ARTHUR RIMBAUD

POESIE VI



«OSCURO E INCRESPATO COME UN GAROFANO VIOLETTO»


Oscuro e increspato come un garofano violetto
respira, umilmente rannicchiato nel muschio
ancora umido d'amore che segue il clivo dolce
delle bianche chiappe fino al cuore dell'orlo.

Filamenti simili a lacrime di latte
hanno pianto sotto il vento crudele che le respinge
attraverso i piccoli grumi d'una rossa marna
perché si perdano dove il pendio li chiama.

Il mio sogno sovente s'abboccò alla sua ventosa;
la mia anima, del materiale coito gelosa,
ne fece una fulva gronda e suo nido di singhiozzi.

È l'estasiata oliva ed il carezzevole flauto,
è il tubo dove scende la celeste pralina,
femminile Canaan racchiuso nel madore.

ALBUM DETTO «DELLA MALORA»



GIGLI


O Fandonie! o Gigli! argentee Clisopompe!
Sdegnosi del lavoro e delle fami!
L'aurora v'empie di un amore detergente!
Una dolcezza di cielo imburra i vostri stami!

ARMAND SILVESTRE.
A.R.

LE LABBRA CHIUSE
VISTO A ROMA


C'è a Roma, nella Sistina
coperta d'effigi cristiane
una cassetta scarlattina
che asciuga vetusti nasi:

nasi di asceti di Tebaide,
nasi di canonici del Graal Santo
dove la livida notte si rapprende
e l'antico sepolcrale canto

nella loro mistica aridità
ogni mattina introducono
una scismatica immondizia
che si riduce in fine polvere.

LÉON DIERX.
A.R.

FESTA GALANTE


Sognatore, Scapino
il coniglio gratta
sotto il suo cappotto.

- Colombina,
che si chiavò -
- Do, mi -, strimpella

l'occhio del coniglio
che tozzo, tapino,
si arrovella.

PAUL VERLAINE.
A.R.

«OCCUPAVO UN VAGONE DI TERZA: UN VECCHIO PRETE»


Occupavo un vagone di terza: un vecchio prete
sporse la pipa e mise alla finestra,
verso le brezze, la sua fronte calma dai peli canuti.
Poi quel cristiano, sfidando i grevi scherni,
e giratosi, energicamente mi domanda
e triste a un tempo, d'una piccola cicca
di tabacco,- essendo stato capo cappellano
d'un rigetto reale di nuovo condannato; -
per impastar la noia d'un tunnel, oscura vena,
che s'offre ai viaggiatori, presso Soissons, città d'Aisne.

«PREFERISCO SENZA DUBBIO, IN PRIMAVERA, LA TRATTORIA»


Preferisco senza dubbio, in primavera, la trattoria
dove ai castani nani gela il ramoscello,
verso la campagna stretta e comunale, nel mese
di Maggio - cagnolini cacciati una volta per tutte
tornano ai Bevitori a triturare i giacinti
delle aiuole. E si sente, fino a sere di giacinto
sul tavolo d'ardesia dove l'anno settecentoventi
un diacono incise il suo soprannome latino
magro come una prosa sui vetri d'una chiesa,
la tosse dei neri fiaschi che mai li inebria.

FRANÇOIS COPPÉE.
A.R.

«L'UMANITÀ INFORCA IL GRAN FANCIULLO PROGRESSO»


L'Umanità inforca il gran fanciullo Progresso.

LOUIS XAVIER DE RICARD.
A. RIMBAUD.

CAZZATE


I • Giovane pappone

Copricapo
di seta
cazzetto
d'avorio

toletta
assai nera
Paul pensa,
dispone,

progetta,
slinguetta,
sulla pera,

s'affretta,
bacchetta
e cacchetta.

A.R.

II • Parigi

Al. Godillot, Gambier,
Galopeau, Wolf-Pleyel,
- Oh rubinetti! - Menier,
- o Cristi! - Leperdriel!

Kinck, Jacob, Bonbonnel!
Veuillot, Tropmann, Augier!
Gill, Mendés, Manuel,
Guido Gonin! - Paniere

di grazie! - L'Herissè!
Lucidi untuosi!
Pani muffi, spiritosi!

Ciechi! - chi lo sa? -
Sergenti di città; Enghiens
vada a casa! Che si sia credenti!

A.R.

III • Cocchiere ubriaco

Cacca
beve
madreperla
vede,

acre
legge
fiacre
sceglie

donna
cade
lombi

in sangue:
- chiama!
geme.

A.R.

VECCHIO DELLA VECCHIA


Ai villici dell'imperatore!
All'imperatore dei villici!
Al figlio di Marte,
al glorioso 18 MARZO! -
Dove il cielo d'Eugenia ha benedetto le sue viscere!

STATO DEL SEDERE?


Il povero postiglione, sotto il baldacchino di ferro bianco,
scaldando un enorme gelone nel suo guanto,
porta il suo zeppo omnibus alla riva sinistra,
e dal suo inguine in fiamme sposta la borsa.
E dove in una dolce ombra stanno due gendarmi,
mentre l'onesto interno guarda nel cielo profondo
la luna che si culla nella sua verde ovatta,
malgrado l'editto e l'ora ancora delicata,
e l'omnibus rientra all'Odeon, impuro
il vizio guaisce nel crocevia oscuro!

FRANÇOIS COPPÉE.
A.R.

LA SCOPA


È una povera scopa di arbusti, troppo dura
per una stanza o per la tinta d'un muro.
L'uso è straziante, non riderne.
La sua radice strappata a chissà quale prato antico
secca il suo crine inerte: il suo manico è sbiancato.
Come un legno d'isola alla canicola arrossato.
Lo spago sembra una treccia gelata.
Io amo di quest'oggetto il sapore desolato;
e vorrei lavare i tuoi ampi bordi di latte,
o luna, dove lo spirito delle morte sorelle si diletta.

F.C.

ESILIO


Quanto spesso si badò, mio caro Coglione!...
più che allo Zio Vincitore, al Piccolo Spintone!...
Che tutto l'istinto onesto viene dal debole Popolo!...
Ahimè! Che vi fece rivoltare la vostra bile!...
E che ci concesse di tirare il chiavistello
davanti al Vento che i fanciulli chiamano Barì-barù!...
..............................................................................................................
Frammento d'una epistola in versi di Napoleone III, 1871.

L'ANGIOLETTO MALEDETTO


Bluastri tetti e bianche porte
come nelle domeniche notturne,

al confine della città, senza rumore
la via è bianca, ed è notte.

La strada ha strane case
con persiane d'angeli

ma, verso un paletto, ecco
accorre malvagio e intirizzito,

un nero angioletto: tituba,
per le troppe giuggiole mangiate.

Egli caga: poi svanisce:
ma la sua maledetta cacca pare,

sotto la santa luna errante
di lordo sangue lieve una cloaca.

LOUIS RATISBONNE.
A. RIMBAUD.

«LE SERE D'ESTATE, SOTTO L'OCCHIO ARDENTE DELLE VETRINE»


Le sere d'estate, sotto l'occhio ardente delle vetrine,
quando la linfa freme sulle grate oscure
radiante ai piedi d'esili castani,
fuori di questi gruppi neri, allegri o casalinghi,
succhiatori di pipe o baciasigari,
nel chiosco stretto di mezza pietra dove mi perdo,
- mentre in alto rosseggia l'insegna d'Ibled, -
sogno che d'inverno gelerà il Tibet
un rombo d'acqua limpida, placando l'onda umana,
- e che l'aspro vento non risparmi alcuna vena.

FRANÇOIS COPPÉE.
A. RIMBAUD.

