DONATIEN ALPHONSE FRANÇOIS
DETTO IL

MARCHESE DE SADE


LA FILOSOFIA NEL BOUDOIR
LA PHILOSOPHIE DANS LE BOUDOIR

TESTO INTEGRALE


LA RELIGIONE

I COSTUMI

FRANCESI, ANCORA UNO SFORZOSE
VOLETE ESSERE REPUBBLICANI

LA RELIGIONE

Io vengo a offrire grandi idee: le si ascolterà, le si mediterà, se non tutte piaceranno, almeno ne resterà qualcuna e io avrò contribuito in qualcosa al progresso dei lumi e ne sarò contento. Non lo nascondo affatto, è con sofferenza che vedo la lentezza con cui ci sforziamo di arrivare allo scopo, è con inquietudine che sento che stiamo per mancarlo ancora una volta. Si crede forse che questo scopo sarà raggiunto quando ci saranno state date delle leggi? Non illudiamoci. Che ce ne faremmo, senza una religione? Abbiamo bisogno di un culto e di un culto fatto per il carattere di un repubblicano, che non può certo riprendere quello di Roma. In un secolo in cui siamo tanto convinti che la religione debba poggiare sulla morale e non la morale sulla religione, ci vuole una religione che guardi ai costumi, che ne sia come lo sviluppo, come il seguito necessario, e che possa, elevando l'anima, tenerla perpetuamente all'altezza di quella libertà preziosa di cui oggi essa fa il suo unico idolo. Ora, io domando se si può pensare che quella di uno schiavo di Tito, quella di un vile istrione di Giudea, possa convenire a una nazione libera e guerriera che si è appena rigenerata? No, miei compatrioti, no, non lo credete. Se, disgraziatamente per lui, il francese si seppellisse ancora nelle tenebre del cristianesimo, da una parte l'orgoglio, la tirannia, il dispotismo dei preti, visi sempre risorgenti in quest'orda impura, dall'altra la bassezza, le vedute anguste, la meschinità dei dogmi di questa indegna e fantastica religione, smussando la fierezza dell'anima repubblicana, la ricondurrebbero ben presto sotto il giogo che la sua energia ha appena infranto.
Non dimentichiamo che questa puerile religione era una delle armi migliori nelle mani dei nostri tiranni: uno dei suoi primi dogmi era di ‘rendere a Cesare ciò che appartiene a Cesare’; ma noi abbiamo detronizzato Cesare e non vogliamo più dovergli nulla. Francesi, invano vi illudereste che lo spirito di un clero giurato non sia più quello di un clero refrattario; ci sono vizi di Stato da cui non ci si corregge mai. In meno di dieci anni, per mezzo della religione cristiana, della sua superstizione, dei suoi pregiudizi, i vostri preti, malgrado il loro giuramento, malgrado la loro povertà, riprenderebbero sulle anime il potere che avevano occupato con la forza, vi incatenerebbero di nuovo a dei re, perché la potenza degli uni è sempre stata quella degli altri e il vostro edificio repubblicano crollerebbe per mancanza di basi.
O voi che avete messo mano alla falce, inferite l'ultimo colpo all'albero della superstizione, non accontentatevi di sfoltirne i rami: sradicate interamente una pianta dagli effetti così contagiosi. Siate certi che il vostro sistema di libertà e di uguaglianza contrasta troppo apertamente i ministri degli altari del Cristo perché ce ne sia mai uno solo, o che l'adotti in buona fede o che non cerchi di scuoterlo, se appena arriva a riprendere anche un minimo di potere sulle coscienze. Quale sarà il prete che, paragonando lo stato cui lo si è ridotto con quello di cui godeva prima, non farà tutto ciò che dipenderà da lui per ricuperare e la baldanza e l'autorità che gli si è fatta perdere? E quali esseri deboli e pusillanimi ridiventeranno in breve tempo gli schiavi di quell'ambizioso tonsurato! Perché mai non pensiamo che gli inconvenienti che sono esistiti un tempo possono ancora risorgere? Nell'infanzia della Chiesa cristiana, i preti non erano forse quel che sono oggi? Vedete bene dove erano arrivati: e chi, dunque, li aveva condotti a quel punto? Non erano stati i mezzi che forniva loro la religione? Ebbene, se non la proibirete assolutamente, quella religione, coloro che la predicano, disponendo sempre degli stessi mezzi, arriveranno presto al medesimo punto.
Annientate dunque per sempre tutto ciò che un giorno potrà distruggere la vostra opera. Pensate che, poiché il frutto del vostro lavoro non è riservato che ai vostri nipoti, fa parte del vostro dovere, della vostra probità, di non lasciar loro nessuno dei germi pericolosi che potrebbero farli ripiombare nel caos da cui noi siamo usciti con tanta difficoltà. Già i nostri pregiudizi si dissolvono, già il popolo abiura le assurdità cattoliche, ha già soppresso i templi, ha abbattuto gli idoli, ha convenuto che il matrimonio non è più che un atto civile, i confessionali demoliti servono a riscaldare le sale pubbliche, i pretesi fedeli, disertando il banchetto apostolico, lasciano gli dèi di farina ai topi. Francesi, non fermatevi: l'Europa intera, una mano già sulla benda che abbacina i suoi occhi, attende da voi lo sforzo che deve strapparla dalla sua fronte. Affrettatevi: non lasciate a Roma la santa, che si agita in tutte le direzioni per reprimere la vostra energia, il tempo di conservarsi forse ancora qualche proselito. Colpite senza riguardo la sua testa altera e fremente e prima che passino due mesi l'albero della libertà, stendendo la sua ombra sui resti della cattedra di san Pietro, copra col peso dei suoi rami vittoriosi tutti gli spregevoli idoli del cristianesimo, sfrontatamente innalzati sulle ceneri dei Catoni e dei Bruti.
Francesi, ve lo ripeto, l'Europa attende da voi di essere a un tempo liberata dallo scettro e dall'incensiere. Pensate che vi è impossibile affrancarla dalla tirannia reale senza farle nello stesso tempo rompere i freni della superstizione religiosa: i lacci dell'una sono troppo intimamente uniti a quelli dell'altra perché lasciandone sussistere una parte non ricadiate ben presto sotto il dominio di quella che avrete trascurato di dissolvere. Non è più ai piedi di un essere immaginario né a quelli di un vile impostore che un repubblicano deve piegarsi: i suoi unici dèi devono essere ora il coraggio e la libertà. Roma scomparve da che il cristianesimo vi fu predicato e la Francia è perduta se esso vi riscuote ancora rispetto.
Si esaminino con attenzione i dogmi assurdi, i misteri spaventosi, le cerimonie mostruose, la morale impossibile di questa disgustosa religione e si vedrà se può essere adatta a una repubblica. Potete credere in buona fede che io mi lascerei dominare dall'opinione di un uomo che avessi visto ai piedi dell'imbecille prete di Gesù? No, no di certo! Quell'uomo, che non può essere che vile, rimarrà sempre legato, per la bassezza delle sue vedute, alle atrocità dell'antico regime e, se ha potuto sottomettersi alle stupidità di una religione volgare come quella che avevamo la follia di ammettere, non può più dettarmi leggi né trasmettermi lumi: io non lo vedo più che come uno schiavo dei pregiudizi e della superstizione.
Gettiamo lo sguardo, per convincerci di questa verità, su quei pochi ancora succubi del culto insensato dei nostri padri, vedremo se non sono tutti nemici irriducibili del sistema attuale, vedremo se non è con loro che è formata per intero la casta, così giustamente disprezzata, dei realisti e degli aristocratici. Che lo schiavo di un brigante coronato si abbassi, se lo vuole, ai piedi di un idolo di farina, un oggetto del genere è fatto per la sua anima di fango; chi può servire dei re deve adorare degli dèi! Ma noi, francesi, ma noi, compatrioti, noi, strisciare ancora umilmente sotto un giogo così spregevole? meglio morire mille volte che sottomettercisi di nuovo! Se crediamo necessario un culto, imitiamo quello dei romani: le azioni, le passioni, gli eroi, ecco oggetti degni di rispetto. Siffatti idoli elevavano l'anima, la elettrizzavano, meglio ancora, le comunicavano le virtù dell'essere venerato. L'adoratore di Minerva voleva essere prudente. Il coraggio era nel cuore di chi veniva visto ai piedi di Marte. Non un solo dio di questi grandi uomini era privo di energia, tutti trasmettevano il fuoco di cui erano essi stessi infiammati nell'anima di chi li venerava e, nella speranza di essere a propria volta adorati un giorno, si aspirava a diventare grandi almeno come colui che si prendeva a modello. Ma che cosa troviamo al contrario nei falsi dèi del cristianesimo? Che cosa vi offre, io domando, questa religione imbecille? [Se si esamina attentamente questa religione, si troverà che le empietà di cui è piena provengono in parte dalla ferocia e dalla ingenuità degli ebrei e in parte dall'indifferenza e dalla confusione dei gentili; invece di far proprio ciò che i popoli dell'antichità potevano avere di buono, i cristiani sembrano non aver formato la loro religione che con la mescolanza dei vizi incontrati ovunque.] Il vile impostore di Nazareth vi fa forse nascere qualche grande idea? La sua sporca e disgustosa madre, l'impudica Maria, vi ispira forse qualche virtù? E trovate forse nei santi di cui è guarnito il suo Elisio qualche modello di grandezza o di eroismo o di virtù? così vero che questa stupida religione non offre nulla alle grandi idee, che nessun artista può impiegarne gli attributi nei monumenti che innalza; persino a Roma, la maggior parte degli abbellimenti o degli ornamenti del palazzo dei papi hanno il loro modello nel paganesimo e, finché durerà il mondo, questo solo accenderà l'estro dei grandi uomini.
Sarà allora nel teismo puro che troveremo maggiori motivi di grandezza e di elevazione? Sarà l'adozione di una chimera che, fornendo alla nostra anima il grado di energia necessario alle virtù repubblicane, porterà l'uomo a prediligerle e a praticarle? Neanche per idea. Ci siamo liberati da quel fantasma e l'ateismo è attualmente il solo sistema di tutti coloro che sanno ragionare. Nella misura in cui si è stati rischiarati, si è sentito che, essendo il movimento inerente alla materia, l'agente necessario a imprimere questo movimento diveniva un essere illusorio e che, tutto ciò che esisteva dovendo essere in movimento per essenza, il motore era inutile; si è capito che quel dio chimerico, prudentemente inventato dai primi legislatori, non era nelle loro mani che un mezzo di più per incatenarci e che riservandosi il diritto di far parlare quel fantasma, essi erano capacissimi di fargli dire solo ciò che serviva a rafforzare le ridicole leggi con cui pretendevano di asservirci. Licurgo, Numa, Mosè, Gesù Cristo, Maometto, tutti questi grandi bricconi, tutti questi grandi despoti delle nostre idee, seppero associare le divinità che fabbricavano alla loro ambizione smisurata e, sicuri di cattivarsi i popoli con la sanzione di questi dèi, avevano, come si sa, sempre cura o di non interrogarli che quando tornava loro comodo o di non fargli rispondere se non ciò che credevano esser loro utile.
Oggi teniamo dunque nello stesso disprezzo e il dio vano predicato da impostori, e tutte le sottigliezze religiose che derivano dalla sua ridicola adozione non è più con quel balocco che si possono divertire degli uomini liberi. Che l'estinzione totale dei culti entri dunque nei principi che noi diffondiamo nell'Europa intera. Non contentiamoci di spezzare gli scettri, polverizziamo per sempre gli idoli: non c'è mai stato che un passo tra la superstizione e il realismo. [Seguite la storia di tutti i popoli: non li vedrete mai cambiare il governo che hanno per un governo monarchico se non a causa dell'abbrutimento in cui la superstizione li tiene; vedrete sempre i re puntellare la religione e la religione consacrare dei re. E nota la storia dell'intendente e del cuciniere: " Passatemi il pepe che io vi passerò il burro ". Umanità infelice, sarai tu sempre destinata ad assomigliare al padrone di quei due bricconi?]
Senza dubbio bisogna bene che sia così, dato che uno dei primi articoli della consacrazione dei re era sempre la conservazione della religione dominante, come una delle basi politiche che dovevano meglio sostenere il loro trono. Ma dal momento che questo trono è stato abbattuto e fortunatamente per sempre, non esitiamo a estirpare anche ciò che ne formava il sostegno. Sì, cittadini, la religione non si accorda al sistema della libertà, lo avete capito. Giammai l'uomo libero si curverà davanti agli dèi del cristianesimo; giammai i suoi dogmi, giammai i suoi riti, i suoi misteri o la sua morale converranno a un repubblicano. Ancora uno sforzo: dal momento che lavorate a distruggere tutti i pregiudizi, non lasciatene sussistere alcuno, perché non ne basta che uno per richiamarli tutti. E possiamo essere più che certi del loro ritorno se quello che voi lasciate in vita è proprio la culla di tutti gli altri! Smettiamo di credere che la religione possa essere utile all'uomo. Abbiamo buone leggi, e sapremo fare a meno della religione. Ma, si dice, il popolo ne ha bisogno di una, che lo diverta e lo freni. Ebbene, in tal caso, dateci allora quella che conviene a uomini liberi. Rendeteci gli dèi del paganesimo. Noi adoreremo volentieri Giove, Ercole o Pallade, ma non vogliamo più saperne del favoloso autore di un universo che si muove da se stesso, non vogliamo più saperne di un dio senza corpo ma che pure riempie tutto con la sua immensità, di un dio onnipotente che non realizza mai quel che desidera, di un essere sovranamente buono che non fa altro che malcontenti, di un essere amico dell'ordine, nel governo del quale tutto è disordine. No, non vogliamo più saperne di un dio che sconvolge la natura, che è il padre della confusione, che guida l'uomo mentre quest'uomo si abbandona ad orrori. Un dio simile ci fa fremere di indignazione e noi lo relegheremo per sempre nell'oblio da cui l'infame Robespierre ha voluto trarlo. [Tutte le religioni concordano nell'esaltarci la saggezza e la potenza intrinseche della divinità, ma quando ci illustrano la sua condotta, troviamo solo imprudenza, solo debolezza, solo follia. Dio, si dice, ha creato il mondo per se stesso, ma finora non gli è riuscito di farsi convenientemente onorare; Dio ci ha creati per adorarlo e noi passiamo i nostri giorni a prenderci gioco di lui! Che povero dio questo dio!]
