PAUL VERLAINE POESIE V |
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Ballata a proposito di due olmi che egli aveva a Léon Vanier. Il mio giardino fu dolce e leggero finché rimase la mia umile ricchezza: mezzo orto e mezzo verziere, con qualche fiore che si erge color d'amore e d'allegria, e uccelli sopra i rami, ed erba per poltrire. Ma niente valse i miei olmi. Dalla mia chiara sala da pranzo dove il vino compì qualche prodezza, li vedevo oscillare tutti e due dolcemente nel vento che li spinge l'un verso l'altro in una carezza, e le loro foglie flautavano parole. Era pieno il recinto di dolcezza. Ma niente valse i miei olmi. Ahimè! Quando bisognò cambiare cieli e lasciare la festa, l'orto e il verziere condivisero la mia tristezza, e il fiore dal colore incantatore e l'erba, cuscino dei miei mali, e l'uccello, seppero il mio sconforto. Ma niente valse i miei olmi. CONGEDO Principe, ho gustato la semplicità di vivere felice nelle vostre campagne: buon umore, salute che niente ferisce. Ma niente valse i miei olmi. Alla signora X... inviandole una viola del pensiero Quando voi mi amavate (veramente?) m'inviaste, appena sbocciata, una cara piccola rosa, fresco emblema, messaggio puro. Nel suo linguaggio essa diceva i "giuramenti del primo amore": mio per sempre il vostro cuore e tutte le solite cose. Son passati tre anni. Eccoci qua! Ma io ho conservato la memoria della vostra rosa, ed è per me un onore anche a questo pensare. Ahimè! se ho la ricordanza, più non ho il fiore, né il cuore! È ai quattro venti, il fiore. E il cuore? ma, ora che ci penso, fu mai mio? tra noi? Quanto al mio, batte sempre lo stesso, è semplice ancora. Un emblema a mia volta. Dite, volete che, tutto considerato, io v'invii, triste selam, ma è proprio così, questa povera mora? Essa non è color della gioia, ma è color del mio cuore; l'ho colta in qualche fessura del selciato prigioniero che percorro in questo luogo di giusto dolore. Ha forse bisogno d'altre prove? Abbiate il piacere d'accettarla. Ho fatto tanto per poterla cogliere, ed è quasi una vedovella. 1873. Un vedovo parla Vedo un gruppo sul mare. Quale mare? Quello delle mie lacrime. I miei occhi bagnati dal vento amaro in questa notte d'ombra e di allarmi sono due stelle sul mare. È una donna giovanissima e il suo bambino già grande in una barca in cui nessuno rema, senz'albero né vela, in piena corrente... Un ragazzino, una donna! In piena corrente nell'uragano! Il fanciullo si stringe alla madre che non sa più dove, e neppure... più nulla e che, folle, spera nella corrente, nell'uragano. Sperate in Dio, povera folle, credi in nostro Padre, piccolo. La tempesta che vi affligge, il mio cuore da lassù vi predice che sta per cessare, piccolo, folle! E pace al gruppo sul mare, su questo mare di buone lacrime! I miei occhi gioiosi nel cielo chiaro, per questa notte senza più allarmi, sono due buoni angeli sul mare. 1878. A Luigi II di Baviera Re, unico vero re di questo secolo, salve, Sire, che voleste morire vendicando la vostra ragione contro le cose politiche, e il delirio di questa Scienza intrusa nella casa, Scienza assassina dell'Orazione e del Canto e dell'Arte e della Lira, e con semplicità, pieno d'orgoglio in fiore, uccideste morendo, salve, Re!, bravo, Sire! Foste un poeta, un soldato, l'unico Re di questo secolo in cui i re contano poco, e il martire della Ragione secondo la Fede. Salve alla vostra così unica apoteosi, e l'anima vostra abbia il suo fiero corteo, d'oro e ferro, su un'aria magnifica e gioiosa di Wagner. A Victor Hugo inviandogli "Sagesse" Nessuno dei vostri odierni adulatori ha conosciuto meglio di me la fierezza d'ammirare la vostra gloria: il vostro nome m'inebriava come un nome di vittoria, la vostra opera, l'amavo di un amore puro. Poi, la Verità mi ha messo il mondo a nudo. Amo Dio, la sua Chiesa, e la mia vita è credere ciò che considerate, ahimè! derisorio, e aborro nei vostri versi il Serpente ben noto. Sono cambiato. Come voi. Ma in altro modo. Nella mia piccolezza avevo anch'io il diritto di un'evoluzione, quella buona, l'ultima. Ora, io so, maestro, quale lode vi debba l'entusiasmo antico; eccola franca, piena, perché in ore di pena mi foste dolce. 