WILLIAM SHAKESPEARE

ANTONIO E CLEOPATRA

ATTO QUINTO




SCENA I - Alessandria. Il campo di Cesare


Entrano OTTAVIO CESARE, AGRIPPA, DOLABELLA, MECENATE, GALLO, PROCULEIO e altri del Consiglio
di guerra di Cesare

OTTAVIO - Va’ da lui, Dolabella,
che si ritiri e cessi di combattere;
digli che dopo questa delusione,
qualunque indugio sarebbe ridicolo.

DOLABELLA - Cesare, sarà fatto.

(Esce)

Entra DERCETA con la spada di Antonio

OTTAVIO - E questo che vuol dire?… E tu chi sei,
che osi presentarti in questo modo?

DERCETA - Il mio nome è Derceta,
ho servito finora Marcantonio,
ch’era ben degno d’essere servito
nel migliore dei modi.
Finché fu in piedi e in grado di parlare,
è stato il mio padrone,
e avevo dedicato la mia vita
ad impiegarla contro i suoi nemici.
Se ti piaccia di prendermi con te,
quello che fui per lui sarò per Cesare.
Se no, qui ti rassegno la mia vita.

OTTAVIO - Che vuoi dire con questo tuo parlare?

DERCETA - Ti dico, Cesare, che Antonio è morto.

OTTAVIO - Il crollo di una cosa così grande
dovrebbe fare un ben più forte schianto.
Il mondo intero, per quanto è rotondo,
dovrebbe riversar dalle lor tane
leoni per le strade cittadine,
e cacciar nelle tane i cittadini:
ché la morte di Antonio
non è soltanto la fine d’un uomo;
in quel nome c’era metà del mondo.

DERCETA - È morto, Cesare, ma non per mano
d’un pubblico ministro di giustizia,
né pel pugnale di nessun sicario;
quella stessa sua mano, che negli atti
da lui compiuti ha scritto la sua gloria
ha trafitto quel cuore
col coraggio di quello stesso cuore.
E questa è la sua spada:
l’ho tratta dalla stessa sua ferita;
guardala: è tutta intrisa
ancora del suo sangue nobilissimo.

OTTAVIO - Vi rattristate, amici? Eh, sì, lo vedo.
Che gli dèi mi perdonino,
ma queste son notizie
da inumidir le ciglia pure ai re.

AGRIPPA - Ed è davvero strano
che la natura ci debba costringere
a compianger le azioni
per le quali ci siamo più ostinati.

MECENATE - In lui meriti e colpe s’eguagliavano.
Mai fu natura d’uomo
guidata da uno spirito più nobile,
ma voi, o dèi, per far di noi degli uomini
volete sempre che sia infuso in noi
qualche difetto. Cesare è commosso.

AGRIPPA - Con un sì vasto specchio avanti agli occhi,
deve per forza scorgervi se stesso.

OTTAVIO - Oh, Antonio! Io t’ho trascinato a questo!
Ma noi curiamo con un taglio netto
le malattie del corpo.
O avrei dovuto mostrar io a te
lo spettacolo d’un simile tramonto,
o avrei dovuto io vedere il tuo.
Non potevamo, in due, sedere insieme
come padroni dell’intero mondo.
Ma ch’io ti pianga con sovrane lacrime
come il sangue d’entrambi i nostri cuori,
fratello mio, mio emulo al comando
delle più grandi e più gloriose imprese,
mio pari nel governo dell’impero,
mio sodale compagno d’ogni fronte,
tu, braccio destro del mio corpo e cuore
dentro il quale nutriva i suoi pensieri
questo mio stesso cuore… Lascia, Antonio,
ch’io m’addolori l’anima al pensiero
che le nostre due stelle inconciliabili
possano avere scisso in questo modo
la nostra parità.
Cari amici, ora statemi a sentire…

Entra un EGIZIANO

… ma a miglior agio: il viso di quest’uomo
mi mostra che ha da dirmi qualche cosa
di molto urgente. Udiamo quel che dice.

(All’Egiziano)
Di dove sei?

EGIZIANO - Un povero Egiziano.( )
La regina Cleopatra, mia padrona,
ora rinchiusa nel suo mausoleo,
ch’è tutto quel che ancora le rimane,
vuol conoscere i tuoi intendimenti,
per prepararsi al genere di vita
a cui sarà costretta.