«AI LIBRI DA COMODINO, LIBRI D'ARTE SERENA»


Ai libri da comodino, libri d'arte serena
Obermann e Genlis, Ver-Vert e il Lutrin,
indifferente alle grigie e strambe novità
io spero, essendo alfine giunta la vecchiezza,
di aggiungere il trattato del dottor Venetti.
Io saprò, di ritorno da un pubblico di ebeti,
gustare il fascino antico di disegni essenziali.
Scrittore e incisore hanno dorato le miserie
sessuali: e, non è cosi?, cordiale:
Dr Venetti, Trattato d'Amor coniugale.

F. COPPÉE.
A.R.

IPOTIPOSI SATURNINE, EX BELMONTET


Qual è dunque questo impenetrabile e oscuro mistero?
Perché, senza spiegare la bianca vela, affonda
ogni giovane e armata barca regale?

Rovesciamo il dolore dei nostri lacrimatoi. -
.............................................................................................
L'amore vuole vivere sulle spalle della sorella,
l'amicizia vive sulle spalle del fratello.
.............................................................................................
Lo scettro, appena riverito,
non è che la croce d'un grande calvario
sul vulcano delle nazioni!
.............................................................................................
Oh! l'onore gronda sul tuo baffo maschio!

BELMONTET
archetipo parnassiano.

LE RIMEMBRANZE DEL VECCHIO IDIOTA


Perdono, padre mio!
Da giovane, alle fiere di campagna
cercavo non il dozzinale tiro dove
ad ogni colpo si guadagna,
ma il luogo d'urla dove asini sfiancati
sfoggiavano i lunghi tubi insanguinati
che ancora non comprendo!...
E poi mia madre,
con la camicia dall'odore amaro,
sebbene fosse sfilacciata in basso e gialla come un frutto,
mia madre che a letto montava fragorosa
- ma figlio del lavoro, - mia madre, con la sua coscia
di donna matura e le grosse anche che raggrinzano
le vesti, mi diede un calore da non dire!...

Un'onta cruda ma calma fu
quando la mia sorellina, tornata da scuola,
consunti gli zoccoli sul ghiaccio,
pisciò, guardandosi fuggire dal suo labbro
roseo e stretto, un dolce filo d'orina!...

Oh, perdono!
Talvolta pensavo a mio padre:
la sera, i giochi di carte e le frasi grevi,
il vicino, e me che ero scartato, le cose che vidi...
- Perché un padre è inquietante! - e le cose fantasticate!...
Il suo tenero ginocchio talora; i suoi calzoni
che il mio dito desiderava sbottonare... - oh no! -
per avere il suo grande membro, duro e scuro,
quando la sua pelosa mano mi cullava!
Non parlerò
del vaso, la scodella col manico, pezzi da soffitta,
di almanacchi con la copertina rossa, il cesto
di filacce, e la Bibbia, e i ripostigli, la serva,
la Santa Vergine, e il crocefisso...
Oh, nessuno
fu mai così turbato, così stordito!
Ed ora, che mi sia perdonato:
perché i sensi infetti m'hanno reso vittima,
svelo i segreti dei miei giovani peccati!...
.............................................................................................

Poi, - che io possa parlare al Signore!-
perché la pubertà tardiva e la sfortuna
del mio tenace glande troppo sfruttato? Perché l'ombra
così lenta al basso ventre? E quel terrore immenso
che sempre empie la gioia come nera ghiaia?
- Io, io fui sempre stupefatto! Sapere cosa?
.............................................................................................

Perdonato?...
Riprenditi lo scaldapiedi blu,
padre mio.
Oh, che infanzia!............................................
.............................................................................................
.......................................................... - ora tiriamoci il cazzo.

FRANÇOIS COPPÉE.
A.R.

RICORDO


Quell'anno in cui nacque il principe imperiale
mi lascia un ricordo molto cordiale
d'una limpida Parigi dove N d'oro e di neve
alle grate del palazzo, ai gradini del maneggio
brillano infiocchettati in tricolore.
Tra il pubblico ondeggiare di cappelli gualciti
di caldi gilè a fiori e vecchi cappotti,
e di canti di vecchi operai nelle osterie,
l'Imperatore marcia sui luoghi fioriti, nero
e impeccabile, con la Santa spagnola, di sera.

FRANÇOIS COPPÉE.

«IL FANCIULLO CHE RACCOGLIE LE PALLE, IL PUBERO»


Il fanciullo che raccoglie le palle, il Pubero
dove circola il sangue dell'esilio e d'un Padre
illustre sente sorgere la sua vita con la speranza
della sua figura, della sua statura, e vuole guardare
altre tende da quelle del Trono e dei Presepi.
Così il suo busto squisito non aspira più alla breccia
dell'Avvenire! - Ha abbandonato gli antichi giochi -
Oh, il suo dolce sogno, o il suo bell'Enghiens! Il suo sguardo
si profonda in qualche immensa solitudine;
«Povero giovane, è senz'altro l'abitudine!»

FRANÇOIS COPPÉE.

FRAMMENTI



«OH! SE LE CAMPANE SONO DI BRONZO»


Oh! se le campane sono di bronzo
i nostri cuori traboccano di disperazione!
In Giugno milleottocentosettantuno
trucidati da un nero
noi Jean Baudry, noi Jean Balouche
avendo compiuto i nostri desideri
moriamo in questo losco campanile
abominando Desdouets!

VERSI DA CESSO


Di quel sedile sghembo
che ci sconquassa i visceri
il buco dev'essere stato murato
da vere canaglie

quando il famoso Tropmann distrusse re Enrico
l'assassino dovette sedersi su quel sedile
poiché lo stronzo Badingue e lo stronzo Enrico Quinto
son davvero degni di tale trono.

BRICIOLE



«AI PIEDI DEI MURI D'OMBRA, BATTENDO I MAGRI CANI»


Ai piedi dei muri d'ombra, battendo i magri cani.

«DIETRO TRASALIVA IN SUSSULTI GROTTESCHI»


Dietro trasaliva in sussulti grotteschi
una rosa inghiottita nel ventre del portiere.

«BRUNA, AVEVA SEDICI ANNI QUANDO FU DATA IN SPOSA»


Bruna, aveva sedici anni quando fu data in sposa
...................................................................................
Poiché amava suo figlio diciassettenne di tenero amore.

[LAMENTO DEL VECCHIO MONARCHICO
A. M. HENRI PERRIN, GIORNALISTA REPUBBLICANO]


......................................................................................
.......................................................................Voi avete
mentito, sul mio femore! Avete mentito, fulvo
apostolo! Volete fare degli spiantati
di noi? Vorreste pelarci la nostra calva fronte?
Ma io ho due femori storti e scheggiati!

Perché voi trasudate ogni giorno in collegio
sul colletto dell'abito, facendone una frittella,
siete una maschera da dentista, al maneggio
un cavallo rognoso che sbava scodelle,
credete di cancellare i miei quarant'anni di saggio!

Io ho il mio femore! Ho il mio femore! Ho il mio femore!
È questo che da quarant'anni si deforma
sul bordo della mia amata sedia di noce duro,
per sempre marchiato dal legno;
e quando io scoprirò il tuo organo impuro
a tutti i tuoi abbonati, pagliaccio,
che traggono il tuo organo flaccido nelle loro mani
.....................................................................................
Io farò ritoccare, per tutti i domani
questo femore lavorato da quarant'anni.

[LAMENTO DEI DROGHIERI]


Che entri in magazzino quando la luna specchiata
alle sue azzurre vetrine
che impugni sotto i nostri occhi cioccolata in scatola

«SONO»


..........................................Sono
...........[esplosioni?].................che sfondano?
.............................................No!
È un capo cuoco che ronfa come un basso.

«TRA GLI ORI, I QUARZI, LE PORCELLANE»


.......................Tra gli ori, i quarzi, le porcellane
...........................un banale vaso da notte,
sconcio reliquario di vecchie castellane
curva i suoi vergognosi fianchi sul mogano regale.

«OH! LE PERENNI VIGNETTE!»


Oh! le perenni vignette!

«E IL POETA UBRIACO MALTRATTAVA L'UNIVERSO»


E il poeta ubriaco maltrattava l'Universo.

