Scena II
|
Amleto | (Al primo attore) La tirata, ti prego, devi dirla come l'ho pronunziata io a te, sciolta, in punta di lingua. Se la urli, come fan tanti nostri attori d'oggi, sarebbe come affidare i miei versi alla bocca del banditore pubblico. Non trinciar troppo l'aria con la mano, così, gesticola invece con garbo; giacché pure nel mezzo della piena, della tempesta, e potrei dir nel vortice della passione devi mantenere sempre quel tanto di moderazione che le dia una certa compostezza. Ah, mi ferisce fino in fondo all'anima quando ascolto un robusto giovanotto imparruccato che riduce a brani un discorso d'amore, lacerandolo, per rintronar gli orecchi alla platea, che capisce soltanto, la più parte, oscure pantomime e gran baccano. Metterei alla frusta quel gaglioffo che ti fa un forzato Termagante, (080) e un Erode più Erode del reale. (081) Evitalo, ti prego. |
Primo attore | Sì, vostro onore, ve lo garantisco. |
Amleto | Però non esser troppo in
sottotono, ma làsciati guidare dal mestiere e dalla personale discrezione. Il gesto sia accordato alla parola e la parola al gesto, avendo cura soprattutto di mai travalicare i limiti della naturalezza; ché l'esagerazione, in queste cose, è contraria allo scopo del teatro; il cui fine, da quando è nato ad oggi, è di regger lo specchio alla natura, di palesare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, ed al tempo e all'età la loro impronta. Se tutto questo dall'azione scenica riesce esagerato o impicciolito, potrà far ridere l'incompetente, ma non potrà che urtare il competente il cui giudizio deve aver per voi, che siete del mestiere, più importanza di un'intera platea di tutti gli altri. Ho visto e udito attori (e udito anche lodarli e stralodarli, per non dire di più, quantunque privi d'accento e di movenze nel gestire non dico da cristiani o da pagani ma nemmeno da uomini comuni), recitare gonfiandosi, sbuffando e urlando in modo sì scomposto da far pensare che madre natura abbia commesso a fabbricare uomini a qualche manovale da strapazzo, che li abbia impastati malamente, tal era la maniera abominevole con la quale imitavano il reale. |
Primo attore | Spero che tutto questo in mezzo a
noi si sia corretto sufficientemente. |
Amleto | Giova però correggerlo del
tutto, sì che chi fa la parte del buffone badi a non dire più di quel che è scritto; perché ci son di quelli che sghignazzano per tutto il tempo già per conto loro, sol per suscitare le risate d'un certo numero di spettatori ignoranti, ed a volte proprio là quando dovrebbe farsi risaltare qualche passaggio essenziale del dramma. Questa è davvero roba da villani, che dimostra una misera ambizione in quello stolto che vi fa ricorso. Ed ora andate pure a prepararvi. (Escono gli attori) (A Polonio) Ebbene, signor mio, si degna il re di assistere alla rappresentazione? |
Polonio | Sì, mio signore, ed anche la
regina. Saranno qui tra poco. |
Amleto | Ottimamente. Ordinate agli attori di affrettarsi. (Esce Polonio) (A Rosencrantz e Guildenstern) Non vorreste anche voi sollecitarli? I DUE - Va bene, monsignore. (Escono) Entra Orazio |
Amleto | Ehi, là, Orazio! |
Orazio | Eccomi, monsignore, per servirvi. |
Amleto | Orazio, tu sei proprio l'uomo
giusto col quale mi sia occorso fino ad ora di scambiare parola. |
Orazio | Mio signore!... |
Amleto | Non creder ch'abbia voglia di
adularti. Che guadagno potrei sperar da te che non hai, per mangiare e per vestire, altra rendita fuori del tuo ingegno? A che pro adulare uno che è povero? Lecchi pure, la lingua tutto zucchero l'assurda pompa, il ridicolo sfarzo; e le rotelle dei pingui ginocchi si pieghino là dove il vile ossequio può ritrarne profitto. Tu m'intendi. Da quando questa cara anima mia fu padrona di fare le sue scelte e fu in grado di scegliere tra gli uomini, essa ha marcato te del suo sigillo; però che tu sei uno che, di tutto soffrendo, sei capace di non soffrir di nulla; sei un uomo che ha saputo ricever dalla sorte gli schiaffi e le carezze, con pari spirito di gradimento. E fortunati quelli in cui l'istinto è così ben commisto al raziocinio da non esser per la Fortuna un piffero ch'ella possa suonare a suo talento diteggiandolo come più le piace. Portatemi quell'uomo che non sia schiavo delle sue passioni e io me lo terrò stretto sul cuore, come faccio con te. Ma di ciò basta. Stasera qui si rappresenta un dramma innanzi al re; una scena del lavoro è molto simile alle circostanze ch'ho avuto già occasione di accennarti in riguardi alla morte di mio padre. Ti prego d'osservare attentamente, durante tutto il corso dell'azione, l'aspetto di mio zio: se a un certo punto il rimorso della sua colpa occulta non vien fuori da solo dalla tana, quella che abbiam veduto l'altra sera è l'ombra d'uno spirito dannato, e le mie sono solo fantasie più annebbiate dell'antro di Vulcano. Scrutalo attentamente; per mia parte, io gli terrò piantati gli occhi in faccia. Confronteremo poi i due giudizi su quello ch'egli avrà fatto apparire alla vista d'entrambi. |
Orazio | D'accordo, mio signore. S'ei
dovesse, nel corso della rappresentazione, tentar di trafugarci qualche cosa e io non lo scoprissi, sarò disposto a risarcire il furto. Trombe. Marcia danese. Entrano il Re, la Regina, Ofelia, Polonio. Rosencrantz, Guildenstern, gentiluomini di corte, guardie che recano torce. |
Amleto | Vengono per il dramma; è il momento per me di fare il tonto. Tu vatti a scegliere un posto a sedere. (Orazio si allontana) |
Re | Beh, come sta nostro nipote Amleto? (082) |
Amleto | In maniera eccellente, faccio la dieta del camaleonte; (083) mangio aria farcita di promesse, nemmeno buona ad ingrassar capponi. |
Re | Questa risposta tua non mi
riguarda, Amleto: son parole non per me. |
Amleto | E neppure per me. (A Polonio) Sicché, signore, un tempo avete anche voi recitato all'università. Non è così? |
Polonio | Infatti, monsignore, ed ero reputato un buon attore. |
Amleto | E che parte faceste? |
Polonio | Giulio Cesare. (084) Venivo pugnalato in Campidoglio. Era Bruto ad uccidermi. |
Amleto | E dev'essere stato un vero bruto per uccidere un tale vitellone! (Va a sedersi a fianco di Ofelia) Sono pronti gli attori? |
Rosencrantz | Sì, signore, aspettano soltanto un vostro cenno. |
Regina | Vieni, mio buon Amleto, vieni a sederti qui, vicino a me. |
Amleto | Vogliate perdonarmi, buona madre: ho qui una più attirante calamita. |