1881. Parabole Siate benedetto, o Signore, per avermi fatto cristiano in questi tempi di feroce ignoranza e di odio; ma datemi la forza e l'audacia serena d'esservi sempre fedele come un cane; d'esser per voi l'agnello predestinato che bene segue la madre, né sa dare al pastore alcuna pena, sentendo di dovere anche la vita, oltre la lana, al suo padrone, quando gli piaccia usare questo bene; il pesce, per servire da monogramma al Figlio; l'oscuro asinello che un giorno in trionfo egli montò; e, nella mia carne, i porci che gettò nell'abisso. Perché l'animale, migliore dell'uomo e della donna, in questi tempi di rivolta e di duplicità, assolve con semplicità al suo umile dovere. Lucien Létinois I Mio figlio è morto. Adoro, o mio Dio, la vostra legge. Vi offro le lacrime di un cuore quasi spergiuro; voi castigate forte e perfezionate la fede che l'amore per una creatura illanguidiva. Voi castigate forte. Mio figlio è morto, ahimè! Me l'avevate dato, e ora la vostra destra me lo riprende quando i miei poveri stanchi piedi reclamavano quella cara guida in questa strada stretta. Me l'avevate dato, e me lo riprendete: gloria a voi! Troppo dimenticavo la vostra gloria nel languore d'amare di più i tesori donati che il Munifico di tutta questa storia. Me l'avevate dato, ve lo rendo purissimo, formato alla virtù, all'amore, alla semplicità. Perciò perdonate, o Terribile, colui sul cui cuore, o Dio forte, infierisce questa debolezza. E lasciatemi piangere e fatemi benedire l'eletto di cui certo vorrete che la preghiera avvicini un po' l'istante così bello del ritorno a lui in Voi, Gesù, dopo la mia ultima morte. II Perché davvero ho sofferto molto! Stanato, braccato come un lupo che non ne può più di vagare a caccia del buon riposo, del rifugio sicuro, e che fa balzi da capretto sotto i colpi di tutta una razza. L'Odio, l'Invidia e il Denaro, buoni segugi dal fiuto diligente, mi circondano, mi stringono. Ciò dura da giorni, da mesi, da anni! Pranzo di ansia, cena di terrori, pietanza dura! Ma nell'orrore del bosco nativo, ecco il Levriero fatale, la mia Morte. - Ah! la belva e il bruto! - e su di me, più che mezzo morto, posa la Morte la sua zampa e morde questo cuore, senza concluder la lotta! E io resto, insanguinato, trascinando i miei passi sanguinanti verso il torrente che urla attraverso il mio casto bosco - Lasciatemi morire almeno voi, miei fratelli davvero, Lupi! - me, che la Donna, mia sorella, strazia. III Oh, Donna! Prudente, saggio, calmo nemico, che non esagera mai una mezza vittoria, e finisce i feriti, e saccheggia l'intero bottino, e sparge lontani il ferro e il fuoco, oppure buon amico, poco sicuro ma comunque buono, e dolce, troppo dolce spesso, come fuoco di carbone che culla il riposo e lo svaga e l'addormenta, e talvolta induce il dormiente in una morte talmente deliziosa che anche l'anima ne muore! Donna per sempre abbandonata! oh sì! ricevi, non senza l'espressione di un ingiusto rimpianto, l'insulto di chi un solo rimorso a te ricondurrebbe. Ma poiché tu non hai rimorsi, come un tasso non ha ombra viva, questo è l'addio definitivo, albero fatale sotto cui malamente giace l'Umanità, dall'Eden fino a Questo Giorno Irritato. IV Mia cugina Elisa, quasi una sorella maggiore, meglio di una sorella, o tu, ecco che ritorna la stagione sventurata in cui mi lasciasti per questo sempre, - questo mai! Eccolo di ritorno l'orrendo giorno che mi privò della dolce ala dove rifugiarmi contro un dolore da Pollicino o la bua. Certo, la mia povera mamma era buona, troppo! e il mio cuore a vederla palpitava, trasaliva, e rideva, e udendola piangeva, ma te, t'amavo in altro modo, non più tenera, più familiare, ecco. Perché la Madre è sempre in fondo un po' temuta e rispettata assolutamente, mentre rimpianta per sempre tu mi appari, ombra