«PIOVE DOLCEMENTE SULLA CITTÀ»


Piove dolcemente sulla città.

«STAI IN GUARDIA, O MIA VITA ASSENTE!»


Stai in guardia, o mia vita assente!

«QUANDO LA CAROVANA D'IRAN SI ARRESTÒ...»


[...] Quando la carovana d'Iran si arrestò presso la fontana di Ctésiphon, ella giunse alla disperazione di trovarla asciutta. Gli uni accusavano i maghi, gli altri gli imani. I cammellieri si unirono alle imprecazioni [...] Si erano messi in marcia dopo molte lune con [...] carico d'incenso, di mirra e d'oro. Il loro capo esclamò [...] decise di sopprimere [...] Alcuni accettarono.

OPERE ATTRIBUITE



VELENO PERDUTO


Delle notti con la bionda e la bruna
nella camera nulla è rimasto,
né una trina d'estate
né una cravatta comune.

Nulla sul balcone dove il tè
si prende nelle ore della luna.
Non è rimasta traccia alcuna,
nessun ricordo è rimasto.

Sul bordo d'una tenda a pois blu
riluce una spilla dal capo d'oro
come un grande insetto che dorme.

Punta imbevuta d'un fine veleno
ti prendo. Che io sia preparato
nell'ora della brama di morte.

LETTERE SCELTE



I • A GEORGES IZAMBARD


Charleville, [13] maggio 1871.

Caro Signore!
Rieccola professore. Noi dobbiamo noi stessi alla Società, mi aveva detto; lei fa parte del corpo insegnante; lei cammina per la retta via. - Anch'io seguo un principio: mi faccio cinicamente mantenere; riesumo i vecchi imbecilli del collegio: tutto quel che posso inventare di cretino, di sporco, di malvagio, in parole e in azioni, glielo concedo: e loro mi pagano in boccali di birra e bicchieri di vino. Stat mater dolorosa, dum pendet filius. - Io devo me stesso alla Società, è giusto, - e ho ragione -. Anche lei ha ragione, per oggi. In fondo lei non vede nel suo principio che poesia soggettiva: la sua ostinazione ad aggrapparsi alla mangiatoia universitaria - pardon! - lo prova. Ma lei finirà sempre come un soddisfatto che non ha fatto nulla, non avendo voluto far nulla. Senza contare che la sua poesia soggettiva sarà sempre orribilmente scialba. Un giorno, spero, - molti altri sperano la stessa cosa, - io vedrò nel vostro principio la poesia oggettiva, la vedrò più sinceramente di quanto lei possa fare! - Sarò un lavoratore: questa è l'idea che mi trattiene quando la folle rabbia mi spinge verso la battaglia di Parigi, - dove pure tanti lavoratori muoiono mentre io le scrivo! Lavorare adesso, mai, mai: sono in sciopero.
Intanto, m'imbastardisco il più possibile. Perché? Voglio essere poeta, e lavoro a rendermi Veggente: lei non ci capirà un bel niente, ed io non sarei quasi capace di spiegarle. Si tratta di raggiungere l'ignoto tramite lo sregolamento di tutti i sensi. Le sofferenze sono enormi, ma bisogna esser forti, essere nati poeti, ed io mi sono riconosciuto poeta. Non è affatto colpa mia. È falso dire: Io penso. Si dovrebbe dire: mi si pensa. Mi scusi il gioco di parole.
IO è un altro. Tanto peggio per il pezzo di legno che si ritrova violino, e dannazione agli incoscienti, che argomentano su quello che ignorano del tutto!
Lei non è un insegnante per me. Le regalo questo: è della satira, come direbbe lei? È forse poesia? È fantasia, comunque.
- Ma, la supplico, non sottolinei nulla con la matita, né troppo col pensiero:

LE COEUR SUPPLICIÉ
Mon triste coeur bave à la poupe
...................................................
Non è che non voglia dire niente. MI RISPONDA: presso il sig. Deverrière, per A. R.
Cordiali saluti,
A. R. RIMBAUD

Monsieur Georges Izambard
27, rue de l'Abbaye-des-Champs
À Douai (Nord).

II • A PAUL DEMENY


Charleville, 15 maggio 1871

Ho deciso di farle dono di un'ora di nuova letteratura. Comincio immediatamente con un salmo di attualità:

CHANT DE GUERRE PARISIEN

Le Printemps est évident, car...
...............................................
A. RIMBAUD

- Ed ecco della prosa sull'avvenire della poesia: - Tutta l'antica poesia sfocia nella poesia greca, Vita armoniosa. - Dalla Grecia al movimento romantico, - medioevo -, - vi sono letterati, versificatori. Da Ennio a Teroldo, da Teroldo a Casimir Delavigne, tutto è prosa rimata, un giochetto, afflosciamento e gloria d'innumerevoli generazioni d'idioti: Racine è il puro, il forte, il grande. - Se avessero soffiato sulle sue rime, imbrogliato i suoi emistichi, quel Divino Sciocco sarebbe oggi ignorato quanto un qualsiasi autore di Origini. - Dopo Racine, il giochetto ammuffisce. È durato duemila anni!
Non è una beffa, né un paradosso. La ragione m'ispira più certezze sull'argomento di quante collere avrebbe potuto avere un Jeune-France. Del resto, che siano liberi i nuovi d'esecrare i vecchi: siamo a casa nostra, e c'è tempo.
Il romanticismo non è mai stato ben giudicato. E chi l'avrebbe giudicato? I critici!!? I romantici? Proprio coloro che ci provano così bene che la canzone è molto raramente l'opera, cioè il pensiero cantato e compreso del cantore?
Infatti Io è un altro. Se l'ottone si sveglia tromba, non è mica per colpa sua. Questo mi sembra evidente: io assisto all schiudersi del mio pensiero: io lo guardo, l'ascolto do un colpo d'archetto: la sinfonia fa le sue evoluzioni nelle profondità o sale d'un balzo sulla scena.
Se vecchi imbecilli non avessero trovato dell'Io che il suo falso significato, non avremmo da spazzare via questi milioni scheletri che, da un tempo infinito, hanno accumulato i prodotti della loro intelligenza guercia, proclamandosene autori! In Grecia, dicevo, versi e lire ritmano l'Azione. Dopo, musica e ritmo sono giochi, svaghi. Lo studio di quel passato fascina i curiosi: parecchi si divertono a rinnovare queste anticaglie: - a loro questo va bene. L'intelligenza universale I sempre sparso le sue idee naturalmente; gli uomini raccoglievano una parte di quei frutti del cervello: agivano tramite, scrivevano libri con essi: così s'andava avanti, non lavorando l'uomo su se stesso, non essendosi ancora destato, o non essendo ancora nella pienezza del gran sogno. Funzionari, scrittori: autore, creatore, poeta, quest'uomo non è mai esistito!
Il primo studio dell'uomo che voglia essere poeta è la propria conoscenza, intera; egli cerca la sua anima, l'indaga, la scruta, l'apprende. Appena la conosce, la deve coltivare; la cosa sembra semplice: in ogni cervello si compie uno sviluppo naturale; tanti egoisti si proclamano autori; e ce ne sono molti altri che si attribuiscono il loro progresso intellettuale! - Ma tratta di rendersi l'anima mostruosa: come dei comprachicos, insomma! Immagini un uomo che si innesti delle verruche sul viso e se le coltivi.
Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente.
Il poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale fra tutti diviene il grande infermo, il grande criminale, il grande maledetto, - ed il Sapiente supremo! - Perché egli giunge all'ignoto! Perché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Egli giunge all'ignoto, e quando, smarrito, finirà col perdere l'intelligenza delle proprie visioni, le avrebbe pur viste! Che crepi pure nel suo balzare attraverso cose inaudite ed innominabili: verranno altri orribili lavoratori, e ricominceranno dagli orizzonti in cui l'altro s'è schiantato!