Polonio | (A parte al re) Oh, oh, avete visto? |
Amleto | Posso giacermi in seno a voi, signora? (085) |
Ofelia | No, questo no, signore. |
Amleto | La testa, intendo, sopra al vostro grembo. |
Ofelia | Oh, questo sì, signore, accomodatevi. |
Amleto | Pensavate che avessi per la mente pensieri da villano? |
Ofelia | Non ho pensato a nulla, mio signore. |
Amleto | È un pensiero gentile dopotutto sdraiarsi tra le gambe di ragazze. |
Ofelia | Che dite, monsignore? |
Amleto | Niente, niente. |
Ofelia | Siete allegro, signore. |
Amleto | Allegro, io? |
Ofelia | Così mi sembra, mio signore. |
Amleto | Oh Dio, il vostro comico intrattenitore. (086) Perché non si dovrebbe stare allegri? Guardate un po' com'è allegra mia madre, col marito ch'è morto da due ore. |
Ofelia | Da due ore? Che dite, monsignore? Son quattro mesi. |
Amleto | Ah, sì? Già tanto tempo? Allora che si vesta a lutto il diavolo; io mi voglio vestir di zibellino! (087) Santo cielo! Morir due mesi fa, e non essere ancor dimenticato! Allora c'è speranza, per un grande, che il suo ricordo possa sopravvivergli almeno per lo spazio di mezzo anno; ma dev'essere uno, per la Vergine, che in vita sua ha costruito chiese; altrimenti si deve rassegnare alla sorte toccata al cavalluccio in petto ai danzatori di moresca, (088) l'epitaffio del quale porta scritto: "Cucù, cucù, chi ti ricorda più?" Trombe che annunciano l'inizio della pantomima. Entrano due attori, uno vestito da re, l'altro da regina: lei s'inginocchia a lui, come a dimostrargli la sua devozione. Lui si pone a giacere su un'aiuola fiorita, e s'addormenta. Ella, vedendolo addormentato, s'allontana. Subito dopo entra un altro attore-uomo, toglie dal capo del re che dorme la corona, la bacia, versa da una fiala del liquido nell'orecchio del dormiente, e se ne va. Rientra la regina, vede il re morto, fa gesti di disperazione. L'avvelenatore, accompagnato da altri quattro, rientra, si avvicina alla regina, mostra di condividere il suo cordoglio. Il corpo del re morto è portato via dai quattro. L'avvelenatore corteggia la regina, porgendole doni. Ella sembra sul principio restia, ma poi accetta le profferte amorose di lui. Finita la pantomima, gli attori escono. |
Ofelia | (Ad Amleto) Che vuol dire, signore, tutto questo? |
Amleto | Maria Vergine, un maledetto
intrigo; vuol dire maleficio. |
Ofelia | Forse la pantomima riguarda l'argomento del lavoro? Entra il Prologo |
Amleto | Ce lo dirà costui: i commedianti non son capaci di tener segreti; dicono tutto. |
Ofelia | Ce lo dirà lui, allora, il senso della pantomima? |
Amleto | Oh, sì, e anche di qualsiasi
altra che gli possiate sciorinar davanti. Non abbiate vergogna a sciorinargliela, lui non avrà vergogna a dirvi il senso. |
Ofelia | Siete maligno voi, siete maligno. Ma ora voglio stare attenta al dramma. |
Prologo | "Chinati innanzi alla
vostra clemenza, "per noi, per la tragedia, con licenza, "chiediam che ci ascoltiate con pazienza". (Esce) |
Amleto | È un prologo, o il motto di un anello? |
Ofelia | È stato breve. |
Amleto | Come amor di donna. Entrano gli attori Re e Regina |
Re | "Ben trenta volte già di
Febo il cocchio "ha compiuto il suo viaggio "intorno ai salsi lidi di Nettuno "ed al rotondo suolo della Terra; "ben trenta volte già dodici lune "hanno, coi lor riflessi presi in prestito, "compiuto il loro giro intorno al mondo, "da quando Amore ha unito i nostri cuori "e in santissimi nodi ha stretto Imene "le nostre mani. |
Regina | E possan sole e luna "farci così contare tanti viaggi, "prima che Amore ci possa disgiungere! "Ma voi, da qualche tempo - me infelice! - "siete malfermo, stanco, sì e mutato "a tal punto da quello che eravate, "che ho paura per voi. Ma, mio signore, "malgrado i miei timori, non turbatevi, "ché timore e amore nelle donne "son di eguale misura: o sono niente, "o tutto. Quanto sia l'amore mio, "lo sapete per prova; e a sua misura "sono le mie paure; e a grande amore "i più lievi sospetti son paure; "e là dove le piccole paure "si fanno grandi, cresce anche l'amore". |
Re | "Io ti debbo lasciare,
amore mio, "e sarà presto; ché io sono al termine "delle mie forze; e tu, dopo di me, "dovrai vivere, amata ed onorata, "nel dolce mondo, e forse un altro sposo "potrai, non meno degno..." |
Regina | "Oh, mio signore, "tutto il resto degli uomini in malora! "Un nuovo amore dentro questo petto "sarebbe tradimento. Me dannata, "se mi togliessi un secondo marito! "Non tolse mai il secondo "se non la donna che uccise il suo primo. |
Amleto | (Tra sé) Assenzio! Assenzio è questo! (089) |
Regina | "Amor non è, ma basso
mercimonio "quel che ispira un secondo matrimonio. "Ucciderei di nuovo il mio diletto "se nuovi amplessi concedessi a letto. |
Re | "Son certo che pensate
quel che dite; "ma troppo spesso furono tradite "le promesse da prima stabilite: "schiava della memoria è la promessa, "violenta a nascere, ad agir dimessa; "sul ramo resta il frutto finché è acerbo, "maturo, cade, senz'uopo di nerbo. "Scordiamo per natura troppo spesso "quel che ciascuno di noi deve a se stesso. "E ciò di cui nell'empito d'amore "facciam promessa, morto quello, muore. "Dolore e gioia, se non son discreti, "distruggono a vicenda i lor decreti; "dove gioia più ride, di repente "il dolore più geme; "gioia e dolore insieme "si mutan l'un nell'altro per un niente. "Il mondo non è immobile "e non è strano che pur sia mutabile "il nostro amor con la nostra fortuna. "Però che il punto da provare è questo: "se sia l'Amore a guidar la Fortuna, "o la Fortuna a guidare l'Amore. "Cade l'uomo potente, "e fuggire vedrai da lui la gente "sua favorita; sale il mendicante, "si fa amici i nemici; e fino qui "Amore fu che Fortuna seguì; "perché chi non è stretto da indigenza "amici ne avrà sempre in abbondanza; "e chi vuole provare un falso amico "nel bisogno, ne fa tosto un nemico. "Ma per tornare a dove ho cominciato "le nostre volontà e i nostri fati "corron sì separati "che ogni nostro disegno n'è frustrato. "Nostri sono i pensieri, "i loro fini sono a noi stranieri. "Tu potrai pur pensare "di non volere un secondo marito; "un tal pensiero ti può abbandonare "quando il tuo primo fosse dipartito. |
Regina | "Luce mi neghi il sole e
