CURT VON WESTERNHAGEN «I MAESTRI CANTORI» WAGNER EDIZIONI ACCADEMIA pp. 412-453 |
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«Di nuovo il lago di Costanza» sta scritto in data 10 dicembre negli Annali di Wagner. Attraverso Berna e Vevey si diresse a Ginevra, dove trovò un asilo nella vicina Campagne aux Artichauts. Si trattava di una grande villa con un modesto arredamento, come egli scrive a Cosima,
tuttavia - fu un rifugio: me ne sto qui indisturbato come fuori dal mondo. Il panorama è meraviglioso, proprio di fronte c'è il Monte Bianco, lo posso scorgere stando seduto al pianoforte. (5 gennaio 1866) «Ohimè, ho sperato, sperato di poter vincere il dolore; tuttavia in questo momento domina la costellazione sfavorevole, che mi strappa violentemente dagli amici, mi getta verso un futuro pieno di affanni, si impossessa delle mie speranze, della mia vita, di tutto me stesso!» (2 gennaio). «...Di conseguenza non c'è da aspettarsi molto di buono da lui, se ora ha ormai finito di comporre e produce solo lavori tormentati. Molto male - cosa che invece ha fatto un Meyerbeer, ognuno a suo modo, lui ha lasciato dietro di sé intere casse, il cui contenuto il mondo ancora non conosce...» [In Friedrich Herzfeld, Minna Planer, Lipsia, 1938, pp. 330-31]. Nel suo grande amore, essa ha avuto da parte mia molti dolori e poche gioie, «Egli aveva scritto una lettera mölto risoluta a[ll'intendente] Perfall, dove si lamentava amaramente per la cattiva rappresentazione dell'Elisabetta [di Liszt]; doveva, per il Lohengrin, avere quattro nuovi violini eccetera, e diceva che dipendeva da queste cose se all'ultimo momento egli avrebbe o meno rifiutato la sua collaborazione. Dopo la partenza della sua famiglia aveva aperto una lettera, cosa che altrimenti non faceva mai, ma aveva creduto di dover forse subito telegrafare a sua moglie. Il contenuto della lettera lo aveva spaventato. Così era accaduto. Egli temeva molto che del conservatorio e di tutto il resto non si facesse nulla e che forse egli avrebbe preso un congedo e se ne sarebbe andato in Italia. Tutto ciò poi si collegava con quella partenza della sua intera famiglia.» [Peter Cornelius, Ausgewählte Briefe, Lipsia, 1905, II, pp. 370 sgg.] Wagner lavora con insolita solerzia e freschezza, scrive Bulow a Jessie Laussot. Sotto la sbalorditiva impressione della testimonianza diretta egli crede i non ingannarsi quando pensa che i Maestri cantori diventeranno «la sua più classica (scusi la trivialità dell'espressione), più tedesca, più matura e comunemente accessibile opera d'arte». Della ricchezza assolutamente musicale del lavoro quasi celliniano, condotto in tutti i dettagli, Lei non può farsi una pallida idea. Per me c'è un dogma incontestabile: Wagner è il più grande compositore, del tutto pari a Beethoven, a Bach - e magari anche molto di più. È l'incarnazione dello spirito artistico tedesco, il suo più imperituro monumento, anche se la lingua tedesca, e forse la musica stessa, fosse diventata un 'cadavere'. (14 agosto). Ma uno spavento mortale, a cui egli non pensava affatto, era ancora in serbo per Wagner quando in novembre apparve a Tribschen Malvina Schnorr con la sua allieva Isidore von Reutter. Questa tutte le notti si incontrava con lo spirito del defunto Schnorr, che le annunciava che essa avrebbe dovuto sposare il re, mentre la vedova di lui Wagner, «tutto su diretto comando degli spiriti». Egli ebbe il suo bel da fare con loro, soprattutto perché aveva osservato che la Reutter non era un'esaltata, ma una sfacciata truffatrice, cui doveva impedire l'ingresso in casa sua. Furibonda, la signora Schnorr se ne era andata e ora provocava ovunque scandalo. Ciò fu ancora una volta una piaga su una pelle sana, di cui non si capisce la provenienza! Insomma! C'era sempre qualcosa che opprimeva i miei poveri Maestri cantori... (A M. Maier, 15 dicembre) |
Dopo che la signora Schnorr ebbe intuito i rapporti di Cosima con Wagner, la sua amicizia per lei si trasformò in furiosa gelosia, tanto che la denunciò al re. Luigi in principio non vi volle assolutamente credere, ma più tardi ebbe dei dubbi. Si meravigliava, scriveva al segretario di corte Düfflipp, che questi supponesse che la faccenda tra Wagner, la signora Bülow e la signora Schnorr non fosse «pulita»: «che forse sia vera anche la voce, cui mi rifiuto di credere, che è in ballo una rottura di matrimonio? - Allora guai!» (KLRW, V, p. XLIX). [Questa «storia di masnadieri» la si può leggere in KLRW, II e IV. Nel 1937 insorse un difensore della signora Schnorr nel suo parente C. H. N. Garrigues, che nel suo libro Ludwig und Malvina Schnorr, Kopenhagen, 1937, mise gravemente in dubbio il quadro fatto da Wagner degli avvenimenti. In una critica demolitrice, Otto Strobel nel 1939 ha respinto queste accuse in KLRW, V.]
Per l'introduzione del terzo atto Wagner poté ricorrere al foglio di appunti tracciati la mattina del suo quarantanovesimo compleanno. «Allora ero un uomo solo», disse più tardi a Cosima (BBL, 1937, p. 2). Un altro foglio di musica mostra l'attuale seconda versione dei «passaggi profondamente malinconici» del Motivo della follia, così che si può seguire come egli abbia dato solo in un secondo tempo alle linee in principio diatoniche e melodicamente ascendenti la desiderata svolta carica di espressione. [Westernhagen, Vom Holländer zum Parsifal, p. 136.] Anche la melodia del Canto del premio - nella forma della bottega del calzolaio - era stata già concepita prima: «28 settembre [1866] pomeriggio mentre C[osima] aspetta», vi sta scritto sotto, mentre sul retro del foglio è velocemente tracciato il valzer. Il testo del Canto, lo compose in un secondo tempo e lo regalò a lei la sera di Natale verso mezzanotte, come dono di compleanno. Gli era stato ispirato, scrive Cosima al re, in un tempo in cui avevano sofferto tante cose brutte e cattive. «Oggi Beckmesser