- il seguito tra sei minuti -

Qui inserisco un secondo salmo, fuori testo: voglia, la prego tendere un orecchio compiacente, - e tutto il mondo sarà incantato. - Ho in mano l'archetto, incomincio:

MES PETITES AMOUREUSES

Un hydrolat lacrymal lave...
.........................................
A.R.

Ecco. E noti bene che se non temessi di farle sborsare più di 60 centesimi di tassa, - povero sventurato che da sette mesi non ho avuto in mano neanche un soldo di bronzo! - le affiderei i miei Amanti di Parigi, cento esametri, Signore, e la mia Morte di Parigi, duecento esametri!
- Riprendo:
Dunque il poeta è davvero un ladro di fuoco.
Egli ha a suo carico l'umanità, e gli stessi animali; deve fare sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se ciò che riporta da laggiù ha forma, egli dà forma; se è informe, dà l'informe. Trovare una lingua;
- Del resto, ogni parola è un'idea, e verrà il tempo di un linguaggio universale! Bisogna essere accademici, - più morti d'un fossile -, per preparare un dizionario, di qualunque lingua sia. Se dei deboli si mettessero a pensare sulla prima lettera dell'alfabeto, potrebbero rovinare nella pazzia!
Questa lingua sarà l'anima per l'anima, riassumerà tutto, profumi, suoni, colori, pensiero che uncina il pensiero tirandolo. n poeta definirebbe la quantità d'ignoto che nel suo tempo si desta nell'anima universale: egli darebbe di più della formula del suo pensiero, della notazione della sua marcia verso il Progresso! Enormità che diviene norma, assorbita da tutti, sarebbe davvero un moltiplicatore di progresso!
Quest'avvenire sarà materialista, come vede; - Sempre piene di Numero e dell'Armonia, queste poesie saranno fatte per restare. - In fondo, sarebbe ancora un po' la Poesia greca. L'arte eterna avrebbe le sue funzioni, cosi come i poeti sono cittadini. La Poesia non ritmerà più l'azione; le sarà davanti. Questo saranno i poeti! Quando sarà spezzata l'infinita schiavitù della donna, quando ella vivrà per sé e grazie a sé, e l'uomo - finora abominevole - le avrà concesso il suo congedo, sarà poeta anche lei! La donna troverà dell'ignoto! I suoi mondi di idee differiranno dai nostri? - Troverà strane cose, insondabili, ripugnanti, deliziose; noi le prenderemo, noi le comprenderemo.
Nell'attesa, chiediamo ai poeti il nuovo, - idee e forme. Ogni mestierante potrebbe credere di aver soddisfatto questa richiesta. - Ma non è affatto così!
I primi romantici sono stati veggenti quasi senza rendersene conto: la coltivazione delle loro anime è cominciata per caso: locomotive abbandonate ma ardenti, intrappolate per qualche tempo nelle rotaie. - Lamartine qualche volta è veggente, ma strangolato da una forma vecchia. - Hugo, troppo testardo, ha sicuro del veduto negli ultimi libri: I Miserabili sono una vera poesia. Ho i Castighi sottomano; Stella dà pressappoco la dimensione della vista di Hugo. Troppo Belmontet e Lamennais, troppo Geova e colonne, vecchie crepate enormità.
Musset è quattordici volte esecrabile per noi, generazioni dolorose e in preda alle visioni, - che la sua pigrizia d'angelo ha insultato! Oh! quei racconti e proverbi insipidi! oh, quelle notti! O Rolla, o Namouna, o la Coppa! Tutto è francese, come dire odioso al grado supremo; francese, non parigino! Ancora un'opera di quel genio odioso che ha ispirato Rabelais, Voltaire, Jean La Fontaine! Commentato dal signor Taine! Primaverile, lo spirito di Musset! Grazioso, il suo amore! Eccola lì, la pittura a smalto, la solida poesia! Centellineranno ancora a lungo la poesia francese, ma in Francia. Non c'è garzone di bottega che non sia in grado di buttar giù una apostrofe alla Rolla, non c'è seminarista che non porti quelle cinquecento rime nel suo libretto segreto. A quindici anni, quegli slanci di passione infoiano i giovani; a sedici anni, si accontentano già di recitarli con sentimento; a diciotto, anche a diciassett'anni, ogni collegiale che ne ha occasione fa il Rolla, scrive un Rolla! Qualcuno forse ne morirebbe ancora. Musset non ha saputo fare niente: c'erano delle visioni dietro la garza delle tendine, ed egli ha chiuso occhi. Francese pavoneggiante, trascinato dalla taverna pulpito d'un collegio, quel morto è ben morto, e, ormai, non diamoci più neppure la pena di svegliarlo con il nostro abominio!
I secondi romantici sono molto veggenti: Th. Gautier, Lec. de Lisle,Th. de Banville.Ma investigare l'invisibile e udire l'inaudito è altra cosa che riprendere lo spirito delle cose morte: Baudelaire è il primo veggente, il re dei poeti, un vero Dio. Tuttavia egli è vissuto in un ambiente troppo artistico; e la forma in lui tanto vantata è meschina: le invenzioni d'ignoto reclamano forme nuove.
Rotta con le vecchie forme, tra gli innocenti, A. Renaud, - ha fatto il suo Rolla; L. Grandet, - ha fatto il suo Rolla; - i galli e i Musset, G. Lafenestre, Coran, Cl. Popelin, Soulary, L. Salles; gli scolaretti Marc, Aicard, Theuriet; i defunti e gli imbecilli, Autran, Barbier, L. Pichat, Lemoyne, i Deschamps, i Desessarts; i giornalisti L. Cladel, Robert Luzarches, X. de Ricard; i fantasisti C. Mendès; i bohémiens; le donne; i talenti, Léon Dierx, Sully-Prudhomme, Coppée, - la nuova scuola, detta parnassiana, ha due veggenti, Albert Mérat e Paul Verlaine, un vero poeta. - Ecco - Così io lavoro per rendermi veggente. - E concludiamo con un canto pio.

ACCROUPISSEMENTS

Bien tard, quand il se sent l'estomac écœuré,
...................................................................

Lei sarebbe esecrabile se non rispondesse: e faccia presto, perché fra otto giorni sarò a Parigi, forse.
Arrivederci,
A.RIMBAUD

Monsieur Paul Demeny,
À Douai

III • A VERLAINE


Londra, venerdì pomeriggio
[4 luglio 1873]

Torna, torna, caro amico, mio solo amico, torna. Ti giuro che sarò buono. Se sono stato sgarbato con te, è stato uno scherzo nel quale mi sono intestardito; me ne pento più di quanto si possa esprimere. Torna, tutto sarà dimenticato. Che disgrazia che tu abbia creduto a quello scherzo. Sono due giorni che non la smetto di piangere. Torna. Sii coraggioso, caro amico. Nulla è perduto. Non devi far altro che rifare il viaggio. Noi vivremo ancora qui, coraggiosamente, pazientemente. Ah! ti supplico! È per il tuo bene, d'altronde. Torna, e ritroverai tutte le tue cose. Spero che ora tu sappia che non c'era niente di vero nella nostra discussione. Che momento spaventoso! Ma tu, quando ti facevo segno di scendere dal battello, perché non sei venuto? Abbiamo vissuto insieme per due anni per arrivare a quel momento! Cosa farai? Se non vuoi tornare qui, vuoi che venga io a trovarti dove sei?

Sì, ero io ad aver torto.
Oh! Dimmi, non mi dimenticherai?
No, tu non puoi dimenticarmi.
Io, io ti ho sempre qui.
Dimmi, rispondi al tuo amico, non dobbiamo più vivere
insieme?
Sii coraggioso. Rispondimi presto.
Non posso restare qui più a lungo.
Non ascoltare che il tuo buon cuore.
Presto, dimmi se devo raggiungerti.
Tuo per tutta la vita.
RIMBAUD.

