Don Chisciotte della Mancia
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CAPITOLO XLIII

SEGUITANO INAUDITI SUCCESSI NELL'OSTERIA.

CAPITOLO XLIII

E tali furono all'ultimo le strida che mandò don Chisciotte, che spalancando la porta dell'osteria uscì l'oste atterrito per vedere chi urlava sì forte; e lo stesso fecero quelli che stavano di fuori. Maritorna, svegliatasi a tanto frastuono, immaginandosi quello che poteva essere, si recò al pagliaio, e sciolse senz'essere veduta da chicchessia il capestro che sosteneva don Chisciotte, per lo che egli stramazzò sull'istante a vista dei passeggieri e dell'oste, i quali appressatisi a lui gli chiesero che cosa avesse e perché gridasse. Egli, senza rispondere parola, si tolse la fune dal polso, e rizzatosi montò presto sopra Ronzinante, imbracciò la targa, intestò il lancione, e pigliando buono spazio del campo, tornò a mezzo galoppo dicendo:

«A qualunque si sia che dirà che io sia stato con giusta causa incatenato (sempreché la mia signora principessa Micomicona mi conceda di farlo) io do una mentita, lo accuso e lo disfido.» Rimasero fuori di sé i nuovi viandanti nell'udire le rodomontate di don Chisciotte; ma l'oste fece in loro cessare la maraviglia narrando chi egli fosse, e dicendo che non doveano farne alcun caso per essere egli fuor di cervello. Chiesero allora se mai fosse giunto a quella osteria un giovane della età di quindici anni all'incirca, in abito di vetturino, e diedero i contrassegni personali, quei medesimi dell'amante di donna Chiara. Rispose l'oste che aveva tali e tanti forastieri che gli era mancato il tempo di abbadare a quello che domandavano: ma avendo uno di loro veduto il cocchio in cui era venuto il giudice, disse:

«Egli deve ritrovarsi qui senz'altro, essendo quello il cocchio a cui si dice che sempre tien dietro; uno di noi si fermi alla porta, ed entrino gli altri a fare diligente ricerca: e sarebbe anche ben fatto che uno girasse attorno all'osteria acciocché non fuggisse scavalcando le muraglie della corte:

— E così si farà, rispose uno di costoro: ed entrando due degli altri, uno rimase alla porta, e l'altro si mise a girare qua e là; e tutto questo era osservato dall'oste, che non sapeva indovinare lo scopo di tante diligenze, quantunque le sospettasse rivolte alla ricerca di quel giovinetto di cui prima gli avevano dato i contrassegni.

Andava di già allontanandosi l'aurora e tanto per tal cagione quanto pel grande strepito fatto da don Chisciotte si erano tutti svegliati e si alzavano, e Dorotea e donna Chiara singolarmente, le quali avevano passato una pessima notte l'una pel batticuore di aver l'amante così da vicino e l'altra per la smania di rivederlo. Don Chisciotte, che si accorse di non essere curato da chicchessia, né che alcuno rispondeva alle sue dimande, sbuffava di collera e di dispetto: e se avesse trovato che le leggi della sua cavalleria dessero licenza ad un cavaliere errante di cimentarsi in qualche impresa, mentre avea dato la sua parola e la fede di non imprenderne alcuna se non dopo avere adempiuto alla precedente promessa, avrebbe assalito tutti, e si sarebbe fatto dar ragione a mal grado di loro. Sembrandogli che ciò non gli fosse lecito, né ch'egli potesse accingersi a nuovi cimenti finché non avesse rimessa la regina Micomicona sul suo seggio, gli fu forza aspettar di vedere dove mirassero le diligenze usate dai passeggieri, uno dei quali trovò il giovane ricercato che dormiva accanto di un vetturale, ben lontano dal pensare ch'altri cercasse di lui, e meno ancora di poter essere discoperto. Quell'uomo lo prese per un braccio, e si fece a dirgli: «In verità, signor don Luigi, che si addice molto bene ad un pari vostro l'abito che vestite; e questo letto su cui dormite è veramente appropriato ai molti agi nei quali foste allevato!» Si fregò gli occhi il giovane, tuttavia sonnacchioso, e avendo fisamente guardato l'uomo che così lo teneva, e conosciuto per un servo di suo padre, gliene venne tale paura da non aver cuore, o non potere in effetto dire una sola parola per buon tratto di tempo; ma il servo proseguì dicendo:

— Altro qui non occorre di fare, o signor don Luigi, se non che vi contentiate di ritornarvene a casa vostra, quando non vi piaccia che passi all'altro mondo il vostro genitore; perché ad altro fine certamente nol può condurre l'affanno in cui l'ha gettato la vostra fuga.