pan la terra "e sian chiusi al mio svago! E sempre in guerra "col mio riposo sian le notti e i giorni! "Ed in disperazione mi ritorni "fede e speranza! Mia sola ambizione "rimanga l'eremo d'una prigione. "Sperda e distrugga tutte le mie voglie "ogni contrario che la gioia toglie "di raggiungerle; e vita tormentosa "mi mandi Iddio se mi rifaccio sposa." |
Amleto | (Tra sé) S'ella adesso rompesse il giuramento! |
Re | "È un forte giuramento. "Diletta, lasciami qui per un poco; "mi sento intorpidito, e vorrei tanto "sedar nel sonno il tedio di quest'ora. (S'addormenta sdraiato sull'aiuola fiorita) |
Regina | "Culli il sonno la tua
mente, e sciagura "mai tra noi veda la vita futura." |
Amleto | (Alla regina) Madre, come vi sembra questa recita? |
Regina | La dama si sbilancia, penso,
troppo a promettere. |
Amleto | Oh, ma manterrà! |
Regina | Conosci già la trama del lavoro? Non c'è nulla che possa urtare alcuno? |
Amleto | No, no, costoro fan tutto per
gioco; avvelenano, sì, ma per ischerzo. Non c'è davvero nulla di offensivo. |
Re | Il titolo? |
Amleto | "La trappola per topi"... Naturalmente in senso figurato. Il dramma rappresenta un assassinio avvenuto davvero in quel di Vienna. (090) Gonzago il duca, Battista la moglie i loro nomi. Vedrete tra poco. Un atto infame da capolavoro. Ma a noi che fa? Le vostre maestà ed io abbiamo la coscienza libera, non ci tocca. Che scalci pur la rozza ricoperta di piaghe purulente: noi i garresi ce li abbiamo sani! Entra un attore, come Luciano Questo è Luciano, nipote del duca (091). |
Ofelia | Come coro, signore, siete bravo. (092) |
Amleto | Saprei cavarmela anche da
interprete fra voi e il vostro amante, se potessi veder amoreggiare le vostre marionette. (093) |
Ofelia | Siete pungente, signore, pungente. |
Amleto | Vi costerebbe un gemito se mai cercaste smussarmi la punta. |
Ofelia | Sempre di meglio in peggio! |
Amleto | Così voi donne ingannate i
mariti. (094) (A Luciano) Assassino, incomincia! Tocca a te! Licenzia quelle tue dannate smorfie, e attacca. Avanti! Il corvo crocidante è qua che gracchia e domanda vendetta! |
Luciano | "Foschi pensieri, mani
pronte, droga "ad effetto sicuro, ora propizia "e complice, e nessuno che mi veda. "A te, atra mistura "d'erbacce raccattate a mezzanotte, "da Ecate tre volte avvelenata, "tre volte infetta: mostra il tuo potere, "la tua virtù capace di usurpare "d'un sol colpo una vita alla natura". (Versa il veleno nell'orecchio del duca che dorme) |
Amleto | (A Ofelia) Lo avvelena in giardino, mentre dorme, perché vuole carpirgli i suoi dominii. Il suo nome è Gonzago. È storia vera, e scritta in italiano, in bello stile. Ora vedrete come l'assassino si conquista l'amore della moglie di quel Gonzago. |
Ofelia | Il re s'è alzato in piedi. |
Amleto | Che! Spaventato da uno sparo a salve? |
Regina | (Al re) Che avete, mio signore? State male? |
Polonio | S'interrompa la rappresentazione! |
Re | (A Polonio) Fatemi luce. Andiamo. |
Polonio | Luce! Luce! (Escono tutti, meno Amleto e Orazio) |
Amleto | "Pianga il cervo ferito, "ed il cervo scampato salti in tondo, "perché c'è chi sta sveglio e chi assopito, "e così gira il mondo." Che te ne pare, Orazio? Andasse al Turco ogni altra mia fortuna nella vita, non pensi che mi basterebbe questo (095) ed un ciuffo di piume sulla testa, con paio di rose di Provenza cucite sui calzari traforati a ottenermi d'entrare in società con una compagnia di commedianti? |
Orazio | A mezza quota. (096) |
Amleto | No, a quota intera. (Recitando) "Perché tu sai, Damone, "questo regno in frantumi che cos'era: "un Giove vi regnava, ed or v'impera "un pavone". (097) |
Orazio | M'aspettavo una rima più calzante. (098) |
Amleto | Ah, buon Orazio, son pronto a
puntare mille sterline sulla verità delle parole dello spettro. Hai visto? |
Orazio | Benissimo, signore. |
Amleto | Quando l'attore parlò del veleno... |
Orazio | Non m'è sfuggito nulla. |
Amleto | Ah, ah, ah! Un po' di musica!... Su dunque i flauti! "Perché se al re la commedia non piace, "beh, vuol dire, perdio, che gli dispiace!" Su, su, un po' di musica! Entrano Rosencrantz e Guildenstern. |
Guildenstern | Buon signor mio, vorrei, se m'è
permesso, scambiar con voi una parola. |
Amleto | Oh, certo, un intero discorso! |
Guildenstern | Il re, signore... |
Amleto | Già, il re; che n'è di lui? |
Guildenstern | È di là, ritirato, assai indisposto. |
Amleto | Dal vino? |
Guildenstern | No, signore, dalla collera. |
Amleto | La tua saggezza si dimostrerebbe più ricca se tu andassi ad informare di questo il suo dottore: dovessi io prescrivergli la purga, probabilmente lo sprofonderei in una collera anche peggiore. |
Guildenstern | Signore mio cortese, cercate di connettere il discorso senza sviarlo sì selvaggiamente dall'argomento che mi mena qui. |
Amleto | Sono addomesticato. (099) Parla pure. |
Guildenstern | Mi manda vostra madre, la regina. È in grandissima pena. |
Amleto | Benvenuto! |
Guildenstern | Eh, no, mio buon signore, non è una cortesia di buona lega la vostra. Se vorrete compiacervi di favorirmi una risposta a modo, sarò in grado di adempiere all'incarico che m'ha commissionato vostra madre; se no, con tante scuse, la mia missione è chiusa, e me ne torno. |
Amleto | Non posso, amico. |
Rosencrantz | Che cosa, signore? |
Amleto | Darti una ragionevole risposta. Il mio spirito è infermo. Ma se ti può bastare una risposta qual posso farti, essa è ai tuoi comandi; o piuttosto, come mi dici tu, a quelli della mia signora madre. Non più di tanto. Ma veniamo al punto. Mia madre, mi dicevi... |
Rosencrantz | Dice questo: che la vostra condotta l'ha colpita di profonda sorpresa e di stupore. |
Amleto | O portentoso figlio, che tua
madre sai stupire così! Ma quale strascico c'è alle calcagna di questo stupore? Sarei proprio curioso di saperlo. |
Rosencrantz | Ella desidera parlar con voi da solo a solo nel suo gabinetto, prima che andiate a letto. |
Amleto | Obbediremo, foss'ella nostra madre dieci volte. Hai nient'altro da dirmi? |
Rosencrantz | Mio signore, un tempo voi mi volevate bene. |
Amleto | E te ne voglio ancora, te lo
giuro, su queste mani ladre e borsaiole. (100) |
Rosencrantz | Buon signor mio, perché così
smarrito? Qual è la causa? Sbarrate voi stesso la porta al vostro libero esternarvi, nascondendo le pene ad un amico. |
Amleto | Non faccio più carriera, amico mio. |
Rosencrantz | Come potete dirlo, se il re
stesso v'indica come erede e successore in Danimarca? |
Amleto | Sì, "campa cavallo..."