Rispondimi, presto: non posso restare qui oltre lunedì sera. Non ho neanche un penny; non posso imbucare questa lettera alla posta. Ho affidato a Vermersch i tuoi libri e i tuoi manoscritti. Se non devo più vederti, mi arruolerò nella marina o nell'esercito.
Oh, ritorna, ad ogni ora mi rimetto a piangere. Dimmi di venirti a ritrovare, e verrò. Dimmelo, telegrafami. - Bisogna che parta lunedì sera. Dove vai? Cosa vuoi fare?

IV • A VERLAINE


[Londra, 5 luglio 1873]

Caro amico, ho ricevuto la tua lettera datata «Dal mare». Tu hai torto, stavolta, e torto marcio. Innanzitutto non c'è nulla di positivo nella tua lettera: tua moglie o non verrà per niente o verrà fra tre mesi, tre anni, che ne so? Quanto a crepare, ti conosco bene. Tu vai dunque, in attesa della tua donna e della morte, ti agiti, erri, annoi la gente. Perché tu, tu non hai ancora riconosciuto che le tue rabbie erano false ad ogni modo! Ma sei tu che hai avuto l'ultimo torto, perché, anche dopo che t'ho richiamato, tu hai persistito in quei tuoi falsi sentimenti. Tu credi che la tua vita sarà più piacevole con altri che con me: ragionaci - no, no di certo! -
Solo con me tu puoi essere libero, e, poiché ti giuro d'essere gentile in avvenire, che deploro tutta la mia parte di torto, che io ho infine lo spirito a posto, che ti amo molto, se tu non vuoi ritornare, o non vuoi che ti raggiunga, commetti un crimine, e te ne pentirai PER I LUNGHI ANNI, per la perdita della tua libertà, sprofondato nella noia più atroce, per tutto quello che hai provato. Dopodiché, ripensa a quello che eri prima di conoscermi.
Quanto a me, io non me ne tornerò da mia madre. Vado a Parigi, mi sforzerò di partire entro lunedì sera. Tu mi avrai obbligato a vendere tutti i tuoi abiti, non posso fare altrimenti. Non li ho ancora venduti: non me li porteranno prima di lunedì mattina. Se vuoi spedirmi le tue lettere a Parigi scrivi a L. Forain, 289, Rue St. Jacques, per A. Rimbaud. Saprà il mio indirizzo.
Certo, se tua moglie tornerà, non ti comprometterò scrivendoti - non ti scriverò mai.
La sola, unica mia parola è: torna, voglio stare con te, ti amo.
Se la ascolterai, mostrerai del coraggio, e di avere uno spirito sincero.
Altrimenti, io ti pianto.
Ma io t'amo, t'abbraccio, e noi ci rivedremo.
RIMBAUD

8 Great Colle(ge) ecc... fino a lunedì sera, o martedì mezzogiorno, se mi vuoi chiamare.

V • DEPOSIZIONE DI RIMBAUD DAVANTI AL GIUDICE ISTRUTTORE


12 luglio 1873

Circa due anni fa ho conosciuto Verlaine a Parigi. L'anno scorso, in seguito a dissapori con sua moglie e la sua famiglia, mi propose di andare insieme a lui all'estero; avremmo dovuto guadagnarci da vivere in un modo o nell'altro, perché io non ho alcuna fortuna personale e Verlaine non ha che il prodotto del suo lavoro e qualche soldo che gli passa sua madre. Siamo venuti insieme a Bruxelles nel mese di giugno dell'anno scorso, e vi abbiamo soggiornato all'incirca per due mesi; vedendo che in questa città non c'era nulla da fare siamo partiti per Londra. Lì abbiamo vissuto insieme in questi ultimi tempi, occupando lo stesso alloggio e mettendo in comune ogni cosa.
In seguito ad una discussione avuta all'inizio della scorsa settimana, sorta perché lo avevo ripreso per la sua indolenza e il suo modo di comportarsi nei confronti dei nostri conoscenti, Verlaine mi lasciò quasi all'improvviso, senza neppure farmi sapere il luogo dove era diretto. Supposi comunque che sarebbe andato a Bruxelles, o che ci sarebbe passato, perché aveva preso il battello per Anversa. Ricevetti in seguito da lui una lettera datata «Dal mare», che vi consegnerò, nella quale mi annunciava che avrebbe richiamato presso di sé sua moglie e che se non avessi risposto entro tre giorni al suo appello si sarebbe ammazzato; mi disse anche di scrivergli fermo posta a Bruxelles. Gli scrissi allora due lettere nelle quali gli chiedevo di tornare a Londra o di consentirmi di raggiungerlo a Bruxelles. Fu allora che mi spedí un telegramma perché venissi qui a Bruxelles. Desideravo che ci riunissimo di nuovo, perché non avevamo alcun motivo di separarci.
Dunque lasciai Londra; arrivai a Bruxelles martedì mattina e raggiunsi Verlaine. Con lui c'era sua madre. Non aveva nessun progetto preciso; non voleva rimanere a Bruxelles perché temeva che in questa città non ci fosse nulla da fare; io da parte mia, non volevo consentire di tornare a Londra, come lui mi proponeva, perché la nostra partenza doveva aver prodotto troppo penosi effetti nello spirito dei nostri amici, decisi di tornare a Parigi. Ora Verlaine manifestava l'intenzione di accompagnarmi, per andare come diceva lui, a far giustizia della moglie e dei suoi suoceri; ora rifiutava d'accompagnarmi perché Parigi gli ridestava troppo tristi ricordi. Era in uno stato di grandissima esaltazione. Tuttavia insisteva molto perché rimanessi insieme a lui: ora era disperato, ora andava su tutte le furie. Non c'era alcun nesso tra le sue idee. Mercoledì sera bevette oltre misura e s'ubriacò. Giovedì mattina uscì alle sei; non tornò prima di mezzogiorno; era di nuovo in stato d'ubriachezza, e mi mostrò una pistola che aveva comperato, e quando gli domandai cosa ne volesse fare, rispose scherzando: «È per me, per te, per tutto il mondo! Era molto sovreccitato. Mentre eravamo insieme nella nostra stanza scese ancora parecchie volte a bere liquori; voleva sempre impedirmi il mio progetto di ritornare a Parigi. Io fui irremovibile. Al contrario, chiesi a sua madre del denaro per fare il viaggio. Allora, a un certo punto, chiuse la porta della camera che dava sul pianerottolo a chiave, e si mise a sedere su di una sedia contro alla porta. Io stavo in piedi, appoggiato, alla parete prospiciente. Allora mi disse: «Questo è per te, perché tu parti!» o qualcosa del genere; rivolse contro di me la pistola e sparò un colpo che mi raggiunse sul polso sinistro; il primo colpo fu quasi istantaneamente seguito da un secondo ma stavolta l'arma non era più diretta verso di me, ma abbassata verso il pavimento.
Verlaine espresse subito il più vivo dispiacere per quello che aveva fatto; si precipitò nella camera attigua occupata da sua madre, e si buttò sul letto. Era come impazzito: mi mise la pistola fra le mani e mi esortò a scaricargliela sulla tempia. Il suo atteggiamento era quello di un profondo rimorso per quello che aveva combinato.
Verso le cinque di sera, lui e sua madre mi portarono qui a farmi medicare. Tornato all'hotel, Verlaine e sua madre mi proposero di restare con loro per curarmi, o di tornare all'ospedale finché non fossi completamente guarito. La ferita mi sembrava poco grave, e manifestai l'intenzione di recarmi la sera stessa in Francia, a Charleville, da mia madre. Questa notizia risprofondò Verlaine nella disperazione. Sua madre mi diede venti franchi per il viaggio, ed uscirono con me per accompagnarmi alla Stazione Sud. Verlaine era come folle. Fece di tutto per trattenermi; d'altra parte aveva costantemente la mano nella tasca del suo abito in cui si trovava la pistola. Giunti a piazza Rouppe ci precedette di qualche passo e poi tornò verso di me; il suo atteggiamento mi fece temere che potesse abbandonarsi a nuovi eccessi; mi girai e mi detti alla fuga correndo. Fu allora che pregai un agente della polizia di arrestarlo.
La pallottola che mi ha colpito alla mano non è stata ancora estratta, e il dottore mi ha detto che potrebbe esserlo non prima di due o tre giorni.
DOMANDA - Di che cosa vivevate a Londra?
RISPOSTA - Soprattutto del denaro che la signora Verlaine inviava a suo figlio. Davamo anche, insieme, delle lezioni di francese, ma non ci rendevano un gran che, una dozzina di franchi a settimana, in fin dei conti.
DOMANDA - Conosce il motivo dei dissapori tra Verlaine e la moglie?
RISPOSTA - Verlaine non voleva che la moglie continuasse ad abitare dal padre.
DOMANDA - Ma essa si lamenta anche della sua intimità con Verlaine?
RISPOSTA - Sì, ci accusa anche di rapporti immorali; ma non voglio neppure darmi la pena di smentire simili calunnie.

