Capitolo terzo

Contiene il resoconto del consigliere segreto
di cancelleria Tusmann, la causa che lo costrinse
a scendere dal cavallo del grande principe elettore
e altre cose degne di essere lette.
Da tutto ciò che già hai appreso sul conto del consigliere segreto di cancelleria Tusmann, avrai ormai chiaro in mente, benevolo lettore, l'uomo, la sua mentalità, il suo carattere. Desidero tuttavia aggiungere qualche precisazione circa il suo aspetto esteriore: Tusmann era piccolo di statura, calvo, un po' storto di gambe. Vestiva in modo piuttosto grottesco: sotto una giubba di taglio patriarcale, dalle falde smisurate, portava un lungo panciotto, pantaloni abbondantissimi e certe scarpe rimbombanti sul terreno come gli stivali d'un corriere. Si noti, a questo proposito, che per strada egli non camminava mai a passo normale, ma procedeva a grandi balzi irregolari, con incredibile velocità, sí che le falde sopra menzionate si aprivano controvento come un paio d'ali. C'era nel suo viso un qualcosa di indescrivibilmente buffo ma anche un perenne sorriso bonario che gli accattivava le simpatie di tutti; lo si prendeva, insomma, a benvolere pur ridendo di cuore della sua pedanteria e di quel suo goffo modo di comportarsi che lo straniava dal mondo. La sua suprema passione era... leggere! ... Non usciva mai di casa senza avere entrambe le tasche della giacca piene zeppe di libri. Leggeva dovunque si trovasse o andasse, durante le passeggiate, in chiesa, al caffè; leggeva senza scegliere, qualsiasi cosa gli capitasse sottomano, sempre però opere del passato perché la modernità la aveva in odio. Cosí, ad esempio, oggi, seduto al caffè, studiava un testo d'algebra, domani il «Regolamento dell'arma di cavalleria» di Federico Guglielmo I, o l'incredibile libro «Cicerone, fanfarone e azzeccagarbugli, presentato in dieci discorsi», dell'anno 1720. Tusmann era dotato d'una memoria mostruosa: aveva l'abitudine di sottolineare tutto ciò che lo colpiva alla prima lettura e poi, tornando a scorrere i tratti segnati, non li dimenticava mai più. Perciò egli era diventato una specie di enciclopedia storica, di lessico vivente, da consultarsi ove appena sorgesse un dubbio circa qualche notizia storica o scientifica. E se per combinazione egli lí per lí non era in grado di fornire la risposta, subito si metteva a frugare in tutte le biblioteche fino a quando non l'aveva scovata: allora riappariva tutto contento con la precisazione richiesta. Notevolissimo era anche il fatto che, pur sedendo apparentemente immerso nella lettura di un libro, egli udiva tutto ciò che la gente diceva intorno a lui, e sovente saltava su con una osservazione perfettamente appropriata oppure, se qualcuno usciva con una battuta spiritosa, umoristica, significava la propria approvazione con una risatina tenorile, sovracuta, senza alzare gli occhi dal libro.
Il consigliere commissoriale Vosswinkel era stato suo compagno di studi alla scuola del Convento Grigio, e di qui era nata la stretta intimità di rapporti fra i due consiglieri. Tusmann aveva visto crescere Albertina e, in occasione del suo dodicesimo compleanno, offrendole un fragrante mazzolino, composto con grande gusto dal più famoso maestro fioraio di Berlino, le aveva per la prima volta baciato la mano, e con un garbo, una galanteria, di cui nessuno lo avrebbe creduto capace. Da quel momento al consigliere commissoriale era venuta un'idea: il caro condiscepolo avrebbe potuto benissimo sposare Albertina. In tal modo il matrimonio della figlia si sarebbe fatto col minimo di complicazioni; e quel buon uomo di Tusmann si sarebbe accontentato di una dote anche minima. Vosswinkel amava oltre ogni dire i propri comodi, temeva qualsiasi nuova conoscenza e, nella sua qualità di consigliere commissoriale, si lasciava consigliare dall'interesse forse anche più del lecito. Quando Albertina compí diciott'anni, egli rivelò il suo piano, fino a allora tenuto segreto, all'amico Tusmann. Questi dapprima ne rimase terrorizzato, parendogli inaccettabile la prospettiva di un matrimonio e, per di piú, con una ragazza cosí giovane e bella. Ma poco a poco si abituò all'idea e quando un giorno Albertina (per ordine del padre), gli offerse un piccolo portafogli da lei ricamato a graziosi colori, chiamandolo - Caro signor consigliere... - egli prese fuoco, si innamorò veramente della bella fanciulla e, senza por tempo in mezzo, dichiarò al padre di volerla sposare. Vosswinkel lo abbracciò come futuro genero e da quel momento Tusmann credette di potersi considerare fidanzato con Albertina, trascurando, forse a torto, un'insignificante circostanza: Albertina di tutta la faccenda non ne sapeva assolutamente nulla, né poteva averne il piú vago sospetto.