(101) L'antico adagio è piuttosto ammuffito. Entrano gli attori con flauti e zampogne Oh, ecco i flauti. Datemene uno... (Prende un piffero dalle mani di un attore) (A Rosencrantz e Guildenstern) Per finirla con voi: perché cercate di venirmi di contro sopravvento, come a volermi trarre nella rete? (102) |
Guildenstern | Signore, se il mio zelo è troppo
ardito, è la mia devozione ch'è importuna. |
Amleto | Questa non l'ho capita bene,
amico. Non vorresti suonare questo piffero? |
Guildenstern | Non son capace. |
Amleto | Suonalo, ti prego. |
Guildenstern | Credetemi, non so... |
Amleto | Suvvia, ti supplico. |
Guildenstern | Non so dove toccarlo, monsignore. |
Amleto | È facilissimo. Come mentire. Governi con le dita questi buchi, quest'altro qui col pollice, e poi qui, con la bocca, gli dài fiato: ne sortirà una musica parlante. Eccoli, guarda, questi sono i buchi. |
Guildenstern | Ma non saprei come trarne una
musica; non so la tecnica dello strumento. |
Amleto | Ebbene, vedi quanta poca stima tu hai di me: pretendi di suonarmi, pretendi di conoscere i miei tasti, sradicarmi dal cuore il mio segreto, vorresti farmi tutto risuonare dalla nota più bassa fino al culmine del mio registro... In questo strumentino c'è tanta musica, suono eccellente, eppure vedi, tu non sei capace di trarlo fuori. Ma, sangue di Dio!, credi ch'io sia più facile a suonare d'una cannuccia? Tu mi potrai prendere per qualunque strumento che vorrai, tastarmi quanto vuoi: non puoi sonarmi. Entra Polonio Che Dio vi benedica, monsignore! |
Polonio | Signore, la regina vostra madre vuole parlarvi, al più presto possibile. |
Amleto | Vedete quella nuvola laggiù? (103) Non ha quasi la forma d'un cammello? |
Polonio | Càspita! Ci somiglia veramente! |
Amleto | O piuttosto, direi, ad un donnola. |
Polonio | Dal dorso, infatti, sì, sembra una donnola... |
Amleto | O una balena... |
Polonio | Proprio, una balena. |
Amleto | Allora vado da mia madre, subito. (Tra sé) Tendono l'arco della mia ragione fino a spezzarlo!... (Forte) Sì, ci vado, subito. |
Polonio | Bene, signore. Vado ad
annunziarglielo. (Esce) |
Amleto | (Tra sé) "Subito" è presto detto. (Forte) Amici, ora lasciatemi, vi prego. (Escono tutti, Rosencrantz, Guildenstern e suonatori) È l'ora più stregata della notte, quando sbadigliano i cimiteri ed esala l'inferno il suo contagio sul mondo. Potrei bere caldo sangue, ora, e compiere azioni così turpi che a vederle si scrollerebbe il mondo. Ma calma: ora vado da mia madre. Cuore, non perdere la tua natura; che mai non entri in questo saldo petto l'anima di Nerone. (104) Che con lei io sia crudele, ma non snaturato. Con lei vorrò parlare di pugnali, ma non usarne; in questa ipocrisia s'alleino tra loro lingua e anima: qualunque suoni nelle mie parole rampogna atroce a lei, anima mia, non voler dare ad essa alcun suggello. (105) (Esce) |
Entrano il Re, Rosencrantz e Guildenstern
Re | Non mi piace, com'è. Non c'è più sicurezza qui per noi, a lasciar che la sua pazzia si sfreni. Perciò restate pronti: io faccio preparare immantinente le credenziali per il vostro incarico, ed egli partirà per l'Inghilterra insieme a voi. Non può il nostro regno rassegnarsi ad un rischio sì incombente come quello che cresce d'ora in ora nel suo cervello. |
Guildenstern | Ci terremo pronti. È santo e sacrosanto il vostro scrupolo di vigilare all'incolumità dei tanti e tanti che in vostra maestà trovan ragion di vita e di sostegno. Ogni umano individuo, nel suo singolo, deve cercare di evitar disgrazie mettendo in opera tutta la forza e la corazzatura del suo animo; tanto più vi è tenuta quella mente dal cui stato di sanità dipende e riposa la vita di molti altri. La maestà non muore mai da sola; essa, cadendo, come un grande gorgo risucchia tutto quello che ha dattorno; è come una massiccia, enorme ruota fissata in cima alla più alta vetta nei cui giro di razzi sono appesi diecimila altri pezzi più leggeri; quando rovina, tutti quei frammenti rovinano con lei, paurosamente, travolti nel fragore del disastro. Non c'è pianto di re che non si muti in general lamento. |
Re | Preparatevi dunque in tutta
fretta, vi prego, a questo viaggio; vogliamo porre ceppi a una minaccia che ora corre troppo a piede libero. I DUE - Ci affretteremo al massimo, signore. (Escono Rosencrantz e Guildenstern) Entra Polonio |
Polonio | Mio signore, sta andando da sua
madre, nello studio di lei; ed io mi acquatterò dietro un arazzo per udire il colloquio. Son sicuro che gli darà una buona strigliata; gioverà tuttavia, come voi dite, e saggiamente, che qualche altro orecchio oltre quello materno, per natura troppo parziale, stia ad origliare in luogo adatto quello che si dicono. A presto, mio sovrano. Tornerò prima che andiate a dormire a riferirvi quel che avrò sentito. |
Re | Grazie, mio buon signore. (Esce Polonio) Il mio delitto è putrido! Fa sentire il suo lezzo fino al cielo! E porta il segno dell'originaria prima maledizione... il fratricidio! Vorrei tanto pregare, ma non posso; la mia colpa è più forte della mia volontà, e la soverchia. Son come uno che, a due opre intento, è indeciso da dove cominciare, e le abbandona entrambe. E che, dunque, se pur questa mia mano fosse tutta ingommata a doppio strato del sangue d'un fratello, non ha pioggia bastante il dolce cielo a rendermela bianca come neve? A che serve la grazia se non ad affrontare faccia a faccia il peccato? E che forza ha la preghiera se non di trattenerci dal cadere, e, se caduti, farci perdonare? Posso dunque levare gli occhi in alto: la mia colpa è passata. Ma quale forma dare alla preghiera nel mio stato: "Perdona il mio delitto?"... Non può giovarmi; ché posseggo ancora le cose per le quali ho assassinato: il trono, la corona, la regina, la mia ambizione così soddisfatta. Si può ottener perdono conservando gli effetti della colpa? Nelle corrotte vie di questo mondo la mano delittuosa, se dorata, può scampare al rigore della legge; e non di rado s'è vista la legge farsi comprar dai frutti del delitto. Ma lassù è diverso. Non si scappa. Lassù l'azione si mostra com'è, e noi là siamo posti faccia a faccia con i nostri peccati, naso a naso, chiamati a renderne il dovuto conto. Allora che mi resta? Il pentimento? Che non può il pentimento? Ma che può per uno che non sa come pentirsi? O sciagurata condizione! O cuore, nero come la morte! O tu, avviluppata anima mia, che più t'affanni e lotti a liberarti, più rimani intricata! Angeli, aiuto! Accorrete a far impeto su me! Piegatevi, proterve mie ginocchia! E tu, cuore, la tua fibra d'acciaio come nervo d'infante rendi molle. Tutto può esser bene. (Si allontana e s'inginocchia) Entra Amleto |
