il suo uomo in Schubert.
Dove toccava, sprizzava fuori della musica: Eschilo, Klopstock, così ribelli alla composizione musicale, hanno ceduto alle sue mani; d’altra parte egli metteva in rilievo i lati più profondi alle poesie più facili di Müller e di altri. Poi c’è una quantità di opere strumentali d’ogni forma e specie: trii, quartetti, sonate, rondò, danze, variazioni a due e a quattro mani, grandi e piccole, piene delle cose più meravigliose e di rarissime bellezze; la nostra Rivista le ha più volte caratterizzate in modo più preciso. Delle opere che ancora attendono la pubblicazione ci si citan messe, quartetti, un gran numero di Lieder, ecc. Nell’ultima rubrica infine vi sono le sue composizioni maggiori, parecchie opere, grandi pezzi da chiesa, molte sinfonie, ouvertures, ecc., che son rimaste in possesso degli eredi. Le composizioni di Schubert ultimamente apparse hanno il titolo:

Gran Duo per pianoforte a quattro mani (op. 140)
e 3 grandi Sonate per pianoforte.
(ultime composizioni di Schubert)

Vi fu un tempo in cui io non parlavo volentieri di Schubert: soltanto di notte potevo raccontare di lui agli alberi ed alle stelle. Chi non fantastica una volta nella vita! Io non pensavo che a lui, rapito da questo nuovo spirito, la cui ricchezza mi sembrava infinita ed incommensurabile, sordo a tutto ciò che gli poteva testimoniare contro. Coll’avanzare dell’età, col crescere delle esigenze, il circolo dei prediletti rimpicciolisce sempre di più; la cosa dipende da noi ed anche da loro. Quale sarà il maestro, che si pensa sempre lo stesso durante tutta la vita? Per apprezzare Bach son necessarie esperienze che la gioventù non può avere; dalla gioventù persino l’altezza solare di Mozart viene stimata troppo bassa; per la comprensione di Beethoven non bastano i soli studi musicali: in certi momenti della vita egli ci entusiasma di più per un’opera che per un’altra. Questo è certo: che età eguali si attirano sempre, l’entusiasmo giovanile viene compreso dalla gioventù e la forza virile del maestro soltanto dall’uomo fatto. Così Schubert rimarrà sempre il prediletto della gioventù, perché dimostra di possedere ciò ch’essa vuole: un cuore riboccante, pensieri arditi, azione decisa; poi racconta ciò che essa ama di più: delle storie romantiche ed avventure di cavalieri, di fanciulle. Egli mischia a tutto ciò spirito e umorismo, ma non tanto da offuscare il delicato accordo fondamentale. Inoltre mette le ali alla fantasia dell’esecutore come nessun altro compositore, all’infuori di Beethoven, e volentieri ci si lascia allettare da ciò che vi è di facilmente imitabile in parecchie sue caratteristiche, si vorrebbero sviluppare migliaia di pensieri ch’egli ha soltanto leggermente accennato. Tale è l’effetto che farà ancora lungamente.
Dieci anni fa, dunque, avrei senz’altro contato queste opere ultimamente apparse fra le più belle del mondo, e rispetto alla produzione del presente lo sono anche ora. Ma, come composizioni di Schubert, non le metto nella categoria del suo quartetto per archi in re minore, del suo trio in mi bemolle maggiore, e di molti suoi canti e piccoli pezzi per pianoforte. Il Duo specialmente mi sembra nato ancora sotto l’influenza di Beethoven, tanto ch’io lo ritenni la trascrizione d’una sinfonia, finché il manoscritto originale, su cui stava scritto di suo pugno “Sonata a quattro mani”, volle convincermi di tutt’altro. Dico “volle”, perché ancora non ho rinunciato alla mia idea. Chi scrive così abbondantemente come Schubert finisce per non badar più tanto ai titoli e così la sua opera fu intitolata forse nella fretta “Sonata”, mentre era già pronta nella sua testa come sinfonia. Ancora è da ricordare una ragione volgare: che cioè in quel tempo in cui il suo nome appena cominciava ad essere conosciuto si trovavano più facilmente editori per una sonata che per una sinfonia. Essendomi familiarizzato col suo stile, colla sua maniera di trattare il pianoforte, confrontando quest’opera con le altre sue sonate in cui s’esprime il più puro carattere pianistico, me la posso spiegare soltanto come pezzo orchestrale. Si odono strumenti a corda e a fiato, i tutti, gli a solo, il rullio dei timpani; insomma, l’estesa forma sinfonica, persino qualche reminiscenza delle sinfonie di Beethoven (per esempio, la seconda parte ricorda l’andante della sua seconda sinfonia e l’ultima parte ricorda l’ultimo tempo di quella in la maggiore e qualche passo meno spiccato che mi sembra aver perduto attraverso la riduzione), rinforzano il mio modo di vedere. Ma vorrei però proteggere il Duo contro il rimprovero di non esser stato, come pezzo per pianoforte, sempre ben pensato, obbiettando che non si può pretendere dallo strumento qualcosa che non può rendere, mentre come riduzione di una sinfonia sarebbe da considerare con altri occhi. Prendendola come tale, possediamo una sinfonia di più.