Letto, approvato e firmato:
A. RIMBAUD, TH. T'SERSTEVENS, C. LIGOUR.

VI • A ERNEST DELAHAYE


[Charleville,] 14 ottobre [18]75

Caro amico,
Ricevuta la cartolina e la lettera di V. da otto giorni. Per semplificare le cose, ho avvisato la Posta di mandarmi a casa la corrispondenza fermoposta, sicché tu mi puoi scrivere qui, se non hai ancora spedito nulla al fermoposta. Non commento le ultime grossolanità del Loyola, ma per il momento non devo più darmi da fare su quel versante, siccome sembra che il secondo reparto del contingente della classe del '74 sta per essere richiamato il tre novembre prossimo venturo: la camerata di notte:

SOGNO

Tutti hanno fame nella camerata -
È vero...
Emanazioni, esplosioni. Un genio:
«Io sono il gruviera! -
Lefêbvre: «Keller!»
Il genio: «Io sono il Brie! -
I soldati si tagliano il pane:
«È la vita!
Il genio. - «Io sono il Roquefort!
- «Sarà la nostra morte!...
Io sono il gruviera
e il Brie!... ecc.

VALZER

Ci hanno messi insieme, io e Lefêbvre, ecc.

Tali preoccupazioni ti assorbono completamente. Nel mentre rispedire cortesemente, secondo le occasioni, i «Loyola» che potrebbero tornare alla carica.
Un piccolo piacere: mi vuoi dire con esattezza e concisamente - in che cosa consiste il «baccalaureato» in scienze, attualmente, parte classica, e matematica, ecc. - Mi dovresti dire il punteggio che si deve ottenere in ogni materia: matematica, fisica, chimica, ecc., e in tal caso, subito, i titoli dei libri (e il modo di procurarseli) che sono impiegati nel tuo istituto; per esempio per questo «baccalaureato», a meno che i libri non cambino da università a università: in ogni modo, da professori e da studenti che siano all'altezza, informati dal punto di vista che ti ho dato. Sono interessato soprattutto a cose precise, siccome si tratterebbe di acquistare i libri fra poco. Il servizio di leva e il «baccalaureato», come vedi, mi potrebbero far passare due o tre piacevoli stagioni! Al diavolo allora questa «graziosa fatica»! Solamente sii cosi gentile da indicarmi il meglio possibile come procedere.
Qui niente di niente.
Amo pensare che Peto di lupo e quei viscidi individui col ventre gonfio di patriottismo non te ne diano, di distrazione più di quanto te ne serva. Almeno ciò non scioglie la lingua, come qui.
A te «nella misura delle mie deboli forze».
Scrivi:

A. RIMBAUD.
31, rue Saint-Barthélémy,
Charleville (Ardennes), non fa
bisogno di dirlo.

P.S. La corrispondenza «filettata» arriva a questo: che il «Némery» aveva affidato i giornali del Loyola a un agente di polizia perché me li portasse!

Monsieur Ernest Delahaye,
A Rethel.

VII • AI SUOI


Mazeran, Viannay e Bardey.
Lione-Marsiglia-Aden.

Aden, 5 maggio 1884

Miei cari amici,
Come sapete, la nostra società è stata completamente liquidata, e l'agenzia di Harar che io dirigevo, è soppressa; anche l'agenzia di Aden è chiusa. Le perdite della Compagnia in Francia sono, a quanto mi dicono, di circa un milione; perdite però avute in affari diversi da questi, che vanno abbastanza soddisfacentemente. Infine, mi sono trovato licenziato fine aprile, e, secondo i termini del mio contratto, ho raggiunto un'indennità di tre mesi di stipendio, fine Luglio. Sono dunque al momento senza un impiego, sebbene abiti sempre nel vecchio stabile della compagnia, il quale è affittato fino a giugno. Il signor Bardey è ripartito per Marsiglia, ed ha una decina di giorni per cercare nuovi fondi per continuare gli affari qui. Mi auguro che ci riesca, ma penso il contrario. Mi ha detto di aspettarlo qui; ma se alla fine di questo mese non ci saranno notizie soddisfacenti, mi impiegherò altrove e altrimenti.
Ora qui di lavoro non ce n'è, e le grandi case fornitrici delle agenzie di qui sono tutte finite a Marsiglia. D'altra parte, per chi non è più impiegato, la vita è senza prezzo qui, e l'esistenza è intollerabilmente noiosa, soprattutto in piena estate; e voi lo sapete, qui l'estate è la più calda del mondo intero!
Non so assolutamente dove mi potrò trovare tra un mese. Ho dai dodici ai tredicimila franchi con me e, siccome qui non ci si può fidare di nessuno, uno è obbligato a portarsi appresso il suo gruzzolo e sorvegliarlo continuamente. E questi soldi, che potrebbero darmi una rendita sufficiente a farmi vivere senza impiego, non mi rendono niente altro che seccature continue!
Che esistenza desolante conduco sotto questo clima assurdo e in queste condizioni insensate! Avrò con questi risparmi, un piccolo reddito assicurato; mi potrei riposare un po' dopo lunghi anni di sofferenza; e non solo non posso restare un giorno senza lavorare, ma non posso affatto compiacermi del mio guadagno. Il Tesoro qui non prende che depositi senza interesse, e le ditte commerciali non sono per niente solide! Non posso lasciarvi un indirizzo dove rispondere a questa mia perché personalmente ignoro dove mi andrò a cacciare prossimamente, e per quali strade, e per dove, e perché, e come!
È possibile che gli Inglesi occupino presto Harar; e può darsi che ci tornerò. Si potrebbe condurre là un piccolo commercio, e forse potrei comperare dei giardini e qualche piantagione e provare a vivere così. Infatti il clima di Harar e dell'Abissinia è eccellente, migliore di quello dell'Europa, del quale non ci sono gli inverni rigidi; e la vita non costa nulla, i cibi sono buoni e l'aria deliziosa; mentre il soggiorno sulle coste del mar Rosso snerva anche la gente più robusta; ed un anno là invecchia le persone come quattr'anni altrove.
La mia vita qui è un vero incubo. Non vi figurereste mai come me la passo male. Lontano di lì: io stesso vedo sempre che è impossibile vivere più penosamente di me.
Se il lavoro potrà riprendere qui a breve scadenza, va ancora bene: non mangerò il mio maledetto gruzzolo nel corso delle avventure. In questo caso, me ne resterò ancora il più possibile in questo orrendo buco di Aden; perché d'altra parte le imprese personali sono troppo pericolose, in Africa.
Scusatemi di farvela lunga con le mie noiose storie. Ma vedo che sto raggiungendo i trent'anni (la metà della vita!) e mi sono molto stancato di girare il mondo, e senza alcun risultato.
E voi, voi non avete di questi sogni malvagi: e mi piace rappresentarmi la vostra vita tranquilla e le vostre azioni calme. Che siano davvero così!
Quanto a me, io sono condannato a vivere ancora a lungo, forse per sempre, in questi luoghi, dove ora sono conosciuto, e dove troverò sempre lavoro; mentre in Francia sarei uno straniero, e non troverei un bel niente.
Infine, speriamo il meglio.
Statemi bene.
ARTHUR RIMBAUD.
Fermo posta, Aden - Camp.
Arabia.