OTTAVIO - Dille di stare d’animo tranquillo.
Presto saprà, da qualcuno dei nostri,
quanto sia ben disposto e riguardoso
l’animo nostro per la sua persona.
Perché esser vivo ed essere scortese
non è da Cesare.

EGIZIANO - Gli dèi t’assistano.

(Esce)

OTTAVIO - Vieni qua, Proculeio: va’ da lei
e dille che non è nostra intenzione
di riservarle alcuna umiliazione;
anzi, cerca di offrirle quei conforti
che richieda il suo stato emozionale,
ch’ella non abbia, con quel suo grande animo,
a indursi a qualche gesto disperato,
e aver ragione di noi, uccidendosi:
perché lei viva, a Roma,
darebbe eterno lustro al mio trionfo.
Va’, e più presto che puoi fammi sapere
quello che dice e come l’hai trovata.

PROCULEIO - Vado, Cesare.

(Esce)

OTTAVIO - Vagli dietro, Gallo.

(Esce Gallo)

Dolabella dov’è? Vada anche lui
insieme a Proculeio.

TUTTI - Dolabella!

OTTAVIO - No, Dolabella lasciatelo stare.
Ora ricordo: sta impegnato altrove.
Sarà pronto a suo tempo.
Venite, andiamo tutti alla mia tenda:
voglio mostrarvi con che riluttanza
io sono stato tratto a questa guerra,
con quanta calma e quanta gentilezza
mi son sempre tenuto con Antonio
in tutti i miei rapporti epistolari.
Venite, è bene che lo constatiate.

(Escono)



SCENA II - Alessandria. Il mausoleo dei Tolomei


Entrano CLEOPATRA, CARMIANA e IRAS

CLEOPATRA - La mia desolazione
comincia a darsi un poco di sollievo.
Esser Cesare è niente:
poiché non è la Fortuna in persona,
altro non è che un suo vile scagnozzo,
un ministro della sua volontà.
Grande cosa è, per contro,
compiere il gesto che d’un colpo solo,
pon fine a tutto, blocca con i ceppi
lo scorrer degli eventi,
sbarra la porta ad ogni cambiamento,
ci addormenta per sempre,
e ci vieta d’assaporar più oltre
quel letame( ) che nutre nel contempo
il mendicante e Cesare.

Entrano, dalla parte del piano inferiore, PROCULEIO, GALLO e soldati romani

PROCULEIO - Cesare, a nostro mezzo,
saluta la regina dell’Egitto,
e la invita a volergli formulare
ogni giusta richiesta
ch’ella voglia vedere soddisfatta.

CLEOPATRA - Il tuo nome?

PROCULEIO - Mi chiamo Proculeio.

CLEOPATRA - Di te mi parlò Antonio,
e mi disse d’aver fiducia in te;
ma ormai non m’interessa poi gran che
d’essere o no ingannata da qualcuno,
ché l’altrui fedeltà più non mi serve.
Se il tuo padrone vuole una regina
come sua mendicante,
devi avvertirlo che la maestà,
se deve mantenere il suo decoro,
non gli può mendicar meno d’un regno.
E se gli piaccia darmi, per mio figlio,
il conquistato Egitto,
di ciò ch’è mio m’avrà donato tanto,
da far ch’io m’inginocchi a ringraziarlo.

PROCULEIO - Devi stare tranquilla:
tu sei caduta in mani principesche.
Non temere, ma esprimi in libertà
tutte le tue richieste al mio signore.
Egli è stracolmo di tanta clemenza,
che trabocca da lui come da un vaso,
riversandosi su chi ne abbisogna.
Sarà bastante ch’io gli riferisca
della tua docile sottomissione,
perché tu trovi in lui un vincitore
che ti chiederà aiuto
a dimostrarsi quanto più magnanimo,
quando tu ti prostrassi avanti a lui
in ginocchio, per chiederne le grazie.

CLEOPATRA - Digli, ti prego, ch’io sono vassalla
delle fortune sue, che gli do atto
della grandezza da lui conquistata.
Per me, io vo imparando d’ora in ora
una filosofia dell’obbedienza,
e sarei lieta di guardarlo in faccia.

