Capitolo secondo

Ove si narra come, a causa di un sigaro che
non voleva tirare e di una solenne zuccata battuta
in precedenza, sbocciasse una tenera intesa d'amore.

Il giovane pittore Edmondo Lehsen* aveva fatto conoscenza col vecchio e stravagante orafo Leonardo in un modo assai meno suggestivo e insidioso di quanto non fosse accaduto al consigliere segreto Tusmann. Ed ecco come erano andate le cose:
Edmondo stava abbozzando dal vero un bel gruppo d'alberi, in un angoletto solitario del Tiergarten quando Leonardo gli si avvicinò e si mise a sbirciare, senza complimenti, il foglio al disopra delle sue spalle. Edmondo continuò a disegnare imperterrito come se nulla fosse; ma a un certo punto l'orafo esclamò: - Stranissimo questo disegno, giovanotto! Invece degli alberi finirà per saltar fuori una cosa del tutto diversa.
- Che intende dire, signore? - domandò Edmondo con occhi sfavillanti. - Ecco, - proseguì l'orafo, - intendo dire che da quell'intrico di fogliame mi pareva di veder balzar fuori un fantastico e mutevole gioco di figure... geni, animali strani, fanciulle, fiori... mentre l'assieme del disegno doveva limitarsi a raffigurare quel gruppo d'alberi, là di fronte a noi, cosí suggestivo nella luce del tramonto...
- Perbacco, - esclamò Edmondo. - O lei, signor mio, ha una profonda comprensione delle cose e un occhio penetrantissimo, oppure io quest'oggi ho avuto la mano particolarmente felice nell'esprimere le mie sensazioni più recondite. Quando contempla la natura abbandonandosi completamente ai suoi sentimenti, alle sue nostalgie, non sembra anche a lei che dagli alberi, dai boschi, la guardino ogni sorta di figure strane, con occhi deliziosi?... Questo volevo rendere nel mio disegno: e mi accorgo di esserci riuscito!
- Capisco, - disse Leonardo alquanto freddo e asciutto. - Lei ha voluto prendersi un po' di riposo e di svago... divertirsi, ritemprare le forze abbandonandosi a un piacevole gioco di fantasia, ma senza preoccupazioni tecniche, scolastiche di sorta.
- Niente affatto, signore! - rispose Edmondo. - Proprio questa maniera di disegnare dal vero io la considero il più utile, il migliore degli studi. Soltanto studiando cosí riesco a trasferire nel paesaggio un elemento veramente poetico, fantastico. Il paesista deve essere poeta quanto il pittore di soggetti storici, se non vuol rimanere in eterno un mediocre dilettante.
- Cielo, pietà! - sospirò Leonardo. - Anche lei, dunque, caro Edmondo Lehsen!...
- Come?... - esclamò Edmondo stupefatto. - Lei mi conosce, signore?... - E perch_ non dovrei conoscerla?... - rispose Leonardo. - Feci la sua pregiata conoscenza in un momento di cui lei probabilmente non potrà serbare un ricordo molto chiaro; vale a dire: nel momento in cui nacque. Malgrado la ancor scarsa esperienza del mondo, lei si comportò in modo estremamente urbano e ragionevole, dando pochissima pena alla sua signora mamma e facendo subito udire un grido di gioia molto ben timbrato: chiese con impazienza di vedere la luce del giorno, la qual cosa, seguendo il mio consiglio, non le venne negata, perché, secondo l'opinione dei medici pi_ aggiornati, la luce non soltanto non nuoce ma influisce assai favorevolmente sull'intelligenza e la psiche dei neonati. Il suo signor papà era talmente fuor di sé dalla gioia che saltava per la camera su una gamba sola cantando: «Quando l'uomo è innamorato ecc ...» dal Flauto magico. Poi mi mise fra le braccia la sua piccola persona, pregandomi di trarle l'oroscopo, il che io feci. Da quel giorno presi a venire spesso in casa di suo padre, portandole certi bei cartocci d'uva passa e mandorle che lei non disdegnava di rosicchiare. Quando lei aveva otto anni circa partii per un viaggio. Ritornato a Berlino la rividi, e appresi con gioia che suo padre l'aveva mandata qui nella capitale, da Münchberg, a studiare la nobile arte della pittura, perch_ Münchberg non possedeva una riserva di quadri, marmi, bronzi, gemme e altri tesori d'arte notevoli, da offrire allo studio di un giovane artista... Su questo punto, la sua simpatica città paterna non può competere con Roma, Firenze o Dresda, come lo potrà forse in avvenire Berlino, se un po' di anticaglie nuove di zecca verranno ripescate nel Tevere e trasportate qui...