Già abbiamo menzionato le reminiscenze di Beethoven; ben tutti viviamo dei suoi tesori. Ma anche senza questo nobile precursore, Schubert non sarebbe diverso; la sua originalità si sarebbe manifestata forse più tardi. Infatti, chi ha solo un po’ di sentimento e di cultura riconoscerà e distinguerà alle prime pagine Beethoven e Schubert. Paragonato a Beethoven Schubert è un carattere di ragazza, molto più loquace, più tenero e più ampio; è un fanciullo che spensierato gioca fra i giganti. In questo rapporto le sue composizioni sinfoniche si trovano con quelle di Beethoven e non possono esser pensate nella loro intimità diversamente da come le ha concepite Schubert. È vero che anche lui sente alcuni passi con forza e spiega delle grandi masse: c’è sempre però il rapporto come da donna a uomo, questi comanda dove quella prega e persuade. Ma tutto questo si dice soltanto a confronto di Beethoven; rispetto ad altri è ancora abbastanza uomo, ed anzi il più ardito ed il più libero di spirito dei musicisti moderni. In questo senso si deve considerare il Duo. Non c’è bisogno di cercare le bellezze; esse ci appaiono facilmente e ci guadagnano quanto più spesso le osserviamo; dobbiamo perciò affezionarci a quest’anima amante di poeta. Per quanto l’adagio appunto ricordi Beethoven, non conosco nessuna cosa dove Schubert abbia saputo manifestare se stesso più di quanto abbia fatto Beethoven; così in carne ed ossa che ad ogni singola battuta sfugge dalle labbra il suo nome e si esclama: l’ho indovinato! Ed ora saremo ancora d’accordo in questo, che l’opera si mantiene alla stessa altezza dal principio alla fine; cosa che in verità si dovrebbe esigere sempre, ma che il tempo moderno ci dà così di rado. Un’opera simile non dovrebbe rimanere estranea a nessun musicista e se essi non capiscono parecchie creazioni del presente come non capiranno molte altre del futuro, è perché manca loro la cognizione delle transizioni.
La nuova scuola cosiddetta romantica non è affatto cresciuta dall’aria: tutto ha la sua buona ragione d’essere.
Le sonate sono designate come l’ultima opera di Schubert e ciò è abbastanza strano. Forse giudicherebbe in tutt’altro modo chi ignorasse la data della composizione. Forse io stesso le avrei messe in un periodo più antico dell’artista, poiché il trio in mi bemolle maggiore m’è sempre parso l’ultimo lavoro di Schubert, come il suo più caratteristico. Sarebbe in verità sovrumano che dovesse sempre salire e superare se stesso chi, come Schubert, ha composto tanto e giornalmente. Dimodoché queste sonate possono essere effettivamente gli ultimi suoi lavori. S’egli le abbia scritte nel suo letto di malato o no, non son riuscito a sapere: dalla musica stessa sembra di poter concludere per la prima ipotesi, perché con la triste parola “ultimissime” la fantasia è tutta riempita dal pensiero della vicina dipartita. Comunque, queste sonate mi sembrano spiccatamente differenti dalle altre sue, specialmente per una molto più grande semplicità d’intenzione, per una volontaria rinuncia a brillanti novità in cui egli altra volta si compiaceva, per lo sviluppo di certe generali idee musicali, mentre altra volta sovrapponeva periodo su periodo. Come se ciò non potesse aver mai fine, non fosse mai in
imbarazzo per proseguire, corre avanti di pagina in pagina sempre musicale e ricco di canto, interrotto qua e là da singoli sentimenti violenti, ma che presto si calmano nuovamente. Se in questo giudizio la mia fantasia pare sedotta dalla presenza della sua malattia, io devo rimettermi a chi giudichi con più calma.
Così hanno agito queste sonate su di me. Egli poi ha finito anche di buon umore, leggero e gentile, come se l’indomani potesse di nuovo cominciare. Altro gli era destinato. Egli poté andar incontro all’ultimo minuto con viso tranquillo. E se sul suo epitaffio sta scritto che lì giacciono sotterrate “un prezioso possesso, ma ancor più belle speranze”, noi vogliamo ricordarci riconoscenti soltanto del suo “prezioso possesso”. Rovellarsi su che cosa egli avrebbe potuto ancor raggiungere non conduce a nulla. Egli ha fatto abbastanza e sia venerato chi come lui ha vagheggiato e portato a compimento tante cose.

