SERGIO SABLICH GENESI DI ZAUBERFLÖTE |
«Tutto il mio divertimento è il teatro» Sfogliammo le pagine allindietro e arrivammo allallegra fuga di Papageno e Pamina da Monostatos. Guarda, disse indicando con il dito. Qui arriva, come tra parentesi, un altro messaggio: lamore è la cosa migliore della vita. Lamore come significato segreto del vivere. Tutti gli accadimenti scenici e musicali che si svolgono nel Flauto magico seguono una dinamica eminentemente teatrale, sganciata però da una logica drammatica coesa, stringente e unitaria per principio. Se nelle opere italiane Mozart aveva potuto abbattere le barriere dei generi fino al loro intreccio e fusione, facendo dei pezzi dinsieme il culmine dellazione e della sintesi drammatica il momento di massima tensione musicale, nel Flauto magico non esisteva un terreno già coltivato da rimestare, né una tradizione su cui riflettersi. Semmai cera un genere da fondare: quello della "Deutsche Oper", nome col quale Mozart registrò Die Zauberflöte nel catalogo delle sue opere alla data del luglio 1791, quando ne cominciò la strumentazione. Opera tedesca non significava però automaticamente fondazione di un genere ma semplicemente scelta, oltre che di una lingua, di una forma e di uno stile. La forma era quella del Singspiel, ossia una forma non interamente musicata ma comprensiva di dialoghi parlati e di musica; lo stile era quello della Zauberoper, lopera di argomento magico, mistura di tragico e di comico, di meraviglioso e di bonaria trivialità, nella quale elementi fiabeschi intercalati a caratteri allegorici si esprimevano in un tono popolare non di commedia realistica ma di racconto fantastico, senza spazio né tempo reali. Tanto il Singspiel quanto la Zauberoper, pur appartenendo in larga misura alla produzione di moda, vivevano ai margini del grande teatro di corte, che a Vienna continuava a essere italiano, e non costituivano ancora un genere fisso, con regole prestabilite. Gli ingredienti dellintreccio fantastico, con inserti comici e simbolismi vaghi, addirittura oscuri, tali però da colpire lattenzione in modo diretto, un po divertendo un po edificando, trovavano la loro più attraente realizzazione negli effetti spettacolari ricercati e ricorrenti con cui si moltiplicavano le sorprese, poco curando la verosimiglianza: improvvisi capovolgimenti delle situazioni, travestimenti e salvataggi spericolati, oggetti magici, frequenti cambiamenti di scena con conseguente spiegamento di macchinari, interventi di animali e di mostri, di fate e di spiriti, ora malvagi ora benigni. È, questo, larmamentario della Maschinen-Komödie, che nella Vienna di allora godeva di grande popolarità, di forte linguaggio figurativo ingenuo, prossimo alla tipologia della fiaba: la cornice cui appartiene anche Il flauto magico ed entro cui sarebbe nata la nuova "opera tedesca". Della quale il sostenitore più scaltro era allora proprio un oriundo italiano, Karl von Marinelli, impresario di successo al Teatro Popolare del quartiere di Leopoldstadt. E se è vero che il pubblico che ne seguiva le vicende era principalmente quello del popolo, incolto ma non impreparato, attirato dalla lingua e dallapparato magico, a poco a poco la fama di quegli spettacoli si estese raccogliendo adesioni per così dire più qualificate: una condizione essenziale per spiegare perché Mozart accettasse la commissione di unopera di quel tipo da parte del suo amico Emanuel Schikaneder. Costui, impresario, autore drammatico, attore e cantante, era riapprodato a Vienna nella primavera del 1789, rilevando il teatro del sobborgo auf der Wieden ("Wiener Freihaustheater auf der Wieden", questo il nome completo) e cominciando a darvi gli spettacoli della sua compagnia itinerante nellestate: aveva allora quarantuno anni, otto più di Mozart. Una consultazione anche rapida del suo repertorio ci illumina su un fatto: Schikaneder non cominciò