cara, come quando eri viva, bionda e rosea, profilo grave e sognante, con begli occhi azzurri dove imparava la mia anima di ragazzino, e dove più tardi la fiamma della mia forte amicizia casta d'adolescente, poi d'uomo, gettava un riflesso incandescente. All'inizio mi fosti guida, poi compagna, poi amico, non amica (futile sfumatura). E ora dormi, dopo avermi benedetto. Ma sento bene che in me qualcosa è morto. V Ho il furore d'amare. Il mio debole cuore è pazzo. Non importa quando, né importa chi o dove, che un lampo di bellezza, di virtù, di valore splenda, subito vi si precipita, vola, si lancia, e, nel tempo d'un abbraccio, cento volte bacia l'essere o l'oggetto che la sua scelta insegue; poi, quando l'illusione ha ripiegato la sua ala, ritorna triste e solo, molto spesso, ma fedele, e lasciando agli ingrati qualcosa di se stesso, sangue o carne. Ma, senza più morire nel suo tedio, presto s'imbarca per l'isola delle Chimere e ne riporta soltanto amare lacrime che assapora, e orribili disperazioni d'un istante, poi s'imbarca di nuovo. - È talmente deciso e tenace che nelle sue corse negli infiniti gli accade, navigatore testardo, d'andar dritto alla riva senza curarsi affatto che possa esistere uno scoglio vicino, a infrangere lo scafo. Anzi, fa dello scoglio un trampolino e a nuoto a riva si dirige. Eccolo là. Il prodigio sarebbe se non avesse fatto avidamente il giro dal mattino alla sera e dalla sera al mattino, e il giro e il giro ancora del promontorio. E niente! Non alberi né erbe, né acqua da bere, la fame, la sete, e gli occhi bruciati dal sole, nessuna traccia umana, e non un cuore simile! Non al suo, - mai ne avrà uno somigliante, - ma un cuore d'uomo, un cuore vivo, palpabile, seppure falso, seppure vile, un cuore! come, non un cuore! Resterà in attesa, senza perdere nulla della sua forza che la febbre sostiene e l'amore incoraggia, che un battello mostri la cima dell'albero da queste parti, e farà dei segnali che saranno visti: così ragiona. E poi fidatevi! un giorno si fermerà non visto, lo strano apostolo. Ma che gli fa la morte, se non quella d'un altro? Ah, i suoi morti! Ah, i suoi morti, ma è più morto di loro! Ancora qualche fibra del suo spirito focoso vive nella loro fossa, vi attinge una dolce tristezza; li ama come un uccello il suo nido di muschio; la loro memoria è il suo caro cuscino, vi dorme, di loro sogna, li vede, ci parla e se ne va, pieno di loro, solo per un nuovo spaventoso affare. Ho il furore d'amare. Che farci? Ah, lasciar fare! VIII Oh, l'odiosa oscurità del giorno più lieto dell'anno nella città mostruosa dove il nostro destino si compì! Invece dell'attesa felicità, che lutto profondo, che tenebre! Io n'ero come morto, e tu vagavi in funebri pensieri. La notte cresceva col giorno sui vetri e sulla nostra anima, come un puro, sublime amore nella stretta della lussuria infame; e l'orribile nebbia rifluiva fin nella stanza dove la candela pareva un rimprovero muto all'indomani di un'orgia. Un rimorso da peccato mortale serrava il nostro cuore solitario... Poi la disperazione fu tale che dimenticammo la terra e, pensando soltanto a Gesù nato solo per noi in quello stesso giorno, la nostra fede, vincendo, ci illuminò della sua luce suprema. - Buona tristezza che Dio amò! Nebbia di cui la Grazia si velava, temendo che il bagliore del suo fuoco affaticasse la nostra anima stanca. Delicate attenzioni di una Provvidenza intenerita!... Oh, siamo ancora talvolta tristi così, anima cara! IX Mentre seguivo il tuo bianco carro, mi dicevo: è vero, Dio t'ha ripreso quando eri la sua gioia e nel fulgore della bianca innocenza, più tardi, certo, la Donna avrebbe preso in suo potere il tuo ardente cuore a lei rivolto un istante soltanto, avendoti lasciato il tremito di sé e l'anima sconvolta da un abbraccio; ma te ne distogliesti, presto, per nobile timore e tornasti alla semplice e nobile Virtù, tutto intero a fiorire, giglio colpito un attimo dalle passioni, e più virile dopo la tempesta, più magnifico per