Subito dopo la stranissima avventura notturna presso la torre municipale e nella bottiglieria della Alexanderplatz, Tusmann, di primo mattino, irruppe pallido e stravolto nella camera dell'amico Vosswinkel, il quale si spaventò moltissimo: Tusmann non gli era mai capitato in casa a quell'ora, e il suo aspetto era quello di chi stia per annunziare una grossa sciagura.
- Consigliere!... - (cosí Vosswinkel soleva chiamare l'amico, in forma abbreviata ... ) - Consigliere, - esclamò, - donde vieni?... Come sei ridotto!... Che cosa è accaduto?...
- Tusmann si lasciò cadere sfinito su una poltrona e soltanto dopo aver ripreso fiato per un paio di minuti incominciò a dire con una vocetta querula: - Commissario mio... Cosí come tu mi vedi, con questi abiti, con tanto di «Saggezza politica» in tasca, vengo dalla Spandauerstrasse dove, da mezzanotte in punto, ho passeggiato fino all'alba!... Non ho messo piede in casa mia... non ho toccato il letto... non ho chiuso occhio!...
E Tusmann narrò tutto l'accaduto, dall'incontro con l'orafo favoloso, fino al momento in cui, terrorizzato dalle diavolerie dei due sinistri negromanti, si era precipitato fuori dell'osteria.
- Consigliere! - esclamò il commissario. - Contrariamente alle tue abitudini tu hai bevuto qualcosa di forte a tarda sera, e quindi hai fatto sogni strampalati e inverosimili.
- Ma che dici mai, commissario mio! - protestò il consigliere cancelleria. - Avrei dunque dormito? ... Sognato?... Mi credi così male informato sul sonno e sul sogno? ... Ti dimostrerò con La teoria del sonno di Nudow alla mano che cosa debba definirsi «sonno». Ti dimostrerò che è possibilissimo dormire senza sognare. Il principe Anileto non dice infatti: « Dormire!... Forse anche sognare ... »?... In che cosa consista il sogno lo sapresti tanto bene quanto me se avessi letto «Il sogno di Scipione» e la celebre opera sul sogno di Artemidoro, e il libriccino dei sogni di Francoforte... Ma tu non leggi niente e perciò non cogli mai nel segno... Sbagli in modo deplorevole...
- Calma, consigliere, calma!... - lo interruppe Vosswinkel. - Non ti scaldare tanto... Ti credo: ieri ti sei lasciato indurre a passare un tantino il limite e sei capitato in compagnia di prestigiatori imbroglioni i quali ti hanno preso bellamente in giro quando già avevi un po' troppo vino in corpo!... Ma dimmi, consigliere: perché, in nome del cielo, quando ti sei trovato sano e salvo fuor della porta non sei corso immediatamente a casa?... Che cosa sei ancora andato a fare in giro?...