— Ma, disse don Luigi come seppe mio padre che io mi era diretto a questa parte e sotto questo abito?

— Uno studente, rispose il servitore, a cui confidaste le vostre risoluzioni, gli ha svelata ogni cosa, mosso dalla compassione che gli fece vostro padre quando si accorse di avervi perduto. Egli spedì quattro dei suoi servitori in traccia vostra, e qui ci troviamo tutti disposti a servirvi, assai più contenti di quello che immaginar mai si possa per le nuove felici che arrecheremo al nostro padrone col fargli rivedere un oggetto sì caro al suo cuore.

— In quanto a ciò, soggiunse don Luigi, non accadrà se non quello che io sarò per risolvere, o che verrà ordinato dal Cielo.

— Qual altra volontà, replicò il servitore, potete voi avere mai, o come può disporre il Cielo altrimenti se non se che ve ne ritorniate, non essendo possibile che diversamente si faccia?»

Furono intesi tutti questi discorsi dal vetturino il quale stava accanto di don Luigi; e rizzandosi, corse a dar conto dell'avvenuto a don Fernando, a Cardenio e agli altri tutti ch'eransi già alzati. Narrò loro siccome quell'uomo dava del don a quel ragazzo; quale era il dialogo tra loro seguìto, e come il servitore volea ricondurlo a suo padre, al che il giovane con quella bella voce di cui il Cielo lo aveva dotato, cercava di contraddire. Nacque in tutti un vivo desiderio di sapere più accertatamente chi egli si fosse, e di mettersi alla sua difesa quando altri volesse usargli violenza; e a tal effetto si recarono dove stava egli disputando coi servi.

In questo uscì Dorotea dalla sua stanza e dietro a lei donna Chiara, tutta turbata. Dorotea, appressatasi a Cardenio, gli raccontò brevemente la storia del cantore e di donna Chiara, ed egli la informò della venuta dei servitori di suo padre. Non parlò sì piano che non lo udisse donna Chiara, la quale rimase sì attonita, che se Dorotea non fosse stata in tempo per sostenerla, cadeva senza dubbio svenuta. Cardenio disse a Dorotea che ritornasse con Chiara nella stanza, mentre egli avrebbe procurato di rimediare ad ogni cosa; ed esse lo obbedirono.

Già tutti quei quattro ch'erano venuti in traccia di don Luigi, entrati nell'osteria, lo circondavano e persuadevano che senza indugiare un istante solo tornasse a consolare suo padre.

Rispondeva egli che non potea in nessun modo partire se prima non avesse dato fine ad un interesse nel quale erano impiegati l'anima, l'onore e la vita sua. Non per questo lasciavano di sollecitare i servi, protestando che non sarebbero ritornati senza di lui, e che, volesse o non volesse, lo avrebbe costretto a seguirli.

— Non farete altrimenti, replicò don Luigi, a meno che non siate disposti a portarmene senza vita; che quest'è ad ogni modo quello che deve accadere, qualunque sia il mezzo che si usi da voi per farmi partire.»

Erano frattanto accorsi a tale contrasto tutti quelli che si trovavano nell'osteria, e specialmente Cardenio, don Fernando e i loro compagni, il giudice, il curato, il barbiere e don Chisciotte, cui parve non essere più necessario di far la guardia al castello. Cardenio al quale era nota la sventura del giovinetto, domandò a quelli che lo volevano ricondurre a casa, perché volessero costringerlo a ciò contra il proprio suo sentimento.

