DAVID GROSSMAN

LA MIA NOTTE TRA I GIOVANI
DROGATI CHE PROVANO
A RITROVARE SE STESSI

Repubblica — 11 giugno 2009


Un momento prezioso è quando da sotto l' etichetta di "tossicodipendente", di "drogato", spunta all' improvviso la faccia di un essere umano, di un ragazzo - un bambino quasi - e qualcosa nel suo sguardo implora: «Guardami, prestami attenzione». Alle undici di sera, a "Magal" - un centro di disintossicazione di Gerusalemme ovest - si spengono le luci. Gli ospiti, dodici ragazzi e tre ragazze, ascoltano tranquilli, stesi a letto, i loro Mp3. Ritrovano la calma dopo le burrasche della giornata. «Sono esausti», mi dice Moshe Kron, 61 anni, fondatore e direttore del centro da diciassette anni. «Ci sono qui ragazzi che non hanno mai avuto un rapporto di vicinanza con un amico, con un compagno, con chicchessia, senza essere "fatti" o ubriachi. E di colpo si ritrovano senza stampelle, privi di ogni corazza protettiva. All' improvviso si sentono esposti, i sentimenti affiorano. E questo li travolge, li sfinisce. Fanno fatica ad affrontare tutto questo da soli». A "Magal" i ragazzi imparano a essere nuovamente se stessi, anche se talvolta non hanno chiaro cosa sia questo "se stessi" e hanno la sensazione che ciò che erano un tempo non sia più. «Non trovo più il ragazzino simpatico che ero. Secchione, sgobbone», dice Sasha, un giovane esile di origine russa coi capelli chiari e le braccia piene di tagli e cicatrici: «Non ricordo come ci si comporta, ho perso la fiducia della mia famiglia». «E che speranze hai per il futuro?», gli domando io. «Non vedo nessun futuro. I sogni per me sono svaniti. Vedo solo il passato. Nient' altro». Ha diciott' anni e mezzo eppure sembra molto più giovane. Nonostante l' aspetto delicato ha un' aria pericolosa, da duro. Sembra che voglia mettermi in guardia, avvertirmi di non provare simpatia per lui, e nemmeno compassione. «È la seconda volta che arrivo qui. La prima ho resistito quarantaquattro giorni poi me ne sono andato. Mi sono fatto di Lsd e la polizia mi ha ferquesti ragazzi è una cosa preziosa per me, commovente» dice. «Gli adolescenti possiedono un fascino particolare. Il fascino degli esseri umani in una fase di transizione, di cambiamento. Sono boccioli che si apriranno se solo daremo loro questa possibilità. Sono straordinariamente ricettivi, disponibili, spontanei. Abbiamo qui ragazzi e ragazze che hanno fatto cose orribili: rubato, rapinato, accoltellato, subìto ogni genere di sfruttamento sessuale. Arrivano dalla strada, da esperienze di vita devastanti e umilianti. Noi accogliamo chiunque venga mandato qui dai servizi sociali. A patto che lui, o lei, voglia essere qui. Chi non lo vuole, è libero di andarsene. Chi invece è pronto ad affrontare il processo di riabilitazione, viene accolto». In base ai dati dell' Ente nazionale per la lotta all' alcol e alla droga 84mila ragazzi israeliani tra i 12 e i 18 anni hanno ammesso di aver fatto uso di droghe (per lo più leggere) nell' ultimo anno. In Israele esistono però solo sette centri di disintossicazione e recupero. E "Magal" è l' unico a essere autorizzato dal Ministero della Salute alla cura e al trattamento di giovani tossicodipendenti. Alle dieci di sera il gruppo si ritrova per un' ultima riunione. Si tirano le somme della giornata. Come prima cosa i ragazzi compilano un questionario riassuntivo. Le domande del questionario sono le seguenti: Qual è stato il momento migliore della giornata? Quale il più difficile? Quale quello a maggior rischio? Quali sono le cose che vorresti fare