Francesi, a quell'indegno fantasma sostituiamo i simulacri imponenti che rendevano Roma signora dell'universo, trattiamo tutti gli idoli cristiani come abbiamo trattato quelli dei nostri re. Noi abbiamo ricollocato gli emblemi della libertà sulle basi che sostenevano in passato i tiranni; allo stesso modo mettiamo l'effige dei grandi uomini [Non si tratta qui che di coloro la cui reputazione è consolidata da gran tempo] sui piedestalli di quei cialtroni adorati dal cristianesimo. Smettiamo di temere, per le nostre campagne, l'effetto dell'ateismo; i contadini non hanno forse sentito la necessità dell'abolizione del culto cattolico, così in contrasto con i veri principi della libertà? Non hanno visto demolite i loro altari e i loro presbiteri senza alcuno spavento e senza alcun dolore? Siate certi che rinunceranno allo stesso modo al loro ridicolo dio. Le statue di Marte, di Minerva e della Libertà saranno poste nei punti più in vista delle loro abitazioni, una festa sarà celebrata tutti gli anni; la corona civica verrà assegnata al cittadino che più avrà meritato dalla patria. All'entrata di un bosco solitario, Venere, Imeneo e Amore, eretti sotto un tempio agreste, riceveranno l'omaggio degli amanti; là, sarà per mano delle Grazie che la bellezza coronerà la costanza. Non basterà amare per essere degni di questa corona, bisognerà aver anche meritato di esserlo: l'eroismo, i talenti, l'umanità, la grandezza d'animo, un civismo a tutta prova, ecco i titoli che ai piedi della sua signora sarà costretto a esibire l'amante e questi titoli varranno bene a quelli della nascita e della ricchezza che uno sciocco orgoglio esigeva una volta. Da questo culto almeno sbocceranno delle virtù, mentre non nascono che delitti da quello che abbiamo avuto la debolezza di professare. Questo culto si alleerà con la libertà che noi serviamo, la animerà, la nutrirà, la infiammerà, mentre il teismo è per sua essenza e per sua natura il più mortale nemico della libertà che noi serviamo. Costò forse una goccia di sangue la distruzione degli idoli pagani sotto il Basso Impero? La rivoluzione, preparata dalla stupidità di un popolo ridivenuto schiavo, si operò senza il minimo ostacolo. Come possiamo temere dunque che l'opera della filosofia sia più penosa di quella del dispotismo? Son solo i preti che ancora catturano ai piedi del loro chimerico dio questo popolo che voi paventate tanto di illuminare; allontanatelo da esso e il velo cadrà naturalmente. Abbiate fiducia che il popolo, ben più saggio di quel che voi non pensiate, una volta sciolto dai ferri della tirannia, lo sarà ben presto anche da quelli della superstizione. Voi lo temete, senza questo freno: che assurdità! Ah! siatene certi, cittadini, colui che non è fermato dalla spada materiale delle leggi non lo sarà di più dal timore morale dei supplizi dell'inferno, di cui si fa beffe fin dall'infanzia. Il vostro teismo, in una parola, ha fatto commettere molti misfatti, ma non ne ha mai impedito almeno uno solo. Se è vero che le passioni accecano, che sia loro effetto di alzare sui nostri occhi una nube che mascheri i pericoli di cui sono circondate, come possiamo supporre che pericoli lontani da noi, come lo sono le punizioni annunciate dal vostro dio, possano riuscire a dissipare quella nube che nemmeno la spada delle leggi sempre sospesa sulle passioni riesce a dissolvere? Se è dunque provato che questo supplemento di freni imposto dall'idea di un dio risulta inutile, se è dimostrato che per gli altri suoi effetti è pericoloso, io chiedo a che scopo può dunque servire, e su quali motivi potremo basarci per prolungarne l'esistenza. Mi si dirà che non siamo ancora abbastanza maturi per consolidare la nostra rivoluzione in un modo tanto clamoroso? Ah! miei concittadini, il cammino che abbiamo fatto dopo l'89 era ben altrimenti difficile di quello che ci resta da fare, e lo sforzo da esercitare sull'opinione, in ciò che vi propongo, è senza dubbio minore di quello con cui l'abbiamo tormentata in tutti i sensi a partire dall'epoca dell'abbattimento della Bastiglia. Confidiamo che un popolo abbastanza saggio, abbastanza coraggioso per condurre un monarca impudente dalla grandezza ai piedi del patibolo, per saper vincere in pochi anni tanti pregiudizi, infrangere tanti ridicoli freni, lo sarà abbastanza anche per immolare al bene della cosa, alla prosperità della repubblica, un fantasma ben più illusorio di quanto potesse esserlo quello di un re.
Francesi, sarete voi a infliggere i primi colpi: la vostra educazione nazionale farà il resto, ma mettetevi quanto prima all'opera, che essa diventi tra le vostre cure la più importante, e soprattutto abbia per base quella morale essenziale così trascurata nell'educazione religiosa. Rimpiazzate le sciocchezze deifiche, con cui eravate soliti affaticare i giovani organi dei vostri fanciulli, con eccellenti principi sociali; che invece di imparare a recitare futili preghiere che si faranno un merito di dimenticare non appena avranno sedici anni, essi siano istruiti sui loro doveri nella società; insegnate loro ad amare le virtù di cui a mala pena vi sentivano parlare un tempo e che, senza le vostre fole religiose, bastano a fare la loro felicità individuale; fate sentir loro che questa felicità consiste nel render gli altri così fortunati come noi stessi desideriamo esserlo. Se voi appoggerete queste verità sulle chimere cristiane, come avevate la follia di fare in passato, i vostri allievi una volta riconosciuta la futilità delle basi, faranno crollare l'edificio e diventeranno scellerati proprio perché crederanno che la religione da loro abbattuta glielo vietava. Al contrario, facendo sentir loro la necessità della virtù unicamente perché da essa dipende la loro personale felicità, essi saranno onesti per egoismo e quella legge fondamentale degli uomini sarà sempre la più sicura di tutte. Con la massima cura si eviti dunque di mescolare favole religiose all'educazione nazionale. Non perdiamo mai di vista che sono uomini liberi quelli che noi vogliamo formare e non vili adoratori di un dio. Che un filosofo semplice istruisca questi nuovi allievi intorno ai sublimi misteri della natura, che dimostri loro che la conoscenza di un dio, sovente molto dannosa agli uomini, non produce mai la loro felicità e che essi non saranno più contenti ammettendo, come causa di ciò che non capiscono qualcosa di ancor meno comprensibile; che è assai meno importante comprendere la natura, che goderne e rispettarne le leggi; che quelle leggi sono altrettanto sagge quanto semplici, che sono scritte nel cuore di tutti gli uomini e che è sufficiente interrogare il cuore per districarne l'impulso. Se vorranno assolutamente che voi parliate loro di un creatore, rispondete che le cose essendo sempre state quelle che sono, non avendo mai avuto un inizio e non dovendo mai avere una fine, diventa tanto inutile quanto impossibile all'uomo poter risalire a un'origine immaginaria che non spiegherebbe nulla e non porterebbe a nulla. Dite loro che è impossibile all'uomo avere idee sicure su di un essere che non agisce su alcuno dei nostri sensi. Tutte le nostre idee sono rappresentazioni di oggetti che ci colpiscono: che cosa può mai rappresentarci l'idea di un Dio, che è chiaramente un'idea senza soggetto? Un'idea del genere, aggiungerete loro, non è forse impossibile quanto un effetto senza la causa? Un'idea senza prototipo cos'altro può essere se non una chimera? Vi sono dei dottori, continuerete voi, che assicurano che l'idea di Dio è innata e che gli uomini la posseggono fin dal ventre della madre. Ma quest'affermazione è falsa, aggiungerete: qualsiasi principio è un giudizio, qualsiasi giudizio è effetto di esperienza e l'esperienza non si acquista che con l'esercizio dei sensi, donde consegue che i principi religiosi non si basano evidentemente sul nulla e non sono affatto innati. Come, continuerete voi, si sono potuti convincere degli esseri ragionevoli che la cosa più difficile da comprendere fosse per essi la più essenziale? La spiegazione è che sono stati grandemente spaventati e che, quando si ha paura, si smette di ragionare; inoltre gli si è soprattutto raccomandato di diffidare della propria ragione ed è naturale che, quando il cervello è turbato, si creda a tutto e non si esamini nulla. L'ignoranza e la paura, direte loro ancora, ecco le due basi di tutte le religioni. L'incertezza in cui l'uomo si trova in rapporto al suo Dio è precisamente il motivo che lo tiene attaccato alla sua religione. L'uomo ha paura nelle tenebre, sia fisiche che morali, la paura diventa abituale in lui e si trasforma in bisogno: e così sentirebbe la mancanza di qualcosa se non avesse più niente da sperare o da temere. Ritornate poi sull'utilità della morale: offrite loro su questo grande soggetto più esempi che lezioni, più prove che libri e ne farete dei buoni cittadini, buoni guerrieri, buoni padri, buoni sposi; ne farete uomini tanto più attaccati alla libertà del loro paese quanto meno alcuna idea di servitù si presenterà più al loro spirito, alcun terrore religioso verrà a turbare la loro mente. Allora il vero patriottismo esploderà in tutte le anime, vi regnerà in tutta la sua forza e in tutta la sua purezza, perché diventerà il solo sentimento dominante e nessuna idea estranea ne intiepidirà l'energia; allora, la generazione che verrà dopo di voi sarà sicura, e la vostra opera, consolidata da essa, diventerà la legge dell'universo. Ma se, per timore o pusillanimità, questi consigli non saranno seguiti, se si lasceranno sussistere le basi dell'edificio che si era creduto di distruggere, che cosa succederà allora? Si riedificherà su queste basi e vi si collocheranno i medesimi colossi, con la differenza crudele che essi saranno questa volta cementati così fortemente che né la vostra generazione né quelle che la seguiranno riusciranno più ad abbatterli.
Non ci venga il dubbio che le religioni non siano la culla del dispotismo; il primo di tutti i despoti fu un prete, il primo re e il primo imperatore di. Roma, Numa e Augusto, sono associati l'uno e l'altro al sacerdozio, Costantino e Clodoveo furono più degli abati che dei sovrani, Eliogabalo fu sacerdote del Sole. In tutti i tempi, in tutti i secoli, ci fu sempre tra dispotismo e religione una tale connessione che è più che dimostrato come distruggendone uno occorra abbattere l'altra, per la grande ragione che il primo servirà sempre da legge alla seconda. Io non propongo tuttavia né massacri né deportazioni: tutti questi orrori sono troppo lontani dalla mia anima per osare anche solo concepirli per un minuto. No, non assassinate, non deportate nessuno: queste atrocità vanno bene per i re o per gli scellerati che li imitarono, non è facendo come loro che costringerete a prendere in orrore coloro che le compivano. Non usiamo la forza che per gli idoli, ci basta solo il ridicolo per chi li serve: i sarcasmi di Giuliano nocquero più alla religione cristiana che tutti i supplizi di Nerone. Sì, distruggiamo per sempre ogni idea di Dio e trasformiamo in soldati i suoi preti; alcuni lo sono già: che si attengano a questo mestiere così nobile per un repubblicano, ma che non ci parlino più né del loro essere chimerico né delle favole della sua religione, unico oggetto del nostro disprezzo. Condanniamo a essere dileggiato, ridicolizzato, coperto di fango in tutte le piazze delle più grandi città di Francia, il primo di questi benedetti ciarlatani che ci verrà ancora a parlare di Dio o della religione; una prigione eterna sarà la pena di chi ricadrà due volte nello stesso errore. Che le bestemmie più insultanti e le attività più atee siano inoltre autorizzate pienamente, allo scopo di finire di estirpare dal cuore e dalla memoria degli uomini quei spaventosi trastulli della nostra infanzia; si metta a concorso l'opera più idonea a illuminare finalmente gli europei su una materia tanto importante, e un premio considerevole, e decretato dalla nazione, sia la ricompensa di colui che, avendo tutto detto, tutto dimostrato su quella materia, non lascerà più ai suoi compatrioti che una falce per abbattere quei fantasmi e un cuore retto per odiarli. Dopo sei mesi, tutto sarà finito: il vostro infame Dio sarà nel nulla; e questo senza cessare di essere giusti, gelosi della stima degli altri, senza cessare di temere la spada delle leggi e di essere persone oneste, perché si sarà sentito che il vero amico della patria non deve affatto, come lo schiavo dei re, farsi guidare da chimere: in una parola, che non è né la speranza frivola di un mondo migliore né il timore di mali più grandi di quelli che ci manda la natura, a dover guidare un repubblicano, la cui sola regola è la virtù, il cui unico freno è il rimorso.