è stato iniziato alla musica,» sta scritto in un altro punto «dopo la scena incredibilmente bella tra Walther e Sachs. Quando l'amico mi ha recitato e cantato le parole appena messe in musica: «das waren hochbedürft'ge Meister, von Lebensmüh' bedrängte Geister» (Eran maestri bisognosi, stretti dal peso della vita), siamo scoppiati entrambi a piangere. Potrei inviarLe le note che l'amico ha trovato per queste parole» (DMCW, I, pp. 312-13). L'introduzione musicale di Beckmesser costituì un caso particolare. Dopo che, per la faccenda degli spiriti di Malvina Schnorr, Wagner aveva sospeso il lavoro per una settimana, riprese con l'accesso di furore del Censore: «O Schuster voller Ränke» (Calzolaio pieno di tiri). Aveva riso fragorosamente, osserva Cosima, quando egli le aveva suonato quel punto. Che periodi tristi e terribilmente eccitanti aveva trascorso, scrive Wagner I'll gennaio 1867 al re, che spesso gli spezzavano il cuore. E in mezzo a questa confusione - ho terminato i Maestri cantori! Chi ci crederebbe? Appena guarito, aveva ripensato a uno strano sogno e d'un tratto era scoppiato a ridere, perché nel medesimo momento gli era venuta in mente la melodia del Canto dei sarti sul prato festivo. Il sorprendente, anzi l'inaudito carattere dei Maestri cantori lo aveva risanato: Sachs e Walther erano stati i suoi medici. Molti grattacapi gli aveva procurato il Canto dei premio. Riteneva che fosse impossibile riprodurre due volte nello stesso atto il medesimo canto. Doveva essere uguale e tuttavia diverso. Inoltre Walther si sarebbe rifiutato di ripetere l'intima poesia dei sogno della bottega del ciabattino proprio sui prato festivo davanti al popolo e ai maestri. Modificò allora il testo, in modo che la seconda poesia contenesse il significato del sogno. Oltremodo geniale è il modo in cui risolse il problema musicale relativo. Invece delle tre canzoni strofiche della bottega dei ciabattino, sui prato festivo c'è solo una canzone strofica, ma ampliata nelle sue tre sezioni - strofa, strofa, commiato - in maniera così artistica che si crede di sentire ancora tre strofe. A sette battute uguali in entrambe le versioni, fanno riscontro non meno di diciassette mutate e tuttavia, come rileva Alfred Lorenz, la somiglianza viene sentita come perfettamente soddisfacente. Fu un vero capolavoro plasmare due periodi musicali, in modo che, senza essere uguali, diano però effetto di affinità. Quando Wagner, al principio del 1867, dopo numerose interruzioni e crisi mortali, giunse finalmente alla composizione del dialogo finale, gli vennero d'un tratto dei dubbi inattesi. Avevano parlato per un giorno intero della chiusura dell'Opera, scrive Cosima al re. Wagner aveva cioè pensato che il dramma fosse finito con la poesia di Walther e il lungo discorso di Sachs non c'entrasse, trattandosi più di un'allocuzione del poeta al pubblico; avrebbe fatto bene a ometterlo. «Io feci un volto pallido e gli dissi anche che il 'voglio cavarmela senza maestri' è una delle caratteristiche di Walther; che ci ripensasse, anche se poi rimaneva naturalmente della sua opinione. La notte non riposò affatto, scrisse le [nuove] strofe, cancellò ciò che io avevo indicato, e vi tracciò a lapis anche gli schizzi della musica.» Sono i versi: Habt acht! Uns dräuen üble Streich'... (Attenzione! c'è minaccia di tiri birboni) Il foglio di musica, che si trova nell'archivio wagneriano, porta la data: «(di notte) 28 gennaio '67». Non c'è dubbio che qui, come nello scritto compilato subito dopo sulla Deutsche Kunst und deutsche Politik, risuoni qualcosa dell'eccitazione politica del periodo tra il 1866 e il 1870. Ma accanto al significato ideologico, la nuova strofa ha anche una funzione drammaturgica. Con l'occhio del poeta drammatico Wagner ha riconosciuto che la vecchia chiusa non comporta nessuna progressione, nessun sollevamento del tono. Inserendo ora il profetico avvertimento di Sachs, ottiene un nuovo motivo stimolante che conferisce ancora una volta all'azione, che altrimenti sfocia nel lirico con il canto di Walther, un sorprendente slancio drammatico. Ma forse bisogna ricollegarvi anche un'osservazione che tocca soprattutto l'essenza della commedia. La commedia, osserva Schopenhauer, risolve i dolori e le avversità della vita umana in pura gioia. «Ci si deve però affrettare a far calare il sipario proprio nel momento della gioia, onde non vedere ciò che segue.» Perciò, per chi guardi oltre e più a fondo, anche quel lieto fine conserva sempre qualcosa di insoddisfacente. Wagner, volgendo finalmente lo sguardo dalle gioie e dai dolori delle persone interessate verso una realtà ultrapersonale, il destino dell'arte e la sua missione, evita in modo magnifico i pericoli di un comune finale da commedia. Ancora una volta, con i nuovi versi, coglie la vita reale, ma solo per sollevare l'azione in una superiore idealità. Con le dimissioni di «Pfis» e «Pfos» e la nomina di Hohenlohe sembravano rimossi tutti gli ostacoli che si opponevano ai progetti artistici di Luigi. Questi era deciso a instaurare una nuova epoca di Pericle. «Il giorno in cui von der Pfordten è stato licenziato dal ministero degli Esteri a Monaco, un decreto regale mi ha nominato 'direttore d'orchestra bavarese in servizio straordinario'», scrive Bülow a Raff. «Dunque, direttore d'orchestra in 'partibus infidelium'. Una preghiera di silenziosa complicità.» Semper poteva presentare al re il progetto da tempo preparato del Festspielhaus, e con la «più solenne promessa e stretta di mano regale» venne nominato da questi architetto realizzatore. Doveva venir realizzato anche il piano di un giornale concepito come organo di tutte le nuove aspirazioni artistiche e politiche: il ministro degli Esteri già in maggio aveva intrapreso delle trattative con il pubblicista Julius Fröbel, proposto da Wagner come redattore. Ma fu subito chiaro che