VIII • ALLA SORELLA E ALLA MADRE


Marsiglia, 10 luglio 1891.

Mia cara madre, mia cara sorella,
Dopo terribili sofferenze, non potendomi far curare ad Aden, ho preso il battello delle Messaggerie per rientrare in Francia. Sono arrivato ieri, dopo tredici giorni di dolore. Trovandomi troppo debole una volta arrivato, ed essendo raffreddato, ho dovuto ricoverarmi all'Ospedale della Concezione, dove pago dieci franchi al giorno, compreso il dottore.
Sto molto male, molto male e sono ridotto ad uno scheletro per colpa della malattia della mia gamba sinistra che è diventata enorme, e somiglia ad un enorme zucca. È una sinovite, una idartrite, ecc., una malattia dell'articolazione e delle ossa. Questa dovrà durare a lungo, se delle complicazioni non renderanno necessario amputare la gamba. In tutti i casi, io resterò storpio. Mi chiedo cosa stia aspettando. La vita m'è divenuta impossibile. Che io sia maledetto! Che io sia dunque divenuto maledetto!
Ho a portata di mano qui una tratta di 36800 franchi sul Banco nazionale di Sconto di Parigi. Ma non ho nessuno che si possa occupare di investire il denaro. Quanto a me, io non posso fare un solo passo fuori dal letto. Non ho ancora potuto toccare il denaro. Cosa fare? Che vita triste! Non potete aiutarmi in nulla?

RIMBAUD.
Ospedale della Concezione.
Marsiglia.

IX • ALLA SORELLA


Marsiglia, 10 luglio 1891

Mia cara sorella,
Ho ricevuto le tue lettere del 4 e dell'8 luglio. Sono felice che la mia situazione sia infine stata chiarita. Quanto al libretto, in effetti l'ho perduto durante il viaggio. Quando potrò muovermi vedrò se devo chiedere il congedo qui o altrove. Ma se fosse a Marsiglia, penso che dovrei farmi recapitare qui la risposta autografa dell'intendenza. Dunque è meglio che io abbia in mano quella dichiarazione, speditemela. Così nessuno potrà importunarmi. Terrò anche il certificato dell'ospedale, e con questi due documenti potrò ottenere qui il mio congedo. Sto sempre in piedi, ma non mi sento bene. Finora non ho imparato a camminare che con le stampelle, e mi è tuttora impossibile salire o scendere un solo gradino. In questo caso sono costretti a farmi scendere o salire prendendomi in braccio. Mi sono fatto costruire una gamba di legno molto leggera, verniciata e imbottita, molto ben fatta (prezzo: 50 franchi). L'ho messa, qualche giorno fa, ed ho provato a trascinarmi sollevandomi ancora con le stampelle, ma mi si è infiammato il moncone, e così ho gettato via il maledetto strumento. Non potrò utilizzarlo che fra quindici o venti giorni, e sempre con le stampelle per non meno di un mese, e non più di un'ora o due al giorno. L'unico vantaggio è di avere tre punti d'appoggio invece di due.
Ricomincio dunque ad utilizzare le stampelle. Che noia, che fatica, che tristezza se penso a tutti i miei vecchi viaggi, e a com'ero attivo soltanto cinque mesi fa! Dove sono le corse per le montagne, le cavalcate, i deserti, i fiumi e i mari? E ora, un'esistenza da culo di piombo! Perché comincio a comprendere che stampelle, gambe di legno e gambe meccaniche non sono che un mucchio d'imbrogli, e che con tutto questo non si può che trascinarsi miserabilmente senza poter fare mai nulla. Ed io che avevo deciso proprio quest'estate di tornare in Francia per sposarmi! Addio matrimonio, addio famiglia, addio avvenire! La mia vita è passata; non sono che un troncone immobile.
Sono ancora lontano dal poter circolare anche soltanto con la gamba di legno, che è per ora la soluzione più leggera. Conto ancora quattro mesi prima di poter fare solamente qualche gradino con la gamba di legno e col sostegno d'un bastone. È la cosa più difficile, scendere e salire. Entro sei mesi soltanto potrò provare una gamba meccanica con molta pena e senza utilità. La grande difficoltà nasce dall'essere stato amputato molto in alto. Innanzitutto le nevralgie successive all'amputazione sono tanto più violente e persistenti quanto più l'arto è stato amputato in alto. Cosi, i disarticolati del ginocchio sopportano molto di più un apparecchio. Ma questo ormai non ha più importanza; la stessa vita ha poca importanza! Qui non è più fresco dell'Egitto. A mezzogiorno ci sono dai 30 ai 35 gradi, e la notte da 25 a 30. - La temperatura di Harar è dunque più gradevole, soprattutto la notte, che non oltrepassa i 10-15 gradi.
Non posso dirvi cosa farò, sono ancora troppo giù per saperlo io stesso. Non sto bene, lo ripeto. Temo molto ulteriori disgrazie. Il mio pezzo di gamba è molto più grosso dell'altra, e pieno di nevralgie. Il medico, naturalmente, non mi visita più; perché per il medico basta che si sia cicatrizzata la ferita, che vi abbandona. Vi dice che siete guariti. Si preoccupa per voi solo quando nascono ascessi, ecc. ecc., o quando si producono altre complicazioni che rendono necessario l'uso del coltello. I malati sono considerati solo oggetti per le loro esperienze. È cosa risaputa. Soprattutto negli ospedali, dove i medici non sono pagati. Cercano quei posti solo per farsi una reputazione e una clientela.
Vorrei tanto tornare con voi, perché fa più fresco, ma penso che lì non ci siano terreni adatti ai miei esercizi acrobatici. E poi ho paura che il clima da fresco divenga freddo. Ma la ragione principale è che non posso muovermi; non posso e ancora per molto non potrò, - e, a dire il vero, non mi sento guarito interiormente, e mi aspetto qualche esplosione... Bisognerebbe portarmi fino al vagone, farmi scendere, ecc. ecc., da troppa noia, troppa spesa e troppa fatica. Ho la mia stanza pagata fino alla fine di luglio; rifletterò e vedrò quel che posso fare nel frattempo.
Fino ad allora, preferisco credere che le cose andranno meglio come voi volete farmi credere; - per quanto stupida sia l'esistenza sua, l'uomo vi è sempre aggrappato. Inviatemi la lettera dell'intendenza. C'è per l'appunto a tavola con me un ispettore di polizia malato che mi ha sempre scocciato con le sue storie di servizio, e si prepara a giocarmi qualche brutto tiro.
Scusatemi del disturbo, vi ringrazio, e vi auguro buona fortuna e buona salute.
Scrivetemi.
Il vostro
RIMBAUD

Mademoiselle Isabelle Rimbaud,
Roche, canton d'Attigny
Ardennes (France).

X • ALLA SORELLA


Marsiglia, 15 luglio 1891.