— Ci obbliga a questo, rispose uno dei quattro, il dare la vita a suo padre che arrisica di perderla per la lontananza di questo cavaliere.»

Don Luigi allora disse: — Non è luogo questo da rendere palesi le cose mie; sono uomo libero; tornerò se così mi piaccia, ma in caso diverso nessuno di voi mi può costringere colla forza.

— La forza vi verrà fatta dalla ragione, uno soggiunse, e quando essa non basti con vossignoria, basterà a convincere noi per servire all'officio che qua ci ha tratti, e che siamo in obbligo di adempiere.

— Prendiamo quest'affare dalla sua radice, soggiunse a tal punto il giudice.» Il servo che lo riconobbe, perché abitava vicino a casa sua, rispose:

— Non conosce vossignoria, signor giudice, che questo cavaliere è figlio del suo vicino, e che si tolse dalla casa paterna in arnese affatto disdicevole alla sua condizione? l'osservi bene, e lo raffigurerà senza dubbio.»

Si fece il giudice a guardarlo con attenzione, e riconosciutolo, lo abbracciò, dicendogli:

— Che fanciullaggini sono queste, signor don Luigi, e quali cause vi hanno indotto a questa risoluzione ed a vestire abito tanto sconveniente alla nobile vostra famiglia?»

Spuntarono le lagrime agli occhi del giovinetto, e non poté rispondere parola al giudice, il quale intimò ai quattro servi di tranquillizzarsi, perché ogni cosa terminerebbe in bene: poi prendendo per mano don Luigi, seco lo trasse in disparte, chiedendogli che cosa volesse significare quel suo travestimento.

Mentre gli andava facendo questa ed altre interrogazioni si udirono alte grida alla porta dell'osteria; e nascevano dalla fuga tentata da due degli ospiti che vi avevano alloggiato alla notte, i quali mentre tutti erano intenti a voler sapere che cosa si volessero quei quattro, tentavano di andarsene senza pagare. L'oste però, che badava assai più ai proprī che ai fatti degli altri, fermatili alla porta aveva chiesto loro il pagamento del debito, accompagnando la dimanda con sì offensive espressioni che quei due gli rispondevano colle pugna; e tanto lo maltrattavano che il povero uomo era costretto a domandare aiuto gridando. L'ostessa e la sua figliuola non videro uomo più a proposito per quella circostanza di don Chisciotte, cui la giovine si mise a dire:

— Soccorra, signor cavaliere, col valore che Dio le ha concesso, il povero mio padre; che due tristi uomini lo bastonano come un asino.»

Qui don Chisciotte rispose posatamente e con molta flemma:

— Vaga donzella, non posso aderire alle vostre suppliche, essendomi vietato di frammettermi in altre avventure fintanto che io non dia compimento a quella per cui ho impegnata la mia parola. Vi dirò per altro come si potrebbe fare perché io mi prestassi a servirvi. Correte, e dite a vostro padre che sostenga la battaglia quanto più può e alla meglio, e che non si dia per vinto finché io avrò chiesto alla principessa Micomicona la licenza di soccorrerlo; e s'ella me lo concede, tenete per certo che io lo trarrò salvo dal suo pericolo.

— Oh meschina di me: disse allora Maritorna, che si trovava presente: prima che ottenga vossignoria questa licenza il mio padrone sarà andato già all'altro mondo.

— Fate ch'io impetri questa licenza, rispose don Chisciotte, e poco importerà ch'egli sia a questo o all'altro mondo, giacché io saprei cavarlo anche dal mondo di là, o per lo meno lo vendicherò per tal modo di chi ve lo avesse mandato, che voi, signora, ne otterrete più che mezzana soddisfazione.»

Nel dire questo gli apparì Dorotea, ed egli volò alle sue ginocchia, chiedendo con cavalleresche ed errantesche parole che piacesse alla grandezza sua di dargli licenza di accorrere in aiuto del castellano di quella fortezza, il quale trovavasi in un terribile frangente. La principessa gliela accordò volentieri, ed egli imbracciando ben tosto la targa e mettendo mano alla spada corse alla porta del castello, dove gli ospiti continuavano a mazzicare furiosamente l'oste. Vi giunse appena, che sbigottì e ristette, ed in vano Maritorna e l'ostessa lo rimproverarono di questa sua indolenza, e lo istigavano a soccorrere l'una il padrone e l'altra il marito. — Mi fermo, disse don Chisciotte, perché non mi è lecito di metter mano alla spada contro gente abbietta; ma chiamate qui il mio scudiere Sancio Pancia, che a lui può convenire questa difesa e vendetta.»