Amleto | (Vedendo lo zio in preghiera) Sarebbe ora il momento, mentre prega... ed ora lo farò... così va in cielo, (106) ed io son vendicato... Vendicato?... Questo merita d'esser riflettuto. Qui c'è un ribaldo che uccide mio padre; ed io, unico figlio di quel padre, spedisco quel ribaldo dritto in cielo?... Questa non è vendetta, è dargli un premio, una mercede per servizio reso! Egli colse mio padre appena sazio di cibo, impreparato innanzi a Dio, in un momento in cui i suoi peccati erano ancora in piena fioritura, freschi al pari di un maggio; e chi lo sa qual ne sia stato il conto innanzi al cielo? Per quello che ci è dato di pensare, considerati tempo e circostanze, il carico doveva essere grave. Eppoi, sarei io dunque vendicato a colpirlo così, proprio nell'atto in cui si purga dai peccati l'anima, pronto e maturo al suo trapasso?... No, ferma, mia spada, tu devi conoscere per ciò ben più terribile momento: quand'egli sarà ebbro addormentato, o in preda alla sua rabbia, o tutto immerso nel piacere incestuoso del suo letto, o fra le sue bestemmie mentre gioca, e insomma in qualche azione, qual che sia, ma che non abbia sapor di salvezza: è lì che devi dargli lo sgambetto, sì che con le calcagna scalci il cielo ed abbia l'anima dannata e nera come l'inferno, dove dovrà andare! Ma m'aspetta mia madre: questo farmaco non farà che protrar la tua condanna. (107) (Esce) |
Re | (Rialzandosi) Le mie parole volano, e i miei pensieri sempre in terra stanno; ma senza questi, quelle in ciel non vanno. (Esce) |
Entrano la Regina e Polonio
Polonio | Sta arrivando. Toccatelo sul
vivo. Ditegli che con le sue stravaganze è andato veramente oltre ogni limite perché si possa ancora tollerarle; che è stata vostra grazia ad interporsi per proteggerlo da una grande collera. Io starò qui in silenzio ad ascoltare. Siate con lui risoluta, vi prego. |
Amleto | (Da dentro) Madre! Madre! |
Regina | (Rispondendo a Polonio) Potete star sicuro. Ma ritiratevi. Sento che arriva. (Si siede. Polonio va a nascondersi dietro il tendaggio) Entra Amleto |
Amleto | Ebbene, madre, che c'è? |
Regina | C'è, Amleto, ch'hai molto offeso tuo padre. |
Amleto | Anche voi, avete molto offeso il padre mio. |
Regina | Evvia, su, queste son risposte oziose. |
Amleto | E le vostre domande maliziose. |
Regina | Ehi, come parli Amleto? |
Amleto | Come parlo... |
Regina | Ti dimentichi forse chi son io? |
Amleto | No, per la Croce! Siete la
regina, moglie al fratello del vostro marito nonché - così non fosse! - madre a me. |
Regina | Ah, è così? Ti troverò
qualcuno allora che saprà come parlarti. (Fa per alzarsi) |
Amleto | Oh, no, sedetevi, non vi muovete prima ch'io v'abbia messo avanti agli occhi uno specchio nel quale rimirare la parte più segreta di voi stessa. |
Regina | Che mai vorresti fare? Forse
uccidermi? Soccorso, gente! |
Polonio | (Da dietro il tendaggio) Aiuto! Aiuto! Aiuto! |
Amleto | (Sguainando la spada) Che c'è là dietro, un sorcio?... (Affonda la spada nel tendaggio) Morto!... Mezzo ducato che l'ho preso! |
Polonio | (c.s.) Ohi, ohi, io sono ucciso!... Son finito! (Stramazza dal tendaggio e muore) |
Regina | Ahimè, che hai fatto? |
Amleto | Non lo so. È il re? |
Regina | Oh, quale azione truce e
sanguinosa è mai questa! |
Amleto | Un'azione sanguinosa! Quasi così cattiva, buona madre, come quella di assassinare un re e sposarne il fratello. |
Regina | Assassinare un re? |
Amleto | Così ho detto. (Solleva il tendaggio e scopre il corpo di Polonio) Addio, tu, miserabile balordo, temerario e indiscreto ficcananso! T'avevo preso per uno più alto. (108) Avrai imparato una volta per tutte quant'è pericoloso il troppo zelo. In ogni caso, hai quello che ti spetta. (Alla madre) E smettete di torcervi le mani! Sedete e zitta, ch'io vi torca il cuore: perché questo farò, se è fatto di materia penetrabile, e se l'uso dannato che ne fate non ve l'ha reso duro come bronzo, tanto da farlo diventar coriaceo e refrattario ad ogni sentimento. |
Regina | Che ho fatto perché ardisca la
tua lingua dimenarsi con tanta villania contro di me? |
Amleto | Un'azione che sfigura la faccia della grazia e che fa arrossir la verecondia, un'azione che strappa via la rosa dal volto dell'amore genuino per deporvi un bubbone purulento; un'azione che rende falsi e nulli i voti delle nozze come quelli d'un giocator di dadi; Oh, un'azione tale è come se strappasse via dal corpo d'un contratto in comune stabilito l'anima stessa, e fa d'un sacro rito una vana accozzaglia di parole! Il cielo stesso avvampa di rossore nel volger la sua faccia su questa massa solida e compatta, come di fronte al Giudizio finale... nauseato dall'atto. |
Regina | Ohimè, che atto sarà mai questo che ruggisce e tuona così, avanti d'esser nominato? (109) |
Amleto | Guardate questo ritratto, e
quest'altro: sono le immagini di due fratelli. Osservate la grazia ch'era assisa su questo volto: ricci d'Iperione, (110) fronte degna di Giove, occhio di Marte sempre pronto alla sfida ed al comando; atteggiamento di Mercurio Araldo nell'atto in cui si posa sopra un colle che bacia il cielo: un'armonia di forme nella quale sembrava che ogni dio avesse impresso il suo proprio suggello per dare al mondo la perfetta immagine d'un uomo. Questo era il vostro sposo. Attenta adesso a quel che viene dopo. Questo è vostro marito: una spiga infettata dalla ruggine, ch'ha infettato e corrotto il seme sano di suo fratello... Ma gli occhi, li avete? Come avete potuto abbandonare i pascoli di questo monte aprico per grufolare in questo immondezzaio? Avete occhi, dico?... Non mi dite, per carità, che è stato per amore! All'età vostra ogni bollor di sangue s'addolcisce e s'accorda alla ragione; ma qual ragione potrebbe decidere di passare così, da questo a quello? Discernimento, certo, voi ne avete, (111) ché non potreste avere volontà, ma questo senso è in voi paralizzato sicuramente, perché la follia non peccherebbe; né il discernimento fu mai tanto asservito al vaneggiare da non sapere conservare in sé un minimo di facoltà di scelta di fronte ad un sì chiaro paragone. Qual è stato il demonio che v'ha presa così a mosca cieca? (112) Occhi che fossero privi del tatto, tatto che fosse privo della vista, orecchi senza mani e senza occhi; odorato da solo, senza gli altri, o anche solo una parte malata d'un solo senso, non avrebbe agito in un modo così sconsiderato. O Vergogna, dov'è il tuo rossore! Dannata ribellione della carne, che puoi ancor destare la tua vampa nel cuore d'una femmina matura! Allora per l'ardente giovinezza sia cera la virtù, e si liquefaccia con l'ardore della sua stessa fiamma! Né si gridi vergogna se un impulsivo ardore ci assalisca, ché pure il ghiaccio si fa fuoco vivo se alla voglia è mezzana la ragione. |
Regina | Oh, basta, finalmente, Amleto!