gli ostacoli non dipendevano solo dalle resistenze esterne, ma anche dalle complessità del carattere del re. Fin tanto che si trattava di una generale infatuazione dei suoi progetti per Wagner, egli era con questi un cuore e un'anima sola, ma quando si giungeva all'attuazione pratica, lasciava che «tutta l'energia, l'essenziale, ciò che oltrepassa il favore puramente personale», venisse annientato dai funzionari (a Röckel, 29 gennaio). Ci si è chiesti se si trattasse di debolezza di carattere o di mancanza di sincerità. Ma si trattava senz'altro di qualcosa di psicopatico, che si annunciava con tali contraddizioni schizoidi in buona fede. Il 17 marzo, dopo una visita al re, Wagner annota nei suoi Annali: «Cambiamento fisiognomico» (KLRW, II, p. 6). Con sincera gioia accoglie l'annuncio del fidanzamento di Luigi con sua cugina principessa Sofia, che questi gli comunica subito telegraficamente (22 gennaio). Quando lui l'aveva conosciuta a Monaco, era rimasto colpito dalla semplicità della sua persona, dall'amore premuroso che rivelavano i suoi occhi, «Oh, se vi poteste sposare subito, proprio subito!», grida con singolare presentimento al re (16 marzo). Liszt, che ebbe modo di osservare i fidanzati durante una rappresentazione del Tannhäuser, osserva: «Les ardeurs matrimoniales de Sa Majesté semblent fort tempérées. Alcuni temono che le nozze vengano rimandate per sempre». L'11 ottobre venne annunciato il fidanzamento ufficiale, «di mutuo accordo». Con una chiarezza di autoanalisi quasi inquietante per un uomo così giovane, Luigi descrive a Cosima il modo in cui si era giunti al fidanzamento, e quanto ne avesse sofferto (DMCW, I, pp. 379 sgg.). Che con il rimpasto della reggenza le difficoltà non si fossero affatto appianate per Wagner, questi lo vide già quando il re il 6 gennaio lo pregò, dietro richiesta di Hohenlohe, di rimandare la sua visita a Monaco. «Un grande partito collega strettamente la nomina di Hohenlohe con la Sua venuta qui.» Il dottor Schanzenbach, che da molti anni era medico personale del principe, si incaricò di giustificare il motivo di fronte a Wagner, a cui questi rispose il 17 gennaio con una dettagliata descrizione degli avvenimenti politici prima e dopo il suo allontanamento da Monaco. [Secondo KLRW, II, p. 134, nota, la riproduzione della lettera in Wagner an Freunde und Zeitgenossen non è completa. Una riproduzione completa è apparsa in Münchner Neuesten Nachrichten del 19/20 maggio 1929.] Alla fine di gennaio Schanzenbach si presentò di persona a Tribschen per spiegare, su incarico di Hohenlohe, i suoi progetti politici e per assicurarsi il potente appoggio di Wagner. Questa missione è stata messa in dubbio perché il principe non ne fa cenno nelle sue Denkwürdigkeiten. Ma essa viene invece provata da una lettera di Wagner a Röcke!, in cui egli lo prega di «ignorare» quella visita (KLRW, IV, p. 181). Evidentemente, a Hohenlohe premeva tener nascosto l'aiuto che gli veniva dato da un operista. Alcune settimane più tardi Schanzenbach raccontava dei nuovi intrighi del seguito del re contro il ministro. Wagner scongiura Luigi: Abbia fiducia nel principe Hohenlohe contro tutti, proprio contro tutti. Se egli cadesse vittima degli intrighi tesi contro di lui, ritengo che la disgrazia sarebbe immensa. Una volta, almeno questa volta, fermezza. Qualunque cosa possa essere addotta contro di lui, Lei deve tenersi attaccato all'uomo di Sua scelta, altrimenti è perduto. (21 febbraio) Dopo che il 5 marzo ebbe finito lo schizzo compositivo dei Maestri cantori e ne avrebbe intrapreso molto volentieri «indisturbato e dimenticato» la strumentazione, compì invece il viaggio, da tempo rimandato, a Monaco. Durante il soggiorno monacense fece anche una visita a Hohenlohe. Entrambi, cominciò il principe, erano legati dall'amore per il re e dall'odio per gli ultramontani. Wagner raccontò in proposito quanto si fosse tormentato il re, tanto che già due volte aveva pensato di abdicare. Parlò poi del compito della Baviera, della sua arte e infine del gabinetto. Mise in rilievo il fatto che Hohenlohe doveva restare al ministero. Ciò non dipendeva da lui, osservò questi; egli non poteva certo garantire che non si minasse la fiducia del re; ne era tanto meno sicuro in quanto aveva rapporti con lui solo tramite il gabinetto. Ma così non poteva andare, ribatté Wagner. Al che Hohenlohe gli ricordò che poteva essere molto pericoloso mettersi in lotta con il gabinetto: lui - Wagner - lo sapeva molto bene! [Hohenlohe, Denkwürdigkeiten, I, p. 211.] La situazione politica estera offrì subito a Wagner l'opportunità di raccomandare al re il programma politico di Hohenlohe. Napoleone cercava di placare la delusione francese per l'esito della guerra prussiano-austriaca con un conveniente acquisto del Lussemburgo. La Prussia rinunciava in realtà al diritto di presidio che le spettava, ma impediva del pari l'annessione da parte della Francia. Mentre le trattative erano ancora sospese, Bismarck aveva fatto chiedere a Monaco come si sarebbe comportata la Baviera nel caso di una guerra franco-prussiana (aprile 1867). A questo periodo risale una significativa lettera di Wagner al re. In Baviera guardavano tutti apertamente alla Prussia, mentre l'influenza austriaca lavorava per conservare il paese all'Austria. Nell'ultimo caso la Baviera verrebbe semplicemente annessa all'Austria, di Germania e di Baviera non si sarebbe allora piü parlato. «Quindi stretta e leale alleanza con la Prussia...» Allora la Germania resterebbe, e sarebbe anche possibile il successivo ingresso dell'Austria come potenza alleata. Quando egli aveva esposto queste idee al principe Hohenlohe, nell'arido signore si era prodotto un lampo. Avanti! Avanti! Ora si tratta di aggiungere al piatto della bilancia prussiana anche quello bavarese: così Lei diventa il capo della Germania meridionale e l'Austria sarà