I COSTUMI

Dopo aver dimostrato che il teismo non conviene assolutamente a un governo repubblicano, mi sembra necessario provare che ancor meno gli convengono i costumi francesi. Questa parte è tanto più essenziale in quanto sono i costumi che serviranno da tema alle leggi che si debbono promulgare.
Francesi, voi siete troppo illuminati per non sentire che un nuovo governo ha necessariamente bisogno di nuovi costumi, è impossibile che il cittadino di uno Stato libero si comporti come lo schiavo di un re despota, le differenze nei loro interessi, nei loro doveri, nelle relazioni reciproche, determinano una maniera essenzialmente diversa di comportarsi in società; e così un certo numero di piccoli errori e di piccoli delitti sociali, considerato inevitabile sotto il governo dei re (che dovevano essere tanto più esigenti quanto più avevano bisogno di imporre dei freni per rendersi rispettabili o inavvicinabili ai loro soggetti), diventa inutile qui; altri misfatti, noti sotto i nomi di regicidio o di sacrilegio, sotto un governo che non conosce più né re né religione, devono necessariamente sparire. Accordando la libertà di coscienza e di stampa, pensate cittadini che, salvo che in pochissimi casi, si deve accordare anche quella di agire, e che a eccezione di ciò che scuote direttamente le basi del governo, non vi resteranno quasi crimini da punire giacché, in effetti, esistono ben poche azioni criminali in una società le cui basi sono la libertà e l'uguaglianza, dato che a ben pensare e ben esaminare le cose, non vi è veramente di criminale se non ciò che la legge riprova; infatti la natura, dettandoci egualmente vizi e virtù, in ragione della nostra organizzazione, o più filosoficamente ancora, in ragione del bisogno che essa ha degli uni o delle altre, ciò che ci ispira diventerebbe una misura troppo incerta per regolare con precisione quello che è bene e quello che è male. Ma per meglio sviluppare le mie idee su un soggetto così essenziale, classificheremo ora le differenti azioni della vita dell'uomo che si era convenuto fino a oggi di chiamare criminali, e le commisureremo poi ai veri doveri di un repubblicano.
In tutti i tempi i doveri dell'uomo sono stati considerati sotto i tre differenti rapporti che seguono:

1. Quelli che la sua coscienza e la sua credulità gli impongono verso l'Essere Supremo;

2. Quelli che è obbligato ad adempiere con i suoi fratelli;

3. Quelli che non hanno relazione che con lui stesso.

La certezza che dobbiamo avere che nessun dio si è immischiato nelle nostre faccende e che, creature necessitate dalla natura, come le piante e gli animali, noi siamo al mondo perché era impossibile che non ci fossimo, questa certezza senza dubbio annulla, lo si vede, d'un sol colpo la prima parte di questi doveri, voglio dire quelli di cui ci crediamo falsamente responsabili verso la divinità; con essi scompaiono tutti i delitti religiosi, tutti quelli conosciuti sotto i nomi vaghi e indefiniti di empietà, di sacrilegio, di bestemmia, di ateismo, ecc., tutti quelli, in una parola, che Atene punì con tanta ingiustizia in Alcibiade e la Francia nello sventurato La Barre. Se c'è qualcosa di stravagante al mondo, è vedere uomini che non conoscono il loro Dio e quello che può esigere quel Dio se non dall'idea limitata che se ne fanno, pretendere tuttavia di decidere sulla natura di ciò che contenta o di ciò che irrita quel ridicolo fantasma della loro immaginazione. Non vorrei dunque che ci si limitasse a permettere indifferentemente tutti i culti: io desidererei che si fosse liberi di ridere o di beffarsi di tutti, che uomini, riuniti in un tempio qualsiasi per invocare l'Eterno a loro modo, fossero visti come commedianti su un palcoscenico, al gioco dei quali è permesso a chiunque di andare a ridere. Se voi non vedrete le religioni sotto questa luce, esse riprenderanno l'aspetto di serietà che le rende importanti, proteggeranno ben presto le credenze, e non appena ci si sarà rimessi a discutere sulle religioni si ritornerà anche a battersi per le religioni; [Ogni popolo pretende che la propria religione sia migliore e si appoggia, per convincere di questo, su un'infinità di prove non solo discordanti fra loro, ma quasi tutte contraddittorie. Nella profonda ignoranza in cui siamo, qual è quella che può piacere a Dio, supponendo che vi sia un Dio? Noi dovremo, se siamo saggi, o proteggerle tutte egualmente o proscriverle tutte allo stesso modo, o meglio, proscriverle è la via più sicura, dal momento che abbiamo la certezza morale che son tutte pagliacciate di cui nessuna può piacere più di un'altra a un dio che non esiste.
lo legano ai suoi simili questo gruppo è senza dubbio il più esteso.] l'eguaglianza distrutta dalla preferenza o dalla protezione accordata a una di esse scomparirà ben presto dal governo e dalla teocrazia riedificata rinascerà quanto prima l'aristocrazia. Non lo ripeterò dunque mai abbastanza: non più dèi, francesi, non più dèi, se non volete che il loro impero funesto vi ripiombi in breve tempo in tutti gli orrori del dispotismo. solo prendendovene gioco che li distruggerete: tutti i pericoli che si trascinano dietro rinasceranno immediatamente in folla se li prenderete sul serio o darete loro importanza. Non rovesciate i loro idoli con la collera, polverizzateli scherzando e la credenza cadrà da sola.
E basterà, spero, per dimostrare che non deve essere promulgata alcuna legge contro i delitti religiosi, perché chi offende una chimera non offende nulla, e perché sarebbe della massima inconseguenza punire chi oltraggi o chi disprezzi un culto di cui niente vi dimostra con evidenza la priorità sugli altri: vorrebbe dire adottare un partito e influenzare quindi la bilancia dell'eguaglianza, prima legge del vostro nuovo governo.
Passiamo ai secondi doveri dell'uomo, quelli che lo legano ai suoi simili: questo gruppo è senza dubbio il più esteso.
La morale cristiana, troppo vaga sui rapporti dell'uomo con i suoi simili, pone basi così piene di sofismi che ci è impossibile ammetterle, dato che, quando si vogliono edificare dei princìpi, bisogna guardarsi bene dal dare loro dei sofismi per basi. Questa assurda morale ci dice di amare il nostro prossimo come noi stessi. Niente sarebbe certo più sublime se fosse possibile che ciò che è falso potesse avere i caratteri della beltà. Non si tratta di amare i propri simili come se stessi, perché ciò è in contrasto con tutte le leggi della natura e solo il suo codice deve dirigere ogni azione della nostra vita; non si tratta che di amare i nostri simili come fratelli, come amici che la natura ci dà, e con i quali dobbiamo vivere tanto meglio in uno Stato repubblicano in quanto la scomparsa delle distanze deve necessariamente stringere i legami.
Che l'umanità, la fraternità, la beneficenza ci prescrivano quindi i nostri reciproci doveri e adempiamoli individualmente con il semplice grado di energia che su questo punto ci ha conferito la natura, senza biasimare e soprattutto senza punire quanti, più freddi o più ipocondriaci, non provano in quei legami, pur così toccanti, tutte le dolcezze che altri vi incontrano; infatti, se ne vorrà convenire, sarebbe un'assurdità palpabile voler emanare leggi universali, questo modo di procedere sarebbe ridicolo come quello di un generale che pretendesse che tutti i suoi soldati fossero vestiti di un abito fatto sulla stessa misura; è una spaventosa ingiustizia esigere che uomini di carattere ineguale si pieghino a leggi eguali: ciò che va bene a uno non lo va affatto a un altro.
Sono d'accordo che non si possono fare tante leggi quanti sono gli uomini, ma le leggi possono essere così miti e in così piccolo numero, che tutti gli uomini, qualunque sia il loro carattere, possano facilmente piegarvisi. Di più esigerei che quel piccolo numero di leggi fosse tale da potersi adattare facilmente a tutti i diversi caratteri; lo spirito di chi le amministrasse dovrebbe essere quello di colpire più o meno, tenendo conto dell'individuo da raggiungere. E dimostrato che vi sono virtù la cui pratica è impossibile a certi uomini, come vi sono rimedi che non potrebbero convenire a certi temperamenti. Ebbene, sarà il colmo dell'ingiustizia se userete della legge contro colui al quale è impossibile piegarsi alla legge! L'iniquità che commettereste in questo caso non sarebbe forse uguale a quella di cui vi rendereste colpevoli se voleste forzare un cieco a distinguere i colori? Da questo primo principio discende, è ovvio, la necessità di fare leggi miti e soprattutto di abolire per sempre l'atrocità della pena di morte, perché la legge che attenta alla vita di un uomo è impraticabile, ingiusta, inammissibile. Non è, come dirò subito, che non vi sia un'infinità di casi in cui, senza oltraggiare la natura (ed è ciò che dimostrerò), gli uomini non abbiano ricevuto da questa madre comune la completa libertà di attentare alla vita gli uni degli altri, ma il fatto è che è impossibile che la legge possa godere dello stesso privilegio, perché la legge, essenzialmente fredda, non saprebbe essere accessibile alle passioni che possono legittimare nell'uomo la crudele azione dell'omicidio; l'uomo riceve dalla natura le impressioni che possono fargli perdonare quell'azione, e la legge al contrario, sempre in opposizione alla natura e non ricevendo nulla da essa, non può essere autorizzata a permettersi gli stessi eccessi: non avendo gli stessi motivi, è impossibile che abbia gli stessi diritti. Ecco delle distinzioni sapienti e delicate che sfuggono a molta gente, perché ben pochi riflettono, ma esse saranno accolte dalle persone istruite alle quali le rivolgo, e influiranno, spero, sul nuovo Codice che ci viene preparato.
La seconda ragione per cui si deve abolire la pena di morte, è che essa non ha mai represso il crimine, dato che lo si commette ogni giorno ai spiedi del patibolo. Si deve sopprimere questa pena, in una parola, perché non vi è calcolo più malvagio di quello di far morire un uomo perché ne ha ucciso un altro, perché il risultato evidente di questo modo di procedere, è che invece di un uomo in meno tutto a un tratto ve ne sono invece due e non ci sono che i boia o gli imbecilli ai quali una simile aritmetica possa essere familiare.
Ad ogni modo, comunque, i misfatti che possiamo commettere verso i nostri fratelli si riducono a quattro principali: la calunnia, il furto, i delitti che, causati dall'impurità, possono colpire sgradevolmente gli altri, e l'omicidio. Tutte queste azioni, considerate capitali in un governo monarchico, sono altrettanto gravi in uno Stato repubblicano? E ciò che stiamo per analizzare con la fiaccola della filosofia, giacché è solo alla sua luce che un esame del genere deve essere intrapreso. Non mi si tacci di essere un innovatore pericoloso, non si dica che è rischioso smorzare, come faranno forse questi scritti, il rimorso nell'anima dei malfattori, che è male gravissimo aumentare con la mitezza della mia morale l'inclinazione che quegli stessi malfattori hanno verso il delitto: io affermo qui formalmente di non avere nessuna di quelle vedute perverse; io espongo le idee che dall'età della ragione si sono identificate con me e allo svilupparsi delle quali s'era opposto per tanti secoli l'infame dispotismo dei tiranni. Tanto peggio per coloro che potrebbero corrompere quelle grandi idee, tanto peggio per coloro che non sanno cogliere che il male in opinioni filosofiche, suscettibili come sono di corrompersi a tutto! Chissà se non incancrenirebbero anche alla lettura di Seneca o di Charron? Non è a loro che parlo; lo mi rivolgo a quelle persone che sono capaci di Capirmi e quelle mi leggeranno senza pericolo.
Confesso con estrema franchezza che non ho mai creduto che la calunnia fosse un male, e soprattutto in un governo come il nostro, in cui tutti gli uomini più legati, più ravvicinati, hanno evidentemente un maggior interesse a conoscersi bene. Esistono due possibilità: o la calunnia è rivolta a un uomo veramente perverso o essa cade su un essere virtuoso. È chiaro che nel primo caso diventa pressoché indifferente che si dica un po' più di male di un uomo che gode cattivissima fama, può darsi persino che il male che non esiste getti luce su quello che esiste ed ecco il malfattore meglio messo in vista.
Se regna, poniamo, un'influenza malsana a Hannover, senza che, esponendomi a quella inclemenza di clima, io debba correre altri rischi che di prendermi un accesso di febbre, potrei volerne all'uomo che, per impedirmi di andarci, mi avesse detto che vi si moriva appena arrivati? No, certamente, in quanto spaventandomi con un gran male, mi ha impedito di provarne uno piccolo. La calunnia cade invece su un uomo virtuoso? Che non si allarmi, si mostri, e tutto il veleno del calunniatore ricadrà presto su lui stesso. Per tali persone la calunnia non è che un vaglio decantatore dal quale la loro virtù non uscirà che più splendente. Ne verrà anche un profitto per l'insieme delle virtù della repubblica: quell'uomo virtuoso e sensibile, punto dall'ingiustizia provata, cercherà di comportarsi ancora meglio, vorrà superare quella calunnia da cui si sentiva al sicuro e le sue belle azioni non faranno che acquistare un maggior grado di energia. Così, nel primo caso il calunniatore, ingrandendo i vizi dell'uomo pericoloso, avrà prodotto effetti nel complesso buoni, nel secondo, ne avrà prodotto. di eccellenti, costringendo la virtù a manifestarsi a noi nella sua pienezza. Ebbene, ora io domando, sotto quale profilo il calunniatore potrà apparirvi da temersi, in un governo soprattutto in cui è tanto essenziale conoscere i malvagi e aumentare la forza dei buoni? Ci si guardi bene dunque dal comminare pene contro la calunnia, consideriamola sotto il duplice profilo di un fanale e di uno stimolante e in tutti i casi come qualcosa di molto utile. Il legislatore, le cui idee devono essere all'altezza dell'opera cui si applica, non deve mai studiare l'effetto del delitto che colpisce solo individualmente, ma è il suo effetto globale che deve esaminare e quando osserverà in questo modo gli effetti che derivano dalla calunnia, lo sfido a trovarvi qualcosa di punibile, lo sfido a saper dare qualche parvenza di giustizia alla legge che dovrebbe punirla; egli diventa invece l'uomo più giusto e più integro se la favorisce o la ricompensa.
Il furto è il secondo dei delitti morali di cui ci siamo proposti l'esame.
Se percorriamo l'antichità, noi vedremo il furto permesso, ricompensato in tutte le repubbliche della Grecia; Sparta (o Lacedemone) lo favoriva apertamente, qualche altro popolo l'ha considerato come una virtù guerriera; è certo che esso nutre il coraggio, la forza, la destrezza, tutte le virtù, in una parola, utili a un governo repubblicano e per conseguenza al nostro. Senza parzialità ora io oserei domandare se il furto, il cui effetto è di pareggiare le ricchezze, sia un gran male in un governo il cui fine è l'eguaglianza. No, indubbiamente, perché, se favorisce l'eguaglianza da un lato, dall'altro rende più attenti a conservare i propri beni. C'era un popolo che puniva non il ladro, ma colui che si era lasciato derubare, per insegnargli ad aver cura delle sue proprietà. Questo ci conduce a delle riflessioni più vaste.