affatto a rappresentare testi popolari e commedie fiabesche ma arrivò a essi poco a poco intuendone le potenzialità, anzitutto teatrali; ciò che per lui non voleva dire soltanto successo di cassetta. Schikaneder si era già fatto conoscere nei paesi dellAustria e della Baviera con un repertorio che comprendeva abitualmente i grandi testi di Lessing e di Schiller, oltre che di Shakespeare: Re Lear, Amleto, Macbeth, in spettacoli nei quali fungeva, oltre che da impresario, da attore (anche La tempesta era un suo pezzo forte). A Ratisbona, dove si era poi fermato per un certo tempo, aveva allargato le sue esperienze di impresario e cantante fiutando il cambiare delle mode: dal dramma allopera, e dallopera alla commedia spettacolare, fino al genere saliente e favorito dellopera magica con dialoghi. Sotto questo profilo Die Zauberflöte non nacque affatto come un progetto senza radici; al contrario, esso fu un punto di arrivo, la cui maggiore attrattiva era data dalla possibilità di una sperimentazione teatrale su un terreno fertile ma non ancora consolidato. Un punto di partenza, quando nel marzo del 1791 allimpresa si unì Mozart. Una delle tesi più leggendarie vuole che Il flauto magico nascesse da una crisi finanziaria del teatro di Schikaneder e dalla conseguente richiesta da lui fatta a Mozart di salvarlo per amicizia. Sono false luna e laltra cosa. Schikaneder non si trovava affatto in difficoltà economiche, ma anzi in un momento propizio per tentare una "grande opera", denominazione con cui fin dallinizio venne presentato il libretto. Quanto a Mozart, nonostante le sue prospettive si fossero complicate dopo la morte dellimperatore Giuseppe II, che lo proteggeva, si trovava anchegli in pista di lancio, decisissimo a mantenere le posizioni acquisite; senza contare che difficilmente avrebbe accettato di dare una mano a Schikaneder solo per amicizia: unamicizia peraltro neanche troppo stretta, nonostante la comune fede massonica. Il progetto del Flauto magico dovette sembrargli invece una magnifica occasione per sperimentare a sua volta nuovi orizzonti, giacché conosceva assai bene le possibilità della "troupe di Schikaneder"; né ciò daltra parte escludeva che egli cogliesse la prima occasione per tornare sulla strada dellopera italiana, come La clemenza di Tito (la cui composizione sintreccia con quella del Flauto magico) avrebbe dimostrato. Tutte le testimonianze di Mozart che ci sono rimaste, soprattutto le lettere alla moglie Konstanze, chiariscono con quanto entusiasmo e convincimento egli sposasse lidea della grande opera tedesca: non certo soltanto per ricavarne un successo di periferia. Tanto Schikaneder, lautore del libretto, quanto Mozart con la sua musica si misero dunque al lavoro nella assoluta convinzione di creare qualcosa di importante per loro stessi prima ancore che per il loro pubblico; e il teatro lo avrebbe sanzionato. Questo pensare in grande è la premessa stessa del Flauto magico, al punto che diviene questione assai secondaria congetturare sulla paternità del libretto: è del tutto verosimile che Schikaneder si facesse aiutare non solo da Karl Ludwig Giesecke, poi autoproclamatosi coautore del testo, ma anche da altri membri della sua compagnia, come era prassi nel suo teatro. Quanto a Mozart, la sua presenza non si limitò alla composizione della musica, ma agì anche sul libretto, in fase sia progettuale che realizzativa, secondo la sua abitudine. Il confronto degli autografi lo dimostra senza eccezione. Il risultato che conosciamo fu la conseguenza non solo di un pensare in grande, ma anche di un agire insieme. Fonte primaria del Flauto magico è la raccolta Dschinnistan oder Auserlesene Feen und Gesistermärchen ("Jinnistan ovvero Raccolta di fiabe di fate e di spiriti") edita da Cristoph Martin Wieland tra il 1786 ed il 1789: in particolare la fiaba Lulu oder die Zauberflöte ("Lulu ovvero