costretta a seguirla! Ebbene: questo era il mio testamento! [Se Newman scorge in ciò solo delle «tirate» di un ambizioso dilettante di politica, mostra qui il limite della sua esposizione. Gli era sfuggito che questa lettera si riferiva a un motivo del tutto concreto e che egli manifestamente era inspirato da Hohenlohe ad appoggiare la sua politica fiJoprussiana (v. NLRW, IV, pp. 72 sgg.)] (25 aprile) Delle imprese artistiche progettate dal re, prima di tutte naufragò il suo più caro progetto, il Festspielhaus. Quando Röckel narrò a Wagner dell'opposizione di Monaco contro il progetto della strada trionfale, questi rispose che tutto aveva in mente, tranne che un teatro wagneriano o una strada wagneriana. Del resto si era abituato a rimanere calmo di fronte a simili infuocate decisioni e ad aspettare fin tanto che la natura delle cose non smorzasse il fuoco e non vi versasse sopra acqua sufficiente. Il segretario di corte Düfflipp gli aveva appena comunicato che con i «risparmi privati» doveva venir fornito il denaro necessario per poter almeno prendere in considerazione la costruzione del teatro e per teuer calda la cosa per cinque o sei anni (29 gennaio). Ma la cosa naufragò già per i risparmi, perché tutti i soldi vennero spesi per i preparativi delle nozze: solo la carrozza della sposa costò un milione di fiorini. Il mattino del 17 febbraio Cosima dette alla luce la seconda figlia di Wagner. Mentre si avvicinava la difficile ora, egli nella stanza accanto suonava sommessamente e dolcemente il canto del sogno di Walther. Ciò che mi produsse la canzone, era più che sogno del mattino; dal Parnaso al Paradiso mi mostrò il cammino. Nel pomeriggio giunse a Tribschen Billow. Al capezzale di lei, come racconta la sua seconda moglie, egli esclamò tra le lacrime: «Je pardonne», al che gli rispose: «Il ne faut pas pardonner, il faut comprendre». «Bülow aveva da tempo capito,» aggiunse il suo biografo Max Morold «e proprio perché aveva capito, le perdonava anche nel più profondo del suo cuore.» Dopo tre giorni la bimba venne battezzata nella chiesa di Lucerna con il nome di Eva Maria. Al ritorno a casa, Wagner, come scrisse a Luigi (20 febbraio), si era cantato, con evidente riferimento a se stesso, i versi di Sachs cosi cambiati: grattacapi nella vita, qualche gioia matrimoniale - rabbie, lotte, affari, battesimi: - se ad un uomo ancor riesce di cantare un tal canto schietto, ecco, vien detto maestro! Era capitata una grossa sfortuna ai fedeli seguaci del re, prosegue in questa velata confessione, e - se si fossero riavuti da quella disgrazia - la cosa non sarebbe di poca importanza. L'altro progetto, la scuola di musica, mancò poco che non venisse mandato a monte da Bülow. Dopo la nomina provvisoria, l'assunzione ufficiale a direttore d'orchestra di corte e direttore della scuola di musica reale sembrò talmente incerta che egli si vide costretto «a contrapporre alle altissime proposte il suo semplice rifiuto». Era in grado soltanto di servire un re, che pensasse e agisse anche da re e non sentisse solo emozioni artistiche, confidava a Raff. Nella discussione con Düfflipp egli si espresse nei suoi confronti come un «gentiluomo prussiano», una espressione che Wagner deplorò in una lettera al re. Questi era stato così benevolo da non lasciarsi mettere in imbarazzo dallo sconsiderato comportamento di Bülow. «Per me non è stato così facile, e la mia decisione di rompere completamente con lui..., in effetti era già presa» (20 febbraio). Poiché il matrimonio fittizio di Bülow doveva essere mantenuto in piedi davanti agli occhi del re e dell'opinione pubblica, il 16 aprile Cosima dovette partire da Tribschen e trasferirsi con suo marito a Monaco. Durante il viaggio essa telegrafò a Wagner: «È destinato dalla volontà di Dio - che dalla persona più cara che si ha - ci si debba separare». La stessa sera egli scriveva nel suo Libro bruno: Triste come in questo momento non ero mai stato in tutta la vita!! - Come è facile dirlo, e come è indicibile! - Sono tornato a casa a piedi e sono caduto a terra per la stanchezza. Un breve pesante sonno... ha sollevato tutta la miseria della mia vita come dal più profondo della mia anima. - Vedo una grande malattia e morte. Non ne posso più - non voglio più! - Se tutto finisse, finisse! (KLRW, II, pp. XXI-XXII) Era il più ardente desiderio del re che Wagner trascorresse il giorno del suo compleanno da lui a Starnberg. Sebbene fosse trattenuto da un giusto presentimento e adducesse come pretesto che doveva lavorare ai Maestri cantori, Cosima, che temeva la collera del re, lo indusse con un energico scambio di telegrammi ad andare a Monaco: «Vieni qua..., altrimenti tutto è finito. Fai tesoro di questo ultimo desiderio, non scriverò più» (19 maggio). Il mattino del suo compleanno Wagner giunse a Starnberg dove il re, per averlo vicino, gli aveva messo a disposizione la Villa Prestele. Il pomeriggio lo trascorse con l'amico regale nel castello di Berg. Poiché la villa non era ancora pronta, andò per qualche giorno a Monaco da Bülow. La sera ebbero luogo diverse manifestazioni per festeggiare il suo compleanno, tra cui un concerto nella sala ovest con brani dal Tannhäuser, dal Lohengrin e dalla Cena degli Apostoli. L'afflusso fu così grande che un centinaio di spettatori dovette disporsi in file molto serrate. Il 30 maggio Wagner si trasferì nella Villa Prestele, e il 31 il re partì per visitare la Wartburg. «Il re se ne va via a cavallo e parte», sta scritto negli Annali. Il 6 giugno, a tarda sera, bussarono alla porta di Wagner: era Luigi, che in quell'ora così inconsueta gli fece visita per diverse ore. Ciò che allora lo eccitavano erano le rappresentazioni modello del Lohengrin e del Tannhäuser, che Bülow doveva elaborare e a cui Wagner doveva sovraintendere. Sfortunatamente questi aveva raccomandato come Lohengrin il suo vecchio