Basta! Tu mi fai volger gli occhi in fondo all'anima, e là io vedo sì macchie nere e sì tenaci, che nessun lavacro sarà capace più di cancellare. |
Amleto | No, certo, ma seguiteranno a
vivere nel fetore d'un talamo lardoso, crogiuolandosi nella corruzione, tra carezze ed amplessi, e a far l'amore in un sudicio brago... |
Regina | Amleto, basta! Le tue parole m'entran negli orecchi come pugnali. Basta, dolce Amleto! |
Amleto | Un assassino ed un vile! Uno
sguattero che non vale il ventesimo d'un decimo del vostro primo sposo, un re da ridere, un ladrone del regno e del governo, che ha trafugato il prezioso diadema da uno scaffale, e se l'è messo in testa... |
Regina | Oh, basta!... |
Amleto | ... un re di toppe e sovrattoppe! Entra lo Spettro (Allo spettro) O angeli del cielo, miei custodi, proteggetemi con le vostre ali! (113) Che chiede la tua nobile figura? |
Regina | O me infelice! È veramente pazzo! (114) |
Amleto | Vieni forse a coprire di rampogne la negligenza di questo tuo figlio che, consunto dal tempo e dalla rabbia, trascura di eseguire il tuo comando, importante e terribile?... Su, parla. |
Spettro | Non ti dimenticare. Questa visita vuole solo aguzzare il tuo proposito ormai quasi smussato. Ma tua madre guarda, lo smarrimento sul suo volto. Oh, mettiti fra lei e la sua anima sì combattuta: in più debole corpo più forte agisce l'immaginazione. Parlale dunque, Amleto. |
Amleto | Che cos'è che vi turba, mia signora? |
Regina | Ahimè, dimmelo tu quel che ti
turba, che fissi gli occhi al vuoto, e discorri con l'etere incorporeo. Quasi ti schizza l'anima dagli occhi, i tuoi lisci capelli stanno ritti come soldati desti dall'allarme, quasi animate escrescenze del capo. Diletto figlio, spruzza qualche goccia di serena pazienza sul bruciore del tuo malessere... Ma dove guardi? |
Amleto | A lui! A lui! A lui! Guardate come splende il suo pallore! Se quella sua figura e la sua causa parlassero alle pietre, farebbero sensibili anche quelle! (Allo spettro) Non guardarmi così, che tutta la pietà d'un tal tuo gesto non muti la mia fredda decisione: se quello che ho da fare si scolora, saranno solo lacrime e non sangue. |
Regina | Ma a chi parli? |
Amleto | Laggiù, vedete nulla? |
Regina | Nulla; e pur vedo tutto ciò che è. |
Amleto | E non avete nulla udito? |
Regina | Nulla, all'infuori di noi. |
Amleto | Guardate là. Guardate come se ne fugge via... Mio padre, nei suoi abiti da vivo. Eccolo là, sta uscendo dalla porta. (Esce lo spettro) |
Regina | Son tutte fantasie del tuo
cervello. Il delirio è maestro nel crearsi queste incorporee forme. |
Amleto | Delirio!... Il polso mio pulsa
normale, un battito scandito, come il vostro, una musica sana, come il vostro. Non è follia quel che ho detto poc'anzi; mettetemi alla prova: lo ripeto parola per parola. La follia se n'andrebbe divagando a caracollo. Per amor di Dio, madre, non vi spalmate adesso il cuore col dolce balsamo dell'illusione che a spingermi a parlarvi in questo modo di queste cose sia la mia follia e non la vostra colpa. Sarebbe come stendere su un'ulcera, per coprirla, una sorta di pellicola quando la corruzione cancrenosa va sotto sotto tutto imputridendo. Confessatevi al cielo, pentitevi di quel che avete fatto, cercate di schivare il da venire, e di non concimare la malerba perché non cresca ancor più rigogliosa. E perdonate a me la mia virtù, giacché in tempi di grascia come questi, in mezzo a tanto grasso, la virtù è costretta a implorar perdono al vizio e a chiedergli in ginocchio, il permesso di procurargli bene. |
Regina | Amleto, m'hai spaccato il cuore in due. |
Amleto | Gettate via la parte d'esso
guasta, e vivete più pura con quell'altra... E così, buonanotte... Ma non tornate al letto di mio zio. Assumete su voi una virtù se proprio non l'avete: l'abitudine, questo mostro che ci divora sensi, diavolo delle usanze, in questo è un angelo che all'esercizio d'atti onesti e puri fornisce una divisa, una livrea che ci si adatta addosso facilmente. Fate astinenza, almeno questa notte; questo vi renderà più tollerabile la prossima, e ancor più le seguenti: l'abitudine può quasi cambiare l'impronta dataci dalla natura, piegare il diavolo, o cacciarlo via del tutto, con meravigliosa forza. Ancora, buona notte. E quando sentirete il desiderio d'una benedizione, sarò io ad implorar la vostra. (Indicando il corpo di Polonio) Quanto a questo messere, io mi pento. Ma è piaciuto alla volontà del cielo di punir me con lui, e lui con me, facendo sì ch'io fossi suo flagello e ministro. (115) Vedrò di sistemarlo e son pronto a risponder di persona della sua morte. Ancora buona notte. Sono costretto ad essere crudele per essere pietoso... Malo inizio, e il peggio resta ancora da venire. Buona signora, un'ultima parola. |
Regina | Che vuoi che faccia? |
Amleto | Nulla, di quello che v'ho chiesto che faceste. Che il tronfio re vi tenti nel suo letto, dandovi pizzicotti sulle guance, con scherzosa lascivia, e chiamandovi "topolino mio" tra un bacio e l'altro; e tastandovi il collo con quelle dita che sanno di rancido, vi spinga a dirgli tutta la faccenda: cioè che non è vero ch'io son pazzo, ma che lo son soltanto per astuzia. Bello davvero, se glielo direte! Perché chi altro se non la regina che voi siete, leggiadra, sobria, saggia, potrebbe mai tener celato a un rospo, a un pipistrello, ad un gatto bastardo un sì prezioso segreto? Chi altro? No, sia pure a dispetto d'ogni logica, d'ogni prudenza e d'ogni discrezione, scoperchiate il paniere ch'è sul tetto, fatene volar via tutti gli uccelli, e poi, come la scimmia della favola, saltate nel paniere, per vedere anche voi quel che succede, e giù, rompetevi il collo cadendo. (116) |
Regina | Sta' sicuro: se la parola è
fiato e il fiato è vita, io non ho più vita per dare fiato a quanto tu m'hai detto. |
Amleto | Pare ch'io debba andare in
Inghilterra. Lo sapevate? |
Regina | Ahimè, m'era sfuggito. È stato ufficialmente decretato. |