il celeste suffragio e la gloria eterna... Così parlava la mia fede. Ma che orrore seguire il tuo bianco carro! X Pattinava meravigliosamente, lanciandosi - così impetuoso! - e concludendo con una tale grazia! Sottile come un'alta giovinetta, brillante, vivo e forte come un ago, agile e scattante come un'anguilla. Prestigiosi giochi d'ottica, delizioso tormento degli occhi, un lampo che apparisse grazioso. Talvolta diventava invisibile, velocità diretta a un bersaglio, così lontano, invisibile anch'esso... Invisibile ancora oggi. Che ne sarà di lui? Che ne sarà di lui? XI La Bella del Bosco dormiva. Cenerentola sonnecchiava. La signora Barbablù? aspettava i suoi fratelli; e Pollicino, lontano dal brutto orco, riposava sull'erba cantando preghiere. L'Uccello color del tempo planava nell'aria leggera che carezza le foglie sulle cime dei boschetti molto fitti, piccolissimi, sognanti d'ombreggiare semine, fienagioni, e gli altri lavori. I fiori dei campi, i fiori innumerevoli dei campi, più belli di un giardino potato dall'Uomo secondo il suo gusto, - i fiori della gente! - fluttuavano come tessuto finissimo nell'oro delle paglie e, semplici fioriture, toglievano al vento la sua crudezza, al vento forte, ma allora attenuato, dell'ora in cui muore il pomeriggio. E la bontà del paesaggio diceva al cuore: Muori o resta! Il grano ancora verde, la segale già bionda accoglievan la rondine nel loro pacifico ondeggiare. Un coro di voci d'uccelli gridava verso i solchi così dolcemente che altra musica non serve... Pelle d'Asino rientra. Si batte in ritirata - udite! - negli Stati vicini di Enrichetto dal Ciuffo, e noi giungiamo alla locanda, incantati, sfiniti, al buon cantuccio dove si taglia e s'inzuppa il pane! XX Moristi nella sala Serre, all'ospizio della Pitié: si era ritenuto necessario portartici mezzo morto. Ignoravo quell'atto funesto. Quando vi accorsi, quando vi fui, fu per raccogliere il resto della tua vita in frasi confuse. E poi, e poi, mi ricordo come se fosse ieri, in verità: otteniamo che alla cappella fosse cantato un servizio in nero: i ceri intorno alla bara fiammeggiano come occhi alzati nell'estasi di una preghiera verso paradisi ritrovati; la croce del tabernacolo e quella dell'assoluzione brillano così come una speranza infinita che sigilla la Parola e anche il Sangue; la bara è bianca, la illumina il cero e la culla il cantico di promessa e di pace divina, culla più fragile e commovente. XXIV La tua voce grave e bassa era dolce tuttavia come velluto, come, nel tuo parlare, bell'acqua che scorra sopra oscuro muschio. Il tuo riso esplodeva senza imbarazzo o artificio, franco, sonoro e libero, come, nel bosco che vibra, un uccello che in volo si alzi trillando il suo mottetto. Quella voce, quel riso fanno nella mia memoria che ti vede spesso e morto e vivo, come un clamore di gloria in qualche martirio. In te la mia tristezza si rallegra a quei suoni che dicono: "Coraggio!" al cuore che l'uragano riempie di brividi di quale triste affanno! Uragano, la tua rabbia falla tacere, ch'io parli con il mio amico che pare addormentato, ma che sta riposando in un saggio consiglio... XXV O miei morti tristemente numerosi che per me siete una cupola ombrosa di pace, di preghiera e di esempio, come un tempo il Dio vivente si degnò di volere che un umile fanciullo si santificasse nel tempio, o miei morti reclini sul mio cuore, pietosi con il suo languore, padre, madre, anime angeliche, e tu che fosti più di una sorella, e tu, dolce giovinetto, cui vanno questi versi malinconici, e voi tutti, la parte migliore della mia anima, per la cui scomparsa s'inaridì la mia ora più bella, amici falciati dalla vostra ora, o morti miei, vedete che già è tempo che anch'io muoia. Nient'altro che esilio sulla terra! E perché Dio sottrae persino il pane dalla mia bocca, se non per riunirmi a voi nel suo seno temibile e dolce, lontano da questo mondo aspro e feroce? Spianatemi il cammino, venite a prendermi per mano, siate le mie guide nella gloria, o