PROCULEIO - Glielo riferirò, cara signora.
Ti conforti sapere che il tuo stato
è compianto da chi ne fu cagione.

GALLO - Vedi ora com’è facile sorprenderla.

(A questo punto Proculeio e due guardie salgono con una scala a pioli sul piano superiore, appoggiando la scala a una finestra e, discesi nel vano, si trovano alle spalle di Cleopatra. Le guardie tolgono alla porta le sbarre e la aprono)

Custoditela finché giunga Cesare.

IRAS - Oh, regale maestà!

CARMIANA - Oh, Cleopatra!
O mia regina, t’hanno catturata!

CLEOPATRA - (Estraendo un pugnale)
Presto, mie buone mani! Presto, presto!

PROCULEIO - (L’afferra e la disarma)
Ferma, degna signora, ferma, ferma!
Non recare a te stessa tale offesa!
Tu sei qui liberata, non tradita!

CLEOPATRA - Ah, mi si priva pure della morte,
che libera dal male pure i cani?

PROCULEIO - Regina Cleopatra, non offendere
la generosità del mio padrone
col sopprimer te stessa.
Che il mondo veda la sua nobiltà
ben messa in opera, che la tua morte
non gli darebbe modo di mostrare.

CLEOPATRA - Morte, dove sei tu? Perché non vieni?
Oh, vieni, morte, vieni!
Vieni, e portati via una regina
che vale molti bimbi e mendicanti!( )

PROCULEIO - Calmati, mia signora.

CLEOPATRA - Proculeio, io non prenderò più cibo,
più non berrò - se val, per una volta
un ozioso parlare come questo -
né dormirò. Questa mortal dimora
la manderò in rovina,
Cesare faccia pure ciò che vuole;
ma sappi, Proculeio,
ch’io mai comparirò stretta in catene
alla corte del vostro imperatore,
né soffrirò di vedermi insultata
dal casto sguardo della fredda Ottavia.
E che! Dovrei lasciarmi forse esporre
allo scherno della plebaglia urlante
di una Roma bigotta?… Meglio un fosso,
che mi sia tomba pietosa in Egitto!
Meglio giacermi nuda
nella melma del Nilo, e le zanzare
a gonfiare coi morsi il mio cadavere
fino a ridurlo ad una massa informe.
Fate piuttosto dell’alte piramidi
del mio paese il palco di mia forca,
e impiccatemi là!

PROCULEIO - Tu spingi i tuoi propositi d’orrore
al di là di che possa tu trovare
motivo d’essi in Cesare.

Entra DOLABELLA

DOLABELLA - Proculeio, di tutto quel che hai fatto
il tuo signore Cesare è informato,
e ha chiesto di vederti. La regina
la prendo io sotto la mia custodia.

PROCULEIO - D’accordo; meglio per me, Dolabella.
Sii gentile con lei.

(A Cleopatra)
Se vuoi servirti dei miei buoni uffici,
dirò a Cesare quello che desideri.

CLEOPATRA - Desidero morire: digli questo.

(Escono Proculeio e le guardie)

DOLABELLA - Nobile imperatrice,( )
sentisti mai parlar di me?

CLEOPATRA - Non so.

DOLABELLA - Eppure mi conosci. Certamente.

CLEOPATRA - Oh, di quello ch’io possa avere udito
o conosciuto, non m’importa niente.
Voi ridete a sentirvi raccontare
da ragazzi o da donne i loro sogni;
non è così?

DOLABELLA - Non capisco, signora.

CLEOPATRA - Che ci fosse un imperatore Antonio
io l’ho sognato… Oh, poter fare ancora
un sogno come quello!
Vedere ancora un uomo come quello!

DOLABELLA - Se ti piaccia, signora…

CLEOPATRA - … La sua faccia
era un cielo dal quale sole e luna
illuminavano, nel loro corso,
questa picciola “O”, la nostra terra.