- O commissario mio, - gemette Tusmann, - condiscepolo diletto. Risparmiami i tuoi dubbi offensivi e sappi che la maledetta diavoleria si e scatenata appunto quando già mi trovavo per strada! Infatti, passo davanti al municipio, vedo tutte le finestre illuminam te a giorno, e sento provenire dall'interno una allegra musica da ballo con accompagnamento di tamburi gíannizzeri (o piú propriamente: gennizzeri)... Come sia accaduto non lo so: pur non essendo dotato d'una statura eccessiva, mi drizzo in punta di piedi e riesco a sbirciare attraverso una finestra... Guardo... E cosa vedo?... Giusto cielo i... Nientemeno che tua figlia... madamigella Albertina Vosswinkel, tutta vestita da sposa, che sta ballando smodatamente il valzer con un giovanotto... Busso alla finestra, chiamo: «Egregia signorina Vosswinkel, dico... che cosa fa qui, a tarda notte?...» Ma ecco, un infame dannato viene giú per la Koenigsstrasse a corsa sfrenata, passandomi accanto mi strappa le gambe di sotto e se le porta via ridendo come un matto... Io, povero consigliere segreto, crollo nel fango della strada e grido: «Guardia notturna!... Inclita polizia! ... Pattuglia colendissima... accorrete, accorrete!... Fermate il ladro ... fermatelo!... Mi ha portato via le gambe! ... » - Su nel palazzo municipale tutto è ritornato improvvisamente 4curo e sílenzioso, e la mia voce si perde nell'aria senza che nessuno la senta!...
Sto per darmi alla disperazione, ma l'uomo torna indietro, mi ripassa accanto, sempre correndo a rotta di collo, e mi getta in faccia le mie gambe!... Mi rialzo in fretta... in fretta quanto me lo consente il mio stato di totale disorientamento e corro verso la Spandauerstrasse... Giungo davanti alla porta di casa, con la chiave già pronta in mano, e mi vedo... Sí, vedo un altro me stesso, lí davanti alla porta, fermo a guardarmi con questi stessi grandi occhi neri che mi ritrovo in testa... Balzo indietro inorridito e vado a finire fra le braccia di un omone che mi afferra con forza... Capisco dall'alabarda che si tratta del guardiano notturno e, rincuorato, gli dico: «Caro signor guardiano, cuor mio... mi faccia la cortesia, mandi via quel mariolo di consigliere segreto Tusmann piantato davanti alla porta di casa mia, in modo che l'onesto consigliere di cancelleria Tusmann... che sarei poi lo.. . possa rientrare nella propria abitazíone». - «Lei è impazzito, Tusmann!», ruggisce l'uomo con voce cavernosa... e allora mi accorgo che non il guardiano notturno ma il terribile orafo mi stringe fra le braccia! ... E la paura mi prende... la fronte mi si imperla di sudore gelido ... «Illustrissimo signor professore», gli dico. «Non se l'abbia a male se nell'oscurità l'ho preso per il guardiano notturno... O Dio!... Mi chiami come vuole... Mi chiami anche nel piú offensivo dei modi... «Monsieur Tusmann» per esempio, o «mio caro»... mi dia pure barbaramente del voi, come si compiaceva di fare poc'anzi... Ma mi liberi soltanto da questo terrificante incantesimo... lei ha tutto il potere di farlo!»
«Tusmann», dice l'nfame negromante con insopportabile voce cavernosa, «Tusmann, non vi sara piú torto un capello se mi giurate qui stesso di non pensare mai più a sposare Albertína Vosswinkel».
- Commissario... puoi immaginare come rimasi all'udíre l'esecrabile proposta ...
«Carissimo professore», imploro. «Lei mi fa sanguinare il cuore ... il valzer è un brutto ballo... un ballo sconveniente... e poco fa madamigella Albertina Vosswinkel... che sarebbe poi la mia fidanzata... lo stava ballando con un giovanotto e in un modo tale da farmi perdere la vista... l'udito, i sensi... Eppure non posso rinunziare a lei! Francamente non posso!»
- Non ho ancora finito di parlare e il maledetto orafo mi dà uno spintone tale da farmi piroettare come una trottola ... Trascinato da una forza irresistibile giro, giro a tempo di valzer su e giù per la Spandauerstrasse con fra le braccia, invece della dama, una schifosissima scopa che mi graffia la faccia mentre mani invisibili mi riempiono la schiena di lividure... Intorno a me è tutto un brulichio di consiglieri segreti di cancellería Tusmann che piroettano con altrettante scope... Finalmente, sfinito, precipito a terra e svengo... I primi bagliori dell'alba mi solleticano le palpebre ... apro gli occhi e... consigliere commissoriale, inorridisci con me! ... Svieni anche tu, condíscepolo mio!... e mi ritrovo seduto lassu, sul cavallo del grande principe elettore, con la testa appoggiata al freddo, bronzeo petto del principe medesimo... Per fortuna la sentinella pareva addormentata, cosí, a rischio della vita, ho potuto calarmi di sotto non visto... Sono corso nella Spandauerstrasse ma un terrore irragionevole mi ha riafferrato costringendomi a venire prima da te...