il flauto magico") del parroco scrittore August Jakob Liebeskind. Fonti secondarie del repertorio fiabesco sono invece un Oberon, König der Elfen ("Oberon, re degli Elfi"), di Karl Ludwig Giesecke, già rappresentato da Schikaneder con la musica di Paul Wranitzky e visto anche da Mozart a Francoforte nellottobre del 1790 (fu in quelloccasione che scrisse alla moglie la frase che figura in epigrafe come titolo) e il Singspiel Hüon und Amanda (1789) di Friederike Sophie Seyler. Per la tessitura morale dei misteri iniziatici e per lethos illuministico del libretto, nonché per lambientazione orientaleggiante, antico-egizia, alcuni motivi provengono dal dramma eroico Thamos, König in Ägypten di Tobias Philipp von Gebler (già musicato da Mozart anni addietro) e dal romanzo Séthos, histoire ou vie tirée des monuments anecdotes de lancienne Egypte dellabate Terrasson; mentre il libretto Mysterien der Ägypter del naturalista e fratello massone viennese Ignaz von Born suggerì probabilmente qualche tratto della figura di Sarastro. Se lOberon offriva un modello terminale di Singspiel fiabesco già realizzato, da cui perciò allontanarsi, Lulu conteneva invece soprattutto vari spunti sparsi da ricollegare per ricavarne una vicenda. Alla base cera soltanto un mago cattivo che rapisce la figlia di una fata buona: e questa a sua volta viene salvata da un giovane principe che ristabilisce lordine annientando il mago, liberando e sposando la fanciulla. Come si sa, le cose nel libretto del Flauto magico sono un po più complicate; giacché linserzione delle prove cui sono sottoposti Tamino e Pamina prima di ricongiungersi nellamore introduce una dimensione affatto nuova nella trama, mutandone la prospettiva: in cui sinserisca anche la figura comica di Papageno, ispirata dal Kasperl del teatro popolare viennese. Non più dunque solo una fiaba in cui buoni e cattivi sono rigorosamente distinti, ma un cammino di evoluzione che coincide con uniniziazione a carattere morale. Gli elementi di questa conquista, soprattutto lo sfondo esoterico dei misteri iniziatici, provengono come detto dalle fonti secondarie, ma portano in primo piano alcune convinzioni di Mozart, collegate alle ragioni più profonde e meno rituali della sua adesione alla massoneria: lidea che accanto alla sfera terrena dei sensi, rappresentata nellopera da Papageno, esista una sfera ideale, spirituale, commisurata alluomo; ed è lì che si realizza, nella conquista dellamore, unaspirazione di carattere trascendente. Non è necessariamente un messaggio, quello che Mozart vuole qui darci, tanto meno non univoco. Piuttosto un valore costruito sulla compresenza di più piani, inattuabile se accanto alla sfera superiore della coppia nobile di Tamino e Pamina non continuasse a esistere anche quella inferiore, plebea, in cui Papageno incontra la sua Papagena. Labitudine nata nellOttocento di considerare lOpera come una successione di scene costruite sulla progressione verso un unico culmine drammatico, e dunque sulla continuità dellazione più che su coppie di contrasti, ha pesato a lungo, e pesa tuttoggi, sul giudizio del libretto del Flauto magico: persino un uomo di teatro come Richard Strauss lo considerava confuso e strampalato, riscattato solo dalla musica sublime di Mozart. Molti, fino dallinizio, ne hanno sottolineato lincoerenza, come se lopera avesse cambiato linea strada facendo. Si è perfino giustificato questo ipotetico cambiamento di rotta con un fatto esterno: la rappresentazione nel giugno di quel 1791, da parte del concorrente Marinelli, di unopera affine per argomento e trama, Kaspar der Fagottist oder Die Zauberzither ("Kaspar il fagottista, ovvero La cetra magica") di Joachim Perinet e Wenzel Müller, che avrebbe costretto Schikaneder a ribaltare lazione nel bel mezzo, facendo del personaggio buono, in origine una fata splendente, una donna malvagia, lastrifiammante Regina