DOLABELLA - Grandissima sovrana…

CLEOPATRA - … Le sue gambe
stavano a cavalcioni sull’oceano,
ed il suo braccio, sollevato in alto,
come un cimiero sovrastava il mondo;
se parlava agli amici, la sua voce
s’intonava nel modo più armonioso
con l’armonia delle celesti sfere;( )
ma se voleva sgomentare il mondo
e squassarlo, era un tuono fragoroso.
La generosità di quel suo cuore
non conosceva inverno: era un autunno
che diveniva sempre più ferace
col mieter dei raccolti;
i suoi piaceri eran come i delfini:
mostravano scoperto il loro dorso
sull’elemento nel quale vivevano;
camminavano con la sua livrea
corone grandi e piccole;( )
e regni ed isole eran come spiccioli
cadutigli di tasca…

DOLABELLA - Cleopatra…

CLEOPATRA - Credi tu che sia mai venuto al mondo
e possa mai venirci un uomo simile
a quello che ho sognato?

DOLABELLA - No, signora.

CLEOPATRA - Non mentire all’orecchio degli dèi!
Ma se un tal uomo c’è, o c’è mai stato,
esso è al di là dei confini del sogno.
Alla natura manca il materiale
per gareggiare con la fantasia
quanto a creare forme straordinarie;
e tuttavia se appena la Natura
potesse fabbricare un Marcantonio,
questo sarebbe un tal capolavoro
da superar qualsiasi fantasia,
e screditarne del tutto le forme.

DOLABELLA - Buona signora, ascolta:
la tua perdita è grande come te;
e tu sai sopportarla
con forza eguale a quella del suo peso.
Ch’io non raggiunga mai nella mia vita
un successo agognato,
se non è vero che, per tuo riflesso,
sono pervaso da un dolore immenso,
che mi penetra il cuore alla radice.

CLEOPATRA - Ti ringrazio. Ma dimmi: sei informato
di quel che Cesare vuol far di me?

DOLABELLA - Ho ripugnanza a dirtelo;
vorrei tanto che tu già lo sapessi.

CLEOPATRA - Oh, dimmelo, ti prego.

DOLABELLA - Malgrado quella sua nobiltà d’animo…

CLEOPATRA - Vuol trascinarmi dietro il suo trionfo?

DOLABELLA - Sì, signora. Lo vuole. Così so.

Squillo di tromba e grida, da dentro:
“Largo, largo a Cesare!”

Entrano OTTAVIO CESARE, GALLO, PROCULEIO, MECENATE, SELEUCO e altri

OTTAVIO - Chi è, tra voi, la regina d’Egitto?

DOLABELLA - (A Cleopatra)
È Cesare, signora.

(Cleopatra gli va innanzi e s’inginocchia)

OTTAVIO - Alzati. Tu non devi inginocchiarti.
Alzati, Egitto! Alzati, ti prego.

CLEOPATRA - Signore, così vogliono gli dèi:
io ti debbo obbedienza,
in quanto mio signore e mio padrone.

OTTAVIO - Scaccia i mali pensieri.
Le perdite che tu ci hai cagionato
quantunque scritte sulla nostra carne,
vogliamo solamente ricordarle
come frutto di cause accidentali.

CLEOPATRA - O signore del mondo, unico e solo,
non posso prospettarti la mia causa
sì da farla apparire incensurabile:
non posso dire d’esser stata scevra
di quelle debolezze che in passato
han recato vergogna al nostro sesso.

OTTAVIO - Sappi, Cleopatra, ch’è nel nostro animo
la clemenza piuttosto che l’asprezza.
Se ti conformerai ai nostri intenti,
che son nei tuoi riguardi assai benevoli,
in questo mutamento del tuo stato
potrai trovare un beneficio certo;
ma se, seguendo l’esempio di Antonio,
tu t’adoprassi a gettar su di me
la fama d’uomo crudele e spietato,
ti priverai con le tue stesse mani
del vantaggio dei miei buoni propositi,
esponendo i tuoi figli alla rovina,
da cui io stesso li preserverò
se mi farai fiducia.
Ora ti lascio, Cleopatra.

CLEOPATRA - E puoi farlo,
perché tu puoi andare a tuo talento
per tutto il mondo: è tuo;
noi, spoglie e insegne della tua conquista,
staremo appesi là dove a te piaccia.
Ecco, mio buon signore…
(Dandogli un foglio)

OTTAVIO - Per tutto quanto riguarda Cleopatra,
sarai tu stessa la mia consigliera.

CLEOPATRA - Questa è la nota dell’argenteria,
dei denari e dell’oro che possiedo.
Essa è completa, tolta qualche inezia.
Dov’è Seleuco?