Ciò seguiva alla porta dell'osteria dove le pugna ed i sorgozzoni fioccavano sempre a danno del povero oste e con rabbia di Maritorna, dell'ostessa e di sua figlia, che disperavasi di vedere la codardia di don Chisciotte, e il pessimo stato di quel povero uomo. Ma qui lasciamolo, che non mancherà chi lo soccorra; e se ciò non fosse, soffra e taccia chi si crede da più di quello che comportano le sue forze. Torniamo adesso a cinquanta passi addietro a conoscere ciò che don Luigi rispose al giudice, che in disparte come dicemmo, chiedevagli ragione della sua venuta a piedi e in abito sì sconveniente. Il giovanetto dunque, prendendolo strettamente per mano, quasi per provargli che da qualche gran doglia era punto nel cuore, e spargendo in copia le lagrime, così si espresse:

— Signor mio, altro non vi so dire se non che dal momento in cui il Cielo dispose, e la vostra vicinanza permise, ch'io vedessi donna Chiara vostra figliuola e signora di questo mio cuore, da quel momento cominciai a farla dominatrice della mia volontà: e se la vostra nol vieta, vero signore e padre mio, in questo giorno medesimo ella debbe essere mia sposa. Per lei ho abbandonato la casa paterna; per lei ho vestito quest'abito a fine di seguitarla dovunque ne vada, come la saetta mira allo scopo e il marinaro alla tramontana; e tutto ciò senza palesarle il mio amore e soltanto lasciandole da lontano vedere le mie lagrime. La ricchezza e la nobiltà dei miei genitori vi è nota, e vi è noto ch'io sono l'unico loro erede. Se vi sembra che questi sieno titoli bastevoli per determinarvi a rendermi felice, ricevetemi tosto in luogo di figlio: e se mai non piacesse a mio padre per qualche suo disegno il bene che ho saputo procurarmi, considerate che il tempo è più efficace a produrre cambiamenti nelle cose, che la volontà degli uomini.»

Tacque, ciò detto, l'innamorato giovane; e il giudice restò sospeso, confuso e trasognato in udirlo, sì pel modo e pel buon giudizio con cui gli aperse il suo cuore, com'anche per trovarsi in tali circostanze da non sapere a qual partito appigliarsi in sì repentino ed inatteso evento. Null'altro dunque gli rispose, se non che si desse pace e procurasse di trattenere i servi per quella giornata a fine di guadagnar tempo, e intanto considerare e conoscere quale fosse per loro il più savio consiglio. Gli baciò don Luigi affettuosamente le mani che bagnò del suo pianto, il che intenerire poteva un cuore di marmo non che quello del giudice; il quale come uomo assennato, scorgeva pienamente l'utilità di quel matrimonio per sua figliuola qualora avesse potuto concorrervi l'assenso del padre: ma s'immaginava pur troppo che questi avrebbe voluto un collocamento di molto maggiore importanza.

In questo mentre eransi gli ospiti già rappacificati coll'oste, e gli aveano pagato il suo conto, a ciò indotti più che dalle minacce, dalle persuasive e buone ragioni di don Chisciotte. I servi di don Luigi attendevano il fine della sua conferenza col giudice e le risoluzioni che ne piglierebbe. Il demonio frattanto, che mai non dorme, fece ch'entrasse in questo punto nell'osteria il barbiere, a cui don Chisciotte avea tolto l'elmo di Mambrino, e Sancio Pancia rubati i fornimenti dell'asino per cambiarli con quelli del suo. Guidando costui in istalla il suo giumento vide Sancio che stava assettando non so che cosa della bardella, e avendolo tosto riconosciuto fu tanto ardito di affrontarlo con queste parole: «Ah ladrone infame! t'ho pur colto una volta: rendimi il mio bacino e la mia bardella e tutti i fornimenti che m'hai rubato.» Sancio assalito così all'impensata, e sì bruttamente vituperato, afferrò la bardella con una mano, e diede coll'altra al barbiere uno sgrugnone sì forte che uscire gli fece il sangue dalle gengive. Non per questo lasciò il barbiere la bardella che avea già afferrata, e alzando la voce per modo che tutti coloro ch'erano nell'osteria lo intesero, cominciò chiaramente ad esclamare: «Al re! alla giustizia! io son qua per farmi rendere il mio, e questo assassino da strada mi vuol morto.»