della Notte, e del mago cattivo, ridotto al torbido Monostatos e sdoppiato nel frattempo in Sarastro, lincarnazione della saggezza. Anche questa leggenda non è suffragata da alcuna prova concreta; in più, risulta insostenibile da un punto di vista sia storico che drammaturgico. Il ribaltamento delle situazioni, che poi avrebbe raggiunto una logica drammaturgica ben più stringente nella pièce à sauvetage, tradizione cui si ricollegano sia il Fidelio di Beethoven che Il franco cacciatore di Weber, era uno degli elementi fondamentali della Zauberoper; ne garantiva per così dire leffetto di sorpresa, in modo spesso inverosimile ma proprio perciò teatralmente efficace. E leffetto teatrale era un requisito qui fondamentale per i nostri autori: nel senso di un repentino cambiamento di prospettiva, non di un sovvertimento di valori determinati. Daltronde, che neppure la Regina della Notte sia una figura monolitica lo dice inequivocabilmente la sua prima aria, che incute terrore e inquietudine più che essere rassicurante. E anche a non saper nulla del seguito, si ha subito limpressione che dietro alla sua severità, alla sua magnificenza e perfino al suo dolore, si celi qualcosa di oscuro e di minaccioso, di innaturale (il gelo estatico delle colorature) e di demoniaco: difficile pensare al trionfo della sua bontà (ecco un caso, non certo lunico, in cui la musica di Mozart interpreta e chiarisce il testo). Il ribaltamento della prospettiva ha la stessa funzione che nella tragedia (e la Regina della Notte è un personaggio da opera seria) ha la peripezia: uno svelamento della verità che coincide col massimo della tensione drammatica. Sotto la veste dellindeterminatezza tipica delle fiabe Schikaneder, fatto salvo che il personaggio di Papageno da lui interpretato non ne venisse sacrificato, travasò nellazione la stessa forza di un dramma classico, lasciando a Mozart lo spazio per il dispiegamento della logica perentoria della sua musica. E senza volere a nostra volta ribaltare giudizi consolidati, questa concezione appare di una modernità inaudita, e precorre perfino esiti estremi raggiunti i quali il teatro musicale doggi è entrato in un vicolo cieco, incontro alla sua morte. Le simmetrie molto evidenti di cui lopera è costellata, dal numero tre simbolo massimo al sette della figura piramidale retta dalla specularità di luce e notte, ricostruiscono ununità intrinseca allopera, che fa della coerenza interna ai suoi piani il perno attorno cui ruota il divenire delle trasformazioni. A spingere verso lalto e a dare sostanza a queste trasformazioni, che per risultare efficaci e avvincenti dal lato teatrale dovevano essere improvvise, non preparate, provvede la tematica morale che si innesta sul canovaccio primario: il regno illuminato di Sarastro e dei suoi sacerdoti. Non cè dubbio che Mozart e Schikaneder abbiano riversato qui le loro convinzioni massoniche: facendo però delliniziazione a una nuova consapevolezza un percorso teatralmente articolato. E se già il tono solenne della presentazione di Sarastro si identifica anche nellascoltatore più ignaro di riti massonici con la affermazione di valori superiori, quasi sacri, il bene non è ancora, come nella fiaba, un valore acquisito: sarà il risultato di una conquista. Da questo punto di vista lopera ha una progressione tuttaltro che inverosimile. Di solito si annette scarsa attenzione, in sede sia critica che esecutiva, alla funzione dei dialoghi parlati nelleconomia dellopera. In teatro le parti parlate vengono abbondantemente tagliate, alterando così il rapporto originariamente pensato con la musica. Intendiamoci, non che quando parlano i personaggi dicano cose essenziali per la storia; non è neppure lì che lazione procede: semmai si sospende e per così dire si contempla per fornirci qualche informazione collaterale, quando non serva a introdurre scenette comiche quasi fini