compagno di lotta di Dresda, Tichatschek, e, quando in un secondo tempo gli vennero dei dubbi, preparò il re al fatto che non avrebbe visto un Dürer, ma un Holbein. Ma dopo la prova generale egli abbracciò commosso l'amico: era rimasto rapito nel risentire lo stesso energico timbro argentino della voce, come era ancora vivo nella sua memoria. Il re invece era indignato: quel «cavaliere dalla trista figura» corrispondeva così poco alla sua immagine ideale del cavaliere del Gral, che egli, nonostante Wagner garantisse per lui, fece sostituire Tichatschek. Doveva considerare quel fatto come un'umiliazione personale, scrisse questi il giorno dopo a Luigi, e per sottrarsi a ciò non gli rimaneva che partire. «Stia bene, amico profondamente amato!» Per quindici giorni non seppe nulla del re. Poi gli giunse una lunga lettera: «Padrone della mia vita!... Bacio la mano che mi ha colpito...» (21 giugno). Il terzo progetto, il nuovo giornale, in principio dava da sperare bene. Dopo che Fröbel aveva esposto il suo programma a Hohenlohe, venne concessa una sovvenzione statale di ventimila fiorini per cinque trimestri. Wagner si era messo d'accordo con l'editore sul fatto che il giornale venisse concepito nello spirito di un «umano patriottismo». Egli stesso volle contribuire con una serie di articoli sulla cultura politica. Del resto la sua tendenza artistica doveva venir sostenuta da Heinrich Porges, «giovane abile, veramente diligente, buono e di delicati sentimenti». E una prova del carattere del presunto singolare antisemitismo di Wagner, il fatto che scegliesse per quello scopo un ebreo. Forse, continua, si poteva ottenere da Semper un saggio sopra lo spirito del suo stile architettonico e il suo impiego sulle Belle arti. Con la letteratura si poteva andar piano, finché non si fosse trovato l'uomo giusto: in nessun caso era necessario schierare subito battaglioni di collaboratori «pieni di spirito» (a Fröbel, 2 settembre). Il 24 settembre apparve il numero sperimentale della 'Suddeutsche Presse', e nell'edizione della sera cominciò la pubblicazione dei saggi di Wagner sulla Deutsche Kunst und deutsche Politik (Arte tedesca e Politica tedesca). «Per Dio, chi non viene rapito dalla magia del discorso, chi non viene convinto e convertito dalla profondità dello spirito che vi si rivela, non vale la pena che viva», esclamò il re (21 novembre). Molto presto i rapporti tra Wagner e Fröbel si guastarono. «Wagner dice: la bellezza è il senza scopo», scrive quegli il 10 dicembre a Cosima. «Ma io dico: il senza scopo è l'inutile, il buono a nulla, ciò che non può essere.» «La Sua osservazione sulla teoria del bello mi ha tanto più meravigliata,» rispose lei «in quanto credevo che dopo Kant (e dopo di lui Goethe e Schiller) fosse chiaro il concetto fondamentale del bello, che è fine a se stesso.» Si rivelava così un contrasto tra l'uomo politico e l'artista, che a lungo andare non poteva reggere. Se Fröbel crede di vedere assicurata la salvezza del mondo per mezzo dell'americanizzazione dell'Europa..., noi comunque in futuro ci comporteremmo in maniera molto singolare gli uni con gli altri, disse Wagner. Era propenso a ritirarsi subito dalla 'Süddeutsche Presse' e a pubblicare un giornale indipendente, 'Der deutsche Stil'. Voleva solo aspettare di pubblicare le ultime due puntate della Deutsche Kunst und deutsche Politik. Scrive il 19 dicembre a Fröbel: Decida Lei stesso, ritiene possibile continuare ad andare avanti insieme? Wagner non può fare altro. Questa è la sua forza di fronte al mondo ma anche il suo pericolo. Ma nel frattempo la sorte decise diversamente. La mattina stessa si presentò alla redazione un consigliere ministeriale che lesse un decreto del ministero degli Interni per cui il re ordinava la momentanea sospensione della pubblicazione dell'articolo di Wagner. «Sua Maestà definisce suicida tale articolo.» Certo: in effetti scrivo solo per Lei, aveva confessato Wagner al re in una lettera del 30 novembre, potrei dire quasi in sostituzione delle nostre conversazioni a Hohenschwangau... Conto molto sull'impressione delle mie delucidazioni soprattutto sui migliori elementi del teatro; forse questa potrebbe essere la nostra principale speranza. E con giustificato sospetto aggiunge: Gli stimatissimi signori funzionari di corte e di stato saranno gli ultimi a capire... Il presentimento non lo aveva ingannato! Il consigliere ministeriale Otto Freiherr von Völderndorff, ancora nel 1900 andava dicendo in giro con soddisfazione che era riuscito allora «ad ottenere un esplicito ordine reale che preparava la fine di quel verme solitario» (KLRW, II, p. 209). [Per rendere il carattere del signor barone, Otto Strobel ricorda che Völderndorff, pochi giorni dopo la morte di Wagner, lesse in una Società di Monaco una poesia da lui composta in cui, era detto: Te ne sei andato, pezzo d'imbroglione, finalmente il diavolo ti ha preso, hai fischiato il tuo ultimo motivo, e grazie al cielo devi ormai tacere... Vattene, cattivo uomo e poeta, e che il diavolo ti giudichi a dovere!] Nel tardo autunno di quell'anno accadde ancora uno strano avvenimento. Liszt, che era giunto a Monaco per ascoltare quelle esemplari esecuzioni, colse l'occasione per far visita a sua figlia e nel giorno del suo onomastico, in casa del pittore amico Kaulbach, la trattò tanto cordialmente quanto rispettosamente. Confutò con questo l'opinione, diffusa nella cerchia dei cattolici, che l'abate condannasse la sua condotta. In quell'occasione fece un viaggio in incognito a Tribschen, dove giunse il 9 ottobre, per parlare di cose serie con Wagner. «Visita di Liszt: temuta, ma tuttavia gradita», sta scritto negli Annali. Non è difficile indovinare l'argomento del loro colloquio durato sei ore. «Solo una parola», telegrafò Wagner il giorno dopo a Cosima. Bella, tranquilla visita finita stamani presto. Molto assonnato, ma