DUE QUARTETTI DI CHERUBINI
N. 1 in mi bem. maggiore.

I quartetti di Cherubini, già apparsi da molto tempo, hanno sollevato persino fra i buoni musicisti una discordanza di opinioni. Non si tratta della questione, se questi lavori provengano da un maestro dell’arte, poiché su ciò non potrà sorgere alcun dubbio, ma se questo è il vero stile del quartetto che noi amiamo e che abbiamo riconosciuto come modello. Ormai ci si è abituati alla maniera dei tre famosi maestri tedeschi e, per un giusto riconoscimento, si sono ammessi nel circolo anche Onslow e in ultimo Mendelssohn, come compositori che continuano a seguire le tracce di quelli. Or viene appunto Cherubini, ar-tista incanutito nella più alta aristocrazia dell’arte e dotato di personali vedute artistiche. Egli, nonostante l’età avanzata, è il maggior armonista del nostro tempo; il fine, sapiente ed interessante italiano, a cui nella sua severa concentrazione e forza di carattere vorrei qualche volta paragonare Dante. Confesso che quando sentii questo quartetto per la prima volta provai disagio, specialmente dopo le due prime parti: non era quello che m’aspettavo; molte cose mi parvero in istile d’opera, sovraccariche, altre invece meticolose, vuote e bizzarre; forse quest’impressione dipendeva dall’impazienza della mia gioventù che non sapeva spiegarsi subito il senso nel discorso sovente strano del vegliardo; d’altra parte però sentivo benissimo il fascino imperioso di un sovrano maestro. Ma poi seguirono lo scherzo col suo fantastico tema spagnuolo, lo straordinario trio, e in ultimo il finale che getta scintille da tutte le parti come un brillante quando lo si rivolge: allora non vi fu più alcun dubbio su chi aveva scritto il quartetto e se questo era degno del suo maestro. A molti certamente accadrà come a me; prima ci si deve familiarizzare con lo spirito particolare di quest’opera, col suo stile di quartetto: qui non ci parla la familiare lingua materna, ci parla invece un aristocratico straniero; quanto più impariamo a capirlo, tanto più altamente dobbiamo stimarlo.
Possano questi cenni, che danno un’idea molto debole dell’originalità dell’opera, eccitare l’attenzione dei circoli dei quartetti tedeschi. All’esecuzione sono necessari degli artisti, dei veri artisti. In un accesso di presunzione degna d’un critico ho desiderato: Baillot per il primo violino (sembra che Cherubini abbia pensato soprattutto a lui), Lipinski per il secondo violino, Mendelssohn per la viola (è il suo strumento principale, organo e piano eccettuati) e Max Bohrer o Fritz Kummer per il violoncello...