piuttosto, - Signore vendicatore! - pregate per un povero peccatore indegno ancora del Purgatorio. Batignolles Un grande blocco di grès; quattro nomi: mio padre e mia madre e io, poi mio figlio assai più tardi nell'angusta pace del cimitero piatto bianco e nero e verde, lungo il bastione. Cinque lastre di grès; la tomba nuda, grezza, in un lungo riquadro, alto un metro e più, che una catena circonda e ad arte decora, ai piedi del sobborgo da cui non giunge rumore. È da lì che la tromba dell'angelo farà sorgere i nostri corpi rianimati per la vita che infine non cambia più, o voi, padre e madre e figlio adorati! A Georges Verlaine Questo libro andrà verso di te come quello di Ovidio andò verso la città. Egli fu scacciato da Roma; un colpo assai più perfido mi esilia da mio figlio. Ti rivedrò? E come sarai? Ma che! che io sia morto o no ecco il mio testamento: temi Dio, non odiare nessuno, e porta bene il tuo nome che come si doveva fu portato. da PARALLELAMENTE Dedica Ricordate, puttanella un po' matura che vi godete la vostra flemma di borghese, quando, bei tempi, ragazzina un po' acerba, ascoltavi me, ciarliero sbarbatello? Conservate fedelmente la memoria, o grassona in jersey di poult-de-soie, d'esserti divertita, un tempo, coi miei arzigogoli, corte per iscritto, piccola galanteria postale? Avete dimenticato, Signora Madre, no, vero? neppure nelle vostre stupide feste, i miei errori di gusto, ma non di grammatica, al contrario delle tue care lettere idiote? E quando giunse l'ora delle giuste nozze, o specie d'Arianna che mi dicono greve, i miei occhi ghiotti e i miei baci feroci che ai tuoi "no, no" non prestavano ascolto? E ricordate poi, se è consentito al vostro cuore di vedova dolente, quel "me" sempre pronto, terribile, orribile. Quel "te" carino che prendeva gusto alla cosa, e tutto l'andazzo, il brio di un manège che sventuratamente divenne il nostro ménage! Perché in quei giorni non avete, non ho compreso i torti della vostra e della mia età! È davvero increscioso: eccomi qui, penoso relitto in balìa di tutti i flutti del vizio. Eccovi qui, tu, detestabile briccona, e questo bisognava che lo scrivessi! Allegoria Un antichissimo tempio in rovina sulla cima indistinta d'una montagna gialla, simile a un re deposto che pianga il trono, si specchia pallido in un lento fiume. Grazia assopita e sguardo sonnolento, una matura naiade presso un ontano con un rametto di salice stuzzica un fauno che le sorride, bucolico e galante. Quadretto ingenuo e scialbo che mi rattristi, dimmi, quale poeta tra tutti gli artisti, quale artigiano mesto ti eseguì, tappezzeria logora e decrepita, banale come uno scenario d'opera, fittizia, ahimè! come il mio destino? LE AMICHE I o Sul balcone Guardavano entrambe le rondini in fuga: l'una pallida, capelli di giaietto, l'altra bionda e rosa, e le vestaglie leggere di antica trina serpeggiavano vaghe, come nuvole, intorno a loro. Ed entrambe, con languori d'asfodeli, mentre saliva in cielo la luna tonda e morbida, assaporavano a sorsi lunghi l'emozione profonda della sera e la triste felicità dei cuori fedeli. Così, con madide braccia stringendosi alla vita sottile, strana coppia che compiange le altre coppie, così sul balcone le giovani donne sognavano. Dietro di loro, in fondo al ricco rifugio in penombra, enfatico come un trono da melodramma, e pieno di odori, il Letto, disfatto, si apriva nell'ombra. II o Collegiali L'una di quindici anni, l'altra di sedici; dormivano entrambe nella stessa stanza. Era una sera afosa di settembre: fragili, occhi azzurri, rossori di fragola. Per stare a proprio agio, han lasciato cadere le fini camicie dal fresco profumo d'ambra. La più giovane tende le braccia e s'inarca, e la sorella, le mani sui seni, la bacia, poi s'inginocchia, e diventa selvaggia e agitata e folle, e la sua bocca affonda nell'oro biondo, nelle ombre grigie; e intanto la fanciulla va contando sulle dita graziose i valzer promessi e rosea sorride innocente. III o Per amica silentia Le