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PRAGA, Staatsoper, 18 marzo 2000

ALEXANDER ZEMLINSKY

ES WAR EINMAL...

di

Laureto Rodoni

 

 

Questo articolo, ridotto e tradotto in francese, è stato pubblicato nella rubrica En direct de... sul numero 197 (luglio-agosto 2000) della rivista AVANT-SCÈNE OPÉRA.

 

Da pochi anni è iniziato uno studio serio e sistematico della figura e dell'opera di Alexander Zemlinsky, animatore della vita musicale mitteleuropea nel periodo d'oro a cavallo tra Ottocento e Novecento e figura di primissimo piano nell'ambito della seconda Scuola di Vienna, soprattutto per i suoi legami con Schönberg e per aver avvicinato quest'ultimo a Mahler (e viceversa).
La monumentale monografia di recente pubblicazione e la voce nella nuova edizione del GROVE redatte da Antony Beaumont, attualmente il più autorevole studioso di Zemlinsky, permettono di veder finalmente riuniti i tasselli del lavoro critico svolto finora, offrendo una visione non più frammentaria della sua attività di compositore, di direttore d'orchestra, di pianista, di operatore culturale e di didatta.
Sabato 18 marzo 2000 alla Staatsoper di Praga, a 100 anni dalla Uraufführung, è andata in scena «Es war einmal», seconda opera dell'allora ventinovenne compositore viennese su libretto di Maximilian Singer che si è ispirato all'omonima commedia fiabesca dello scrittore danese Holger Drachmann. Questo nuovo allestimento di un'opera poco rappresentata si inserisce felicemente nel contesto di una ormai imprescindibile Zemlinsky-Renaissance, che ha lo scopo primario di valorizzare una produzione operistica ingiustamente tenuta ai margini del repertorio. Da questo punto di vista, non è certo casuale che la direzione musicale sia stata affidata proprio al maestro Beaumont, che della musica di Zemlinsky è da una decina d'anni convinto e appassionato paladino.
Il 22 gennaio del 1900, alla Hofoper di Vienna, fu Gustav Mahler a dirigere la prima assoluta di «Es war einmal». Le condizioni per questa rappresentazione non furono certo ottimali: i rapporti con l'orchestra, conflittuali fino a qualche mese prima, si erano nel frattempo normalizzati, ma quelli con una parte della stampa e del pubblico erano piuttosto tesi. Mahler era accusato di essere incredibilmente brutale contro i membri dei Philharmoniker e i cantanti della Hofoper da una parte, e dall'altra di intervenire arbitrariamente sull'orchestrazione di alcune partiture. Nonostante questo clima ostile, egli affrontò la concertazione della nuova opera con il consueto piglio energico e con la convinzione di trovarsi di fronte a una musica di eccellente fattura. Durante le prove numerose furono le modifiche apportate alla partitura, molte suggerite da Mahler e quasi sempre avallate da Zemlinsky. La versione definitiva, che ebbe il suo suggello nelle rappresentazioni praghesi del 1912, dirette dal compositore stesso, può a buon diritto essere considerata un affascinante documento della fattiva collaborazione tra creatore ed esecutore.
La Staatsoper di Praga non si è dunque lasciata sfuggire l'occasione di celebrare il centenario dalla prima assoluta, rievocando nel contempo le rappresentazioni del 1912 e l'impressionante attività culturale in senso lato che Zemlinsky svolse nella città boema dal 1911 al 1927 in qualità di Kapellmeister dell'allora Deutsches Landestheater, paragonabile per incisività, fervore e originalità a quella di Mahler a Vienna tra il 1897 e il 1907.
«Es war einmal», come del resto il titolo lascia facilmente intendere, si inserisce nel genere favolistico denominato «Märchenoper», molto in voga in quegli anni, e narra la vicenda di una gelida principessa (quante somiglianze con la «Turandot» gozziana!) che, a causa di una sua, forse inconsciamente voluta, leggerezza, cade nel tranello teso da un pretendenteprincipe prima rifiutato e ora travestito da zingaro. Il re, padre inflessibile, la ripudia e la costringe a lasciare il castello per seguire e sposare lo «zingaro» di cui a poco a poco si innamora e che alla fine svelerà la sua vera identità. Il tema dell'opera sembra presagire un aspetto pateticamente autobiografico: il travolgente amore non corrisposto per Alma Schindler, futura moglie di Gustav Mahler, che Zemlinsky conoscerà poco dopo la prima rappresentazione viennese.