- Mio Dio, - disse Edmondo, - ora mi ritornano alla mente i ricordi della prima infanzia... Lei non è forse il signor Leonardo?...
- In persona, - rispose l'orafo. - Mi chiamo Leonardo e soltanto Leonardo. Ma mi meraviglio che lei si ricordi ancora di me, dopo tanto tempo!
- Eppure è cosí, - insistette Edmondo, - quando lei veniva in casa di mio padre ero tutto felice, ricordo, perché mi portava sempre ogni sorta di dolciumi. Lei però mi incuteva un sacrosanto rispetto, sì... quasi un senso di imbarazzo, di paura, che durava fino a quando lei non se n'era andato. Ma soprattutto i racconti di mio padre mantennero vivo il ricordo di lei. Andava fiero della sua amicizia: lei lo aveva tratto fuori, con abilità piú unica che rara, da parecchie situazioni complicate e imbarazzanti, quali si danno spesso nella vita. Mio padre parlava con entusiasmo della sua profonda esperienza di scienze occulte e della sua capacità di valersi di certe misteriose forze naturali... Talvolta giungeva perfino a farmi intendere chiaramente che lei, tutto considerato, fosse qualcosa come Asvero, l'ebreo errante...
- E perché non il pifferaio di Hameln?... O il «vecchio dovunque-e-in-nessun-posto»?... O l'omino Pietruccio?... O uno spirito folletto ?***..., l'interruppe l'orafo. - Comunque è vero, non lo nego, c'_ in me qualcosa di speciale di cui però non posso parlare senza dar scandalo. Al suo signor papà resi effettivamente parecchi buoni servizi grazie alle scienze occulte; ma soprattutto lo soddisfeci con l'oroscopo tracciato subito dopo la sua nascita.
Eppure, - disse il giovinotto arrossendo, - quell'oroscopo non era poi cosí rallegrante. Mio padre ebbe a ripetermi molte volte che, secondo la sua profezia, io sarei dovuto diventare qualcosa di grande: un grande artista o un grande pazzo... Devo, per lo me, no, a quella profezia la fortuna d'esser stato assecondato nella mia inclinazione per l'arte. Ed ora mi dica: lei crede che l'oroscopo si rivelerà esatto?
- O, certamente, - rispose l'orafo con tranquilla freddezza. - Non c'è alcun dubbio: lei è per l'appunto sulla via di diventare un grande pazzo.
- Come, signore?..., - esclamò Edmondo risentito. - E osa dirmelo cosí, sulla faccia?... Lei...