Dio non voglia che io qui intenda attaccare o distruggere quel giuramento di rispetto delle proprietà che è stato appena pronunciato dalla nazione, ma mi si permetterà di esprimere qualche idea sull'ingiustizia di quel giuramento? Qual è lo spirito di un giuramento pronunciato da tutti gli individui di una nazione? Non è forse quello di mantenere una perfetta eguaglianza tra i cittadini, di sottometterli tutti egualmente alla legge protettrice delle proprietà di tutti? Orbene, io vi domando se è proprio giusta una legge che ordina a chi non ha niente di rispettare chi ha tutto. Quali sono gli elementi del patto sociale? Non consiste nel cedere un poco della propria libertà e delle proprie proprietà per assicurare e mantenere quel che si conserva dell'una e delle altre?
Tutte le leggi sono fondate su quelle basi che sono anche i motivi delle punizioni inflitte a chi abusa della sua libertà. Nello stesso modo, esse autorizzano le imposte: avviene dunque che un cittadino non si lamenti quando gli vengono richieste, egli sa che è il prezzo da pagare per la parte che gli viene lasciata; ma, d'altra parte, in base a quale diritto si incatenerà chi non ha niente con un patto che protegge solo chi ha tutto? Se fate un atto di equità conservando, col vostro giuramento, le proprietà del ricco, non fate però un'ingiustizia esigendo questo giuramento dal "conservatore" nullatenente? Che interesse ha costui ad aderire al giuramento? E perché volete che prometta una cosa positiva solo a colui che gli è diverso proprio per le ricchezze? Non vi è certamente nulla di più ingiusto: un giuramento deve avere un effetto eguale su tutti gli individui che lo pronunciano, è impossibile che possa legare chi non ha alcun interesse al suo mantenimento, perché non sarebbe più allora il patto di un popolo libero, ma invece l'arma del forte sul debole, e quest'ultimo dovrebbe rivoltarsi senza posa contro il primo. Purtroppo ciò è quel che capita nel giuramento di rispetto delle proprietà che ora esige la nazione; solo il ricco vi incatena il povero, solo il ricco ha interesse al giuramento che è pronunciato dal povero con tanta sconsideratezza da non vedere che per mezzo di quel giuramento, estorto alla sua buona fede, egli si impegna a fare una cosa che non può essere fatta nei suoi confronti.
Convinti, come dovete esserlo, di questa barbara ineguaglianza, non aggravate dunque la vostra ingiustizia punendo chi non ha niente per aver osato togliere qualcosa a chi ha tutto; il vostro giuramento non equo gliene dà più che mai diritto. Costringendolo allo spergiuro con quel giuramento per lui assurdo, voi legittimate tutti i delitti a cui questo spergiuro lo condurrà; onestamente non potete dunque più punire ciò di cui siete stati la causa. Non dirò di più per dimostrare quale orribile crudeltà sia castigare i ladri. Imitate la legge saggia del popolo di cui ho parlato, punite l'uomo così negligente da lasciarsi derubare, ma non pronunciate alcun tipo di pena contro colui che lo deruba; pensate che il vostro giuramento lo autorizza a questa azione e che non ha fatto, commettendola, che seguire il primo e il più saggio dei movimenti della natura, quello di conservare la propria esistenza, a spese di chicchessia.
I delitti che dobbiamo esaminare in questo secondo gruppo dei doveri dell'uomo verso i suoi simili sono quelli che dipendono dal libertinaggio. Tra di loro contravvengono maggiormente a ciò che ciascuno deve agli altri, la prostituzione, l'adulterio, l'incesto, lo stupro e la sodomia. Noi non dobbiamo certamente dubitare un momento che tutto ciò che si chiama delitto morale, cioè tutte le azioni della specie di quelle prima citate, non sia perfettamente indifferente in un governo il cui solo dovere consiste nel conservare, con tutti i mezzi possibili, la forma essenziale al suo mantenimento: ecco l'unica morale di un governo repubblicano. Ora, dal momento che è sempre contrastato dai despoti che lo circondano, non si può ragionevolmente immaginare che i suoi mezzi di conservazione siano mezzi morali: infatti non si conserverà che con la guerra e niente è meno morale della guerra. A questo punto, io chiedo come si riuscirà 'a dimostrare che in uno Stato immorale per i suoi obblighi, sia essenziale che gli individui siano morali. Dico di più: è bene che non lo siano. I legislatori della Grecia avevano perfettamente avvertito l'importante necessità di far corrompere i membri affinché, influendo la loro dissoluzione morale su quella utile alla macchina sociale, ne risultasse l'insurrezione sempre indispensabile in un governo che, perfettamente felice come il governo repubblicano, deve necessariamente eccitare l'odio e la gelosia di tutto quanto lo circonda. L'insurrezione, pensavano quei saggi legislatori, non è affatto uno stato morale, essa dev'essere d'altra parte lo stato permanente di una repubblica; dunque sarebbe altrettanto assurdo che pericoloso esigere che coloro i quali devono mantenere il perpetuo scuotimento immorale della macchina fossero essi stessi degli esseri molto morali, perché lo stato morale di un uomo è uno stato di pace e di tranquillità, mentre il suo stato immorale è uno stato di movimento perpetuo che lo avvicina all'insurrezione necessaria, nella quale bisogna che il repubblicano tenga sempre il governo di cui è membro.
Dettagliatamente, cominciamo con l'analizzare il pudore, quel movimento pusillanime che contrasta gli affetti impuri. Se fosse stato nelle intenzioni della natura creare l'uomo pudico, certamente essa non l'avrebbe fatto nascere nudo; una infinità di popoli, meno corrotti di noi dalla civiltà, vanno nudi e non ne provano alcuna vergogna. Non si può dubitare che l'uso di vestirsi non abbia avuto per unico movente e l'inclemenza del clima e la civetteria delle donne; esse sentirono che avrebbero perso ben presto tutti gli effetti del desiderio se li avessero prevenuti, invece di lasciarli nascere; capirono che, non avendole la natura create senza difetti, si sarebbero assicurate assai meglio tutti i mezzi per piacere mascherando quei difetti con acconciature. E chiaro quindi che il pudore, lungi dall'essere una virtù, non fu altro che uno dei primi effetti della corruzione, uno dei primi mezzi della civetteria delle donne. Licurgo e Solone, avendo ben intuito che i risultati dell'impudicizia tengono i cittadini nello stato immorale essenziale alle leggi' del governo repubblicano, obbligarono le giovani a mostrarsi nude a teatro. [Si è detto che l'intenzione di quei legislatori fosse, smorzando la passione che gli uomini provano per una fanciulla nuda, di rendere più attiva quella che gli uomini talvolta provano per il loro sesso. Questi saggi facevano esibire ciò di cui volevano che ci si disgustasse e nascondere ciò che credevano fatto per ispirare i più dolci desideri; in tutti i casi non operavano forse nel senso che abbiamo indicato? Essi sentivano, lo si vede, il bisogno dell'immoralità nei costumi repubblicani.] Roma imitò ben presto quell'esempio: si danzava nudi ai giochi di Flora, la maggior parte dei misteri pagani si celebravano così, la nudità passò persino per virtù presso qualche popolo. Comunque sia, dall'impudicizia, nascono le inclinazioni lussuriose e ciò che deriva da quelle inclinazioni forma i pretesi crimini che noi analizziamo e di cui la prostituzione è il primo effetto. Ora che, a questo proposito, ci siamo ricreduti di tutti quegli errori religiosi che ci trattenevano e, più vicini alla natura per la quantità di pregiudizi che abbiamo dissipato, non ascoltiamo che la sua voce, ben sicuri che, se ci fosse del male in qualcosa, sarebbe piuttosto nel resistere alle inclinazioni che essa ci ispira che nel non combatterle; persuasi che, essendo la lussuria conseguenza di quelle inclinazioni, si tratta meno di estinguere in noi quelle passioni che di regolare i mezzi di soddisfarle in pace. Dobbiamo dunque applicarci a mettere ordine in quella materia, a stabilirvi tutta la sicurezza necessaria affinché il cittadino, che il bisogno avvicina agli oggetti di lussuria, possa dedicarsi con quegli stessi oggetti a tutto ciò che le sue passioni gli impongono, senza esser mai vincolato da nulla, perché non c'è alcuna passione nell'uomo che abbia più di questa bisogno della massima libertà. Luoghi sani, vasti, ammobiliati con proprietà e sicuri da tutti i punti di vista, saranno eretti nelle città; là, tutti i sessi, tutte le età, tutte le creature saranno offerte ai capricci dei libertini che verranno a godere, e la più totale subordinazione sarà la regola degli individui presentati; il più leggero rifiuto sarà punito all'istante secondo l'arbitrio di chi l'avrà subito. Devo spiegare meglio questo punto; misurarlo ai costumi repubblicani; ho promesso dappertutto la stessa logica e manterrò la parola.
Se, come ho appena detto, nessuna passione ha più bisogno di quella della libertà più completa, nessuna senza dubbio è altrettanto dispotica. E qui che l'uomo ama comandare, essere obbedito, circondarsi di schiavi costretti a soddisfano; ebbene, tutte le volte che non darete all'uomo il mezzo segreto di neutralizzare la dose di dispotismo che la natura gli mette nel fondo del cuore, egli si butterà per esercitarlo su quanto lo circonda e turberà il governo. Permettete, se volete evitare quel pericolo, un libero sbocco a quei desideri tirannici che, suo malgrado lo tormentano senza tregua; contento di aver potuto esercitare la sua piccola sovranità in mezzo a un harem di icoglani o di sultane che le vostre cure e il suo denaro gli sottomettono, egli uscirà soddisfatto e senza alcun desiderio di turbare un governo che gli assicura così compiacentemente di soddisfare la sua concupiscenza. Usate, al contrario, un diverso modo di procedere, imponete su quegli oggetti di pubblica lussuria i ridicoli impedimenti già inventati dalla tirannia ministeriale e dalla lubricità dei nostri Sardanapali: [È noto che l'infame e scellerato Sartine procurava a Luigi XV un vero e proprio mezzo di lussuria, facendogli leggere dalla Dubarry tre volte alla settimana, il resoconto privato e da lui arricchito di tutto ciò che succedeva nei luoghi malfamati di Parigi. Quella branca del libertinaggio del Nerone francese costava allo Stato tre milioni.] l'uomo, presto inasprito contro il vostro governo, presto geloso del dispotismo che vi vede esercitare tutti soli, scuoterà il giogo, e, stanco del vostro sistema di governano, lo cambierà come ha appena fatto.
Considerate come i legislatori greci, ben compresi di quelle idee, trattavano la dissolutezza a Sparta e ad Atene; ne inebriavano il cittadino, ben lontani dal proibirgliela, nessun genere di lubricità gli era interdetto e Socrate, proclamato dall'oracolo il più saggio dei filosofi della terra, passava indifferentemente dalle braccia di Aspasia a quelle di Alcibiade e non per questo era meno la gloria della Grecia. Voglio andare più lontano e per contrarie che siano le mie idee ai nostri attuali costumi, poiché il mio scopo è di provare che dobbiamo affrettarci a cambiare questi costumi se vogliamo conservare il governo adottato, tenterò di convincervi che la prostituzione delle donne conosciute sotto il nome di oneste non è più pericolosa di quella degli uomini, e che non soltanto dobbiamo associarle alle lussurie esercitate nelle case che ho detto, ma che dobbiamo anche erigerne per loro, dove i loro capricci e i bisogni del loro temperamento, ben più ardente del nostro, possano ugualmente soddisfarsi con tutti i sessi.
Con quale diritto innanzitutto pretendete che le donne debbano essere esentate dalla cieca sottomissione, che la natura prescrive loro, ai capricci degli uomini? E poi con quale altro diritto pretendete di asservirle a una continenza impossibile al loro fisico e assolutamente inutile al loro onore?
Tratterò separatamente l'una e l'altra questione.
È certo che, nello stato di natura, le donne nascono vulgivaghe, cioè in grado di godere i vantaggi degli altri animali femmina e a disposizione, come quelli e senza eccezione alcuna, di tutti i maschi; tali furono, senza nessun dubbio e le prime leggi della natura e le sole istituzioni della prima associazione che gli uomini formarono. L'interesse, l'egoismo e l'amore degradarono quello stato di cose così semplici e così naturali; si credette di arricchirsi prendendo una donna e con essa i beni della sua famiglia: ecco soddisfatti i due primi sentimenti che ho indicato; più sovente ancora si portò via questa donna e ci si attaccò a lei: ecco il secondo motivo in azione e, in tutti i casi, un'ingiustizia.