lunghe tende di mussola bianca che il fioco bagliore della lampada lascia fluire come onda opalescente nell'ombra languida e misteriosa, le grandi tende del gran letto di Adeline hanno udito, Claire, la tua voce ridente, la tua dolce voce argentina e suadente che un'altra voce avvolge furiosa. "Amiamo, amiamo!" dicevate insieme, Claire, Adeline, vittime adorabili del nobile voto delle anime sublimi. Amate, amate! o care Solitarie, perché in questi giorni di sventura, ancora portate su di voi lo Stigma glorioso. IV o Primavera Tenera, la giovane donna fulva, eccitata da tanta innocenza, sussurra alla bionda giovinetta queste parole, piano, dolcemente: "Linfa che sale e fiore che sboccia, la tua infanzia è una pergola: lascia vagare le mie dita nel muschio dove brilla il bocciolo di rosa, "lasciami bere nell'erba chiara le gocce di rugiada che bagnano il tenero fiore, "affinché, mia cara, il piacere illumini la tua candida fronte come l'alba il timido azzurro". V o Estate E la fanciulla rispose, in deliquio sotto l'inesauribile carezza dell'amante trafelata: "Io muoio, mia adorata! "Io muoio; il tuo seno infuocato e pesante m'inebria e mi opprime; la tua carne forte da cui sgorga l'ebbrezza emana un profumo strano; "ha, la tua carne, il fascino oscuro delle estive maturità, e ne ha l'ambra, e l'ombra; "tuona la tua voce tra le raffiche, la tua capigliatura sanguinante fugge bruscamente nella notte lenta". VI o Saffo Furiosa, gli occhi infossati e i seni ritti, Saffo, divorata dal languore del desiderio, come una lupa corre lungo le fredde rive; pensa a Faone, dimentica del Rito, e vedendo a tal punto sdegnate le sue lacrime, a manciate si strappa i capelli immensi; e rievoca, tra rimorsi implacabili, i tempi in cui splendeva, pura, la giovane gloria dei suoi amori cantati in versi che la memoria dell'anima ripeterà alle vergini dormienti: ed ecco ch'ella serra le palpebre livide e salta nel mare dove la Moira la chiama, mentre esplode nel cielo, e incendia l'acqua nera, la pallida Selene che vendica le Amiche. RAGAZZE I o Alla principessa Roukhine "Capellos de Angelos." (LECCORNIA SPAGNOLA.) È una brutta di Boucher senza cipria sui capelli follemente bionda e un'andatura venusta da sedurci tutti. Ma tra tutti la credo solo mia questa chioma tante volte baciata, cascatella arroventata che m'infiamma da capo a piedi. Ed è mio, assai molto di più, quasi un recinto fiammeggiante intorno alla porta santa, l'almo, divino vello d'oro! E chi potrebbe dirlo questo corpo se non io, suo cantore e prete, umile schiavo e padrone che può dannarsi senza rimorso, corpo raro e caro, armonioso, soave, bianco come una rosa bianca, bianco di latte puro, e rosa come giglio sotto purpurei cieli? Cosce belle, seni dritti, spalle, reni, ventre, festa per gli occhi e per le mani in cerca, per la bocca e tutti i sensi? Tesoro, andiamo a vedere se il tuo letto ha ancora sotto la tenda rossa il cuscino stregato che s'agita tanto e le lenzuola pazze. Al tuo letto! II o Seguidilla Bruna ancora non avuta, ti voglio quasi nuda sopra un divano nero in un giallo boudoir milleottocentotrenta. Quasi nuda ma non nuda, attraverso una nube di merletti che mostra la tua carne dove corre la mia bocca delirante. Troppo ridente ti voglio e molto imperiosa, e cattiva e malvagia e anche peggio se vorrai, ma così lussuriosa! Ah, il tuo corpo nero e rosa e chiaro di luna! Ah, posa quel gomito sul mio cuore e tutto il corpo vincitore, il tuo corpo che adoro! Ah, il tuo corpo, che si adagi sulla mia anima dolente e la soffochi se può, se ne avrai voglia, ancora, ancora, ancora! Splendide, gloriose, bellamente furiose nei loro giovani giochi, sbattimi l'orgoglio sotto le tue natiche gioiose! IV o Auburn "E anche le castane." (CANZONE DI MALBROUK.) I tuoi occhi, i tuoi capelli indecisi, l'arco impreciso delle sopracciglia, il fiore palliduccio della tua bocca, il corpo vago e tuttavia paffuto, ti danno un'aria poco scontrosa a cui è dovuto ogni mio omaggio. Il mio omaggio, perbacco! tu