Cara Isabelle,
Ricevo la tua lettera del 13 e trovo l'occasione di risponderti subito. Vedrò quali pratiche posso fare con questa dichiarazione dell'intendenza ed il certificato dell'ospedale. Certo, mi piacerebbe avere regolata la questione, ma ahimé, non ne trovo il modo, io che sono a stento capace di infilare una scarpa alla mia unica gamba. Insomma, mi sbrigherò come potrò. Almeno, con questi due documenti, non rischio più di andare in prigione; perché l'amministrazione militare è anche capace d'arrestare uno storpio, foss'anche in un ospedale. Quanto alla dichiarazione di ritorno in Francia, a chi e dove farla? Non c'è persona intorno a me che sappia spiegarmelo; ed è lontano il giorno in cui potrò andare in un ufficio, con le mie gambe di legno, ad informarmi.
Passo giorno e notte a riflettere sui diversi modi di circolazione: è un vero supplizio! Vorrei fare questo e quello, andare qui e là, vedere, vivere, partire: impossibile, impossibile almeno per molto tempo, se non per sempre! Non vedo, attorno a me, che queste stampelle maledette: senza questi bastoni non posso fare un passo, non posso esistere. Senza la più atroce ginnastica non posso neppure più vestirmi. Sono quasi arrivato a poter correre con le mie stampelle, ma non posso salire o scendere scale, e, se il terreno è accidentato, il dislivello tra una spalla e l'altra mi affatica molto. Ho un fortissimo dolore nevralgico al braccio e alla spalla destra, e oltre a questo una stampella che mi sega l'ascella, - e ancora una nevralgia nella gamba destra, e nonostante tutto devo fare tutto il giorno l'acrobata per aver l'aria d'esistere.
Ecco ciò che considero, in ultima analisi, causa della mia malattia. Il clima di Harar è freddo da novembre a marzo. Io, per abitudine, quasi non mi vestivo mai: un semplice pantalone di tela e una camicia di cotone. E lì corse a piedi da 15 a 40 chilometri al giorno, cavalcate insensate attraverso le ripide montagne del paese. Credo che si sia sviluppato nel ginocchio un dolore artritico per la fatica, il caldo ed il freddo. Infatti la cosa ha avuto inizio con un colpo di martello (per così dire) sotto la rotula, un colpo leggero che mi prendeva ogni minuto; una grande secchezza nell'articolazione e una contrazione di un nervo della coscia. Venne poi un rigonfiamento delle vene tutt'intorno al ginocchio, che faceva pensare a delle varici. Io marciavo e lavoravo sempre molto, credendolo un semplice colpo d'aria. Poi il dolore all'interno del ginocchio aumentò. A ogni passo era come se mi infilassero dentro un chiodo. - E continuavo sempre a camminare, sebbene con sforzo in più; soprattutto andavo a cavallo e talvolta ne discendevo quasi storpiato. - Poi il ginocchio si è gonfiato, la rotula arrugginita, anche il polpaccio ne è stato preso, la circolazione diventava difficoltosa e il dolore scuoteva i nervi dalla caviglia alle reni. - Ormai non camminavo che zoppicando vistosamente ed ogni giorno stavo peggio, ma avevo sempre, per forza, molte cose da fare. - Ho cominciato allora a tenere bendata la mia gamba dall'alto in basso, a massaggiarla, farle bagni, ecc., senza risultato. Nel frattempo perdevo l'appetito. Un'insonnia ostinata cominciò. Dimagrivo e mi indebolivo molto. - Verso il 15 di marzo decisi di riposarmi, o almeno di rimanere in posizione orizzontale. Disposi un letto tra la mia cassa, i miei scritti e una finestra dalla quale potevo osservare le mie bilance in fondo al cortile, e pagai gente per far proseguire il lavoro, restarmene disteso, almeno con la gamba malata. Ma giorno dopo giorno il gonfiore faceva somigliare il ginocchio ad una palla, osservai che la parte interna dell'articolazione della tibia era molto più grossa di quella dell'altra gamba: la rotula era diventata immobile, annegata nell'escrezione prodotta dal rigonfiamento del ginocchio, e la vidi, con terrore, farsi dura come un osso: a quel punto tutta la gamba divenne rigida, completamente rigida, e in otto giorni non potei più andare al bagno senza trascinarmi. Intanto la gamba e la parte alta della coscia dimagrivano sempre, il ginocchio e il garretto si gonfiavano, si pietrificavano, o piuttosto s'ossificavano, e l'indebolimento fisico e morale peggiorava.
Alla fine di marzo decisi di partire. In qualche giorno, liquidai tutto in piena perdita. E, siccome la rigidità e il dolore mi impedivano l'uso del mulo o del cammello, mi feci fare una barella coperta da una tenda che in quindici giorni sedici uomini trasportarono fino a Zeilah. Il secondo giorno di viaggio, essendomi allontanato dalla carovana, fui sorpreso in un posto deserto da una pioggia nella quale restai disteso sedici ore sotto l'acqua, senza riparo e senza possibilità di muovermi. Questo mi fece molto male. Per la strada, non mi fu mai possibile lasciare la barella, e stendevano la tenda su di me, nel luogo dove venivo posato, e, scavando un buco con le mie stesse mani intorno alla barella, riuscivo con molta difficoltà a spostarmi un po' di fianco per andare di corpo in quel buco che poi ricoprivo di terra. La mattina, sollevavano la tenda sopra di me, e mi caricavano. Arrivai a Zeilah, sfinito, paralizzato. Non riposai che quattr'ore, fin quando il vaporetto partì per Aden. Gettato sul ponte sul mio materasso (è stato necessario issarmi a bordo sulla mia barella!) ho dovuto sopportare tre giorni di mare senza mangiare. Ad Aden, nuova discesa in barella. Ho in seguito passato qualche giorno dal sig. Tian per regolare i nostri affari, e poi sono andato all'ospedale dove il medico inglese, dopo quindici giorni, mi consigliò di filarmela in Europa.
Sono convinto che quel dolore nell'articolazione, se l'avessero curato dai primi giorni, si sarebbe facilmente calmato e non avrebbe avuto conseguenze. Ma allora lo ignoravo. Sono stato io a rovinare tutto, per il mio testardo camminare e lavorare in eccesso. Perché a scuola non s'impara quel po' di medicina di cui ognuno ha bisogno per non commettere simili bestialità? Se qualcuno in quelle condizioni mi consultasse, gli direi: siete arrivato a questo punto: ma non lasciatevi mai amputare. Fatevi maciullare, dilaniare, fare a pezzi, ma non sopportate mai d'essere amputato. Se viene la morte, è pur sempre meglio della vita senza un arto. E così, molti l'hanno fatto; e, se potessi ricominciare, lo farei anch'io. Piuttosto soffrire un anno come un dannato, che sopportare un'amputazione. Eccolo il bel risultato: sono seduto, e di tanto in tanto m'alzo e saltello un centinaio di passi sulle mie stampelle, quindi mi risiedo. Le mie mani non sanno più tenere nulla. Io non posso, mentre cammino, distogliere lo sguardo dal mio solo piede, e dalla punta delle stampelle. La testa e le spalle s'inclinano in avanti, e ci si piega come gobbi. Tremate a vedere oggetti e gente muoversi attorno a voi, per la paura che vi facciano cadere, e rompere l'altra zampa. Sghignazzano vedendovi saltellare. Tornando a sedere, avete le mani irritate e l'ascella segata e la faccia da idiota. La disperazione vi riprende e restate seduti come completi impotenti, piagnucolando in attesa della notte, che porterà l'insonnia perpetua e una mattina ancor più triste della precedente, ecc. ecc. n seguito nel prossimo numero.
Con tutti i miei auguri.
RIMBAUD.

XI • AL DIRETTORE DELLE «MESSAGGERIE MARITTIME»


Marsiglia, 9 novembre 1891

UNA PARTE: UN DENTE SOLO.
UNA PARTE: DUE DENTI.
UNA PARTE: TRE DENTI.
UNA PARTE: QUATTRO DENTI.
UNA PARTE: DUE DENTI.

Signor Direttore,
Le voglio chiedere se Lei mi abbia mai preso in considerazione. Io desidero immediatamente cambiare questo servizio, del quale non conosco neppure il nome, e in tutti i casi, che ci sia il servizio di Aphinar. Tutti questi servizi sono dappertutto laggiù, ed io, impotente, sfortunato, io non posso trovare nulla, il primo cane per la strada glielo potrà dire.
Inviatemi dunque il prezzo dei servizi di Aphinar a Suez. Io sono completamente paralizzato: dunque desidero trovarmi a bordo di buon ora. Ditemi a quale ora devo essere trasportato a bordo...