pieno di speranze. La sera i due amici, con l'accompagnatore di Liszt, Richard Pohl, e l'«apprendista» di Wagner, Hans Richter, erano rimasti insieme fino a dopo mezzanotte. Liszt aveva suonato i Maestri cantori dal manoscritto, mentre Wagner cantava. Il vedere e sentire come suonasse a prima vista quella partitura per lui assolutamente sconosciuta, era stata una cosa unica nel suo genere, racconta Pohl, «non ho mai ascoltato un'esecuzione più bella dei Maestri cantori. Quella verità dell'espressione, quella bellezza del fraseggio, quella chiarezza in tutti i dettagli era affascinante... Dopo il terzo atto era estremamente entusiasta una cosa del genere non la poteva fare nessun altro che Wagner, esclamò quando tra la meraviglia e l'eccitazione si decise a suonare ancora una volta quel passo». Esteriormente Wagner era molto mutato, scrive Liszt alla principessa Wittgenstein: era smagrito e il volto era sparuto: ma il suo genio non aveva subito indebolimenti. Restò a Monaco ancora otto giorni. «L'essere rimasto vicino a Wagner,» dichiarò «è la cosa migliore che io abbia fatto. Per me è come se avessi visto Napoleone a Sant'Elena.» Il sopraccitato apprendista, Hans Richter, cronista nell'orchestra dell'Opera reale di Vienna, era stato assunto un anno prima, appena ventiquattrenne, come segretario di Wagner. Abitava al piano superiore, e mentre Wagner di sotto strumentava nella sua stanza da lavoro, egli trascriveva in bella per Schott i fogli già pronti della partitura. Una volta il maestro gli aveva chiesto la sua opinione sul secondo Finale, nel punto dove il corno riprende la Melodia della serenata: si poteva suonare bene in quel tempo? - Si poteva - osservò lui, ma avrebbe fatto un effetto stranamente nasale. Ottimo!, esclamò Wagner, quello era proprio l'effetto che desiderava. Del resto, come racconta Richter, egli aveva in mente con sicurezza assoluta l'immagine sonora. Richard Strauss ammira l'orchestrazione dei Maestri cantori, soprattutto per la sua moderazione: mentre corrisponde all'incirca nell'organico a quella della Sinfonia in do minore di Beethoven, arricchita da un corno a pistoni, una terza tromba, tuba e arpa, in ogni battuta risultano combinazioni di suoni completamente diverse, nuove, mai prima udite. Ricorda il Quintetto d'archi, che nei Maestri cantori spesso viene ridotto a Quartetto senza i contrabbassi, e che poi si allarga di nuovo in stile polifonico in posizione lata estendentesi su quattro ottave, per modo che vengono a risuonare tutti gli armonici, come nelle parole del Canto del premio: «Das schönste Weib» (La donna più bella); o esprime il terrore di Beckmesser con un accordo ff pizzicato, quando quegli si crede beffato; o finalmente ricorda lontani suoni d'organo in pp. E come tratta Wagner i clarinetti attraverso tutti i loro quattro registri: quando David si lamenta che egli, dato che il giovane ha sbagliato, non ha potuto strappare il cesto alla Lene, il clarinetto solo sprofonda di circa due ottave dalla sua zona cantabile in quelle basse, dove d'un tratto suona freddo e minaccioso. Della «natura proteiforme» del corno a pistoni Strauss adduce molti esempi: dalla Scena delle bastonate, dove è fornite della più aspra rissa, fino al sentimentale assolo delle parole di Sachs: «Schön Dank, mein jung...» (Grazie, ragazzo). [Instrumentationslebre von Hector Berlioz, completato e corretto da Richard Strauss, Lipsia, 1904.] «Questa sera alle otto scriverò l'ultimo do. Prego celebrare insieme la festa. Sachs», telegrafò Wagner il 24 ottobre a Bülow. E alla fine della partitura si legge: «Fine dei Maestri cantori. Tribschen, giovedì 24 ottobre 1867, 8 di sera». Dopo le fatiche e le tensioni dell'ultimo periodo egli abbisognava di un po' di riposo e di distrazione. I monti erano già coperti di neve e ci sarebbe voluto molto tempo per andare in Italia; così decise di fare una corsa di sei giorni verso il suo «antico, curioso nido del destino Parigi». Ma questa volta si accorse che il suo interesse per quella «curiosità» era straordinariamente diminuito. Le strade, che conosceva così bene, erano distrutte, le nuove costruzioni non gli piacevano affatto, così che per lo sdegno non volse lo sguardo da nessuna parte. Abitava, protetto da ogni pubblicità, al Grand Hotel e andò a trovare solo il suo fedele amico Charles Truinet. Negli Annali annota due parole: «Scolaretti; farfalle». Il giorno della chiusura dell'Esposizione mondiale, aveva comprato da un povero commerciante una raccolta di grandi farfalle colorate indiane, che più tardi ornarono la sala di villa Wahnfried. L'altro avvenimento produsse in lui un'impressione così incancellabile che anche dopo un decennio e mezzo non riusciva a pensarci senza commuoversi. All'uscita dell'esposizione, trattenuto dall'ingresso di centinaia di scolaretti, era rimasto per quasi un'ora ad osservare quella schiera di giovani che rappresentava tutto un futuro. Vi aveva scorto raffigurati tutti i vizi e i dolori della popolazione della metropoli. Viene in mente la descrizione degli abitanti delle grandi città che Balzac ha fatto nella Fille aux yeux d'or. Wagner prosegue: Tutto ciò condotto da maestri per lo più sacerdoti, nella brutta veste elegante del clero alla moda; tutti passivi, severi e duri, più obbedienti che dominanti. Tutto senza anima salvo una giovane insegnante che guidava un gruppo di ragazze e nel cui sguardo egli poté leggere una preoccupazione inesprimibilmente bella come se avesse letto nella sua anima. Essa gli apparve come l'incarnazione della «nation vraiment généreuse», come definiva i francesi in una lettera a Catulle e Judith Mendès, che sotto il Secondo impero veniva dominata da un sistema educativo rigido e senz'anima. Il 23 dicembre Wagner andò a Monaco. Voleva trascorrere le feste dai Bülow, dove regalò alla bimba ogni sorta di «ninnoli parigini». Qui lo aspettava