Amleto | Le credenziali sono già stilate e sigillate; i miei bravi compagni dei quali, in verità, mi fido tanto quanto di due serpenti velenosi, hanno già ricevuto il lor mandato. Spetterà a loro spazzarmi il cammino che mi deve menare al trabocchetto. S'accomodino. Sarà un bello spasso veder saltare in aria il bombarolo per lo scoppio del suo stesso petardo; e non mi sarà facile, ma scaverò di sotto alle lor mine tanto da farci scoppiare la mia e da scaraventarli sulla luna. Sapeste che delizia quando due trame di senso contrario vanno a scontrarsi sulla stessa pista! (Cercando di rialzare il corpo di Polonio) Questo signore mi fa far bagaglio. Vedrò di trascinar questa trippaglia nella stanza vicina. Buona notte. Beh, madre, questo vostro consigliere finalmente mi pare assai tranquillo, composto, riservato, anche solenne. E dire che da vivo era un gaglioffo, non si sa se più stolto o chiacchierone. Di nuovo buona notte, madre mia. (Esce trascinandosi il corpo di Polonio) |
075 | "... by no drift of conference get from him...": è espressione analoga a "by drift of question", di cui alla nota 45, sopra. |
076 | "To be, or not to
be... that is the question": è la frase più
celebre di tutto il dramma. Molti curatori intendono "question"
per "problema"; il termine "problem"
nel senso di "question proposed for solution",
"proposizione logica o matematica con dati certi la cui
conclusione è una soluzione e una risposta" esiste
nell'antico inglese. Shakespeare non lo usa mai, tanto meno
l'avrebbe usato qui, dove non che un problema da risolvere,
Amleto enuncia il dubbio eterno dell'uomo
nell'esistenza dell'aldilà come liberazione dai mali
dell'esistenza mortale: "nodo", dunque,
"nodo" della mente e dell'animo, nel senso
dantesco ("... solvetemi quel nodo / che ha inviluppato
mia sentenza", Inf., X, 95-96). Altri traduttori
(Lombardo) hanno "questione", generico che non
dice nulla. Il verso "Già, ma qui dismaga l'intelletto", che traduce il "Ay, there is the rub" del testo è preso dal libretto dell'"Amleto" di Arrigo Boito. |
077 | "... what monsters you make of them": si capisce che il soggetto è "voi donne". |
078 | Cioè il re suo zio, che ha sposato sua madre, e ch'egli vuole morto. |
079 | "His afflictions do not that way tend", letteralm.: "I suoi sentimenti non volgono da quella parte". È reso a senso. |
080 | "... for o'erdoing Termagant": Termagante è il nome di una divinità saracena, spesso citato nelle sacre rappresentazioni come il nemico numero uno dei cristiani. |
081 | Anche questo è nome tratto dalle sacre rappresentazioni e "mistery plays": Erode è il simbolo del tiranno malefico e sanguinario. |
082 | "... our cousin Hamlet": Shakespeare usa "cousin" come termine generale per ogni sorta di parentela o affinità "cugino", "nipote", "cognato", "zio", ecc. Qui non può essere che "nipote": "cugino", come traducono molti, è un nonenso. |
083 | Era antica credenza che il camaleonte si nutrisse d'aria. È il simbolo della persona mutevole d'animo e di mente, quasi un epiteto che Amleto si affibbia da sé. |
084 | Si tratta, per riferire la
congettura di alcuni curatori, del dramma in latino sulla
morte di Giulio Cesare, di cui si sa che venne rappresentato
a Oxford nel 1582, ma non se ne conosce l'autore. Anche
nelle università - tanta era la moda del teatro
nell'Inghilterra elisabettiana - si davano rappresentazioni,
per lo più di carattere satirico o allegorico, e per lo
più in latino, ad opera degli stessi studenti. Anche
l'"Amleto" di Shakespeare fu rappresentato,
vivente l'autore, nelle università di Oxford e Cambridge,
ma da compagnie di attori professionisti. Secondo il Melchiori (G. Melchiori, Shakespeare, Laterza, 1994, pag. 335) questo riferimento di Polonio a Giulio Cesare sarebbe una conferma della datazione all'anno 1599 del dramma omonimo di Shakespeare; lo stesso anno in cui fu completato l'"Amleto", o poco prima. Questa battuta di Polonio - nota il Melchiori - "acquista sapore per il pubblico contemporaneo soltanto se effettivamente lo stesso attore caratterista che impersonava Polonius era apparso poco prima nel ruolo di Cesare". |
085 | "... shall I lie in your lap?": durante le rappresentazioni in ambiente privato i giovani signori usavano restare accovacciati per terra, ai piedi delle dame sedute, in modo da poggiare la testa sul loro grembo. Ma la frase "to lie in one's lap" ha anche un significato sessuale. |
086 | "O God, your only jig-maker": era detto "jig-maker" l'attor comico che, durante gli intervalli della rappresentazione, attendeva ad intrattenere il pubblico con allegre battute. Amleto sa che il dramma che si sta per rappresentare è tetro e sanguigno, e ad Ofelia che gli dice di vederlo allegro risponde: "Lo sono a bella posta per te, per intrattenerti un po' in allegria durante gli intervalli". |
087 | "... for I'll have a suit of sables": la pelliccia di zibellino, di color marrone, era l'abito elegante dei nobili. Il commercio di tali pellicce, provenienti dalla Russia, era fiorente all'epoca. I poveri vestivano di lana. |
088 | "... with the
hobby-horse": "hobby-horse" era
chiamata l'immagine del cavallo che figurava dipinta sulla
larga fascia di cui s'avvolgevano il petto i danzatori della
"moresca" ("morris-dance"), una
vivacissima danza popolare in costume risalente all'epoca di
Robin Hood, e che ancora si danza in Inghilterra nelle
piazze al Calendimaggio. I gesti di questi danzatori furono
ritenuti osceni dai puritani, e la danza del cavalluccio
dipinto fu abolita sì che nessuno, trascorso poco tempo,
dell"hobby-horse" si ricordò più. Stupisce che tutti i curatori consultati, compreso il Praz, traducano "cavallino di legno", del quale non si sa chi non si dovrebbe ricordare più. |
089 | "That's wormwood, wormwood!": l'assenzio ("wormwood" o "absinthe"), il liquore fatto con l'umore estratto dalla omonima pianta, è amarissimo. Con questa esclamazione Amleto sembra dire a se stesso e al pubblico: "Ora viene l'amaro!"; per la madre, naturalmente, perché si parla di secondo matrimonio. |
090 | Perché a Vienna, non si capisce. La trama è italiana, scritta in italiano nell'originale - come lo stesso Amleto dirà dopo -, e la scena non può essere che l'Italia, Mantova, verosimilmente, dato che si parla di un Gonzaga. In realtà un assassinio con il veleno versato nell'orecchio ebbe luogo ad Urbino nel 1539 ai danni di quel duca, che aveva sposato una Gonzaga di Mantova; autore dell'assassinio fu il fratello di costei, Luigi Gonzaga. |
091 | Il testo ha "... nephew to the King", "... nipote del re"; ma si deve trattare di una svista del copione, perché nel dramma che si rappresenta non c'è nessun re: c'è il duca Gonzago. |