SELEUCO - Sono qui, signora.

CLEOPATRA - Questi è il mio tesoriere:
dica lui, a suo rischio, mio signore,
se ho trattenuto qualcosa per me.
Seleuco, avanti, di’ se non è vero.

SELEUCO - Vorrei piuttosto cucirmi le labbra,
che dichiarare il falso, mia signora,
con mio rischio.

CLEOPATRA - Che cosa ho trattenuto?

SELEUCO - Quanto basta per ricomprare tutto
quello ch’hai dichiarato nella nota.

OTTAVIO - Non arrossir, Cleopatra: il tuo criterio
nel fare quel che hai fatto ha il mio consenso.

CLEOPATRA - Però, guarda tu, Cesare,
come gli uomini seguono la pompa.
I miei seguaci saranno ora i tuoi,
e se noi ci scambiassimo le sorti,
diventerebbero di nuovo miei.
L’ingratitudine di questo servo,
mi fa matta di rabbia… Ah, miserabile!
Ah, schiavo, non più degno di fiducia
dell’amor che si paga!… E che! Indietreggi?
Indietro, sì, ci andrai, puoi star sicuro!
Ma ti strapperò gli occhi, schiavo infame,
avessero pur l’ali!
Schiavo senz’anima, villano, cane!
O fior di luridume!

OTTAVIO - Buona regina, ti prego…

CLEOPATRA - Ah, Cesare,
che dolorosa vergogna è mai questa,
che mentre tu ti degni di venire
da me, ad onorare di persona,
con la tua signoria,
un’umil sottomessa quale io sono,
uno della mia stessa servitù
debba accrescere con la sua perfidia
la somma delle tante mie sventure.
Diciamo pure, Cesare magnanimo,
ch’io mi sia riserbata per me stessa
qualche futile ninnolo da donna,
gingilli, cose di nessun valore,
da regalare ai più comuni amici;
ed ammettiamo ch’abbia riservato
qualche oggettino di più raro pregio,
per Livia( ) o per Ottavia, con lo scopo
di conquistarmi la lor mediazione…
e debbo ora vedermi denunciata
da uno che ho nutrito io stessa?… O dèi!
Questo mi fa cadere ancor più in basso
di dove son caduta!…

(A Seleuco)
Via di qua!
O ti farò vedere ancora ardenti
sotto le ceneri della sfortuna
i tizzi del mio animo!…
Fossi tu stato un uomo, un uomo vero,
avresti avuto almeno compassione
del mio stato.

OTTAVIO - Ritirati, Seleuco.

(Esce Seleuco)

CLEOPATRA - Sappia il mondo che noi, grandi tra i grandi,
veniamo spesso giudicati male
per cose di cui gli altri sono autori,
e se cadiamo per le colpe altrui
ne dobbiamo risponder di persona.
E siamo dunque da commiserare.

OTTAVIO - Cleopatra, nel registro del bottino
di questa guerra non abbiamo incluso
né ciò che hai trattenuto per te stessa,
né quanto hai dichiarato nella nota;
che tutto resti di tua pertinenza,
e disponine pure a tuo talento.
Non prender Cesare per un mercante
uso a star lì a discutere sul prezzo
di cose da mercanti.
Cerca di stare d’animo sereno,
non farti un carcere dei tuoi pensieri,
perché, cara regina, il nostro intento
è di disporre della tua persona
secondo che tu stessa ci consigli.
Ora devi nutrirti e riposare.
Tanta è la nostra cura e la pietà
verso di te, che ti restiamo amici.
E così, addio.

CLEOPATRA - Signore e mio padrone!

OTTAVIO - Non chiamarmi così. Sta’ bene. Addio.

(Squillo di tromba - Esce Ottavio Cesare col seguito)

CLEOPATRA - Son tutte chiacchiere, le sue, ragazze,
son solo chiacchiere ch’egli mi fa,
per tema ch’io nobiliti me stessa…
Ma ascoltami, Carmiana…

(Sussurra qualcosa all’orecchio di Carmiana)

IRAS - Facciamola finita, mia signora:
la giornata radiosa è tramontata,
e ci attende la tenebra.

CLEOPATRA - (A Carmiana)
Fa’ presto:
ho già parlato e tutto predisposto.
Va’, va’ a sollecitare.