— Menti per quanta gola tu hai, rispose Sancio, io non sono un assassino, e questo è bottino che a me di diritto mi appartiene per averlo guadagnato in guerra giusta il mio signor don Chisciotte.» Stava questi presente alla zuffa, e godeva quanto mai si può dire vedendo come ben si portava ad offesa e a difesa il suo scudiere: e parendogli che si mostrasse uomo di vaglia, proponeva in cuor suo di armarlo cavaliere alla prima occasione che se gli presentasse, non senza gran guadagno di tutto l'ordine della errante cavalleria. Fra le altre cose dette dal barbiere nel fervor della zuffa, ecco le più osservabili:

— Signori, questa bardella è mia com'è vero che dovrò morire: la conosco come se l'avessi partorita io medesimo: qua nella stalla sta il mio asino che non mi lascerà mentire: se non credete a me, o signori, provategliela, e se non gli sta dipinta voglio essere un infame: e di più vi dico, che in quel malaugurato giorno in cui mi fu tolta la bardella, mi fu rubato ancora un bacino d'ottone nuovo, di cui io non mi era ancora servito, e che valeva più di uno scudo a gittarlo via.» Allora non poté don Chisciotte fare a meno di non rispondere, e mettendosi in mezzo ai due, dividendoli e depositando la bardella sul terreno alla vista di tutti perché apparisse la verità chiaramente, soggiunse:

— Affinché veggano le signorie vostre coi propri occhi l'errore in cui versa questo dabben uomo, chiamando bacino quello ch'è, e sarà sempre, l'elmo di Mambrino toltogli in guerra giusta, e passato in poter mio con lecito e legittimo possesso, io voglio che qua sia recato. Non mi intrammetto in ciò che alla bardella si appartiene, né su questo punto altro so dire se non che il mio scudiere Sancio mi domandò licenza di levare i fornimenti del cavallo di questo vinto codardo per adornare con essi il suo proprio; io glieli ho lasciati ed egli li prese: e se ora di fornimenti si sono trasformati in bardella, questa sarà una delle mutazioni tanto frequenti nelle cose della cavalleria. Ora tu, Sancio figliuolo, corri e porta qua l'elmo che quello scioccone chiama bacino.

— Deh, padron mio, rispose Sancio, cerchiamo una prova a nostro favore diversa da questa che mette in campo la signoria vostra, giacché tanto il bacino è l'elmo di Mambrino, come è sella da cavaliere la costui bardella.

— Eseguisci il mio comando, replicò don Chisciotte, che quanto avviene in questo castello non ha poi tutto a procedere per via d'incantamenti.»

CAPITOLO XLIIIAndò Sancio a prendere il bacino, e lo recò al padrone, il quale tosto come lo vide, lo prese in mano e disse:

— Considerino le signorie vostre con qual fronte questo scioccone può dire che bacino sia questo, e non l'elmo da me annunziatovi. Giuro per l'ordine della cavalleria che professo che questo è l'elmo stesso che io ho conquistato, né vi ho fatto finora la minima mutazione.

— Di ciò non v'ha dubbio, disse Sancio, perché dal punto in cui il mio padrone lo prese non lo usò che in una sola battaglia, e fu quando ridonò la libertà ai malfattori incatenati. E certo se non fosse stato per questo bacinelmo egli non l'avrebbe allora passata bene; tali e tante furono le pietre che gli piovvero addosso in quel combattimento.»

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