a se stesse, nelle quali il dialogo assume forme dimprovvisazione tipiche della commedia viennese. Oggi che Il flauto magico è interpretato non da attori-cantanti come quelli per i quali fu composto, tutti versatili e vestiti su misura, ma da cantanti veri poco abituati alla spontaneità della recitazione, risulta per noi pressoché impossibile vedere realizzate adeguatamente le due parti insieme. E naturalmente ciò che conta è in primo luogo la musica di Mozart, ossia il canto. Se tutto ciò è probabilmente irreversibile, bisogna tuttavia tenerne conto quando si giudichi la tenuta drammatica del testo. È in quegli spazi apparentemente morti che si creano i presupposti degli svolgimenti e dei mutamenti dellazione, in tempi di attesa che lasciano non solo prevedere cambiamenti improvvisi ma anche, per così dire, lavorano perché essi avvengano. E il clima di attesa che si produce quando la musica tace è la premessa affinché la tensione drammatica si identifichi, sfociando poi nel canto accompagnato dallorchestra, nellazione permeata e definita dalla musica. È su questo equilibrio che riposa la teatralità del Flauto magico. Alterarlo significa perdere lo slancio e il tempo di gittata dellarco. Punto culminante di questarco è il Finale del primo atto, che da un lato riassume ciò che sino a quel momento era stato presentato e dallaltro introduce tuttaltri significati nellazione, conducendo lintreccio in una nuova direzione. A mutare non è solo il paesaggio esterno, ma soprattutto quello interiore, psicologico. La musica con cui i tre Fanciulli, accompagnando Tamino alle porte del Tempio della Sapienza, lo richiamano alla fermezza, alla temperanza e al silenzio, ha il tono eloquente di un invito rassicurante, che prefigura il clima caldo, umano del regno luminoso di Sarastro, e nello stesso tempo contiene unemozione arcana, un dubbio angoscioso. Di colpo siamo introdotti in unaltra sfera. E a dircelo non è solo la solennità ieratica ma ancora fanciullesca della musica, bensì la profondità degli accenti e la verità del canto, che lascia intuire un nuovo spessore, una diversa continuità. Lintensificazione drammatica è ottenuta proprio abolendo lalternanza fra parlato e canto, e dando alla scena della rivelazione la forma di un recitativo accompagnato incalzante, che si fa dialogo serrato nella disputa fra Tamino e il Sacerdote venuto a istruirlo sulla missione che lattende. E che qui stia per accadere qualcosa di decisivo lo dice proprio la scelta di una forma aperta, continua, intensamente drammatica, al posto del parlato e delle forme chiuse - arie, duetti e insiemi - usate in precedenza. Un fatto musicale diviene così individuazione di una dimensione formale e spirituale nuova, accendendosi teatralmente. Il Sacerdote si congeda riprendendo, ma in modo minore, il tema dei tre Fanciulli. Tamino, rimasto solo, ne assume su di sé un frammento, in forma interrogativa: quando finirà la notte eterna, quando gli occhi rivedranno la luce? Qui Tamino non parla solo della sua ansia, del suo amore e del suo desiderio, ma sembra caricarsi del dolore dellumanità, intuire e contemplare in un istante di brivido il significato della vita e della morte. Un coro invisibile gli risponde sottovoce, ambiguamente: presto, presto, o mai più! Il suo pensiero si rivolge allora a Pamina, ed egli chiede se ella viva: sì, ella vive, rispondono gli invisibili. Il suo nome è pronunciato come se si trattasse di una formula magica; la risposta giunge esitante ma piena di speranza: viole e violoncelli, riprendendo il tema dei Fanciulli, assicurano che un alto destino vigila su tutte le cose. Il modo maggiore suggella la certezza che Pamina vive perché esiste lamore, e lamore è reale nel mondo degli uomini, di tutti gli uomini: come anche Papageno, più tardi, felicemente apprenderà. Solo a questo punto, mentre il suono del flauto compie lincantesimo, la