- Consigliere, - intervenne a questo punto Vosswinkel. - E tu mi supponi capace di credere un simile cumulo di fandonie?... Si è mai inteso dire che nella nostra onesta, illuminata Berlino siano accadute tali diavolerie?...
- Vedì, - rispose Tusmann. - Vedi, commissario mio, in quali errori tì piomba la totale mancanza di lettura?... Se tu avessi letto, come ho letto io, il «Microchronicon marchicum» di Hafftiz, rettore delle scuole di Berlino e Kölln sulla Sprea, sapresti che nella nostra città ne sono accadute ben altre... Commissario, te lo dico chiaro e tondo che cosa credo: quell'orafo che mi tormenta e mi sfotte è... Satana maledetto in persona!
- Ti prego, - disse il consigliere commissoríale, - ti prego, consigliere mio, lasciami in pace con le tue grottesche superstizioni. Ritorna in te!... Dimmi la verità: hai preso una sbornia, e nell'euforia, ti sei arrampicato sul monumento del grande principe elettore. Non è cosí?
Tusmann, con le lacrime agli occhi, fece di tutto per riuscir a dissipare quel sospetto.
Il consigliere commissoriale, di serio che era, si fece serissimo, e poiché l'amico non la smetteva di spergiurare che le cose erano andate proprio come diceva lui, parlò cosí: - Senti un po', consígliere, píú penso a come mi hai descritto l'orafo e il vecchio ebreo con cui, contravvenendo alle tue abitudini morigerate e frugali, hai ecceduto nell'alzare il gomito, e piú mi convinco che l'ebreo e il mio vecchio Manasse, e l'orafo negromante l'orefice Leonardo, il quale qualche volta si fa vedere a Berlino. Non ho letto tanti libri quanti ne hai letti tu, ma di questo non ho bisogno per sapere che sono due galantuomini, semplici, alla buona, e non certamente due negromanti. Mi stupisco altamente che tu, consigliere mio, pratico come sei di cose legali, non sappia che la superstizione è rigorosamente vietata e un negromante non otterrebbe mai dal governo la licenza indispensabile per esercitare un simile tnestíere. Ascolta, consigliere: mi viene un sospetto, voglio sperare infondato... Su... Non ti sarà mica passata la voglia di sposare mia figlia?... Non starai nascondendoti dietro un cumulo di fandonie... non starai mica raccontandomi tutte queste storie strampalate per concludere: Amico commissario, tanti saluti. Se sposo tua figlia il diavolo mi porta via le gambe di sotto e mi riempie le spalle di lívidi! - Consiglíere... sarebbe terribile se tu mi prendessi in giro cosí, con la menzogna e l'inganno...
L'atroce sospetto mise Tusmann fuor della grazia di Dio. Egli tornò a giurare e spergiurare che amava madamigella Albertina di sviscerato amore, che per lei sarebbe andato alla morte come un secondo Leandro, come Troilo, per lei si sarebbe lasciato riempire di lividure dal satana maledetto come un martire innocente, ma non avrebbe rinunziato ad amarla? Durante tali appassionate proteste qualcuno bussò forte alla porta e il vecchio Manasse, di cui Vosswinkel aveva parlato pocanzi, entrò.
- Signore Iddio! - esclamò Tusmann non appena lo vide. - Ma questo è il vecchio ebreo che coniava monete d'oro con fettine di rapa e poi le gettava sulla faccia all'orafo!... Ora arriverà anche il vecchio dannato negromante!... - e fece per correre via ma Vosswínkel fu lesto a trattenerlo dicendo: - Lo sapremo subito -. Poi si volse a Manasse e gli riferí quanto Tusmann aveva asserito sul conto suo e circa i fatti avvenuti nell'osteria della Alexanderplatz.