ce l'hai. Ogni sera, quali gioie e piaceri, o mia ben presentabile castana, quando vieni nel mio letto, i seni eretti, e un pochino altèra, sicura dei miei umili propositi, i seni dritti sotto la camicia, fiera della festa promessa ai tuoi sensi ovunque e a lungo, contenta di sentire le mie labbra, la mia mano, il mio tutto, impenitenti dei peccati di cui solo un folle si priva! Sicura dei baci prelibati negli angoli degli occhi, nell'incavo delle braccia e sulla punta dei seni, certa della genuflessione verso il cespuglio ardente delle donne follemente, fanaticamente! E altèra perché sai che la mia carne adora all'eccesso la carne tua, e che è tale questo culto che ad ogni morte - oh, quale morte! - essa rinasce, in quale tumulto! per ancora morire e più forte. Sì, mia vaga, sii orgogliosa, perché radiosa o accigliata tu mi hai vinto e mi possiedi: tu mi fai rotolare come l'onda in una delizia ben pagana, e non sei più così vaga! V o Alla signorina *** Rustica bellezza che si prende nei cantoni, tu sai di fieno, di carne e d'estate. I trentadue denti di giovane animale non stanno poi male con i tuoi occhi ardenti. Il tuo corpo corruttore sotto gli abiti corti, - sollevati e pesanti i seni in avanti, i polpacci vanitosi, il busto tentatore, - gaio, quasi impudente il culo sodo e grosso, ci mettono nel sangue un fuoco dolce e bestiale che ci fa impazzire, schiena, reni e fianchi. Il piccolo vaccaro tutto fiero del suo cazzo, il padrone e i suoi ragazzi, i ragazzi del pastore, possa morire se mento, li trovo fortunati, tutti quei culi-zozzi, ad essere tuoi amanti. CON RISPETTO PARLANDO II o Falsa impressione Madama sorcio trotta nera nel grigio della sera, madama sorcio trotta grigia nel nero. Suonano la campana, dormite, bravi prigionieri! Suonano la campana: bisogna dormire. Niente brutti sogni, pensate solo ai vostri amori, niente brutti sogni: le belle sempre! Gran chiaro di luna! Russano forte qui accanto. Gran chiaro di luna in verità! Una nuvola passa, è buio come in un forno, una nuvola passa. To', fa giorno! Madama sorcio trotta, rosa nei raggi blu. Madama sorcio trotta: in piedi, pigroni! III o Altra Il cortile fiorisce di angoscia come la fronte di tutti coloro che se ne vanno in cerchio vacillanti sul femore debilitato lungo il muro pazzo di luce. Girate, Sansoni senza Dalila, senza Filisteo, girate bene la mola del destino. Ridicolo vinto dalla legge, macina via via il tuo cuore, la tua fede e il tuo amore! Essi vanno! e le povere scarpe fanno un rumore secco, umiliati, la pipa nel becco. Non una parola, o è la cella. Non un sospiro. Fa così caldo che sembra di morire. Ci sono anch'io in questo circo atterrito, sottomesso, del resto, e preparato a ogni sventura. E perché, se ho rattristato il tuo volere ostinato, società, dovresti coccolarmi? Su, fratelli, buoni vecchi ladri, teneri vagabondi, mariuoli in fiore, miei cari, amici miei, filosoficamente fumiamo, passeggiamo tranquillamente: far niente è dolce. LUNE II o Alla maniera Di Paul Verlaine È a causa del chiaro di luna che assumo questa maschera notturna e di Saturno che inclina la sua urna e di queste lune una dopo l'altra. Romanze senza parole, con accordo discorde e insieme fresco, han punto questo cuore apposta insulso, oh, il suono, il brivido che hanno! Non è che abbiate fatto grazia a qualcuno che v'abbia offeso: ora, io perdono alla mia infanzia truccato spettro e non privo di grazia. Perdono a quella menzogna in cambio, insomma, del piacere stranamente assai banale che un riposo doloroso un po' m'inoculò. V o Limbi L'Immaginazione, regina, tiene le ali distese, ma la veste che trascina ha grevità perdute. E intanto il Pensiero, farfalla, si alza e vola, rosa e nero chiaro, lanciato dalla frivola testa. L'Immaginazione, assisa sul suo trono, fiero scanno! assiste, come indecisa, alla svelta manovra, e la farfalla imperversa, sale e scende, plana e vira: sembrano, in un naufragio, gli sconquassi della nave. La regina piange di gioia e poi di pena, a