La «Märchenoper» è caratterizzata da stilemi ricorrenti sul piano delle idee musicali, dell'armonia e del timbro orchestrale. I legni, per esempio, assumono un'importanza eccezionale, legandosi intimamente ai personaggi, ai rumori della natura; il tremolo d'archi è l'attesa di un incantesimo imminente; il fluire dell'arpa è lo scioglimento dell'incantesimo... Zemlinsky, almeno in parte, si serve di questi veri e propri stereotipi, inserendoli però in un linguaggio musicale ben più raffinato rispetto alle opere coeve o precedenti che appartengono a questo filone operistico. Linguaggio connotato, come ha acutamente scritto Quirino Principe «da moduli orientali, da arcaismi modali e da un intorbidarsi dell'atmosfera tonale, come se la tonalità fosse un manto continuamente teso e tormentato eppure mai lacerato».
Per un corretto e plausibile approccio esegetico a un'opera tanto complessa e poco studiata è determinante una profonda conoscenza dei contesti storico, biografico e soprattutto musicale in cui è nata, tutti estremamente compositi, in particolare quello musicale, poiché molteplici sono i riferimenti non solo alla musica coeva, già così impregnata di inquietudini armoniche, ma anche alla grande tradizione musicale tedesca dell'Ottocento, culminata nell'imponente corpus operistico wagneriano. La ricerca e l'analisi sul piano sincronico e diacronico forniscono la chiave che permette di rivelare lo stile peculiare di un'opera, di vivificarne la partitura senza tradirne lo spirito: un lavoro scontato per l'interprete serio, indispensabile soprattutto quando l'opera è di rara esecuzione e mancano punti di riferimento interpretativi e studi critici.
Con la competenza dello specialista, Antony Beaumont ha saputo restituire in tutta la sua ricchezza e originalità la superba orchestrazione del giovane Zemlinsky, già ricca di forti novità espressive, spesso finemente cameristica, con impasti sonori di grande suggestione. Ogni settore dell'orchestra era chiaramente differenziato e il suono aveva a tratti una levità, una nitidezza e una trasparenza che non poteva non far pensare anche a Mozart.
Tutto questo lavoro di cesello non aveva fini meramente sinfonici (con tali partiture è facile lasciarsi avvincere dalla struttura musicale tout court): la cura del dettaglio non era cioè fine a se stessa, ma intimamente correlata al testo e quindi al tessuto narrativo dell'opera: ciò ha permesso a Beaumont di mettere nel giusto risalto l'aspetto teatrale, fondamentale in opere come queste: una teatralità ottenuta per così dire agendo dall'interno, ossia con il rispetto scrupoloso e quindi con la dialettica delle indicazioni dinamiche disseminate in gran copia nella partitura, con un fraseggio variatissimo; infine, come detto, con una valorizzazione estrema dei singoli strumenti e degli «ensembles» che Zemlinsky ritaglia abilmente all'interno della grande orchestra tardoromantica; non certo con il peso di un suono greve che crea effetti superficiali!
L'interprete ha sempre tenuto presente che «Es war einmal» è prima di tutto una fiaba, che la fiaba è narrazione e che la narrazione è un percorso che presuppone legami, correlazioni, sviluppi e ritorni nel tempo. Di conseguenza anche il flusso musicale deve per così dire collaborare al racconto. In conclusione, un'interpretazione esemplare, nonostante qualche veniale smagliatura nell'orchestra, eccezionalmente sollecitata dall'esigente maestro. [Cfr. la recensione di Jörn Peter Hiekel]
Gli altri aspetti dello spettacolo, purtroppo, non sono interessanti come quello musicale, benché, nel complesso, questa nuova produzione praghese si possa considerare di buon livello. Poco incisiva la guida delle dramatis personae del regista Jiri Nekvasil; stilizzate e basate su contrasti cromatici piuttosto banali le scene di Daniel Dvorak; sciatti i costumi di Simona Rybakova. La regia ha avuto comunque il merito di non essere prevaricante, lasciando giustamente alla musica il ruolo principale.
Nel complesso discreto il cast, nel quale svettava per bellezza di timbro e varietà di fraseggio il tenore Klaus Florian Vogt nei panni del principe. Grosso successo di pubblico ha avuto anche il soprano Maria Tkadlcikova, sebbene si abbia avuto spesso l'impressione che questo ruolo fosse drammaticamente troppo spinto per la sua voce.
Lo spettacolo è stato sponsorizzato dall'«Alexander-Zemlinsky-Fonds bei der Gesellschaft der Musikfreunde Wien».
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