Sergio Sablich

ANALISI DELL'OPERA «TURANDOT»

da S.Sablich, BUSONI, EDT, Torino, 1982

ATTO PRIMO

pp. 219 ss.

Il primo quadro si svolge davanti alla porta di Pechino: il principe Kalaf (tenore) apprende dal fido servitore Barak (baritono) la storia della bella principessa Turandot e dei tre enigmi che ella usa proporre, pena la testa, ai suoi pretendenti («Introduzione e Scena»).

Barach
Fiera fu la battaglia final,
purtroppo da noi perduta.
Voi ed il re, Vostro Padre trucidati credei;
fuggii, (passa nel parlato)
fido in core, ma con l'ali ai piedi,
ed alla Cina venni, qua, (più calmo)
a questa casetta
dove abito tranquillo.
E cosa avvenne a Voi?

Calaf
Vive mio padre.

Barach
Dio sia lodato!

Calaf
La felicità cerco...

Barach (in ginocchio)
E' grande Allah!

Calaf
... di riportare a lui.

Barach
Grande il suo profeta!

Calaf
E perch'ei sia felice ancor qual era
a corte vado oggi stesso!

Barach (si alza)
No! La corte è tutta in lacrime;
del re la figlia, Turandot, un demonio,
un demonio! aborre gli uomini;
è bella e savia, ma cruda,
inesorabile.

Calaf (sottovoce)
La fiaba udii:
(scherzando)
s'un prence aspira alla sua man...

Barach
Lo sapete!

Calaf
...tre enigmi sciolga
e perdere la testa dovrà,
se poi abbia avverso il fato.

Barach
Si, si... scherzate...

Calaf
Lo so, è sciocca assai la fola.

Barach
Fola? Guardate là
le teste! Le teste!
I pretendenti di Turandot!
Calaf (inorridito replica)
Oh, qual orror! Cielo!
È questa certo l'opera d'un mostro!

Barach
Un mostro ell'è, ma bella tanto,
che, per un guardo sol al suo ritratto,
i giovani sen vanno a morte!

Calaf
Che stolti!

Barach (serio)
Toccò quest'oggi al prence di Samarcanda.
Timpani dietro la scena
Oh, udite! Il segno è questo
che la sentenza su lui si compie.

Rimane scettico e incredulo, ma è subito costretto a convincersi udendo il «Lamento» della Regina Madre di Samarcanda (soprano), una negra bizzarramente agghindata che piange il figlio condannato a morte e si accanisce sul ritratto della crudele principessa. Alla vista del ritratto, Kalaf rimane folgorato («Arioso») e decide seduta stante di tentare l'impresa, fra la disperazione impotente di Barak («Pantomima e Finale»).

Regina Madre (dietro le quinte)
Fermate! S'uccide il figlio mio!
oh, oh, oh, oh,
Guai! Guai! Queste mura, questa terra sian maledette,
dannato il mostro sia
che lo perdè!
L'effige che dal collo gli ho strappata
sia calpestata e sia calpestata
quella che ritrae! Via, via! (esce furente)
(già in lontananza)
oh, oh, oh.

Tutto questo primo quadro è dominato dal risuonare cupo e incalzante del motivo dell'«Introduzione», scandito dall'ostinato ritmico dei timpani (simmetricamente ripreso e poi sviluppato armonicamente nella crescente agitazione orchestrale della «Pantomima» finale). Il canto di Kalaf è aperto, diatonico e plastico (solo nell'«Arioso» centrale esso ripiega in più assorte e liriche contemplazioni), e a sua volta contrappuntato efficacemente dal declamato estremamente lineare di Barak. Dalla concisa e viva semplicità di questa presentazione, emerge la stupenda pagina del «Lamento» della Regina di Samarcanda, personaggio e situazione inventati di sana pianta da Busoni: preceduto dal canto vocalizzato di un coro femminile posto dietro la scena, esso si svolge su una melodia pentafonica di chiara derivazione orientale e oscillante fra modo maggiore e minore (di modo che esso contrasta con il diatonismo della scena precedente e introduce un elemento di inquieta, strana attesa); per poi piegarsi, quasi impercettibilmente, ad accenti più tragici e patetici, raccolti, ma come purificati e oggettivati, da Kalaf nel suo «Arioso».
Al tono comico-burlesco appartiene l'«Introduzione e Arietta» che apre il secondo quadro. Siamo nella sala del trono del palazzo imperiale. Il capo degli eunuchi Truffaldino (tenore), intento a far preparare la sala per l'imminente seduta, espone al ritmo di una grottesca marcetta la sua allegra filosofia della vita. Rimasto solo, si sprofonda in argomentazioni apparentemente serissime sul matrimonio (ghiotta occasione per una fulminea parodia del recitativo melodrammatico), ma è subito interrotto dalle fanfare dietro la scena che annunciano l'arrivo della corte.