Mai un atto di possesso può essere esercitato su un essere libero: è altrettanto ingiusto possedere esclusivamente una donna quanto possedere degli schiavi; tutti gli uomini sono nati liberi, tutti hanno eguali diritti: non perdiamo mai di vista questi principi. In base ad essi non può esser dato a un sesso il diritto legittimo di impadronirsi esclusivamente dell'altro e mai uno di questi sessi o una di queste classi può possedere l'altra arbitrariamente. Inoltre una donna, nella purezza delle leggi della natura, non può allegare, per motivo del rifiuto opposto a chi la desidera, l'amore che ha per un altro, perché questo motivo diventa un motivo di esclusione e nessun uomo può essere escluso dal possesso di una donna, dal momento che è chiaro che essa appartiene decisamente a tutti gli uomini. L'atto di possesso non può essere esercitato che su un immobile o su un animale ma mai su un individuo che ci somiglia, e tutti i legami che possono incatenare una donna a un uomo, di qualunque specie essi siano, sono tanto ingiusti quanto chimerici.
Se diviene dunque incontestabile che noi abbiamo ricevuto dalla natura il diritto di esprimere i nostri desideri indifferentemente a tutte le donne, lo diventa pure anche il fatto che dobbiamo obbligarle a sottomettersi ad essi, non in maniera esclusiva, perché in tal caso mi contraddirei, ma momentaneamente.[Non si dica qui che io mi contraddico, e che dopo avere stabilito più sopra che non abbiamo alcun diritto di legare una donna a noi, distruggo poi questi principi dicendo che abbiamo il diritto di costringerla; ripeto che non si tratta qui che del godimento e non della proprietà; non ho nessun diritto alla proprietà di una fontana che incontro sul mio cammino, ma ho diritti certi al suo godimento: ho il diritto di profittare dell'acqua limpida che offre alla mia sete; nello stesso modo non ho nessun diritto reale alla proprietà di questa o quella donna, ma quello incontestabile al suo godimento e a costringerla nel caso, che per un motivo qualsiasi, ella rifiuti] È fuori dubbio che abbiamo il diritto di stabilire leggi che le costringano a cedere al fuoco di chi le desidera; ed essendo la violenza stessa uno degli effetti di questo diritto, noi possiamo impiegarla legalmente. La natura non ha forse provato il nostro diritto accordandoci la forza necessaria a sottometterle ai nostri desideri?
Invano le donne faranno parlare, in loro difesa o il pudore o il loro attaccamento ad altri uomini; quegli espedienti chimerici sono nulli; abbiamo già visto come il pudore sia un sentimento artificioso e disprezzabile. L'amore, che si può chiamare la follia dell'anima, non ha più titoli per legittimare la loro costanza; non soddisfacendo che due individui, l'essere amato e l'essere amante, non può servire alla felicità degli altri, ed è per la felicità di tutti, e non per una felicità egoistica e privilegiata, che ci sono state date le donne. Tutti gli uomini hanno dunque un diritto di godimento uguale su tutte le donne; non c'è dunque nessun uomo che, secondo le leggi della natura, possa arrogarsi un diritto unico e personale su una donna. La legge che le obbligherà a prostituirsi finché noi lo vorremo, nelle case di piacere di cui abbiamo parlato, e che le costringerà se vi si rifiutano, che le punirà se vi mancano, è dunque una legge delle più eque, contro la quale nessun motivo legittimo o giusto potrebbe essere sollevato.
Un uomo che vorrà godere di una donna o di una ragazza qualsiasi potrà dunque, se le leggi da voi promulgate saranno giuste, farle intimare di trovarsi in una delle case di cui ho parlato e là, sotto la salvaguardia delle matrone di quel tempio di Venere, essa gli sarà consegnata per soddisfare, con altrettanta umiltà che sottomissione, tutti i capricci che a lui piacerà togliersi con lei, di qualunque bizzarria o irregolarità possano essere, perché non ve n'è nessuno che non sia nella natura, nessuno che non sia ammesso dalla natura. Non si tratterebbe più che di fissare l'età; orbene io sostengo che non si può farlo senza intralciare la libertà di chi desidera il godimento di una ragazza di questa o quella età. Chi ha diritto di mangiare il frutto di un albero può certamente coglierlo maturo o verde secondo le inclinazioni del suo gusto. Ma, si obietterà, vi è un'età in cui i procedimenti dell'uomo nuoceranno decisamente alla salute della fanciulla. Questa considerazione è senza alcun valore, dal momento che mi accordate il diritto di proprietà sul godimento, questo diritto è indipendente dagli effetti prodotti dal godimento, da questo momento diventa la stessa cosa che quel godimento sia vantaggioso o nocivo all'oggetto che deve sottomettervisi. Non ho già provato che era legale costringere la volontà della donna a questo proposito, e che appena ispirava il desiderio del godimento, ella doveva sottomettervisi, prescindendo da ogni sentimento egoistico? Lo stesso si dica della sua salute. Qualora i riguardi che si avessero per questa considerazione distruggessero o affievolissero il godimento di chi la desidera, e che ha il diritto di appropriarsene, ogni considerazione di età diventa nulla, perché non si tratta affatto di ciò che può
provare l'oggetto condannato dalla natura e dalla legge all'appagamento momentaneo dei desideri dell'altro; in questa sede, non si tratta che di ciò che conviene a colui che desidera. Starà a noi ristabilire l'equilibrio.
Sì, lo ristabiliremo, indubbiamente dobbiamo farlo; quelle donne che abbiamo asservito così crudelmente, dobbiamo incontestabilmente risarcirle ed è ciò che formerà la risposta al secondo quesito che mi sono proposto.
Se ammettiamo, come abbiamo fatto, che tutte le donne devono essere sottomesse ai nostri desideri, sicuramente noi possiamo permettere anche a loro di soddisfare ampiamente i propri; le nostre leggi devono favorire su questo punto il loro temperamento di fuoco, ed è un'assurdità aver posto e il loro onore e la loro virtù nella forza per nulla naturale che esse mettono a resistere alle inclinazioni che hanno ricevuto in misura ben maggiore di noi; questa ingiustizia dei nostri costumi è tanto più stridente in quanto noi ci autorizziamo nello stesso tempo a renderle deboli a forza di seduzione e a punirle poi quando cedono agli sforzi che abbiamo fatto per provocarne la caduta. Tutta l'assurdità dei nostri costumi è scolpita, mi sembra, in questa iniqua atrocità, e questo solo particolare dovrebbe bastare a farci sentire l'estremo bisogno che abbiamo di cambiarli con altri più puri. Io dico dunque che le donne, avendo ricevuto inclinazioni ben più violente di noi ai piaceri della lussuria, potranno abbandonarvisi finché vorranno, assolutamente libere da tutti i legami dell'imene, da tutti i falsi pregiudizi del pudore e restituite in tutto e per tutto allo stato naturale; voglio che le leggi permettano loro di darsi a quanti uomini piacerà loro; voglio che il godimento di tutti i sessi e di tutte le parti del loro corpo sia loro permesso come agli uomini e, sotto la clausola speciale di darsi comunque a quanti le desidereranno, bisogna che abbiano la libertà di godere ugualmente di tutti coloro che riterranno degni di soddisfarle.
Quali sono, domando io, i pericoli di questa licenza? Dei bambini che non avranno padri? E che cosa importa in una repubblica dove tutti gli individui non devono avere altra madre che la patria e in cui tutti coloro che nascono sono ugualmente figli della patria? Ah! come l'ameranno meglio coloro che, non avendo mai conosciuto che lei, sapranno fin dalla nascita che solo da essa dovranno attendersi tutto! Non pensate di fare dei buoni repubblicani finché isolerete nelle loro famiglie i bambini che non devono appartenere che alla repubblica. Abituandosi nella famiglia a dare solo a qualche individuo la dose di affetto che dovrebbero ripartire su tutti i loro fratelli, essi adottano inevitabilmente i pregiudizi spesso pericolosi di quegli individui; le loro opinioni, le loro idee si isolano, si particolarizzano e tutte le virtù dell'uomo di Stato diventano per loro assolutamente impossibili. Infine abbandonando completamente il loro cuore a chi li ha fatti nascere, non trovano più in quel cuore alcun affetto per colei che deve farli vivere, farli conoscere e renderli illustri, come se quei secondi benefici non fossero più importanti dei primi! Se è un grandissimo inconveniente il lasciare che i fanciulli succhino così nelle loro famiglie interessi spesso ben diversi da quelli della patria, sarà dunque un grandissimo vantaggio il separarli dalle famiglie. Ma grazie ai mezzi che io propongo lo possono essere in tutta naturalezza, dato che distruggendo ogni legame dell'imene, dalle donne potranno nascere solo frutti ai quali sarà assolutamente impossibile conoscere il proprio padre e di conseguenza di appartenere a un'unica famiglia; saranno quindi, come è loro dovere, solo figli della patria.
Vi saranno dunque delle case destinate al libertinaggio delle donne e, come quelle degli uomini, sotto la protezione del governo; là, saranno loro forniti tutti gli individui dell'uno e dell'altro sesso che esse potranno desiderare e più frequenteranno quelle case più saranno stimate. Non c'è niente di più barbaro e di più ridicolo dell'avere legato l'onore e la virtù delle donne alla resistenza che oppongono a desideri imposti dalla natura e che senza tregua fanno impazzire coloro che hanno le barbarie di condannarli. Dalla più tenera età, [Le babilonesi ancor prima dei sette anni portavano le loro primizie al tempio di Venere. Il primo moto di concupiscenza che una fanciulla prova è l'epoca che la natura le indica per prostituirsi e, senza nessun'altra considerazione, essa deve cedere quando la natura parla, resistendo ne oltraggerebbe le leggi.] una fanciulla sciolta dai legami paterni, non avendo più nulla da conservare per le nozze (assolutamente abolite dalle sagge leggi che io desidero), al di sopra del pregiudizio che in passato incatenava il suo sesso, potrà dunque abbandonarsi a tutto ciò che le detterà il suo temperamento nelle case istituite a questo scopo; vi sarà ricevuta con rispetto, soddisfatta con profusione e, ritornando nella società, potrà parlare pubblicamente dei piaceri gustati come fa oggi di un ballo o di una passeggiata. Sesso affascinante, sarete libere, godrete come gli uomini di tutti i piaceri di cui la natura vi fa un dovere, non ve ne dovrete più negare alcuno. La parte più divina dell'umanità deve forse ricevere ceppi dall'altra? Ah! spezzateli, la natura lo vuole, non abbiate più altro freno che quello delle vostre inclinazioni, altre leggi che i vostri soli desideri, altra morale che quella della natura; non languite più a lungo in quei pregiudizi barbari che facevano appassire le vostre grazie e imprigionavano gli slanci divini dei vostri cuori; [Le donne non sanno fino a qual punto la loro lascivia le abbellisce. Si confrontino due donne di età e di bellezza pressoché simili, di cui l'una vive nel celibato e l'altra nel libertinaggio: si vedrà come quest'ultima supererà l'altra per splendore e freschezza. Ogni violenza fatta alla natura logora ben più che l'abuso dei piaceri; non vi è nessuno che non sappia che i parti abbelliscono una donna] voi siete libere come noi, e la carriera dei combattimenti di Venere è aperta a voi come a noi, non temete più assurdi rimproveri, la pedanteria e la superstizione sono annientate, non vi si vedrà più arrossire pei vostri deliziosi traviamenti, la stima che concepiremo per voi, coronate di mirti e di rose, sarà proporzionale a quanto avrete osato.
Senza dubbio il discorso fatto ora dovrebbe dispensarci dall'esaminare l'adulterio, gettiamoci tuttavia uno sguardo, anche se le leggi che lo hanno stabilito lo rendono nullo. Come era ridicolo considerano così criminale nelle nostre antiche istituzioni! Se ci fosse qualcosa di assurdo al mondo, sarebbe certo l'eternità dei legami coniugali. Non ci sarebbe, mi sembra, che da esaminare o da sentire tutto il peso di quei legami per cessare di vedete come un crimine l'azione che l'allevia: poiché la natura, come abbiamo appena detto, ha dotato le donne di un temperamento più ardente e di una sensibilità più profonda di quel che abbia fatto con gli individui dell'altro sesso, era senza dubbio con le donne che il giogo matrimoniale eterno si faceva sentire più pesante. Donne tenere e infiammate dal fuoco dell'amore, risarcitevi ora senza timore; persuadetevi che non può esserci alcun male a seguire gli impulsi della natura, che non è per un solo uomo che essa vi ha create, ma per piacere indifferentemente a tutti. Che nessun freno vi blocchi. Imitate le repubblicane della Grecia; e i legislatori che diedero loro quelle leggi mai pensarono di farne loro una colpa, e quasi tutti autorizzarono la massima libertà delle donne. Tornaso Moro prova, nella sua Utopia, che è vantaggioso per le donne darsi alla dissolutezza, e le idee di questo grande uomo non erano sempre dei sogni. [Lo stesso voleva che i fidanzati si vedessero tutti nudi prima di sposarsi. Quanti matrimoni in meno si farebbero se questa legge fosse in vigore! Si ammetterà che il contrario è ben quel che si dice acquistare la merce senza vederla]