- Ora dipende esclusivamente da te, - l'interruppe l'orafo, di sottrarti all'alternativa peggiore dell'oroscopo e diventare un valente artista. I tuoi disegni, i tuoi bozzetti denotano una fantasia esuberante, vivace, una bella forza espressiva, un'ardita scioltezza di segno... Su queste basi si potrebbe costruire un ragguardevole edificio. Rinuncia alle esagerazioni, alle stravaganze di moda e mettiti a studiare seriamente, con tutto l'impegno. Tu aspiri alla dignitosa semplicità degli antichi pittori germanici, e per questo ti lodo, ma anche qui devi ad ogni costo cercar di evitare lo scoglio contro cui tanti vanno a naufragare. Per comprendere appieno il vero spirito degli antichi maestri germanici, per penetrare fino in fondo il senso dei loro quadri, bisogna avere sentimenti profondi; e una grande forza d'animo per resistere al rilassamento dell'arte moderna. Soltanto a queste condizioni scoccherà la scintilla divina nell'animo dell'artista e nascerà la vera ispirazione necessaria a creare - non già ad imitare ciecamente!... - opere degne d'un'epoca migliore. Invece i giovani d'oggigiorno, se appena riescono a raffazzonare un quadro biblico qualsiasi, con figure scheletrite, dai visi lunghi un braccio e le vesti rigide, angolose, il tutto in una prospettiva sbagliata, si illudono di aver dipinto alla maniera degli antichi maestri germanici. Simili rifacitori senza vita potrebbero paragonarsi a quei contadinelli che in chiesa, durante il Padre Nostro, si mettono il cappello davanti al naso perché non sanno la preghiera a memoria, e sono convinti che, non ricordando le parole, basti ricordare la melodia.
L'orafo disse ancora molte altre cose belle e vere sull'arte pittorica e diede molti ottimi consigli al giovane artista; tanto che questi, alla fine, gli domandò come avesse potuto acquistare una tale quantit&Mac246; di nozioni senza essere egli stesso un pittore, e perché vivesse cosí appartato senza far valere la propria influenza in campo artistico.
- Come già ti ho detto, - gli rispose l'orafo in tono estremamente serio e pacato, - affinai l'occhio, il senso critico attraverso una lunga e singolarissima esperienza. In quanto poi alla riservatezza, so che susciterei un'impressione piuttosto strana dovunque io mi mostrassi, a motivo non soltanto del mio carattere particolare ma anche d'una indefinibile forza innata in me; e ciò potrebbe. turbare la mia vita tranquilla, qui a Berlino. Ricordo sempre un uomo che, in un certo senso, potrebbe essermi antenato, e con cui provo talvolta la strana sensazione di identificarmi, talmente mi e divenuto «carne e sangue»... Parlo dello svizzero Leonhard Turnhäuser, da Thurm, vissuto a Berlino, alla corte del principe elettore Giovanni Giorgio, nel 1582. A quei tempi, come saprai, tutti i chimici erano «alchimisti» e tutti gli astronomi «astrologi»; cosí sarà stato, dunque, anche per Turnhäuser. Comunque, egli possedeva certamente facoltà straordinarie, e si era, inoltre, dimostrato un valentissimo medico. Aveva, purtroppo il difetto, di voler esibire la propria scienza sempre e dovunque, di consigliare, di aiutare tutti; e, cosí facendo, suscitò, naturalmente, odio, invidia; come il ricco il quale, per far sfoggio delle proprie ricchezze, anche se bene acquisite, si crea, per prima cosa, molti nemici. Qualcuno riuscí a convincere il principe che Turnhäuser sapeva fabbricare l'oro. Lo svizzero, o perché non ne fosse capace, o per non si sa quale altro motivo, si rifiutò ostinatamente di compiere tale operazione. Allora si fecero avanti i nemici: «Avete visto che razza di sfrontato furbacchione è quell'uomo?», dissero al principe. «Si vanta di poteri che non possiede... e pratica magie truffaldine, commerci giudaici. Ma dovrà scontarli con una morte ignominiosa, come l'ebreo Lippold!» -
Turnhäuser era stato veramente un orafo; ciò venne risaputo - la gente prese a contestargli ogni sapere, benché egli avesse dato ampia riprova d'esser versato in molte scienze - si giunse al punto di affermare che gli opuscoli geniali, gli importanti pronostici, egli se li fosse fatti scrivere da altri, pagandoli in moneta sonante. Basta: l'odio, l'invidia, la sistematica diffamazione, lo costrinsero a lasciare di nascosto Berlino e la marca brandeburghese per sottrarsi alla sorte dell'ebreo Lippold. I suoi avversari gridarono che si era gettato nelle schiere papiste, ma ciò non era vero. Egli andò in Sassonia e riprese a esercitare il mestiere di orafo senza peraltro rinunziare alla scienza.