Truffaldino
Trovo giusto e saggio
che la mia principessina non voglia sposarsi,
neppur io fui mai sposato,
e neppur la madre mia.
Solo chi è debole, a quanto pare,
deve appaiarsi, perché
sulle proprie gambe non sa stare.
Fanfara dietro le quinte
Ah, s'avanza il Re!
Ecco l'Imperatore, or s'avanza!
Fanfara
I cortigiani non vo' veder,
men vado via di qua, men vado via di qua.
Me ne vado via e recare voglio alla mia amata principessa
ed alle sue donzelle
questo sì lieto annuncio:
poi, c'è il tè.

L'ingresso dell'imperatore Altoum (basso) avviene al suono di una marcia aulica e solenne, di vago gusto settecentesco e di tono elevato. La nota comica torna a predominare nel dialogo parlato di Altoum con le maschere Pantalone e Tartaglia (bassi), un dialogo che Busoni reinventa rispetto all'originale introducendo anche di sfuggita qualche battuta polemica («Da noialtri in Italia, Maestà, i zè tuti contenti quando che al teatro se va avanti a furia de morti asasinai. Ma capisso che zè de gusti barbari» : così Pantalone).

Altoum
Il cerimoniale è una grande consolazione.
Grazie, grazie, miei diletti!
Eppure, figli miei, ho qui dentro
un peso che mi guasta perfino la bella etichetta di corte.
Che volete, figli miei, non posso non amar mia
figlia; ma io non sono stato creato
per la crudeltà!

Pantalone
El cor de la maestà vostra el zé una cartasuga
inzupà de miel...

Tartaglia
Ba-ba-bambagia con il burro...

Altoum ( In tono di rimprovero )
Pantalone? Tartaglia? (i due si accucciano)
Ah, per quanto tempo dovrò ancora assistere a tutto ciò?
Questo mi porta anzitempo sottoterra.

Pantalone
Da noialtri in Italia, Maestà,
i ze tuti contenti quando che a teatro
se va avanti a furia de morti e asasinai.
Ma capisso che zé segno
de gusti barbari.

Pezzo culminante di questo quadro è il Quartetto. Esso segue la nobile «Aria di Altoum», così intrisa di caldi accenti mozartiani, e il breve, preliminare dialogo fra l'Imperatore e Kalaf.

Altoum
Fuggi, fuggi al periglio
cui ti esponi!
Figlio mio, figlio mio, m'ascolta,
chè già io t'amo:
sii sostegno al vegliardo,
chiudigli gli occhi quando scocca
per lui l'ora suprema;
alto premio t'attende, grande onore ne avrai,
se ti serbi al padre. Ah, non volere ch'a malincuor
tiranno sia, di cruda, perfida figlia, incolpevole padre;
e che morto ti pianga.

Calaf
O morte o Turandot! O l'una o l'altra io voglio!

Pantalone
Ma putelo benedeto,
caro prensipe, vardè, ciò,
quele teste sulla porta!

Altoum (scuotendo il capo)
Tutto è vano!

Pantalone
Mi no vogio dir più gnente,
ma vorìa saver parchè gh'avè
sto gusto de coparve.

Altoum
Tutto è vano!

Pantalone
Deme ascolto, caro fio,
ste famose indovinee
no zè sucaro nè papa!

Altoum
Tutto è vano!

Pantalone
Gnanca el mago Zingarelo
no'l se toria de pelar certe
gate de sta sorta.

Altoum
Oh, stallo a sentire!

Pantalone
No ve la dirà:
quanto fa do volte do,
cossa cresse sul seraso,
quale bestia fa miau miau,
no sior no.
Se scometare dovesse,
no darìa per quela zuca
un ravanelo rosegà,
no sior no!

Calaf
O morte o Turandot.
O l'una o l'altra, io sol voglio!
Tartaglia (spazientito)
Mo-mo-morte
mo-mo-morte o Tu-tu-turandot!

Altoum e Pantalone
Tutto è vano!

Tartaglia
Ah, perbacco, giovinotto, ma che co-co-cocciutaggine!

Altoum e Pantalone
Tutto è vano!

Tartaglia
Ma si tratta di fagioli
o di bere il cioccolato?
Qua si tratta della pe-pelle!

Altoum e Pantalone
Tutto è vano!

Tartaglia
Ma sapete che vuol dire,
che vuol dire il
giocare la pe-pelle?

Pantalone
Mi par di no!
Altoum - Tartaglia
Mi par di no!

Pantalone
Mi par di no!

Altoum e Tartaglia
Mi par di no!

Calaf
Parlate invan!
O morte o Turandot!
Null'altro vo'.