ancora una sorpresa spiacevole. Fröbel aveva denunciato per supposte macchinazioni politiche Cosima al re, che il 27 dicembre la fece ammonire da Düfflipp. «Sono caduto dalle nuvole», confessò Luigi al segretario di corte. «Questa signora von Bülow delicata e piena di spirito si confonde con queste porcherie giornalistiche e scrive questi deplorevoli articoli? In verità, non avrei ritenuto l'educata Cosima capace di una simile canagliata!» - «Il giorno dopo dal re,» nota Wagner negli Annali «per due ore e mezzo. Riconciliazione e scuse a C.» «Di una cosa La scongiuro, cara amica,» prega Luigi per lettera Cosima «dimentichi l'ultimo colloquio con Düfflipp, ... ritratto volentieri tutto; è stato un annebbiamento passeggero...» Era assolutamente necessario che Fröbel se ne andasse per sempre, perché ne aveva ormai capito l'«anima nera». Ciò nonostante Wagner ritenne consigliabile non riprendere di sua iniziativa la corrispondenza con il re. Finché questi finalmente, il 9 marzo ruppe il silenzio: «Non ce la faccio più a rimanere senza vostre notizie!». Alla risposta sostenuta di Wagner, replicò: «Voglio scavare, profondamente scavare nel cuore dell'amico, finché non ceda il muro di separazione...». Frattanto Wagner fin dal 17 marzo era arrivato a Monaco, e due giorni dopo l'usciere del tribunale della città gli presentò l'ingiunzione di pagamento di duemila centonovantasette fiorini e trentadue corone, avanzata dalla vedova Klepperbein di Dresda attraverso l'avvocato Simmerl. Nel documento, custodito nell'archivio wagneriano come una curiosità, sta scritto che contro Wagner era stato spiccato mandato di arresto e l'usciere aveva l'ordine, se egli non regolava immediatamente la faccenda, di «condurlo nella Neuthurm». Si trattava di un prestito che l'amica materna Wilhelmine Kiepperbein gli aveva fatto nel 1847. Dio solo sapeva, scriveva Wagner a Düfflipp, con quali manovre erano riusciti a ottenere quel vecchio documento dalla anziana signora! Egli poteva solo esprimere la più profonda ripugnanza per una cosa così volgare, osservò Düfflipp, che gli procurò un anticipo del suo onorario dalla cassa del gabinetto (KLRW, II, p. 9; IV, p. 260; V. p. 76). Ma Wagner dovette affrontare anche un altro affare. Poiché la costruzione del Festtheater, di cui il re tre anni prima aveva incaricato Semper, impegnandosi a voce e con una stretta di mano, ora sembrava definitivamente naufragata, questi, per mezzo del suo avvocato Schauss, avanzò alla cassa del gabinetto una pretesa di quarantaduemilatrecentocinque fiorini per i suoi progetti e modelli. Contemporaneamente Schauss pregò Wagner perché facesse in modo che la liquidazione venisse effettuata in una forma non offensiva per Semper. Mentre questi stava ancora pensando di intervenire personalmente con il suo vecchio amico a Zurigo, gli giunse la notizia che il re aveva rotto con Semper e che il suo nome non doveva mai più venir fatto in sua presenza. Il conto venne finalmente regolato dopo dieci mesi. Così anche quell'orgoglioso progetto finí con una rottura. Il 22 aprile Wagner riparti per Tribschen, senza aver visto neppure una volta il re in quelle cinque settimane. Qui si occupò di alcuni piccoli lavori letterari: una Prefazione alla seconda edizione di Opera e Dramma, che dedicò a Costantino Frantz, e le sue già citate Erinnerungen an Ludwig Schnorr von Carolsfeld (VIII, pp. 195 sgg.; pp. 177 sgg.). Nel frattempo lo dominava una dolce, malinconica disposizione d'animo: «Buddhismo: i Vincitori ripensati», annotava negli Annali. Inoltre traccia nel suo Libro bruno uno sfondo mitologico-filosofico: Nuova formazione del mondo: dal Dhyana le creature discendono di nuovo nel mondo... Il paradiso è perduto. La musica del mondo di Brahma lo richiama alla memoria: conduce alla verità... (KLRW, V, p. 159) In quel periodo concepisce anche l'inizio di una Sinfonia funebre per Romeo e Giulietta, sostenuta da una malinconica melodia in la diesis minore 72. [Prima stesura il 21 aprile, seconda trascrizione il 7 maggio 1868. Pubblicato in Westernhagen, Wagner, 1956, p. 57, in facsimile.] A metà maggio giunse Cosima con i figli per una breve visita. Ciò che lo agitava in quei giorni si può vedere dalle allusioni pungenti dei suoi Annali: Sensazioni molto disordinate: sempre nuove difficoltà. Indicibili pene d'amore. Sono tentato di fuggire e sparire. Poi d'un tratto vi si legge: Sempre rapido mutamento: sublime lenimento. Urge la salvezza. Tutto cospira ora verso una decisione che viene ostacolata solo dalla prima rappresentazione assoluta dei Maestri cantori. Il 21 maggio si trasferisce a Monaco dai Bülow per sovraintendere alle prove. «Dono: l'immagine della mamma! Grande profonda felicità!», annota nel giorno del suo compleanno. «Pranzato con il re sulla Roseninsel.» «Che giornata! Che vita! Che ricordo», scrive la sera a Luigi dopo il ritorno a casa dallo Schloss Berg. Evidentemente nell'occasione ha parlato con il re anche dei suoi Vincitori, perché pochi giorni dopo gli invia il Burnouf, da cui dodici anni prima aveva tratto l'argomento. Ma gli succede come prima era successo con la Völsungasaga: si accorge quanto intensamente nel frattempo abbia operato la sua fantasia nello sviluppo della scarna materia (31 maggio). Intanto erano cominciate le prove. Wagner dava molta importanza a una fedele ricostruzione dell'antica Norimberga; lo scenografo già un anno prima aveva tracciato gli schizzi sul luogo. Anche l'animazione delle strade doveva venir studiata da madame Lucile Grahn «con la maggior precisione coreografica possibile». «Cantante bene,» osservava lui «ma la direzione [Perfall] è molto insidiosa.» Soprattutto lo crucciava la pesante, cupa sensazione della «profonda ostilità e indifferenza di Hans». Gli amici Cornelius e Weissheimer non supponevano ciò che in quei giorni, oltre alle faticose prove, lo opprimeva e lo