Edmondo si sentí misteriosamente attratto dal vecchio orafo e questi lo ricompensò delle sue manifestazioni di rispetto e di fiducia non soltanto guidandolo negli studi artistici con critiche altamente istruttive, benché severe, ma anche rivelandogli alcuni segreti noti agli antichi pittori circa la preparazione e la mistura dei colori; alla prova pratica tali procedimenti diedero risultati prodigiosi.
Cosí fra Edmondo e Leonardo si stabilí quel particolare rapporto che usualmente lega un allievo promettente e benvoluto a un maestro ed amico paterno.
Poco tempo dopo, durante una bella sera d'estate, nel Tíergarten, al caffè Hofjäger, avvenne che il consigliere commissariale Melchiorre Vosswínkel non riuscisse ad accendere neppure uno dei sigari portatisi appresso; li aveva provati tutti: non ce n'era uno che tirasse. Dopo averli scaraventati in terra uno dopo l'altro con crescente stizza, imprecava: - O Dio!... Per questo mi sono fatto spedire i sigari direttamente da Amburgo con tanto disturbo e non poca spesa?... Perché queste porcherie mi rovinassero il mio piacere preferito?... E adesso come potrei ragionevolmente godermi le bellezze della natura e tenere un qualsiasi discorso sensato?... È semplicemente inaudito!
Aveva pronunziato queste parole rivolgendosi quasi direttamente a Edmondo lehsen, il cui sigaro tirava ch'era una bellezza.
Edmondo, pur non conoscendo il consigliere commissoriale, trasse il portasigari pieno e lo porse al disperato fumatore pregandolo di servirsi. Garantiva - disse - la bontà e la combustibilità dei suoi sigari, pur non avendoli ricevuti direttamente da Amburgo ma semplicemente acquistati in una bottega della Friedrichsstrasse.
Il consigliere commissoriale, tutto affabilità e sorrisi, si serví con un: - Grazie infinite! - e non appena lo «stelo combustibile» o «cannuccia tabagíca» (... come i puristi vorrebbero chiamare il sigaro ... ), sfiorato dalla pagliuzza accesa, incominciò ad emettere lievi e tortuose volute di fumo grigio, esclamò estasiato: - Signore mio egregio... lei mi ha veramente tolto da un penoso imbarazzo! ... Ancora mille grazie!... Quasi quasi vorrei essere cosí sfacciato da chiedergliene un secondo quando questo sarà finito.
Edmondo lo pregò di disporre in qualsiasi momento del proprio portasigari e i due si separarono.
Già stava incominciando a imbrunire. Edmondo con l'abbozzo di un quadro per la testa e perciò del tutto assente e totalmente ignaro della variopinta folla circostante, stava aprendosi un varco fra sedie e tavolini per uscire all'aperto, quando il consigliere commissoriale gli si parò nuovamente davanti chiedendogli affabilmente se non volesse accomodarsi al suo tavolo. Il giovane pittore avrebbe preferito andar fuori, nel bosco e stava quindi per rifiutare, ma in quel momento lo sguardo gli cadde su una fanciulla seduta proprio al tavolino, di fronte al quale s'era alzato il consigliere.
Quella fanciulla era immagine stessa della giovinezza, della grazia, di tutte le seduzioni d'amore!...