per evitare i pericoli? Dovendo dare un voto da 1 a 5 alla tua voglia di "farti" oggi, che voto daresti? La sera dopo la mia visita a Magal non riesco a prendere sonno. Sono sopraffatto dalle orribili storie di vita, dalla sensazione che, nonostante appaia un luogo tranquillo, in quella comunità si svolge una lotta per la vita e la morte. Steso a letto penso stupito a come nella realtà cruenta, aliena e apatica di Israele esistano, malgrado tutto, isole come queste, piccole e tenaci bolle di solidarietà, di calore e di umanità. mato mentre giravo nudo per strada, mi ha portato in una clinica psichiatrica». Parla senza sfumature nella voce, con gli occhi fissi su di me. Mi scruta. Tutti scrutano. Senza sosta. Anni di sfruttamento, di umiliazioni li hanno resi sospettosi. Il giorno seguente, alle sei e mezza del mattino, sta di fronte a me, rannicchiato per il freddo gerosolimitano. Mi parla di un libro di filosofia che sta leggendo, del suo amore per la lettura scoperto di recente. Le sue parole sono contraddittorie, confondono. Passa repentinamente da un atteggiamento da duro a uno da debole. Ha un viso delicato, angelico, da ragazzo, o ragazza, parla in tono garbato, con proprietà di linguaggio, e mi racconta una storia straziante, atroce, di degrado. «Ancora oggi non so perché io abbia cominciato con la droga» mi rivela Neta, 18 anni, occhialuta, un' aria decisa, sveglia, e i capelli biondi con le punte viola. «Mi sono fatta di tutto, tranne che di crack e di eroina. Provo una forte attrazione per l' auto distruzione, un quasi innamoramento. Sapevo che la droga mi avrebbe fatto male. Ma l' idea mi piaceva. Perché? Perché ho la sensazione di "meritarmelo". Voglio e ho bisogno di sentire male, amo ciò che appare malato e grottesco. Anche nell' arte, nella musica, nella pittura". Nella bacheca degli annunci di "Magal" trovo una lettera inviata da un ex ospite del centro, un ragazzo nato in Ucraina, giunto in Israele da solo e passato, dopo un soggiorno a "Magal", a una diversa comunità per il proseguimento della cura. «Salve a tutti, come state? Come va? Per me va a rilento. Qualche giorno fa sono uscito per la prima volta insieme a un amico che mi avevano affidato. Dovevo badare a lui e a me stesso. Dopo però sono andato in paranoia. Mi sento a pezzi, ho bisogno di aiuto. Non voglio ricadere nella droga, tornare sulla strada. Il solo pensiero mi terrorizza. Ma d' altro canto non so come trovare le forze per continuare. Sono stanco di lottare contro i miei istinti negativi. Ogni volta che mi sento crescere un po' , quegli istinti crescono il doppio. Sono troppo grandi e duri da combattere per la mia piccola anima». A "Magal" sanno che una parte dei ragazzi fallirà, tornerà sulla strada, riprecipiterà nella droga. E c' è chi verrà ricoverato ancora una, due volte. Ho incontrato un ragazzo che era qui per la sesta volta. Ognuno può fermarsi tre mesi. Il centro è finanziato dal Ministero della Salute e dai contributi delle famiglie dei degenti. E benché tutto questo non basti a coprire le spese "Magal" è un luogo gradevole, ben tenuto, che infonde una sensazione di calore, di casa, di famiglia. I ragazzi si cucinano i pasti da soli, fanno il bucato, le pulizie, stabiliscono i turni e gestiscono gran parte delle attività di gruppo. Moshe Kron, il direttore del centro nonché mio amico da quasi trent' anni, è un idealista molto pratico. La sua presenza e il suo spirito sono tangibili ovunque. «Stare in contatto con IL REPORTER David Grossman, ieri giornalista per "Haaretz" - DAVID GROSSMAN