CARMIANA - Sì, signora.

Rientra DOLABELLA, incontrando Carmiana che esce

DOLABELLA - La regina dov’è?

CARMIANA - Davanti a te, signore.

(Esce)

CLEOPATRA - Dolabella!

DOLABELLA - Come t’avevo fatto giuramento,
signora, ed obbediente al tuo comando
- cui l’amore mi fa sacro dovere
di obbedire - ti do questa notizia:
Cesare intende far ritorno a Roma
attraverso la Siria; entro tre giorni
manderà innanzi te con i tuoi figli.
Fa’ di questa notizia il miglior uso:
io ho tenuto fede alla promessa
ed al tuo gradimento.

CLEOPATRA - Dolabella, ti resto debitrice.

DOLABELLA - Servo tuo, buona regina. Addio.
Torno da Cesare.

CLEOPATRA - Addio e grazie.

(Esce Dolabella)

Ebbene Iras, che cosa ne pensi?
Tu, come una pupattola egiziana,
sarai mostrata per le vie di Roma,
come lo sarò io: vili artigiani
dai grembiuli bisunti, e con in mano
martelli, regoli ed altri arnesi
ci leveranno sulle loro braccia
alla vista di tutti;
saremo avvolte dai lor grevi fiati
irranciditi da cibi volgari,
costrette a respirare il loro lezzo!

IRAS - Ne scampi il cielo!

CLEOPATRA - È più che certo, Iras!
Littori screanzati
ci abbrancheranno come prostitute
e rognosi poetastri cantastorie
comporranno su noi lubrici versi;
e i lesti commedianti, improvvisando,
ci rappresenteranno sulla scena,
noi e i nostri festini di Alessandria,
raffigurando Antonio
nelle vesti d’un grande ubriacone,
e io dovrò vedere un ragazzetto( )
nei panni miei, nei panni di Cleopatra,
divertirsi a squittir la mia grandezza,
dandosi atteggiamenti di puttana.

IRAS - O bontà degli dèi!

CLEOPATRA - Sì, sì, è sicuro!

IRAS - Io non lo vedrò mai! Sono sicura
che l’unghie mie son forti più degli occhi.

CLEOPATRA - Brava. Questa è la via
per cui sottrarsi ai lor preparativi,
e vincerla sui loro assurdi piani.

Rientra CARMIANA

Ebbene, su, Carmiana, donne mie,
abbigliatemi adesso da regina,
cercatemi di là
le mie vesti più belle e più sontuose,
ch’io m’imbarco di nuovo verso Cidno( )
ad incontrare Antonio.
Va’, cara Iras - nobile Carmiana,
questa volta davvero la finiamo! -
e adempiuto che avrai questo servizio
avrai da me licenza di giocare
fino al dì del Giudizio.
Portami la corona e tutto il resto.

(Esce Iras - Rumori di dentro)

Che son questi rumori là di fuori?

Entra una GUARDIA

GUARDIA - C’è qui un contadino
che insiste per voler essere ammesso
alla presenza della tua maestà.
Porta dei fichi.

CLEOPATRA - Lascialo passare.

(Esce la Guardia)

Quale mezzo meschino
può mai servire ad un nobile gesto!…
Costui mi porta la liberazione!
Ora la mia risoluzione è presa:
non c’è più nulla in me di femminile.
Son salda come marmo: il mio pianeta
non è più adesso l’incostante luna.

Rientra la GUARDIA introducendo un CONTADINO( )

GUARDIA - Ecco l’uomo.

CLEOPATRA - Va’, lasciami con lui.

(Esce la Guardia)

Ce l’hai là dentro il vermetto del Nilo
che uccide senza darti alcuna pena?

CONTADINO - Sì, in coscienza, l’ho qui; ma non vorrei
essere io a dirti di toccarlo,
ché il suo morso è immortale,( ) e chi ne muore
ben di rado guarisce, oppure mai.

CLEOPATRA - Ti ricordi di alcuno che ne è morto?