causa del suo cuore che un pianto caldo annega, e non riesce a capire perché. Psiche Seconda tuttavia si stanca. Il suo volo è la mano più lenta che cento giochi di prestigio hanno reso tutta tremante. Ahimè, ecco l'agonia! Chi l'avrebbe pensato? E mentre, buon genio, pieno di lattea dolcezza, la bestiola celeste ora palpita a terra, la Pazza di Casa resta nella sua gloria solitaria! VI o Lombi Due donne di gran classe mi sono apparse stanotte. C'era un ballo nel mio sogno, ma guarda un po'! Una piuttosto magra, bionda, un occhio azzurro, uno nero e lo sguardo diffidente e provocante. L'altra, bruna, sguardo sornione che lusinga e nuoce, seni felici d'essere guardati, degni di un semidio! Ed avevano entrambe, per ricordare il gioco della mano calda sotto il fruscìo dello strascico, dei fondoschiena bellissimi e follemente allegri ai quali davvero mancava soltanto la parola, retroguardia regale alle lotte del piacere. E quelle Dame - osservate gli stemmi di Francia - tentavano di scalfire l'orgoglio del mio desiderio, ed erano stupite della mia indifferenza. Vouziers (Ardenne), 13 aprile - 23 maggio 1885. L'ultima festa galante Per una buona volta separiamoci, signori carissimi e bellissime signore. Facciamola finita con gli epitalami, e poi, furono sdolcinati i nostri piaceri. Nessun rimorso, nessun vero rimpianto, nessun danno! È spaventoso ciò che noi sentiamo d'avere in comune con le pecore infiocchettate dal peggior poetastro. Fummo un po' troppo ridicoli con quella nostra aria da superiori. Il Dio d'amore esige un certo fiato, e ha ragione! È un giovane Dio. Separiamoci, ve lo dico ancora. Oh, i nostri cuori, che troppo belarono, reclamano da oggi, troppo urlanti, l'imbarco per Sodoma e Gomorra! Poesia saturnina Fu strano, e forse Satana ne rise. Quel giorno estivo mi aveva ubriacato. Quella cantante indescrivibile e tutto quello che ha vomitato! Quel pianoforte immerso in troppo fumo e in alto quelle lampade a petrolio! Avevo, credo, la bile infiammata, le mie stesse parole fraintendevo. I miei sensi, credo fossero all'inverso, e nella bile fantastici bollori. Oh, i ritornelli da caffè-concerto storpiati da quella maschera infarinata! In certe bettole e per quelle borgate me n'ero andato, succhiando un po' di ghiaccio. Tre ragazzacci con occhi di lesbiche squadravano insistenti la mia faccia. Mi gridarono dietro, quei teppisti, apertamente, vicino alla stazione, e con tanta ingordigia replicai che quasi quasi m'inghiottivo il sigaro. Torno a casa: una voce all'orecchio, un passo fantasma. È qualcuno? M'hanno sfiorato. - Notte ineguagliabile! Ah! rintocca l'ora di uno strano risveglio. Attigny (Ardennes), 31 maggio - 1° giugno 1885. L'impudente La miseria e il malocchio, sia detto senza calunnia, fecero a quel mostro d'orgoglio un'anima da vecchio prigioniero. Sì, iettatore, sì, l'ultimo e il primo dei pezzenti in lutto per l'ombra appena d'un centesimo che inseguiranno fin dentro la tomba. Il suo sguardo matura i bambini. Ottiene rifiuti trionfanti. È anche sciocco a suo modo. Bellezze che passate, invece che di soldi fate a questo ragazzaccio l'elemosina... di voi soltanto. Ballata della vita in rosso L'uno vive sempre la vita in rosa, giovinezza che non finisce mai, seconda infanzia meno dolorosa, né desideri né rimpianti funesti. Ignorando ogni flusso e riflusso, questo saggio per cui nulla si muove regna istintivo: come un fallo. Ma io, vedo la vita in rosso. L'altro raziocina e glossa con modi irresoluti, soppesando, pesando ogni cosa con mani callose e torpide. Gli ci vorrebbe un tempo incalcolabile per arrischiarsi fuori dal suo tugurio. Il mondo è grigio per questo recluso. Ma io, vedo la vita in rosso. Quest'altro, intorno osa lanciare sguardi benvoluti, ma ovunque il suo occhio si posi si esaspera dove ti sei compiaciuto, occhio dei filantropi paffuti; tutto gli sembra nero, vergine o puttana, gli uomini, vini bevuti, libri letti. Ma io, vedo la vita in rosso. |
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