Presso i tartari, più una donna si prostituiva, più era onorata; essa portava pubblicamente al collo i contrassegni della sua impudicizia e non si stimavano affatto quelle che non ne erano decorate. A Pégu, le famiglie stesse consegnano le loro donne o le loro figlie agli stranieri di passaggio: le si noleggiano a un tanto al giorno come cavalli o carrozze! Non basterebbero insomma volumi e volumi per dimostrare che mai la lussuria fu considerata come un crimine presso i popoli saggi della terra. Tutti i filosofi sanno bene che è solo con gli impostori cristiani che essa è diventata delitto. I preti avevano bene il loro motivo, interdicendoci la lussuria: quella raccomandazione, riservando loro la conoscenza e l'assoluzione di peccati segreti, li dotava di un incredibile potere sulle donne e apriva loro una carriera di lubricità la cui estensione non aveva confini. E risaputo come essi ne hanno approfittato, e come ne abuserebbero ancora se il loro credito non fosse irrimediabilmente perduto.
L'incesto è forse più pericoloso? No, senza dubbio; esso estende i legami della famiglia e rende per conseguenza più attivo l'amore dei cittadini per la patria; esso ci è dettato dalle prime leggi della natura, lo proviamo, e il godimento degli esseri che ci appartengono ci è sempre sembrato più delizioso che mai. Le prime istituzioni favoriscono l'incesto, lo troviamo all'origine delle società, è consacrato in tutte le religioni tutte le leggi l'hanno favorito. Se percorriamo l'universo, troveremo l'incesto diffuso dappertutto. I negri della Costa del Pepe e di Rio Gabon prostituiscono le loro donne ai figli da esse avuti; il figlio maggiore, nel regno di Giuda, deve sposare la donna di suo padre; i popoli del Cile si coricano indifferentemente con le loro sorelle, le loro figlie e sposano sovente sia la madre che la figlia. Io oso assicurare, in una parola, che l'incesto dovrebbe essere la legge di ogni governo la cui base sia costituita dalla fraternità. Come è possibile che uomini ragionevoli abbiano potuto portare l'assurdità fino al punto di credere che il godimento della propria madre, della propria sorella o della figlia possa mai essere criminale! Non è, vi chiedo, un pregiudizio abominevole considerare delittuoso che l'uomo elegga per il proprio piacere l'oggetto al quale il sentimento della natura lo fa sentire più vicino? Tanto varrebbe dire che ci è proibito amare troppo coloro che la natura ci ingiunge di amare di più, e che più è la propensione che la natura ci dà per un oggetto e nello stesso tempo più ci ordina di allontanarcene! Questi divieti sono assurdi: solo popoli abbrutiti dalla superstizione possono prestarvi fede o adottarli. Dal momento che mettere in comune le donne come io ho proposto comporta necessariamente l'incesto, resta ben poco da dire su un preteso delitto la cui nullità è già troppo dimostrata per indugiarvi ulteriormente; e noi passeremo alla violenza che a prima vista sembra essere, tra tutti gli eccessi del libertinaggio, quello in cui la lesione è meno confutabile, dato l'oltraggio che sembra arrecare. E comunque certo che la violenza, azione così rara e così difficile da provare, fa meno torto al prossimo che il furto, perché quest'ultimo usurpa la proprietà che l'altra si contenta solo di deteriorare. Che cosa avreste d'altronde da obiettare allo stupratore che vi rispondesse che in pratica il male da lui commesso è ben mediocre poiché non ha fatto che mettere un po' prima l'oggetto di cui ha abusato nella stessa condizione in cui l'avrebbero di lì a poco messa le nozze o l'amore? Ma la sodomia, ma questo preteso delitto che attirò il fuoco del cielo sulle città che vi si erano dedicate, non è forse un traviamento mostruoso per il quale nessuna punizione sarà abbastanza severa? E indubbiamente ben doloroso per noi dover rinfacciare ai nostri antenati gli omicidi giudiziari che hanno osato permettersi a questo proposito. E mai possibile essere così barbari da osare condannare a morte un infelice il cui solo delitto è di non avere i vostri stessi gusti? C'è da fremere a pensare che nemmeno quarant'anni fa l'assurdità dei legislatori era ancora a questo punto. Consolatevi voi, cittadini: simili assurdità non si verificheranno più, la saggezza dei vostri legislatori ne risponde davanti a voi. Completamente rischiarati su questa debolezza di alcuni, sentiamo bene oggi che un errore del genere non può essere criminale e che la natura non può aver annesso al fluido che scorre nelle nostre reni un'importanza tale da corrucciarsi per il cammino che ci piace far prendere a questo liquore.
Qual è il solo delitto che può sussistere qui? Non certo quello di mettersi in questo o quel posto, a meno di volere sostenere che tutte le parti del corpo non sono simili e che ve ne sono di pure e di immonde, ma, data l'impossibilità di sostenere simili assurdità, il solo presunto delitto non potrebbe consistere che nella perdita del seme. Orbene, io domando se è verosimile che quel seme sia talmente prezioso agli occhi della natura che diventi impossibile perderlo senza colpa. Ma se così fosse come mai essa stessa ogni giorno si rende colpevole di quelle perdite? E non è autorizzarle permettendole nei sogni e nell'atto del godere con una donna incinta? Come si può pensare che la natura ci abbia dato la possibilità di un delitto che la offende tanto? E mai possibile che essa acconsenta che gli uomini distruggano i suoi piaceri e diventino pertanto più forti di lei? E inaudito in che abisso di assurdità ci si precipiti quando si abbandonano, per ragionare, gli ausili della fiaccola della ragione! Teniamo dunque per certo che è altrettanto lecito godere di una donna sia in un modo che null’altro, che è assolutamente indifferente godere di una fanciulla o di un ragazzo e che, non potendo esistere in noi se non le tendenze che riceviamo dalla natura, essa è troppo saggia e troppo conseguente per avercene date di quelle che possano offenderla.
La sodomia è il risultato di una certa organizzazione alla quale noi non contribuiamo. Fanciulli della più tenera età denunciano questa tendenza e non se ne correggono mai. Talvolta è il frutto della sazietà, ma anche in questo caso, appartiene forse meno alla natura? Sotto tutti i profili è opera sua e, ad ogni modo, quel che essa ispira deve essere rispettato dagli uomini. Se, con un censimento esatto, si venisse a provare che questo gusto muove infinitamente più dell'altro, che i piaceri che ne derivano sono molto più vivi, e che per questo i suoi seguaci sono mille volte più numerosi dei suoi nemici, non sarebbe allora possibile concludere che, lungi dall'oltraggiare la natura, questo vizio favorisce i suoi piani e che essa tiene assai meno alla progenitura di quanto noi abbiamo la follia di credere? Ebbene, percorrendo la terra quanti popoli vediamo disprezzare, le donne! Ce ne sono che non se ne servono che per avere il figlio necessario a sostituirli. L'abitudine che hanno gli uomini di vivere insieme nelle repubbliche renderà questo vizio sempre più frequente, ma non è certo un pericolo. I legislatori della Grecia l'avrebbero introdotto nella loro repubblica se l'avessero ritenuto tale? Ben lontani dal crederlo, essi lo ritenevano necessario a un popolo guerriero. Plutarco ci parla con entusiasmo del battaglione degli amanti e degli amati; essi soli difesero per lungo tempo la libertà della Grecia. Questo vizio regnò nell'associazione dei fratelli d'armi, la cementò, i più grandi uomini vi furono inclini. L'America intera, quando fu scoperta, era popolata di gente con quel gusto. Nella Luisiana, nell'Illinois, indiani, vestiti da donna si prostituivano come cortigiane. I negri di Benguela si intrattengono pubblicamente con uomini; quasi tutti i serragli di Algeri oggi non son popolati che di giovanetti. A Tebe non ci si accontentava di tollerare, ma si ordinava l'amore per i ragazzi; il filosofo di Cheronea lo prescrisse per addolcire i costumi dei giovani.
Sappiamo a che punto regnasse a Roma: vi si trovavano luoghi pubblici in cui ragazzi si prostituivano in abito da fanciulla e fanciulle in abito da ragazzo. Marziale, Catullo, Tibullo, Orazio e Virgilio scrivevano a uomini come a loro amanti, e finalmente leggiamo in Plutarco [“Opere morali”, ‘Trattato dell'amore’] che le donne non devono avere parte alcuna all'amore degli uomini. Un tempo gli amasiani dell'isola di Creta rapivano i fanciulli con le cerimonie più singolari. Quando ne amavano uno, stabilivano coi parenti il giorno in cui il rapitore voleva portarlo via; il giovane faceva qualche resistenza se il suo amante non gli piaceva, in caso contrario andava con lui e il seduttore lo rispediva alla sua famiglia subito dopo essersene servito; perché, in quella passione come in quella per le donne, non si può continuare quando se ne ha abbastanza. Strabone ci dice che, in quella medesima isola, era solo con dei ragazzi che si riempivano i serragli: li si prostituiva pubblicamente.
Si vuole un'ultima voce autorevole, fatta per provare come quel vizio è utile in una repubblica? Ascoltiamo Gerolamo il Peripatetico. L'amore per i ragazzi, egli ci dice, si diffuse in tutta la Grecia, perché conferiva coraggio e forza e serviva a cacciare i tiranni; le cospirazioni si formavano tra amanti e questi si lasciavano torturare piuttosto che svelare i loro complici; il patriottismo sacrificava così tutto alla prosperità dello Stato, si era certi che questi legami rafforzavano la repubblica, si declamava contro le donne, ed era una debolezza riservata al dispotismo attacarsi a tali creature.
La pederastia fu sempre il vizio dei popoli guerrieri. Cesare ci fa sapere che i Galli vi erano dediti in modo straordinario. Le guerre che le repubbliche dovevano sostenere, separando i due sessi, propagarono questo vizio e, quando vi si riconobbero effetti così utili allo Stato, la religione non tardò a consacrarlo. È risaputo che i romani santificarono gli amori di Giove e di Ganimede. Sesto Empirico ci assicura che quella fantasia era d'obbligo presso i persiani. Infine là donne gelose e disprezzate offrirono ai loro mariti di render loro lo stesso servizio che essi ricevevano di giovanetti; qualcuno ci provò, ma tornò alle vecchie pratiche, non trovando possibile l'illusione.
I turchi, fortemente inclini a quella depravazione che Maometto consacrò nel suo Corano, assicurano tuttavia che una vergine molto giovane può rimpiazzare abbastanza bene un ragazzo e raramente le loro diventano donne prima di esser passate per questa prova. Sisto Quinto e Sanchez autorizzarono quella sregolatezza; quest'ultimo si cimentò anche a provare che era utile alla propagazione, e che un bambino creato dopo quella incursione preliminare era di costituzione infinitamente migliore. Finalmente le donne si compensarono fra loro. Questa fantasia senza dubbio non ha più inconvenienti dell'altra, dato che il risultato non è che il rifiuto di procreare e i mezzi di coloro che prediligono il popolamento sono abbastanza potenti perché gli avversari non possano mai nuocervi. I greci appoggiavano ugualmente questa deviazione delle donne su delle ragioni di Stato. Ne veniva infatti che, bastandosi fra loro, le loro comunicazioni con gli uomini erano molto meno frequenti ed esse così non disturbavano gli affari della repubblica. Luciano ci mostra quali progressi fece questa licenza, e non è senza interesse che la riscontriamo in Saffo.
Non vi è, in una parola, nessuna sorta di pericolo in tutte queste manie: si spingessero anche più lontano, giungessero sino ad accarezzare dei mostri e degli animali, come ci mostra l'esempio di parecchi popoli, non ci sarebbe in tutte quelle sciocchezze il più piccolo inconveniente, perché la corruzione dei costumi, spesso molto utile in un governo, non può nuocere sotto alcun profilo e noi dobbiamo aspettarci tanta saggezza, tanta prudenza da parte dei nostri legislatori, per essere ben certi che nessuna legge sarà da loro emanata per la repressione di quelle miserie che, dipendendo completamente dalla struttura universale, non potrebbero mai rendere colui che vi è incline più colpevole di quel che non lo sia l'individuo che la natura creò storpiato.
Non ci resta più che l'omicidio da esaminare nella seconda classe di delitti dell'uomo verso i suoi simili, e poi passeremo ai suoi doveri verso se stesso. Di tutte le offese che l'uomo può infliggere al suo simile, l'omicidio è, senza smentita, la più crudele poiché gli toglie il solo bene che abbia ricevuto dalla natura, il solo la cui perdita sia irreparabile. Parecchie domande tuttavia si presentano qui, fatta astrazione dai torto che l'omicidio causa a chi ne diviene la vittima.