CONTADINO - Eh, sì, di tanti: uomini e anche donne.
Non più tardi di ieri
ho udito di una femmina onestissima,
anche se un po’ portata alla bugia( )
- cosa che donna non dovrebbe fare
se non per protezione del suo onore -
e come è morta appunto di quel morso,
e di tutto il dolore che ha provato.
Veramente, del verme, quella là
ne parla bene: ma vatti a fidare
di tutto quel che dicono le donne:
non scamperesti manco alla metà
dei guai che son capaci di crearti:
ma quel ch’è più fallibile è che il verme
è certamente un curioso vermetto.

CLEOPATRA - Bene, va’ pure. Addio.

CONTADINO - T’auguro molta gioia col vermetto.

(Posa in terra il cesto)

CLEOPATRA - Statti bene.

CONTADINO - Il vermetto, bada bene,
farà quel che gli viene naturale.

CLEOPATRA - Sì, sì, va’ pure adesso.

CONTADINO - Bada che il verme non dev’esser dato
se non in mano a gente di giudizio;
perché, evidentemente, nel vermetto
non c’è bontà.

CLEOPATRA - Non ti preoccupare.
Se ne avrà buona cura.

CONTADINO - Molto bene.
Non devi dargli nulla da mangiare,
perché non vale quello che si mangia.

CLEOPATRA - Mangerà me?

CONTADINO - Non devi mica credere
ch’io sia tanto babbeo da non sapere
che manco il diavolo si può mangiare
una donna; però, lo so, una donna,
è un piatto per gli dèi,
se non se la cucina prima il diavolo.
Fatto è che questi figli di puttana,
i diavoli, trattandosi di donne,
con gli dèi sono molto dispettosi:
su dieci, che gli dèi mettono al mondo,
te ne riescono a guastare cinque.

CLEOPATRA - Bene. Ma adesso vattene. Sta’ bene.

CONTADINO - Eh, sì, in coscienza, adesso me ne vado.
T’auguro di gioire col vermetto.

(Esce)

Rientra IRAS recando manto regale,
corona e altri ornamenti

CLEOPATRA - Iras, dammi il mio manto
e ponimi sul capo la corona.
Sono bramosa d’immortalità.( )
Queste labbra non saran più bagnate
dal dolce succo dell’uve d’Egitto.
Svelta, Iras, mia cara, va’ più in fretta.
Mi par d’udire la voce di Antonio
che mi chiama: lo vedo alzarsi in piedi
ad elogiare il mio nobile gesto,
e beffeggiar la fortuna di Cesare,
che è cosa che gli dèi dànno ai mortali
a scusa della lor futura collera.
Vengo da te, mio sposo: ad un tal nome
mi dia titolo adesso il mio coraggio.( )
Son tutta fuoco ed aria:
gli altri elementi della mia materia( )
li lascio ad una vita meno degna.
Donne, avete finito?
Venite a sugger l’ultimo calore
delle mie labbra. Addio, dolce Carmiana…
E a te, Iras, un lungo, lungo addio…

(La bacia - Iras cade e muore)

Che succede! Tu cadi?…
Non avrò mica l’aspide alle labbra?
Se con tanta dolcezza ti separi
dalla natura tua mortale, Iras,
significa che il tocco della morte
è come il pizzicotto d’un amante,
che duole, ma è pur sempre bene accetto.
Te ne stai lì a giacere, fredda, immobile?
Se te ne vai così, tu dici al mondo
ch’esso è perfino indegno d’un addio.

CARMIANA - Sciogliti, densa nube, e fatti pioggia,
ch’io possa dir che gli dèi stessi piangono.

CLEOPATRA - Questa morte mi fa passar per vile:
s’ella incontra per prima
il riccioluto Antonio, questi allora
rivolgendosi a lei le darà un bacio,
quel bacio che per me è il paradiso.

(Si applica al seno un aspide)

Vieni, vieni, mortifera creatura:
sciogli di colpo, coi tuoi denti aguzzi,
l’aggrovigliato nodo di mia vita.
Povero velenoso stupidello,
accanisciti, sbrigati a spacciarmi!
Oh, se potessi tu parlare, ed io
sentir da te chiamare il grande Cesare
un povero asinello sprovveduto!

CARMIANA - O mia stella d’oriente!

CLEOPATRA - Zitta! Zitta!
Non lo vedi il mio bimbo sul mio seno
che succhia fino ad asciugar la balia?

CARMIANA - Oh, basta, basta!