rendeva irritabile e impaziente. «Ora il rapporto con lui non è proprio piacevole,» scriveva Draeseke «ma più tardi, fra circa quaranta, cinquant'anni, verremo invidiati da tutto, tutto il mondo, perché la sua figura è così straordinaria che dopo la sua morte crescerà sempre di più...» [W. Weissheixner, Erlebnisse, 2ª ed., Stoccarda e Lipsia, 1898, P. 391.] Quando poi apparve presso Schott la magistrale riduzione per pianoforte di Tausig, egli non dimenticò di inviarne due esemplari all'amica di Pietroburgo, Editha von Rhaden, uno per lei e uno per la granduchessa Helene: Lo custodiscano benevolmente, così che io possa sperare di rimanere Loro indimenticabile, come Loro, care signore, lo sono per me! (7 giugno) A poco a poco giunsero gli ospiti stranieri. Negli Annali cita tra questi Mathilde Maier e Jessie Laussot, con la quale otto anni prima voleva fuggire in Oriente. «Nessuno sta al mio livello», annota sotto il suo nome, evidentemente riferendo un'asserzione di lei dopo l'impressione delle prove, «Arte e Politica scritto dal cuore». Apprezzò soprattutto un gruppo di amici francesi: stranamente questi erano stati coloro che con maggiore vivacità avevano riconosciuto l'elemento popolare della sua opera e come tale lo avevano accolto. «Entusiasti i francesi: bassezze tedesche.» Dopo l'ultima prova generale, alla quale partecipò un gran numero di ascoltatori, rivolse alcune affettuose parole ai suoi artisti. Il momento della rappresentazione, che dopo molte fatiche era ormai prossimo, era di importanza determinante poiché doveva dimostrare a quale altezza e a quale dignità fosse in grado di elevarsi l'arte drammatica, se ci si dedicava con tutta serietà al suo servizio. Quel semplice discorso commosse tutti profondamente. Non ci fu nessuno tra i presenti, osserva Newman, che non avesse capito che con Wagner era iniziato un nuovo giorno per l'arte tedesca (NLRW, IV, p. 141). Alla prova generale del 19 giugno, che somigliava già del tutto ad una vera rappresentazione, assisté anche il re. E quando la sera stessa scrisse a Wagner che l'impressione ricevuta aveva soddisfatto le sue più alte aspettative, questi osservò: Lo so: lui mi capisce! Impossibile che egli attraverso i bizzarri veli dell'umore popolare non avvertisse e riconoscesse la malinconia, il lamento, il grido di dolore della poesia incatenata...! (20 giugno) Alla rappresentazione, che ebbe luogo la domenica 21 luglio, egli non voleva partecipare per un voto fatto in un momento difficile. Tuttavia per rispetto del re e dei suoi artisti rimase, ritirandosi con Cosima sul fondo di un palco. Il Preludio era già cominciato quando il re lo fece chiamare perché andasse da lui nel grande palco reale. Ho dovuto ascoltare al suo fianco i Maestri cantori. Molto stanco ed esausto. Cosima rattristata perché non sono rimasto al suo fianco. Invano il pubblico durante la prima pausa cercò di vedere il creatore dell'opera. Dopo il secondo atto segui l'esortazione del re a sporgersi dal parapetto e a ringraziare in silenzio in profonda commozione. Lo stesso fu dopo il terzo atto. «Orazio accanto ad Augusto», corse come una parola alata tra la folla. Spontaneamente molti hanno alzato gli occhi verso lo scintillante soffitto, scrisse un giornale, per vedere se per caso non stesse per crollare. «Commiato da Parzival dopo la rappresentazione», prosegue Wagner nei suoi Annali. Pieno di presentimento annunciò al re che non si sarebbero rivisti per molto tempo (KLRW, III, p. 79). E ciò avvenne infatti solo otto anni più tardi a Bayreuth. Nelle antiche repubbliche ai cittadini meritevoli venivano accordati per un giorno onori regali, scrive egli a Luigi, il mantello purpureo poteva pendere dalle loro spalle. Nei giorni successivi ritornavano poi umilmente al silenzio della loro vita privata. Il 24 giugno si recò di nuovo a Tribschen, da dove ringraziò ancora una volta Bülow per la sua direzione d'orchestra, che, al pari dei direttori stranieri, riteneva «incomparabile». Nell'occasione gli comunicò anche alcuni suoi desideri per le successive rappresentazioni, soprattutto in merito alla «discrezione», al «consapevole freno della sonorità» nell'accompagnamento sinfonico del dialogo musicale sulla scena. «Buon per noi, che non abbiamo niente altro da ridire!» E firmò: «Licurgo lontano da Sparta» (25 giugno). Quale prezioso dono, il 25 agosto inviò al re per il suo compleanno un esemplare con dedica della partitura incisa dei Maestri cantori». [La partitura originale, che si trova attualmente nel Germanischen Museum di Norimberga, gliela aveva fatta trovare sulla tavola di Natale, il 24 dicembre 1867 (KLRW, V, p. 204, nota 7).] La dedica risuona dei seguenti versi: Or fammi scontare umile la gioia, d'esserti stato grande a te vicino: che se il maestro da te allontanarsi dovette, or per l'addio la man ti stringe; ma giace il suo lavoro ai piè del re, là dove protezione trovò e grazia. E se un bel canto gli dovrà sgorgare, lo stringa l'alto amico al petto suo! (KLRW, II, pp. 240-41) A due delle successive rappresentazioni assisté anche Wesendonk. E all'arringa di Pogner si deve essere ricordato di quando Wagner, una volta, gli aveva scritto che la granduchessa von Baden aveva creduto di riconoscere nel suo Pogner, che egli le aveva letto con particolare calore, una salutare esperienza di vita. Di questa impressione mi rallegro in modo particolare. Mi fa l'effetto come se io nell'amore con cui trattai questa parte - ora anche musicalmente - avessi innalzato un monumento a un amico. (26 luglio 1862) Se è il caso di deplorare che quell'amico non fu convenientemente apprezzato in Mein Leben - e la ragione deve esserne stata il dissenso della Pasqua 1864 - tuttavia nella figura del borghese mecenate gli è stato innalzato un indimenticabile monumento sonoro: Ciò che vai l'arte, e ciò che può, questo mostrare io volli al mondo. |