Il compositore francese Edgard Varèse fu profondamente attratto dall'Estetica di Busoni. Ecco la sua testimonianza.
[...] Nel 1907 andai a Berlino, dove vissi quasi senza interruzione nei sei anni seguenti. Ebbi la fortuna di legarmi strettamente a Ferruccio Busoni, nonostante la grande differenza d'età e d'importanza. Avevo letto il suo notevole libretto intitolato «Entwurf einer neuen Asthetik der Tonkunst». In un punto vi si affermava: «La musica è nata libera e il suo destino è quello di conquistare la libertà». Restai stupito e turbato nel trovare qualcun altro - e per di più un musicista - che condivideva tale convinzione. Questo mi diede il coraggio per andarlo a trovare con le mie idee e con le mie partiture [...].
Lui confermò le mie idee, mi aiutò a precisarle e m'incoraggiò a metterle in pratica; in più, essendo un conversatore scintillante oltre che un brillante pensatore, aveva il dono di stimolare il mio spirito verso abissi di immaginazione profetica. Diventai una sorta di diabolico Parsifal, alla ricerca non del Santo Graal, ma della bomba che avrebbe fatto esplodere il mondo musicale aprendo una breccia dalla quale tutti i suoni avrebbero potuto penetrare, suoni che a quell'epoca - e a volte anche oggi - venivano chiamati rumori.
Discutevamo, in mezzo ad altri propositi rivoluzionari, della necessità di liberare la musica dal sistema temperato e, di conseguenza, del bisogno di nuovi strumenti. A quell'epoca venivano alla luce molte invenzioni nel campo dell'elettricità destinate a rivoluzionare la musica. Cosa che non avvenne naturalmente. Io compresi comunque, grazie ad esse, che l'unica speranza di ottenere strumenti capaci di produrre suoni nuovi consisteva in una collaborazione tra compositori e ingegneri specializzati. Questo accadeva molto prima della scoperta dell'elettronica, e ancora prima dell'utilizzazione da parte dei compositori di quelle macchine elettroniche che l'industria ha inventato riservandole al proprio uso esclusivo. Solo nel 1954, per la prima volta, ebbi occasione di lavorare in uno studio di elettronica, invitato da Pierre Schaeffer a mettere a punto i nastri di Déserts nello studio della RTF, a Parigi.
Busoni si interessò al mio lavoro fin dagli inizi e mi permise di andarlo a trovare con le mie partiture per discuterne. Ma un giorno - lo conoscevo ormai da due o tre anni o più gli portai il mio ultimo lavoro, non riesco a ricordare se fosse «Les cycles du Nord», per orchestra, o un'opera basata su «Oedipus und die Sphinx» di Hugo von Hofmannsthal. Fatto sta che Busoni parve piacevolmente sorpreso da come avevo sviluppato il lavoro. Sfogliò la partitura con grande attenzione e mi fece molte domande. In alcuni punti suggerì delle modifiche che mi parevano contrarie alla mia concezione. Mi chiese se non fossi d'accordo con lui, e io risposi con enfasi: «No, Maestro» - e gliene spiegai le ragioni. «Allora - disse lui - non farai questi cambiamenti.» «No, Maestro» - ripetei io con una punta di aggressività. Lui mi guardò per un attimo e io credetti che si fosse risentito per il rifiuto che avevo opposto alle sue raccomandazioni, e che lo avesse attribuito al mio orgoglio giovanile. Invece sorrise e, mettendomi una mano sulla spalla, disse: «D'ora in poi non c'è più nessun Maestro: solo Ferruccio e tu». Parlavamo italiano e francese, quando eravamo a quattr'occhi.
Avendo conosciuto Busoni attraverso le teorie musicali straordinariamente profetiche esposte nel suo libro sulla nuova estetica della musica, mi sorprendeva scoprire che i suoi gusti musicali e la sua stessa produzione fossero tanto ortodossi. Fu Busoni a coniare l'espressione «nuovo classicismo», e il classicismo, vecchio o nuovo che fosse, era proprio quello che io ero portato a fuggire. Mal lui avrebbe potuto capire quanto potessero essere noiosi per me - e lo sono ancora adesso - maestri come Mozart, il suo compositore preferito. Ma fu sempre Busoni a scrivere: «La funzione dell'artista creativo consiste nel creare delle leggi, non nel seguire quelle già formulate».
Insieme discutevamo su quale sarebbe stata, o piuttosto su quale dovesse essere, la tendenza musicale del futuro, e su quale non potesse essere finché la camicia di forza del sistema temperato («il diplomatico sistema a due semitoni», come lui lo chiamava) continuava a farne qualcosa di inamovibile. Busoni deplorava il fatto che il suo stesso strumento a tastiera avesse condizionato il nostro orecchio ad accettare solo un'infinitesima parte delle infinite gradazioni che il suono presenta in natura. Ciononostante, quando io dichiaravo di aver chiuso con la tonalità, lui subito replicava: «Tu te prives d'une bien belle chose» (Ti privi di una cosa molto bella). Era molto interessato ai nuovi strumenti elettrici di cui cominclava a sentir parlare, e in particolare a uno: il Dynamophone* inventato da un certo dottor Thaddeus Cahill, uno strumento di cui aveva letto da qualche parte e che io vidi poi presentare a New York. Dappertutto, nei suoi scritti, si trovano profezie sulla musica del futuro che si sono in seguito avverate.
Di fatto, non c'è sviluppo che lui non abbia previsto; penso ad esempio a questa straordinaria predizione: «Io arrivo a pensare che nella nuova grande musica le macchine saranno indispensabili e avranno una loro parte di rilievo. Forse persino l'industria contribuirà allo sviluppo dell'arte». E quanto aveva ragione! Perché è appunto grazie all'industria che oggi i compositori lavorano con l'ausilio di 'macchine' elettroniche inventate a fini industriali ma adottate dai compositori, con l'assistenza dei tecnici, per i loro propri fini. Per quei musicisti che hanno conosciuto esclusivamente Busoni come pianista o attraverso le sue partiture questa ambivalenza sarà una sorpresa. Era come se il suo cuore, per fedeltà al passato, rifiutasse di seguire la sua intelligenza avventurosa in un futuro tanto strano. In ogni caso, io ho un enorme debito di gratitudine nei confronti di quest'uomo straordinario - quasi una figura rinascimentale - per quello che fu non solo uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi, ma un uomo di vasta cultura: studioso, pensatore, scrittore, compositore, direttore d'orchestra, insegnante e animatore; un uomo che stimolava gli altri al pensiero e all'azione.

[da Edgard Varèse, «Il suono organizzato», Milano, Ricordi, pp. 155-156 e 167-169]

*Telharmonium also called DYNAMOPHONE, earliest musical instrument to generate sound electrically.It was invented in the United States by Thaddeus Cahill and introduced in 1906. The electrophonic instrument was of the electromechanical type, and it used rotating electromagnetic generators (and thus was a predecessor of the Hammond organ) to produce electric impulses that were converted into sound by telephone receivers. It was soon superseded by more practical electronic instruments. [Encyclopaedia britannica]