N. 2 in do maggiore.

Questo secondo quartetto mi sembra che sia stato scritto molto tempo avanti al primo della stessa raccolta e forse è magari la stessa sinfonia che, se non m’inganno, ebbe così poco successo alla prima esecuzione a Vienna; Cherubini non volle pubblicarla e più tardi, secondo quanto si dice, la trasformò in quartetto. Così nacque forse il difetto contrario: la musica come sinfonia era troppo quartettistica, come quartetto ora è troppo sinfonica; io poi sono avverso ad ogni rifusione di questo genere, perché mi pare un’offesa alla prima divina ispirazione.
Vorrei riconoscere l’origine giovanile dall’assenza di ornamentazione che distingue le vecchie composizioni di Cherubini dalle sue più recenti. Ma in verità sarei battuto se intervenisse il maestro stesso e dicesse: “T’inganni, amico: ambedue i quartetti sono stati scritti nello stesso tempo e originariamente non sono stati altro che quartetto”. E allora ciò ché ho osservato può essere soltanto un’ipotesi e stimolerà altri alla riflessione.
Del resto anche questo lavoro s’eleva, abbastanza in alto sopra il numero delle composizioni che appaiono ogni giorno e su tutte le novità che ci vengono da Parigi: se uno non ha scritto, imparato e pensato lunghi anni, non potrà mai produrre qualcosa di tal genere. Come nella maggior parte delle opere di Cherubini si trovano anche qui particolari serie di battute più aride, dei passi in cui ha lavorato soltanto l’intelletto; ma si trova anche qualcosa d’interessante, sia nella composizione come nella finezza contrappuntistica e nell’imitazione; qualcosa insomma che dà a pensare. Il massimo slancio e la massima vitalità degna d’un maestro portano in sé lo scherzo e l’ultimo tempo. L’adagio in la minore ha un carattere estremamente singolare, come di romanza, qualcosa di provenzale: udendolo diverse volte si espande sempre più nei suoi incanti; il finale è fatto in modo che pare debba sempre riprendere da capo mentre si sa prossima la fine. Nel primo tempo una imitazione fra viola e violino ci ricorda una medesima imitazione tra fagotto e clarinetto della sinfonia in re maggiore di Beethoven; alla metà della ripresa generale poi possiamo osservare l’eguale disegno nel punto corrispondente della stessa sinfonia. Ma nel carattere i due tempi sono così diversi che la somiglianza sarà avvertita soltanto da pochi.

FEDERICO CHOPIN
Impromptu, op. 29.
Quattro Mazurke, op. 30.
Scherzo, op. 31.

Chopin ormai non può più scrivere nulla, che alla settima od ottava battuta non debba farci esclamare: "È suo!". Si è definito ciò una maniera e s’è detto ch’egli non progredisce più. Si dovrebbe invece essere più riconoscenti verso di lui. Non è forse la stessa forza originale che già dalle sue prime opere v’ha irraggiato così meravigliosamente, che v’ha in sul primo momento confuso, e più tardi rapito? E quando egli v’ha dato una serie delle più rare creazioni e voi lo capite più facilmente, lo pretendete di un colpo tutto diverso? Ciò si chiamerebbe abbattere un albero perché ogni anno vi riporta gli stessi frutti: ma i suoi frutti non sono mai gli stessi, tanto per sapore quanto per forma sono i più diversi anche se il tronco è sempre identico.
Così il sopracitato Impromptu per quanto poca importanza abbia nell’insieme delle sue opere, non saprei paragonarlo ad un’altra composizione chopi-niana; è una cantilena rinchiusa al principio ed alla fine da un grazioso insieme di figure, è così fine nella forma e, ripeto, un così vero Impromptu che nessuna delle altre composizioni di Chopin può stargli accanto. Lo scherzo nel suo carattere appassionato ricorda già di più il suo predecessore: resta però sempre un pezzo avvincente all’estremo, da paragonare non inopportunamente ad una poesia di Lord Byron, così tenero, così ardito, così pieno d’amore come di disprezzo. Naturalmente, non è per tutti. Chopin ha egualmente sollevato le mazurke ad una piccola forma d’arte; per quante ne abbia scritte, ben poche sono somiglianti. Quasi ognuna ha qualche tratto poetico, qualcosa di nuovo nella forma o nell’espressione. Così è nella seconda delle suddette mazurke la tendenza del tono di si minore verso il fa diesis minore, mentre poi (lo si osserva appena) conclude in fa diesis; nella terza la tonalità fra il maggiore e il minore oscilla fino a che vince la terza maggiore; nell’ultima mazurka notiamo un punto debole, cioè l’improvvisa conclusione con le quinte, per le quali i Cantores tedeschi si metteranno le mani nei capelli. Un’osservazione di sfuggita: le epoche differenti sentono anche in modo diverso. Nelle migliori opere di chiesa dei vecchi maestri italiani si trovano progressioni di quinte, quindi non devono aver suonato male ai loro orecchi. In Bach e in Haendel, di simili ne appaiono egualmente, in modo frammentario però e di rado; la grande arte dell’intreccio delle parti evitava ogni andamento parallelo. Nel periodo mozartiano le quinte scompaiono interamente. Poi vennero di trotto i grandi teorici e le proibirono sotto pena di morte, finché di nuovo comparve Beethoven che inserì le più belle quinte del mondo, specialmente in progressione cromatica. Ora, un seguito di quinte cromatiche, continuato per una ventina di battute, non deve naturalmente essere segnalato come qualcosa di eccellente, ma piuttosto come qualcosa di estremamente cattivo; non si devono tuttavia staccare simili passi isolati dall’insieme, ma udirli in rapporto a ciò che precede e in relazione al tutto.