- Mia figlia Albertina, - disse il consigliere commissoriale a Edmondo che fissava la giovinetta impietrito, quasi dimenticando di salutare. Al primo sguardo egli aveva riconosciuto la bellissima, l'elegantissima damigella incontrata all'esposizione dell'anno precedente davanti a un suo disegno, mentre stava spiegando con molto acume alla signora attempata e alle due ragazzine in sua compagnia il significato di quel quadro fantasioso, ne analizzava il disegno, la composizione e ne lodava l'autore dicendo che doveva trattarsi d'un artista molto giovane e promettente, e che avrebbe desiderato conoscerlo. Edmondo, proprio dietro di lei, si beveva avidamente le lodi fluenti da quelle bellissime labbra. Pieno di batticuore, di dolce trepidazione, non osava farsi avanti come autore del quadro.
Quand'ecco Albertina, nello sfilarsi i guanti, ne lascia cadere uno in terra; Edmondo si china di scatto per raccoglierlo, lei fa lo stesso movimento e i due si danno una tremenda, sonorissima zuccata! - O Dio Signore!... - geme Albertina reggendosi la testa dolorante.
Edmondo balza indietro inorridito, calpesta il cagnolino della vecchia signora, e cosí brutalmente da farlo guaire forte, indietreggía d'un secondo passo e posa il piede su quello di un professore podagroso il quale caccia un urlo terríficante e lo manda mille volte all'inferno... La gente accorre da ogni parte; tutti gli occhialini si appuntano sul povero Edmondo il quale, fra i guaiti strazianti del cagnolino ferito, le ímprecazioni dei professore, i rimbrotti della vecchia signora, ì ridacchiamentí, le risate delle fanciulle, rosso, sempre piú rosso per la vergogna, si precipita fuori disperato, mentre alcune signore aprono i flaconcini di profumo per massaggiare la fronte, assai tumefatta, di Albertina...
Già fin da allora, nel momento piú critico della ridicola scena, Edmondo, senza quasi rendersene conto, si era innamorato della bella fanciulla; e soltanto l'amara consapevolezza della propria balordaggine lo aveva trattenuto dal ricercarla in ogni angolo della città. Non riusciva a immaginarsi Albertina se non con la fronte rossa e ammaccata e con altra espressione che non fosse di rimprovero o di collera.
Ma di tutto questo, in lei, ormai non c'era piú traccia. Nel vederlo si fece rossa, e poi addirittura di fiamma e parve scombussolata quanto lui; ma quando il consigliere commissoriale gli domandò come si chiamasse e quale mestiere facesse, ella si intromise dicendo, con un soave sorriso che, se non sbagliava di grosso, aveva dinnanzi a sé il signor Lehsen, l'eccellente artista i cui disegni, i cui quadri, l'avevano profondamente commossa.
Queste parole, è facile immaginarlo, colpirono Edmondo e lo infiammarono come una scarica elettrica. Trasportato dall'entusiasmo, fece per iniziare un bel discorso ricco di espressioni squisite ma il consigliere commissoriale glielo impedí stringendoselo impetuosamente al petto ed esclamando: - Carissimo!... Lei mi ha promesso un sigaro! - E mentre accendeva destramente il sigaro portogli da Edmondo con la brace di quello appena finito di fumare, continuò: - Dunque lei è un pittore... E, a quanto sento da Albertina, che di queste cose se ne intende, un pittore eccellente... Benone... Mi fa immensamente piacere! Io amo la pittura o, per dirla come dice mia figlia, l'arte in generale... Ne vado semplicemente matto! Sono un intenditore, io... sí, un vero intenditore di quadri... A me e a mia figlia Albertina, non fo per dire, nessuno la dà a bere... Abbiamo gli occhi nella testa, noi!... Mi dica, caro pittore, mi dica francamente, senza paura: è lei, non è vero, il bravissimo autore dei dipinti davanti a cui io passo ogni giorno e mi fermo per alcuni minuti?... Quei bei colori mi danno una tale gioia che quasi non riesco a distaccarmene...