Manasse sorrise malignamente di sottecchi al consigliere segreto di cancelleria e disse: - Non so che cosa voglia questo signore. Ieri sera è capitato nell'osteria insieme all'orafo Leonardo proprio mentre stavo ristorandomi con un bicchier di vino dopo un faticosissímo lavoro, durato quasi fino a mezzanotte. Il signore ha bevuto assai più del lecito. Quando e uscito in strada barcollava, quasi non si reggeva sulle gambe.
- Hai visto? - esclamò il consigliere commissoriale. - Hai visto, signor segretario?... L'avevo pensato subito: tutto è dipeso da un'orribile sbornia. Ma se sposi mia figlia, questo non dovrà ripetersi mai piú!
Il povero consigliere segreto di cancelleria, annichilito dall'immeritato rimprovero, sì abbatte senza fiato su una poltrona e chiuse gli occhi pigolando parole incomprensibili.
- Ci siamo! - disse il consigliere commissoriale. - Prima passa la notte a vagabondare e poì si sente sfinito e miserabile!
Malgrado tutte le proteste, Tusmann dovette sopportare che l'amico gli fasciasse la testa con una pezzuola di bucato e lo rispedisse nella Spandauerstrasse dopo averlo cacciato a viva forza in una vettura da nolo.
- Che novita mi porta, Manasse?... - domandò quindi Vosswinkel al vecchio. immaginare quale fortuna io stia per annunziar
Lei non può le, - gli rispose Manasse ammiccando con aria soddisfatta. E, premuto dall<»domande impazienti del consigliere, gli confidò che suo nipote, Beniamino Diimmerl, un bel giovanotto quasi milionario, recentemente creato barone a Vienna per i suoi incredibili meriti e rientrato da poco dall'Italia, bene, quel nipote stesso si era tutt'a un tratto innamorato perdutamente della signorina Albertina e la desiderava in moglie.
Il giovane barone Dümmerl lo si poteva vedere spesso a teatro pavoneggiarsi in un palco, e ancor piú spesso ai concerti. Era, chi non lo sa, magro come una canna, aveva un viso gíallastro ombreggiato da favoriti e capelli crespi, neri come la pece, recava evidenti tutte le caratteristiche delle razze orientali, vestiva eccentricamente all'ultima moda degli zerbinotti inglesi, parlava diverse lingue (... nello stesso dialetto della nostra gente ... ), grattava il violino, strimpellava il pianoforte, rabberciava versi miserabili, si atteggiava a esteta, critico d'arte, mecenate letterario senza avere un filo di gusto ne di cultura, a uomo di spirito senza avere un'ombra di spirito; era, insomma, stupido e petulante, indiscreto, importuno o, per dirla con la cruda espressione usata da quelle stesse persone intelligenti che egli ambiva tanto avvicinare, un insopportabile villanzone. Ove si aggiunga che, malgrado le sue grandi ricchezze, lasciava trapelare, qualsiasi cosa facesse, un'avidità di denaro e una grettezza addirittura sordide, si comprendera come perfino gli individui più abietti, abituati a adorare il Mammone, finissero per voltargli le spalle.
Quando Manasse gli rivelò l'intenzione dell'amabile nipote, il pensiero del mezzo milione che questi effettivamente possedeva attraversò la mente del consigliere commissoriale e, per la verita, a tutta prima non lo lasciò indifferente; ma poi subito VosswinkeI vide anche l'ostacolo, a suo parere, ínsormontabile.
- Caro Manasse, - disse infine. - Si renda conto: il suo egregio signor nipote professa l'antica fede e quindi...
- Ma per carità! - lo interruppe Manasse. - Che importanza ha questo, signor consigliere?... Mio nipote è innamorato di madamigella sua figlia, vuole farla felice e non badera certo a un paio di gocce d'acqua in piú o in meno. Tanto, rimarrà sempre quello che e. Rífletta sulla mia proposta, signor consigliere. Fra un paio di giorni ritornerò col mio piccolo barone a prendere la risposta.
E su questo Manasse se ne andò.
Il consigliere commissoriale incominciò subito a riflettere. Ma malgrado la sconfinata avidità, la mancanza di carattere e di coscienza, qualcosa si ribellava in lui al pensiero di una possibile unione di Albertina col disgustoso Beniamino. Sicché, in un trasporto di onesta, decise di mantenere la parola data al vecchio compagno di scuola.
Capitolo quarto