092 | "You are as good as a chorus, my lord": Ofelia allude, chiaramente, al coro della tragedia greca - ripreso anche da Shakespeare nell'"Enrico V"- la cui funzione era quella di spiegare al pubblico all'inizio, negli intervalli e alla fine, lo svolgimento della vicenda nelle parti in cui non veniva rappresentata sulla scena. |
093 | "I could interpret between you and your love, if I could see the puppets dallying": per intendere bene questa battuta di Amleto, che dà della marionetta ad Ofelia, gioverà riferirsi a quell'"interpret", il cui sostantivo "interpreter" significa "interprete" ma anche "burattinaio". |
094 | "So you mis-take your husbands": il senso studiosamente allusivo di queste due battute - che pochi curatori hanno inteso - sta in ciò: che Amleto nel riprendere idealmente le parole prima pronunciate da Ofelia: "Still better and worse", le associa alla formula che si scambiano gli sposi nel matrimonio anglicano: "I take you for better and for worse", "Io ti prendo (in moglie/in marito) per il meglio e per il peggio", e risponde ad Ofelia che proprio con quella formula le donne non "prendono" affatto ("take"), ma "mis-prendono" ("mis-take", il trattino dopo il prefisso peggiorativo "mis" è d'obbligo) i loro mariti, cioè li ingannano. |
095 | "Questo", cioè il pezzo recitato dall'attore Luciano, e scritto da lui, Amleto. |
096 | "Half a share", "A mezza azione". Al tempo di Shakespeare gli attori non ricevevano un salario stabilito, quindi è incorretto tradurre qui, come han fatto molti: "A mezza paga". Gli attori, come entravano a far parte della società filodrammatica, ricevevano un numero di quote (noi diremmo azioni) di partecipazione commisurato al valore di ciascuno. |
097 | Si tratta, probabilmente, di una ballata popolare, in cui si narra del filosofo greco Damone che, insieme al collega Pizia, visse alla corte di Dionisio il Giovane, tiranno di Siracusa e fu da questi messo a morte. |
098 | Orazio scherza sulle facoltà poetiche di Amleto. Il testo della ballata che questo ha recitato si compone di due distici a rime alternate, terminanti l'una in "dear/hear", l'altra in "was/ pajock": forse Orazio si aspettava un "ass", "asino", che facesse rima con "was": un asino e non un pavone (alludendo al re Claudio). Ma come farlo intendere ad un lettore italiano, se non in una nota? |
099 | "I am tame, sir: Pronounce": Amleto usa ironicamente "tame", "addomesticato", che si usa per gli animali selvatici, perché Guildenstern ha usato prima il termine "selvaggiamente". |
100 | "... by these pickers and stealers": è una formula di giuramento, in cui "mani" è sottinteso; "pickers and stealers" sono gli attributi delle mani secondo il canone della chiesa anglicana che ammonisce i fedeli ad astenersi dall'arraffare e dal rubare la roba altrui: "from peaking and stealing", appunto; e queste sono azioni che possono commettere solo le mani. |
101 | Il testo ha "... Ay, sir, but "While the grass grows..."", "Sì, amico, ma "Mentre l'erba cresce..."", che è la seconda parte dell'adagio popolare: "Campa cavallo che l'erba cresce". |
102 | "... why do you go about to recover the wind of me, as if you would drive me into a toil?": tutta la frase è presa dal gergo venatorio. "To recover the wind" è l'azione del cacciatore che, nella caccia al cervo, si apposta "sopravvento" affinché l'animale, sentendo il suo odore, corra spaventato nella direzione opposta e incappi nella rete ("toil"). |
103 | "Do you see yonder cloud...?": dove sia questo "laggiù" ("yonder") è lasciato alla fantasia del regista; per chi legge, poiché la scena si svolge verosimilmente al chiuso del castello, ci piace di suggerirgli che immagini Amleto fare il gesto di indicare il cielo fuori di una finestra. |
104 | Cioè: non sia mai ch'io mi faccia matricida. Nerone, come si sa, uccise sua madre, Agrippina. |
105 | Suggellare una parola è far seguire l'azione conseguente; qui, il suggello della parola di rampogna di Amleto sarebbe il matricidio. Ma egli ha scacciato da sé l'anima di Nerone. |
106 | Va in cielo - e non all'inferno - perché pregando sta purgando l'anima dal delitto. |
107 | "This physic but prolongs thy sickly days": letteralm.: "Questa medicina solo prolungherà i giorni della tua malattia". Si capisce che queste parole sono rivolte allo zio. |
108 | Cioè per il re, come aveva creduto quando ha chiesto alla madre se era il re "la cosa" che aveva infilzata. |
109 | "... in the index": metafora del libro: l'atto è indicato solo all'indice, cioè nella tavola degli argomenti contenuti nel volume, ma non ancora descritto. |
110 | V. sopra la nota (19). |
111 | "Sense, sure, you have": è una delle frasi di Amleto più diversamente intese, di quelle che, per la loro apparente ambiguità, ispirano i sensazionalisti a far dire a Shakespeare quello che non ha detto. Addirittura c'è stato chi visto in essa un ammiccamento incestuoso di Amleto, che direbbe alla madre "Tu, certo, hai i sensi ben desti, altrimenti non potresti avere certi slanci"; senza spiegare, peraltro, perché subito dopo egli le dica che ce li ha "paralizzati". ""To have sense" significa semplicemente "aver discernimento", "aver giudizio" ("to be wise enough to do something", "Oxford Dictionary", alla voce). |
112 | "What devil was't that thus hath cozen'd you at hoodmanblind?": si chiama "hood man-blind" (o anche "blind's-man-bluff") il gioco nel quale un giocatore, bendato gli occhi, deve cercare di acciuffare e identificare gli altri, dai quali viene continuamente toccato e spinto. Chi gioca qui a questa specie di mosca cieca, e cioè bendato, secondo Amleto, non è il demonio, ma la madre, nello scegliere di sposare lo zio; il demonio ne ha solo ispirato la scelta. |
113 | Si noti l'analoga invocazione agli angeli di Amleto, ogni volta che gli appare lo spettro: la prima volta ha invocato: "Angels and ministers of grace defend us!", "O angeli e ministri della grazia, difendeteci voi!". |
114 | Si capisce che la regina non vede lo spettro, che si fa visibile solo ad Amleto. |
115 | Questo "suo" si riferisce ovviamente al cielo. L'inglese ha "their", "loro". |
116 | A quale favola si alluda qui, non si sa. Della scimmia che vede volar via gli uccelli da un paniere su un tetto, e si vada a mettere nel paniere per fare la stessa esperienza, precipitando giù, non si ha traccia nella narrativa e nella poetica inglese dell'epoca. |