Altoum
Mi par di no, mi par di no!
Mi par di no, mi par di no!
Figlio mio, ascoltami!
Figlio mio ascoltami!
Ascoltami, ascoltami!
Ascoltami, ascoltami, ascoltami!
Figlio mio ascoltami,
Figlio mio ascoltami
ora è tutto vano!

Tartaglia
Mi par di no, mi par di no!
Mi par di no!
Mi par di no, mi par di no!
Qui si tratta della pelle,
qui si tratta della pelle!
della pelle, della pelle!
della pe- pe- pe- pelle!
della pelle! della pelle! della pelle!

Pantalone
Mi par di no! mi par di no!
Mi par di no!
Mi par di no! Mi par di no!
Qui si tratta della pelle,
qui si tratta della pelle!
della pelle, della pelle!
della pe- pe- pe-pelle!
della pelle, della pelle,
qui si tratta della pelle!

È da notare che e ancora una volta in una forma classicamente severa quale quella del Quartetto che Busoni tocca l'apice come compositore di teatro. Alle suppliche e alle esortazioni del Re, di Pantalone e di Tartaglia, tutte basate sulla ripetizione variata di una enigmatica cellula melodica discendente di quattro note nell'ambito di un tritono, il principe risponde ogni volta con una identica, decisa affermazione ascendente, icasticamente scolpita: «Tod oder Turandot! Von beiden Eines, nicht ein Dríttes!» (Morte o Turandot! Delle due l'una, altro mezzo non v'è!). Via via che le invocazioni si intensificano, il movimento musicale si fa più serrato, innalzandosi sempre più e gradualmente verso l'acuto (questo procedimento, tipico di Busoni, ritornerà in una scena capitale del «Doktor Faust»). La cima del movimento ascensionale coincide così non soltanto con il momento di massima intensità espressiva, ma anche con quello in cui il materiale musicale, ossia la melodia sostenuta dall'intreccio armonico e polifonico, si espande in tutta la sua avvolgente ampiezza e densità.
A questo vertice musicale e drammatico, nel quale possiamo individuare la pagina più alta dell'intera opera, segue la scena degli enigmi. Annunciata da una marcia carica di attese e di minacce, appare Turandot (soprano) con il suo seguito di eunuchi e di ancelle. Fra queste e Adelma (mezzosoprano), principessa caduta in disgrazia e ridotta schiava, che riconosce in Kalaf la sua fiamma di un tempo. Altera e sprezzante, la principessa ammonisce e minaccia Kalaf, ma ne è turbata e si abbandona per un attimo a un inspiegabile presentimento: se egli dovesse morire, ella pure morrebbe.

Coro
Vinci o muor!

Turandot
No, come gli altri ei non è,
del fanciullo il volto
questo cor turbò.
Ah, sia ancor forte Turandot!
Lo so, s'ei muore
io pur morrò.

Un duettino quasi operettistico sancisce i sentimenti con cui i due si apprestano alla prova. Fin dall'inizio, l'intento di sdrammatizzare del tutto questa scena è evidente. Busoni la mantiene fino in fondo sul piano di una leggerezza fiabesca: una sorta di fantastica recita nella recita, alla quale tutti gli altri personaggi partecipano attivamente e vivacemente, ognuno con la nota che gli è propria, quasi divertendosi a improvvisare su un canovaccio ben conosciuto. Come aveva fatto Schiller e come più tardi farà Puccini (ma quanto diversamente!), anche Busoni cambia il contenuto degli enigmi rispetto all'originale gozziano: non senza una sottintesa simbologia, essi rispondono all'«intelletto», al «costume» e infine all'«arte». Brio, movimento, concitazione sempre crescente, ansie fittizie e ancor più fittizi furori accompagnano con magistrali sottolineature musicali questa sfarzosa messinscena; fino all'immancabile trionfo di Kalaf, salutato con esultanza da tutti fuorché Turandot, la quale, assurgendo per un attimo al rango di eroina tragica, leva un pugnale per uccidersi, ma viene tosto disarmata. La tensione, volutamente non troppo accesa durante la scena degli enigmi, s'impenna di colpo alla fine dell'atto, in uno dei brani musicali più straordinari dell'opera: dopo che sulla confusione generale Kalaf ha proposto il suo indovinello (un luminoso do maggiore avvolge ora la tranquilla certezza del suo trionfo), la musica a poco a poco si assottiglia, si spegne nell'eco delle assorte ripetizioni dell'oscuro enigma e si perde infine in estatiche successioni di misteriose armonie, di una purezza stellare, adamantina - come se a esse toccasse davvero rappresentare misticamente l'entrata in azione dell'elemento soprannaturale e fuori dell'ordinario.