Edmondo non comprese bene come mai il consigliere commissoriale passasse tutti i giorni davanti a dipinti suoi... non riusciva a ricordare d'aver mai dipinto insegne o roba del genere. A furia di domande e risposte risultò infine che Melchiorre Vosswinkel intendeva parlare dei vassoi per tè, parafuoco laccati e altri articoli consimili, esposti nelle vetrine di Stobwasser, dinnanzi alle quali egli effettivamente passava ogni mattina alle undici, dopo aver preso quattro acciughe e un bicchiere di vin di Danzica nella sala Tarone. Quegli oggetti artigianali erano, per Vosswinkel, quanto di meglio avesse mai creato mano d'artista, e se li contemplava con vera delizia. Edmondo rimase piuttosto seccato e imprecò in cuor suo al consigliere commissoríale e a quell'insulso diluvio di parole che gli impediva di intrattenersi con Albertina. Finalmente apparve un conoscente del consigliere e attaccò discorso con lui. Edmondo approfittò dell'occasione per sedere accanto alla fanciulla la quale pareva non aspettarsi di meglio.
Come già si è detto, madamigella Albertina Vosswinkel era l'immagine stessa della giovinezza, della beltà, della grazia; chiunque la conosca lo sa. Vestiva con molto gusto, all'ultima moda, come tutte le fanciulle berlinesi, cantava all'accademia Zelter, prendeva lezione di pianoforte dal signor Lauska****, gareggiava con una prima ballerina nel piroettare agile e lieve, aveva già esposto ad una mostra d'arte un bel tulipano ricamato, con violette e non-ti-scordar-di-me.- Era una creatura di carattere sveglio e gaio benché talvolta, specialmente ai «tè», sapesse affettare un certo qual sentimentalismo; ognuno sa, parimenti, che soleva ricopiare con bella e chiara scrittura, in un libretto rilegato di marocchino con guarnizioni dorate, le poesie e le massime di Goethe, Jan Paul e altri autori e autrici geniali che le erano piú particolarmente piaciute, senza mai confondere un «mi» con un «me», un «gli» con un «loro».
Era dunque naturalissimo che Albertina, trovandosi accanto al giovane artista, così evidentemente estasiato di fronte all'oggetto del proprio timido amore, cadesse in uno stato di sentimentalismo ancor piú languido di quello suo usuale ai te e alle conferenze e incominciasse a disquisire con garbo, in un melodioso bisbiglio, dell'ingenuità, dello spirito poetico, del senso profondo della vita e cose simili.
S'era levata la brezza della sera portando folate di dolce aroma di fiori. Nella boscaglia scura due usignoli cantavano un tenerissimo, lamentoso duetto d'amore.
Albertina prese a recitare questi versi di Fouqué:

Passa un sussurro, un trillo melodioso
Nel bosco a primavera,
Come un laccio amoroso
Afferra i sensi, il cuor, la vita intera.

Reso piú ardito dalla crescente oscurità, Edmondo le prese una mano, se la premette al petto e proseguí:

Se mai potessi anch'io
Cantare ciò che esprime
Questa silente vita,
Splenderebbe sublime l'infinita
Luce eterna d'amor, nel canto mio.

Albertina ritrasse la mano ma soltanto per liberarla del finissimo guanto glacé e poi subito la rese all'innamorato felice, il quale l'avrebbe baciata appassionatamente se il consigliere commissoriale non fosse saltato su a dire: - Corpo di Bacco, incomincia a far fresco!... Vorrei essermi portato un soprabito o un mantello... Metti lo scialle, Tínuccia... È uno scialle turco, caro pittore... mi costa cinquanta ducati sonanti... Copriti bene, ti dico, Tinuccia. Dobbiamo avviarci. La riverisco, carissimo -. Con tatto infallibile Edmondo tirò fuori il portasigari e offerse al consigliere la terza «cannuccia tabagica».
- O prego, prego... non si disturbi... - esclamò Vosswinkel. - Lei è estremamente gentile! La polizia non permette che si fumi passeggiando nel Tiergarten per evitare bruciacchiature su questa bell'erba fresca; eppure, grazie al divieto, una pipatina, un buon sigaro si gustano ancora di piú!