FRANZ SCHUBERT
Quattro impromptus per pianoforte, op. 142.

Avrebbe ancora dovuto vivere per vedere come ora lo si festeggia; questo lo avrebbe dovuto ispirare fino al massimo grado. Ora ch’egli riposa già da lungo tempo, raccoglieremo accuratamente ciò che ci ha lasciato dopo la morte; qualunque suo lavoro attesta il suo genio; poche opere hanno così impresso il sigillo del loro autore come le sue.
Così in ogni pagina dei primi Impromptus si sente bisbigliare: "Franz Schubert!"; come lo conosciamo nel suo umore inesauribile, com’egli è solito ad incantarci, a deludere e ad avvincerci nuovamente, così lo ritroviamo ancora qui. Tuttavia non credo che Schubert abbia davvero intitolato impromptu queste composizioni; il primo è così chiaramente il primo tempo d’una sonata, completamente sviluppato e finito, che non può nascere alcun dubbio. Il secondo impromptu lo ritengo il secondo tempo della stessa sonata: la tonalità ed il carattere si riannodano strettamente al primo.
I suoi amici dovrebbero sapere dove sono andate a finire le parti finali, se Schubert abbia finito o no la sonata; si potrebbe forse considerare il quarto Impromptu come il finale, tuttavia, benché concordi la tonalità, la leggerezza di tutta la disposizione dice quasi il contrario. Soltanto un esame dei manoscritti originali potrebbe chiarire queste supposizioni. Io non ritengo queste composizioni una cosa di poco conto; poco importano in verità i titoli e le intestazioni, ma d’altra parte una sonata è ornamento così bello nella corona delle opere d’un compositore, ch’io volentieri attribuirei a Schubert ancor una, anzi una ventina in aggiunta alle molte che ha scritto. Per ciò che riguarda il terzo Impromptu, non l’avrei creduto un lavoro di Schubert, ma tutt’al più un lavoro del tempo della sua fanciullezza: sono delle variazioni poco o punto notevoli su un tema dello stesso genere. Mancano totalmente d’invenzione e di fantasia, mentre altrove Schubert s’è mostrato così creatore anche nel genere delle variazioni. Si suonino dunque l’un dopo l’altro i due impromptus, s’aggiunga loro per finire il quarto e si avrà, se non proprio una sonata completa, ancora una volta un bel ricordo di lui. Se già si conosce la sua maniera basta una sola lettura per possederli interamente. Nella prima parte v’è la decorazione leggera e fantastica fra i “riposi” melodici, una cosa che ci potrebbe cullare nel sonno; il tutto è stato creato in un’ora di sofferenza, come nella meditazione di cose passate. Il secondo tempo ha un carattere più contemplativo, di una maniera frequente in Schubert; il terzo (il quarto Impromptu) tutto diverso fa il broncio, un broncio però delicato e buono; difficilmente ci si può ingannare: più d’una volta m’ha ricordato La collera per un soldino perduto di Beethoven, un pezzo molto comico e poco conosciuto.