1. Questa azione, riguardo alle sole leggi della natura, è veramente criminale?

2. Lo è relativamente alle leggi della politica?

3. E nociva alla società?

4. Come dev'essere considerata in un governo repubblicano?

5. Per ultimo: l'omicidio deve essere represso con l'omicidio?

Esaminiamo ora separatamente ciascuno di questi quesiti: l'oggetto è abbastanza essenziale perché ci si permetta di soffermarcisi; forse si troveranno le nostre idee un po' forti: che vuoi dire? Non abbiamo forse acquistato il diritto di dire tutto? Sviluppiamo agli uomini le grandi verità, è quello che si aspettano da noi. E tempo che l'errore scompaia, bisogna che la sua benda cada a fianco di quella dei re. L'assassinio è un delitto agli occhi della natura? Questo è il primo quesito che ci poniamo.
Qui sembrerà certamente che noi stiamo per umiliare l'orgoglio dell'uomo, abbassandolo al rango di tutte le altre produzioni della natura, ma il filosofo non accarezza affatto le piccole vanità umane. Sempre ardente nel perseguire la verità, egli la districa sotto gli sciocchi pregiudizi dell'amor proprio, la raggiunge, la sviluppa e la mostra arditamente alla terra attonita.
Che cosa è l'uomo, e che differenza c'è fra lui e le altre piante, fra lui e tutti gli altri animali della natura? Nessuna sicuramente. Fortuitamente posto come loro su questo globo, è nato come loro, si propaga, cresce e decresce come loro, arriva come loro alla vecchiaia e cade come loro nel nulla dopo il termine che la natura assegna a ogni specie di animali, in ragione della costruzione dei suoi organi. Se gli accostamenti sono talmente esatti che riesce assolutamente impossibile all'occhio scrutatore del filosofo cogliere qualche dissomiglianza, allora sarà dunque altrettanto delittuoso nell'uccidere un animale che un uomo, o altrettanto poco male nell'uno come nell'altro caso e solo nei pregiudizi del nostro orgoglio si troverà la distanza, ma niente è sciaguratamente assurdo come i pregiudizi dell'orgoglio. Stringiamo comunque il problema. Voi non potete non convenire che non sia uguale distruggere un uomo o una bestia, ma la distruzione di ogni animale che ha vita non è forse un male, come credevano i pitagorici e come credono ancora gli abitanti delle rive del Gange? Prima di rispondere, richiamiamo innanzitutto ai lettori che non esaminiamo la questione che in relazione alla natura; la vedremo poi in rapporto agli uomini. Orbene, io chiedo che valore possono avere per la natura degli individui che non le costano né la minima pena né la minima cura. L'operaio non stima la sua opera che in ragione del lavoro che gli è costata, del tempo che ha impiegato a crearla. Ebbene, costa l'uomo alla natura? E, supponendo che le costi, le costerà più di una scimmia o di un elefante? Io vado più lontano: quali sono le materie generatrici della natura? di che cosa si compongono gli esseri che vengono al mondo? I tre elementi che li formano non derivano dalla primitiva distruzione di altri corpi? Se tutti gli individui fossero eterni, non diventerebbe impossibile alla natura crearne di nuovi? Se l'eternità degli esseri è impossibile per la natura, la loro distruzione diventa dunque una delle sue leggi. Ebbene, se le distruzioni le sono talmente utili da non poterne assolutamente fare a meno e se essa non può pervenire alle sue creazioni senza attingere a queste masse di distruzione che le prepara la morte, da questo momento l'idea di annientamento che noi annettiamo alla morte non sarà più reale, non vi sarà più annientamento constatato, quella che chiamiamo la fine dell'animale che ha vita non sarà più una fine reale, ma una semplice trasmutazione, alla cui base sta il movimento perpetuo, vera essenza della materia e che tutti i filosofi moderni ammettono come una delle sue prime leggi. La morte, secondo quei principi irrefutabili, non è dunque più che un cambiamento di forma, che un passaggio impercettibile da un'esistenza a un'altra ed ecco quel che Pitagora chiamava metempsicosi.
Una volta ammesse queste verità, domando se si può ancora sostenere che la distruzione è un crimine. Ai solo scopo di conservare i vostri assurdi pregiudizi, osereste dirmi che la trasmutazione è una distruzione? No, senza dubbio: infatti bisognerebbe per questo provare un istante di inazione nella materia, un momento di riposo. Ebbene, voi non scoprirete mai questo momento. Piccoli animali si formano nell'istante in cui il grande animale ha perduto il respiro e la vita di questi piccoli animali non è che uno degli effetti necessari e determinati del sonno momentaneo del grande. Oserete dire ora che uno è più caro dell'altro alla natura? Bisognerebbe provare per poterlo dire una cosa impossibile: e cioè che la forma lunga o quadrata è più utile, più gradita alla natura della forma oblunga o triangolare, bisognerebbe provare che, riguardo ai piani sublimi della natura, un fannullone che ingrassa nell'inazione e nell'indolenza è più utile del cavallo, il cui servizio è così essenziale, o del bue, il cui corpo è così prezioso che non ve n'è parte alcuna che non serva, bisognerebbe dire che il serpente velenoso è più necessario del cane fedele.
Orbene, poiché tutti questi sistemi sono insostenibili, bisogna dunque assolutamente consentire ad ammettere l'impossibilità in cui siamo di annientare le opere della natura, posto che la sola cosa che noi facciamo, abbandonandoci alla distruzione, non è che operare una variazione nelle sue forme, ma tale che non può estinguere la vita; appare allora al di sopra delle forze umane provare che sia un delitto la pretesa distruzione di una creatura, di qualunque età, di qualunque sesso, di qualunque specie la supponiate. Condotti ancora più avanti dalla serie delle nostre deduzioni, che nascono tutte le une dalle altre, bisognerà convenire finalmente che, lungi dal nuocere alla natura, l'azione che commettete, variando le forme delle sue differenti opere, è per essa vantaggiosa poiché
con quell'azione le fornite la materia prima delle sue ricostruzioni, il cui lavoro le diventerebbe impraticabile se non produceste annientamenti. Ebbene, lasciate fare a lei, vi si dice. Certo, bisogna lasciarla fare, ma sono i suoi impulsi che segue l'uomo quando si dedica all'omicidio, è la natura che glielo consiglia, e l'uomo che distrugge il suo simile è per la natura la stessa cosa della peste o della carestia, ugualmente mandate dalla sua mano, che si serve di tutti i mezzi possibili per ottenere più presto quella materia prima di distruzione, essenziale alle sue opere.
Compiaciamoci di rischiarare un istante la nostra anima con la santa fiaccola della filosofia: quale altra voce se non quella della natura ci suggerisce gli odi personali, le vendette, le guerre, in una parola tutti i motivi di omicidio perpetuo? Ebbene, se essa ce li consiglia, vuol dire che ne ha bisogno. Come possiamo dunque, in seguito a ciò, supporci colpevoli verso di lei dal momento che non facciamo che assecondare i suoi piani?
Ma ecco che ce n'è più che abbastanza per convincere ogni lettore illuminato che è impossibile che l'omicidio possa in qualche modo oltraggiare la natura.
E è un delitto in politica? Osiamo confessare, al contrario, che sfortunatamente non è che una delle più grandi risorse della politica. Non è forse a forza di uccisioni che Roma è diventata la padrona del mondo? Non è a forza di uccisioni che la Francia è libera oggi? E inutile precisare qui che non si parla che delle uccisioni causate dalla guerra e non delle atrocità commesse dai faziosi e dai disorganizzatori; costoro, votati all'esecrazione pubblica, basta nominarli per eccitare immediatamente l'orrore e l'indignazione generali. Quale scienza umana ha più bisogno di sostenersi con l'omicidio di quella che tende solo a ingannare, che non ha per fine che l'accrescimento di una nazione a spese di un'altra? Le guerre, frutti esclusivi di quella barbara politica, che cosa sono se non i mezzi di cui essa si serve per nutrirsi, fortificarsi, puntellarsi? E che cos'è la guerra, se non la scienza del distruggere? Strano accecamento dell'uomo che insegna pubblicamente l'arte di uccidere, che ricompensa chi ci riesce meglio e punisce chi, per un motivo particolare, s'è disfatto del suo nemico! Non è tempo di ricredersi su degli errori così barbari?
E per ultimo: l'omicidio è un delitto contro la società? Chi può mai sensatamente pensano? Ah! che cosa importa a questa società così numerosa che vi sia in essa un membro in più o in meno? Le sue leggi, le sue usanze, i suoi costumi ne saranno forse viziati? Influì mai la morte di un individuo sulla massa generale? E dopo la perdita della più grande battaglia, che dico, dopo l'estinzione della metà del mondo, della sua totalità, se vogliamo, il piccolo numero di esseri che fosse sopravvissuto proverebbe forse la minima alterazione materiale? Ahimè! no. La natura intera non ne sarebbe più colpita e lo sciocco orgoglio dell'uomo che crede che tutto sia fatto per lui, resterebbe sbalordito, dopo la distruzione totale dell'umanità, se vedesse che niente è cambiato nella natura e che il corso degli astri non ne è stato ritardato. Continuiamo.
Come dev'essere visto l'omicidio in uno Stato guerriero e repubblicano?
Sarebbe certo estremamente pericoloso, sia gettare il disfavore su quell'azione, sia punirla. La fierezza del repubblicano richiede un po' di ferocia, se egli infiacchisce, la sua energia si perde e sarà ben presto soggiogato. Una riflessione molto singolare si presenta qui, ma siccome è vera malgrado la sua arditezza, io la dirò. Una nazione che incomincia a governarsi come repubblica non si sosterrà che con le virtù, perché, per arrivare al più, bisogna sempre partire dal meno; ma una nazione già vecchia e corrotta che, coraggiosamente, scuoterà il giogo del suo governo monarchico per adottarne uno repubblicano, non si manterrà che per mezzo di molti delitti: infatti essa è già nel delitto e se volesse passare dal crimine alla virtù, cioè da uno stato violento a uno stato mite, cadrebbe in un'inerzia il cui risultato sarebbe la sua certa e rapida rovina. Come diventerebbe l'albero che trapiantaste da un terreno pieno di vigore in una piana sabbiosa e secca? Tutte le idee intellettuali sono talmente subordinate alla fisica della natura che i paragoni offerti dall'agricoltura non ci inganneranno mai in morale.
I più indipendenti degli uomini, i più vicini alla natura, i selvaggi, ogni giorno si danno con impunità all'omicidio. A Sparta, a Lacedemone, si andava a caccia degli iloti come noi andiamo in Francia a quella delle pernici. I popoli più liberi sono quelli che lo accettano di più. A Mindanao, chi vuole commettere un omicidio è elevato al rango dei prodi e lo si decora immediatamente di un turbante; presso i caragui, bisogna avere ucciso sette uomini per ottenere gli onori di quel copricapo; gli abitanti del Borneo credono che tutti quelli che mettono a morte li serviranno quando non saranno più in vita; anche i devoti spagnoli facevano voto a san Giacomo di Galizia di uccidere dodici americani al giorno; nel regno di Tangut, si sceglie un giovanotto forte e vigoroso al quale è permesso, in certi giorni dell'anno, uccidere tutto quanto incontra. E mai esistito un popolo più amico dell'omicidio degli ebrei? Lo si vede sotto tutte le forme e a ogni pagina della loro storia.
L'imperatore e i mandarini della Cina prendono di tanto in tanto delle misure per far sì che il popolo si ribelli, al fine di ottenere da quelle manovre il diritto di farne un'orribile carneficina. Che quel popolo molle ed effeminato si affranchi dal giogo dei suoi tiranni, e li ammazzerà a sua volta con ben più ragione, e l'omicidio, sempre adottato, sempre necessario, non avrà fatto che cambiare di vittima: era la gioia degli diventerà la felicità degli altri.
Una infinità di nazioni tollerano gli assassini pubblici: sono del tutto permessi a Genova, a Venezia, a Napoli e in tutta l'Albania; a Kachao, sulla costa di San Domingo, gli assassini, in un costume conosciuto e messo, sgozzano ai vostri ordini e sotto i vostri occhi l'individuo che voi gli indicate; gli indiani prendono dell'oppio per incoraggiarsi all'assassinio, si precipitano poi in mezzo alle strade e massacrano tutto quello che incontrano; viaggiatori inglesi hanno ritrovato questa abitudine a Batavia.
Quale popolo fu a un tempo più grande e più crudele dei romani, e quale nazione conservò più a lungo il suo splendore e la sua libertà? Lo spettacolo dei gladiatori sostenne il suo coraggio, essa diveniva guerriera per l'abitudine di farsi gioco dell'assasinio. Dodici o quindici centinaia di vittime giornaliere riempivano l'arena del circo e là, le donne, più crudeli degli uomini, osavano esigere che i morenti Cadessero con grazia e si producessero ancora sotto le convulsioni della morte. I romani passarono da questo, al piacere di vedere dei nani sgozzarsi davanti a loro e quando il culto cristiano, infettando la terra, venne a convincere gli uomini che era male uccidere, i tiranni misero in catene quel popolo, e gli eroi del mondo ne diventarono ben presto gli zimbelli.
Dappertutto poi si credette con ragione che l'omicida, cioè l'uomo che soffocava la sua sensibilità al punto di uccidere il suo simile e di sfidare la vendetta pubblica o privata, dappertutto, dico, si credette che un tale uomo non potesse essere che molto coraggioso e per conseguenza molto prezioso in un governo guerriero o repubblicano. Se diamo uno sguardo a nazioni che, più feroci ancora, non si soddisfecero che immolando bambini e molto spesso i propri, vedremo quelle azioni, universalmente adottate, fare talvolta anche parte delle leggi. Parecchie tribù selvagge uccidono i loro figli appena nascono. Le madri, sulle rive del fiume Orinoco, persuase che le loro figlie non nascevano che per essere infelici, poiché destinate a diventare spose di selvaggi di quella regione, che non potevano soffrire le donne, le immolavano non appena vedevano la luce. Nella Trapobane e nel regno di Sopit tutti i fanciulli deformi erano immolati dagli stessi genitori. Le donne del Madagascar esponevano alle bestie feroci quelli dei loro figli che erano nati in certi giorni della settimana. Nelle repubbliche della Grecia si esaminavano accuratamente tutti i bambini che venivano al mondo, e se non li si trovava conformati in modo da poter difendere un giorno la repubblica, erano immediatamente immolati: là non si giudicava essenziale erigere case riccamente dotate per conservare questa vile schiuma della natura umana. [Bisogna sperare che la nazione abolirà questa spesa, la più inutile di tutte; ogni individuo che nasce senza le qualità necessarie per diventare un giorno utile alla repubblica non ha alcun diritto di conservare la vita, e la cosa migliore che possiamo fare è di togliergliela al momento in cui la riceve.] Fino alla traslazione della sede dell'impero, tutti i romani che non volevano nutrire i loro figli li gettavano nel letamaio pubblico. Gli antichi legislatori non avevano alcuno scrupolo di destinare i fanciulli alla morte e mai nessuno dei loro codici represse i diritti che un padre si riservava sempre sulla sua famiglia. Aristotele consigliava l'aborto; e quegli antichi repubblicani, pieni d'entusiasmo, di ardore per la patria, ignoravano quella commiserazione individuale che si ritrova tra le nazioni moderne: si amavano meno i propri figli, ma si amava di più il proprio paese. In tutte le città della Cina, si trova ogni mattina una incredibile quantità di bambini abbandonati per le strade, una carretta li preleva allo spuntar del giorno e li getta in una fossa. Spesso le stesse levatrici ne sbarazzano le madri soffocando subito i nati in tini d'acqua bollente o gettandoli nel fiume. A Pechino, li si mette in piccoli cesti di giunco che vengono abbandonati sui canali: ogni giorno si schiumano quei canali e il celebre viaggiatore Duhalde valuta a più di trentamila il numero giornaliero raccolto a ogni ricerca. Non si può negare che sia straordinariamente necessario, estremamente politico mettere una diga alla popolazione in un governo repubblicano; per motivi assolutamente contrari bisogna incoraggiarla in una monarchia; là, i tiranni, non essendo ricchi che in relazione al numero dei loro schiavi, certamente abbisognano di uomini, ma l'abbondanza della popolazione, non dubitiamone, è un vizio reale in un governo repubblicano. Non bisogna tuttavia sgozzarla per diminuirla, come dicevano i nostri moderni decemviri: si tratta di non lasciarle i mezzi di estendersi al di là dei limiti che la sua felicità le prescrive. Guardatevi dal moltiplicare troppo un popolo di cui ciascun membro è sovrano e siate certi che le rivoluzioni non sono frutto che di una popolazione troppo numerosa. Se per lo splendore dello Stato accordate ai vostri guerrieri il diritto di distruggere degli uomini, accordate pure a ogni individuo di disporre finché vorrà, poiché può farlo senza oltraggiare la natura, del diritto di disfarsi dei figli che non potrà nutrire o dai quali il governo non può trarre alcun aiuto, accordategli ugualmente di disfarsi, a suo rischio e pericolo, di tutti i nemici che possono nuocergli, perché i risultati di tutte quelle azioni, assolutamente nulle in se stesse, saranno di mantenere la vostra popolazione in uno stato moderato, mai abbastanza numeroso da sconvolgere il vostro governo. Lasciate dire ai monarchici che uno Stato non è grande che in rapporto alla crescita estrema della sua popolazione: quello Stato sarà sempre povero se la sua popolazione eccede i suoi
mezzi di vita, e sarà sempre fondo se, contenuto nei suoi giusti limiti, potrà far traffico del suo superfluo. Non potate voi l'albero quando ha troppe fronde? e, per conservare il tronco, non tagliate forse i rami? Ogni sistema che si discosta da questi principi è una stravaganza i cui abusi ci condurrebbero rapidamente al rovesciamento totale dell'edificio che con tanta difficoltà siamo riusciti a innalzare. Ma non è quando l'uomo è fatto che bisogna distruggerlo al fine di diminuire la popolazione: è ingiusto accorciare i giorni di un individuo ben conformato, non lo è, io dico, impedire di arrivare alla vita a un essere che certamente sarà inutile al mondo. La specie umana deve essere epurata sin dalla culla, è chi prevedete che non potrà mai essere utile alla società che bisogna strappare dal suo seno: ecco i soli mezzi ragionevoli di diminuire una popolazione la cui eccessiva estensione è, come abbiamo provato, il più pericoloso degli abusi.
È tempo di concludere.
L'omicidio deve essere represso con l'omicidio? No, senza dubbio. Non imponiamo mai all'omicida altra pena che quella in cui può incorrere per la vendetta degli amici o della famiglia dell'ucciso. Io vi accordo la grazia, diceva Luigi XV a Charolais, che aveva ucciso un uomo per divertirsi, ma la accordo anche a colui che vi ucciderà. Tutte le basi della legge contro gli omicidi si trovano in questa sentenza sublime. [La legge salica non puniva l'omicidio che con una semplice ammenda, e poiché il colpevole trovava facilmente modo di sottrarvisi, Childeberto, re d'Austrasia, decretò, con un regolamento stabilito a Colonia, la pena di morte non contro l'omicida, ma contro chi si fosse sottratto all'ammenda decretata contro l'omicida. Anche la legge ripuaria non ordinava contro quell'azione che un'ammenda proporzionata all'individuo che era stato ucciso. Costava molto caro riparare la morte di un prete: si faceva all'assassino una tunica di piombo della sua taglia, ed egli doveva sborsare l'equivalente in oro del peso di quella tunica, altrimenti il colpevole e la sua famiglia restavano schiavi della Chiesa.]
In una parola, l'assassinio è un orrore, ma un orrore spesso necessario, mai criminale, che in uno Stato repubblicano è essenziale tollerare. Io ho dimostrato che l'universo intero ne aveva dato l'esempio, ma è da considerare come un'azione punibile con la morte? Coloro che risponderanno al dilemma seguente avranno soddisfatto alla domanda: L'omicidio è un crimine o non lo è? Se non lo è, perché fare delle leggi che lo puniscano? E se lo è, per quale barbara e stupida inconseguenza lo punirete con un crimine uguale?
Ci rimane da parlare dei doveri dell'uomo verso se stesso. Poiché il filosofo non adotta quei doveri che nella misura in cui tendono al suo piacere o alla sua osservazione, è inutile raccomandargliene la pratica, più inutile ancora imporgli delle pene se vi manca.
Il solo delitto che l'uomo possa commettere in questo settore è il suicidio. Non mi divertirò qui a provare l'imbecillità della gente che erige questa azione a delitto: rimando alla famosa lettera di Rousseau quanti potrebbero avere ancora qualche dubbio in materia. Quasi tutti gli antichi governi autorizzavano il suicidio giustificandolo con la politica e con la religione. Gli ateniesi esponevano all'Areopago le ragioni che avevano per uccidersi: poi si pugnalavano. Tutte le repubbliche della Grecia tollerarono il suicidio, esso entrava nei piani dei legislatori, ci si uccideva in pubblico e si faceva della propria morte uno spettacolo solenne. La repubblica di Roma incoraggiò il suicidio: i sacrifici così celebri per la patria non erano che suicidi. Quando Roma fu presa dai Galli, i più illustri Senatori si diedero la morte; riprendendo quello stesso spirito, noi adottiamo le stesse virtù. Un soldato si è ucciso, durante la campagna del '92, per il dispiacere di non poter seguire i suoi compagni nella battaglia di Jemappes. Posti incessantemente all'altezza di quei fieri repubblicani, noi sorpasseremo presto le loro virtù: è il governo che fa l'uomo. Una così lunga abitudine al dispotismo aveva totalmente snervato il nostro coraggio, aveva depravato i nostri costumi: noi rinasciamo. Si vedrà presto di quali azioni sublimi è capace il genio, il carattere francese, quando è libero,( difendiamo, a prezzo delle nostre fortune e delle nostre vite, questa libertà che ci costa già tante vittime, non rimpiangiamone alcuna se perverremo allo scopo: esse si sono tutte sacrificate volontariamente, non rendiamo inutile il loro sangue; ma unione... unione, o perderemo i frutti di tutte le nostre sofferenze. Fondiamo leggi eccellenti sulle vittorie che abbiamo, riportato; i nostri primi legislatori, ancora schiavi del, despota che finalmente abbiamo abbattuto, non ci avevano dato che leggi degne di quel tiranno, che essi incensavano ancora. Rifacciamo la loro opera, pensiamo che è per dei repubblicani e per dei filosofi che incominciamo finalmente a lavorare; che le nostre leggi siano miti come il popolo che devono reggere.
Mostrando così, come ho finito di fare, il nulla, l'indifferenza di un'infinità di azioni che i nostri antenati, sedotti da una falsa religione, consideravano criminali, io riduco il nostro lavoro a ben poca cosa, Facciamo poche leggi, ma che siano buone. Non si tratta di moltiplicare i freni: ma di dare a quelli che impieghiamo una qualità indistruttibile. Che le leggi che promulghiamo abbiano per solo scopo la tranquillità del cittadino, la sua felicità e lo splendore della repubblica. Ma, dopo aver cacciato il nemico dalle vostre terre, francesi, io non vorrei che l'ardore di propagare i vostri principi vi trascinasse più lontano; non è che col ferro e col fuoco che potrete portarli al limite dell'universo. Prima di porre mano a risoluzioni del genere, ricordatevi dei disgraziati successi delle crociate. Quando il nemico sarà dall'altra parte del Reno, credetemi, custodite le vostre frontiere e restate a casa vostra, rianimate il vostro commercio, ridate energia e sbocchi alle vostre manifatture, fate rifiorire le vostre arti, incoraggiate l'agricoltura, così necessaria in un governo come il vostro, il cui spirito ve essere di poter fornire prodotti a tutti senza aver bisogno di nessuno. Lasciate che i troni d'Europa crollino da soli: il vostro esempio, la vostra prosperità li abbatteranno ben presto, senza che voi dobbiate immischiarvene.
Invincibili al vostro interno e modelli di tutti i poper la vostra politica e le vostre buone leggi, non sarà un governo al mondo che non cerchi di imitarvi, non uno solo che non si onori della vostra alleanza; ma se, per il vano onore di portare i vostri princìpi lontano, abbandonerete la cura della vostra propria felicità, il dispotismo, che non è che addormentato, rinascerà, divergenze intestine vi lacereranno, avrete esaurito le vostre finanze e i vostri soldati e tutto ciò per tornare a baciare le catene che vi imporanno i tiranni che vi avranno soggiogati durante vostra assenza. Tutto ciò che desiderate è realizzabile senza che lasciate i vostri focolari: che gli altri popoli vi vedano felici, e correranno verso la felicità per la stessa strada che voi avete tracciato. [Ci si ricordi che la guerra esterna non fu mai proposta che dall'infame Dumouriez]