Mentre il consigliere commissoriale si accostava alla lanterna per accendere il sigaro, Edmondo chiese timidamente, sottovoce, ad Albertina il permesso di accompagnarla a casa; ella gli prese il braccio e i due si incamminarono, raggiunti dal consigliere il quale parve sottintendere che Edmondo li avrebbe scortati in città. Chiunque sia stato - o sia tuttora - giovane e innamorato ( ... a qualcuno ciò non è mai accaduto ... ), immaginerà come Edmondo, a fianco di Albertina, avesse l'impressione non idi camminare nel bosco ma di aleggiare con la sua bella al disopra degli alberi, in alto, fra le nubi fosforescenti.
Secondo la sentenza di Rosalinda nel Come vi piace di Shakespeare, i contrassegni distintivi di un innamorato sono: guance incavate, occhi cerchiati d'azzurro, indifferenza a tutto, barba lunga e incolta, giarrettiere lente e pendenti, berretto, maniche, scarpe slacciate, sconsolata trasandatezza nel fare o nel non fare qualsiasi cosa. Tutto ciò non si dimostrava vero nel caso di Edmondo piú di quanto non lo fosse per l'innamorato Orlando. Ma se questi rovinava le giovani vegetazioni incidendo il nome di Rosalinda sulla corteccia di tutti gli alberelli e appendendo odi ed elegie ai cespugli di biancospino e di mora, Edmondo sciupava un'inverosimile quantità di carta, pergamena, tela, colori per cantare l'amata in versi sufficientemente brutti o per ritrarne le fattezze, senza però mai coglierne la rassomiglianza, essendo le sue capacità artistiche di molto inferiori alla sua fantasia. Ove si aggiunga lo sguardo trasognato del sofferente di mal d'amore e un continuo sospirare ad ogni ora del giorno, si comprenderà come il vecchio orafo non impiegasse molto tempo a indovinare lo stato del suo giovane amico. Quando lo interrogò in proposito, Edmondo non fece alcuna difficoltà ad aprirgli il cuore.
- Ahi, ahi, - esclamò Leonardo quando ebbe udito ogni cosa. - Evidentemente tu dimentichi che non è bello innamorarsi della fidanzata di un altro. Già... Perché Albertina e praticamente promessa al consigliere segreto di cancelleria Tusmann.
La fatale notizia mise Edmondo alla disperazione. Leonardo attese tranquillamente il placarsi del primo parossismo e quindi si informò se intendesse veramente sposare Albertina Vosswinkel. Sposarla, protestò Edmondo, era il suo supremo desiderio; e lo scongiurò di aiutarlo con tutte le forze a togliere di mezzo il consigliere segreto di cancelleria e conquistare la bella. A un artista cosí estremamente giovane - obiettò l'orafo - era pur lecito innamorarsi; ma pensare a sposarsi cosí, su due piedi non gli conveniva. Proprio per questo il giovane Sternbald++ non si era mai piegato al matrimonio e, per quanto se ne sapeva, era tuttora celibe.
Il colpo colse nel segno perché lo Stembald di Tieck era il libro prediletto di Edmondo: molto sarebbe piaciuto al giovane pittore diventare egli stesso l'eroe di quel romanzo. Per conseguenza egli fece un viso assai turbato e fu lí lí per scoppiare in un amarissimo pianto.
- E sia dunque, - concluse l'orafo. - Vada come vuole. Quel consigliere segreto di cancelleria te lo caverò dai piedi. Introdurti in casa Vosswinkel e avvicinare piú intimamente Albertina rimane affar tuo. D'altronde le mie operazioni contro il signor Tusmann non le potrò iniziare prima della notte equinoziale.
A queste assicurazioni Edmondo andò fuor di sé dalla gioia, ben sapendo che il vecchio manteneva sempre le sue promesse.
In qual modo l'orafo iniziasse le operazioni contro il consigliere segreto di cancelleria, il benevolo lettore lo ha già appreso nel primo capitolo.