voce per qualche istante tace. Tutto è armonia, tutto è compiuto. Forse è esagerato affermare che liniziazione di Tamino sia già avvenuta a questo punto: eppure quello che seguirà fino alla fine dellatto non è altro che leffetto di questa rivelazione. E a confermarlo, assai più dellentrata trionfale di Sarastro che squarcia loscurità, è il momento in cui Tamino e Pamina, come Romeo e Giulietta, si riconosceranno al primo sguardo, improvvisamente e definitivamente, come in un sogno che divenga realtà: è lui, è lei. A Mozart basta una semplice cadenza per dire che il riconoscimento è totale, che il teatro può anche inventare la felicità completa. Le prove da superare saranno ancora tante, ma nessuno potrà più dubitare della loro riuscita. Se questo momento rappresenta una rivelazione, nella coscienza individuale, dellesistenza dellamore (né è inverosimile che Pamina ancora dubiti dellamore di Tamino e pensi di uccidersi di fronte al suo silenzio: a lei sfugge in quel tratto il senso più alto della missione), le prove del fuoco e dellacqua costituiscono laffermazione di una legge universale, trascendente, che riguarda tutta lumanità: il compimento dellamore nel mondo degli uomini. Non è solo lideale massonico in cui Mozart credeva, lo spirito della solidarietà e della fratellanza universale rappresentato da Sarastro e dalla casta dei sacerdoti, ma qualcosa che si realizza proprio attraverso la coppia unita dallamore, capace di elevarsi a una consapevolezza più alta: proprio ciò che né Sarastro né i sacerdoti possono raggiungere (il che è certamente una critica sorridente della gerontocrazia maschile e forse anche dei riti sacrali della massoneria). È ciò che chiaramente esprime, al vertice di tutta lopera, la scena degli Armigeri. Qui Mozart utilizza un procedimento simmetricamente opposto rispetto a quello del Finale del primo atto: non un canto interiorizzato delleroe che si spoglia delle sue certezze per prepararsi esitante a una nuova verità, ma una verità che si afferma con la forza di una legge assoluta, la cui certezza consentirà alla coppia eletta di superare le ultime prove. Il fatto che Mozart abbia introdotto in questa scena un corale di Bach nel duetto degli Armigeri che leggono liscrizione misteriosa, e ne abbia poi elaborato la citazione su un accompagnamento contrappuntistico nella marcia della purificazione, è forse lunica concessione di stampo non teatrale: qui è la musica stessa a diventare protagonista, con un gesto che addita le regioni del sublime. Quando il fugato si arresta bruscamente, comprendiamo di essere giunti, dopo un cammino di sofferta attesa, alle soglie di un mondo nuovo. Componendo lOuverture per ultima, due giorni prima che lopera venisse rappresentata al Theater auf der Wieden il 30 settembre 1791, Mozart riassunse i diversi piani dellopera e ne indicò musicalmente gli sviluppi: il triplice accordo che risuona allinizio dellOuverture annuncia il regno di Sarastro, ma è anche il simbolo di unattesa e di una trasformazione che lAdagio misteriosamente scandisce; la dinamica in cui si svolgerà lazione è prefigurata dal fugato in cui si slancia lAllegro, un segnale che riassume in sé laltezza di pensiero della favola e insieme la sua vivace, immediata teatralità: la spinta verso una rotazione a trecentosessanta gradi si placa e si compie nel corale degli Armigeri sulla soglia del tempio, rivelandosi musica senza tempo né spazio, governata da leggi assolute. Per questo tutto doveva essere esattamente calcolato fin dallinizio, larchitettura drammatica, le relazioni armoniche, la strumentazione e i caratteri, perfino gli stili di canto e le diverse tradizioni operistiche da impiegare: realizzarlo sulla scena sarebbe stato un divertimento che non aveva più nulla a che fare se non col teatro, perché del teatro aveva fatto tutto il mondo. |
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