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ADRIANO LUALDI

LA VISITA AL DUCE
OTTOBRE 1926

VIAGGIO MUSICALE IN ITALIA
ALPES MILANO 1927
pp. 203-209

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Il 22 ottobre si ebbe la telefonata d'avviso; e la sera stessa si partì, Franco Alfano da Torino, Ildebrando Pizzetti, Alceo Toni [1884-1969], Renzo Bossi ed io, da Milano. Se qualcuno incontrando la nostra carovana ci avesse chiesto: - Quo vaditis? - Petimus Romam, si sarebbe rìsposto; all'incirca come Cristo a San Pietro. Perchè ci si sentiva veramente - in quanto si rappresentava la compagnia di credenti più trascurata da un mondo orribilmente pagano: quella dei compositori di musica -
come dei poveri Cristi; e si andava a Roma per conquistare, fra tanti altari, un santo patrocinatore alla nostra causa.
Il Presidente aveva fissato l'udienza per le 11 del giorno 23. Alle 10.30 ci trovammo nella sala d'aspetto di Palazzo Chigi.
S'era fatto, per giungere al primo piano, uno scalone pianeggiante e comodo, con certi gradini così larghi e profondi, che su ognuno di essi poteva starci un appartamentino, moderno con lutte le sue comodità; e si era pensato che i Maderna sono davvero benemeriti -della musica: Stefano per avere scolpita la statua di Santa Cecilia; Carlo per aver preparato, già da trecentocinquant'anni, una scala così dolce ed agevole ad una commissione di musicisti. Anche la sala d'aspetto era grandiosa e preparata apposta per noi: con dei bassorilievi, sopra le porte, di galere che si arrampicavano su flutti orrendi e che, dopo secoli di lotta contro gli elementi avversi, erano ancora là, arzille e pettorute, e riuscivano ancora a mantenersi a galla; raffigurando perfettamente, in tal modo, le lotte terribili, e i continui pericoli di sommersione e di siluramento ai quali è quotidianamente esposta la musica italiana, e la sua incredibile resistenza alle procelle.
C'erano poi, in alcuni meravigliosi arazzi appesi alle pareti, le storie di Carlomagno. Ma come, ai tempi di questo gran imperatore, la crisi lirica era, sì, già incominciata - e le voci non erano più «quelle di una volta»; e di compositori d'opere veramente bravi non c'erano che quelli defunti -; ma, insomma, non era ancora giunta al suo meraviglioso sviluppo attuale, vano sarebbe stato cercare, negli arazzi che ho detti, una qualunque esplicita o velata allusione alla nostra visita. Però, a dirla in confidenza, ciascuno di noi si sentiva un po' Rolando, vale a dire paladino di una giusta e santissima causa; e guardando gli arazzi e pensando alla propria missione ripeteva in cuor suo, come i jongleurs dopo le ]asse del poema cavalleresco: «Dieu nous aide!»; e se un qualunque insolente Re Giovanni fosse venuto a chiedere in quel momento, dando al nome Roland il significato che l'acuto lettore può immaginare: «Pourquoi chanter Roland? il n'y a plus de Roland», sarebbe stato capacissimo di rispondergli, come il soldato antico al suo Re, con cavalleresca fierezza e con pieno diritto: «Il y aurait encore des Rolands, si nous avions des Charlemagne ».
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Alceo Toni, il più familiare all'on. Mussolini per essere stato con lui al Popolo d'Italia, ha fatto le presentazioni. E Benito Mussolini, che al nostro apparire si era drizzato nella persona, tendeva ora il braccio verso ciascuno di noi ripetendo man mano i cognomi; e sorrideva lievemente, e ci guardava con certi occhi che pareva volessero fotografarci.
Aveva letto il nostro rapporto sulle condizioni e le necessità dell'arte lirica in Italia; era informato della mostra musicale del '900; volle sapere perchè si fosse scelta come sede per la prima manifestazione la città di Bologna; chiese, sul carattere, i limiti, le finalità della mostra, più ampie notizie. Le sue domande erano brevi e precise; dopo averle enunciate, il Duce alzava il capo e lo rovesciava un po' indietro, spalancando gli occhi ieri sull'interrogato. E quando parlava la sua voce era pacata e dolce, e il tono era così semplice, che solo da una certa energia della pronuncia e dalla convinzione che animava le parole era dato riconoscere l'impetuoso tribuno dominatore di folle.