CLEOPATRA - Dolce come balsamo,
leggero come l’aria, delicato…
Oh, Antonio!…

(Si applica un altro aspide al braccio)

Bene, via, prendo anche te!
Perché dovrei restare…

(Muore)

CARMIANA - … In questo basso mondo! E così, addio!
Ora vàntati, o morte, in tuo possesso
tu hai una ragazza ineguagliabile.
Chiudetevi, finestre vellutate,
ed occhi sì regali
più non ti guardino, dorato Febo!
La tua corona è storta… La raddrizzo,
e poi potrò giocare…( )

Entrano di corsa DUE GUARDIE

PRIMA GUARDIA - La regina dov’è?

CARMIANA - Parlate piano,
non la svegliate.

PRIMA GUARDIA - Cesare ha mandato…

CARMIANA - Un messo troppo lento…

(Prende un aspide dal cesto e se lo applica al petto)
Oh, vieni, sbrìgati, ti sento appena…

PRIMA GUARDIA - (All’altra guardia)
Vieni a vedere, oh!…
Qui qualcosa non va: fottuto Cesare.

SECONDA GUARDIA - C’è Dolabella mandato da Cesare
in qualche parte; chiamalo.

PRIMA GUARDIA - Che diavolo succede qui, Carmiana?
Ti sembra questa una cosa ben fatta?

CARMIANA - Ben fatta e degna d’una principessa
da tanti re discesa… Ah, soldato!

(Muore)

Rientra DOLABELLA, vede le tre donne morte

DOLABELLA - E qui? Cos’è successo?

SECONDO SOLDATO - Tutte morte.

DOLABELLA - Quel che pensavi, Cesare, è successo:
tu stesso stai venendo
a veder consumato l’atto atroce
che avevi tanto voluto impedire.

(Da dentro grida di: “Largo! Largo a Cesare”)

Rientra OTTAVIO CESARE con seguito

DOLABELLA - Sei stato buon profeta, mio signore:
quello per cui temevi tanto, è fatto.

OTTAVIO - Fino all’ultimo intrepida,
costei ha còlto le nostre intenzioni,
e da regina ha scelto la sua strada.
Ma come sono morte?… Non c’è sangue.

DOLABELLA - (Alle Guardie)
Chi le ha viste per ultimo, tra voi?

1° GUARDIA - Tutto quello che ho visto
è stato un contadino sempliciotto,
che le portò dei fichi. Ecco il suo cesto.

OTTAVIO - Avvelenate, dunque?

1° GUARDIA - Questa Carmiana, Cesare, era viva
ancora poco fa; viva ed in piedi,
e parlava. L’ho vista che aggiustava
il diadema sul capo alla padrona,
già morta. Stava in piedi, tutta un tremito,
e d’un tratto è caduta anch’essa a terra.

OTTAVIO - Nobile mancamento!
Ma se avessero preso del veleno
lo si vedrebbe da un gonfiore esterno;
Cleopatra sembra invece addormentata,
quasi a voler captare un altro Antonio
nella rete tenace dei suoi vezzi.

DOLABELLA - Qui, sul petto, però, c’è un puntolino
rosso di sangue, e un segno di gonfiore.
E lo stesso sul braccio.

1° GUARDIA - Allora è un aspide;
e questa è senza dubbio la sua traccia;
e queste foglie di fico anche loro
sono tutte coperte da una bava
simile a quella lasciata dagli aspidi
negli anfratti del Nilo.

OTTAVIO - Che sia morta così è assai probabile,
perché il suo medico m’ha riferito
che ha fatto esperimenti a non finire
sul miglior modo di potersi dare
una morte sollecita e indolore.
Deponete il suo corpo sul suo letto
e trasportate quelli delle ancelle
fuori del mausoleo.
Sarà sepolta accanto al suo Antonio:
tomba non chiuderà più illustre coppia.
Grandiosi accadimenti come questi
non possono mancare di attristare
anche quelli che li hanno provocati;
e tanto più pietoso è il loro caso
quanto è grande la gloria di colui
che li ha portati ad essere compianti.
Il nostro esercito prenderà parte
in solenne parata a queste esequie…
E poi a Roma!… Dolabella, tu,
attenderai a tutto quel che occorra
per far più degna questa cerimonia.

(Escono)




FINE