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Quando siamo entrati, al grande tavolo di lavoro in angolo vicino ad una finestra, era il Duce; in piedi, un po' chino, appoggiando il gomito sinistro sul tavolo e la fronte alla mano; e sfogliava i quaderni di in libro ancora intonso.
Sì, mi piace l'idea di questa esposizione auditiva che può rappresentare il parallelo delle esposizioni visive di pittura e scultura. È una ,specie di rassegna delle attuali forze musicali italiane che volete fare. È molto opportuna. Bisogna risvegliare l'interesse del pubblico intorno alla musica nuova; esso, ormai, non ama più che la musica verticale: intendo quella che si suona nelle strade, coi piani a manovella. È necessario che il pubblico apprezzi ed impari ad amare anche la musica che non sa a memoria.
Ma siccome, per ciò che riguarda la divulgazione, la musica da concerto non arriva alle grandi folle, e quella da teatro si, è la musica da teatro che bisogna far rinascere, prima di tutto. Perchè non ci sono teatri sperimentali d'opera, come di commedia? Questi hanno dato ottimi risultati. Ad ogni modo deve essere superata la mentalità ostile alla nuova musica italiana.
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Si continuano ad eseguire e a ripetere opere vecchie; piacciono anche a me, badate; ma sentiamo e ripetiamo le nuove! Può darsi che ve ne sia qualcuna che vale :più di quelle. Se in una stagione si dessero cinquanta opere nuove, e quarantotto cadessero, sarebbero bene spesi le fatiche e il denaro per le due sopravvissute.
Per ora, voi dovete organizzare nel miglior modo questa mostra musicale italiana del '900: essa deve riuscire una significativa affermazione di forza. Io ne accetto volentieri e ne assumo il patronato; e il Governo vi darà tutti gli aiuti morali e i denari che vi occorreranno. E dopo questa prima prova di Bologna bisognerà vedere di ripetere periodicamente e di portare queste manifestazioni a Roma che possiede una grande organizzazione sinfonica della quale potrete giovarvi e che, per la sua importanza di Capitale e al centro della vita italiana, potrà dare la più grande risonanza alle vostre manifestazioni.
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Mentre l'on. Mussolini parlava così, un orologio «impero» - avvezzo da chi sa quanti decenni a fare tic-tac su tavoli di ministri, a sentirne i discorsi, e ad avvertirli inutilmente che le ore passano e che i tempi mutano - voleva quasi fermarsi, a causa dello stupore che gli faceva rimaner di sasso e pendolo, e ingranaggi. Perchè, veramente, dal tempo di Cavour in poi, non gli era mai più accaduto di sentire che un Presidente del Consiglio si interessasse di musica, e non ne parlasse come di un consumo di lusso, o come di una reliquia da adorare nei tempii del passato, senza nessun possibile rapporto con la vita produttiva di oggi e con quella di domani.
Quanto a noi, se non fossimo stati in cinque soli, si sarebbe voluto applaudire questo straordinario Presidente dei ministri che rompendo - anche nel campo dell'arte - un'antica e ingloriosa tradizione di disfattismo e di abbandono, mostrava di credere fervidamente, come noi e con noi, nel presente e nell'avvenire della nostra musica.
Ma se non applaudimmo, si pensò in quell'ora che proprio Benito Mussolini aveva riassunto in modo ammirevole, visitando un'Accademia di Belle Arti, le volontà e le speranze, i diritti e i doveri dei nuovi artisti d'Italia:
Noi non dobbiamo rimanere dei contemplativi, non dobbiamo sfruttare il patrimonio del passato. Noi dobbiamo creare un nuovo patrimonio da porre accanto a quello antico, dobbiamo creare un'arte nuova, un'arte dei nostri tempi.
E siccome quello che il Presidente aveva detto a noi e quello che aveva detto ad altri combaciava perfettamente col nostro sentimento, quando ridiscendemmo in Piazza Colonna il sole ci parve più chiaro; e le fettuccine al burro di Alfredo, alla Scrofa, parvero a noi tutti le più eccelse che mai cuoco d'Italia avesse saputo preparare.