RIEDIZIONE CON
AGGIUNTE E COMMENTO

Nel centenario della nascita di
Stravinskij e Malipiero esce
questo libro che è una delle
opere più preziose mai
scritte e pubblicate su
Stravinskij. Le vite dei due
musicisti, anche se agite su
sponde musicali diverse,
rivelano numerosi punti di
inequivocabile
complementarietà e mentre
Stravinskij ha segnato
indelebilmente la musica
contemporanea, Malipiero ha
lasciato cospicue tracce di un
provato talento. La condivisa
arte della musica, le coincidenze
anagrafiche e la odiosa
amicizia o amorevole inimicizia
hanno dato vita a questo libro
che è una dedica appassionata.


INDICE

LETTERA DI GFM AL CRITICO

FLORILEGIO

PRESENTAZIONE DI G. GAVAZZENI

DUE LETTERE
DI STRAWINSKY A MALIPIERO

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LETTERA DI G. F. MALIPIERO
AL CRITICO GIUSEPPE PUGLIESE

Asolo, settembre 1971

Caro Pugliese,

ella mi chiede di parlarle di Igor Stravinskij, ebbene dovrei risponderle con un rifiuto, ché i ricordi quanto mai confusi e contraddittori non sono incoraggianti.
A Parigi, quasi alla vigilia della prima guerra mondiale (1913), trascorsi alcune settimane di desolante solitudine, senonché un giorno, sul Boulevard des Italiens, mi accorsi di due individui che si salutarono togliendosi il cappello; da quel momento non mi sentii più solo, ché subito Alfredo Casella mi tese la mano molto spontaneamente, quasi mi aspettasse.
Dovrei raccontare sempre le stesse cose, cioè che per merito di Alfredo Casella feci la conoscenza di tutti i compositori francesi operanti sulla piazza e devo ringraziare ancora una volta il buon Alfredo se ho rinviato di qualche giorno la partenza da Parigi, per assistere alla mai dimenticata prima rappresentazione del Sacre du printemps. Inutile ch'io ripeta l'importanza che ebbe per me questa primizia: mi confermò cioè che nel deserto veneziano io avevo scelto la giusta via. Non so se allora io abbia dato la stessa importanza che dò oggi a questo mio primo contatto con l'opera di Stravinskij non ancora sradicato dalla sua terra, certo che ritornai a Venezia senza più dubitare sulla mia attività di musicista liberato da ogni borghesismo.

In realtà il vero incontro con Stravinskij ebbe luogo nel 1920 a Morges, trarnite il nostro comune editore J.W. Chester e da quel momento si può dire, nonostante le montagne e gli oceani che a poco a poco ci allontanavano, abbia avuto inizio la nostra amicizia.
Gli incontri, non furono frequenti, ma nemmeno sterili, però la situazione politica ci divise ed è logico che, vivendo a Venezia con una guerra in vista, io non abbia indovinato quello che sarebbe stato il divenire di Stravinskij a Hollywood e soltanto ora m'accorgo d'essermi interessato e spesso preoccupato delle sorprendenti impennate di colui che si ribellò al Diaghilev non appena s'accorse di non potergli più obbedire. Oggi Igor Stravinskij gli riposa vicino e il perdono sarà reciproco.
La prova che esisteva fra di noi una simpatia che, se le circostanze non ci avessero diviso, avrebbe potuto rivelarsi concretamente, è il fatto che per una ragione o per l'altra siamo rimasti sempre in corrispondenza. Proprio oggi ho ritrovato una copia del Monumentum pro Gesualdo di Venosa con la sua dedica.
Fra i più vivi ricordi primeggia l'indiavolata esecuzione dell'Histoire du soldat che egli, insieme al violinista spagnolo Porta, fece per me a Morges nel 1920, epoca in cui egli sperava ch'io gli trovassi un'abitazione alla Trinità dei monti, invece prese la via di Parigi e non se ne parlò più. C'incontrammo ancora a Baden-Baden e a Magonza dove l'esuberante Florent Schmitt alla vista dell'amico, non si accorse del golfo mistico, e per corrergli incontro vi cadde creando una imbarazzante confusione.
La visita di Stravinskij ad Asolo però occupa certamente il primo posto fra i miei ricordi anche perché ne parlò simpaticamente in un suo libro. A Roma in occasione del Concerto ecumenico ci salutammo appena, mentre è a Venezia ch'ebbero luogo le nostre effusioni, anzi in occasione di un mio concerto al Festival veneziano, a fine serata volle mandarmi per un amico, una rosa rossa che conservo ancora.
Credo sia stato il caso a sviluppare la sua simpatia per questa città e sono convinto che mentre Igor Stravinskij concentrava la sua attività a Venezia, aveva già deciso di riposare a San Michele, l'isola dei morti che non verrà mai sommersa perché non si può affogare dove l'acqua ha già stabilito un patto fra la vita e la morte.
Ecco i miei ricordi, perdoni se non riesco a pescarne di più nella mia memoria. Cordialmente

Gian Francesco Malipiero


GIANANDREA GAVAZZENI
G. F. MALIPIERO E IGOR STRAVINSKIJ

Trent'anni fa appariva per le Edizioni di Treviso, a cura di Gino Scarpa e Ivo Furlan, un grosso volume sull'opera di Gian Francesco Malipiero. Conteneva, dopo l'introduzione di Guido Maria Gatti, saggi di scrittori italiani e stranieri, un catalogo delle composizioni con annotazioni dell'autore e infine un'appendice di ricordi e pensieri del Musicista. Ricordi e pensieri che sono i tipici «capricci» e le divagazioni che hanno accompagnato gran parte della vita malipieriana, quasi note in margine all'opera musicale e soprattutto al teatro.
Poco tempo dopo l'apparizione di quel volume ero, a Roma, a colazione da Fedele e Suso D'Amico. C'era il padre di lei, Emilio Cecchi. Aveva letto quegli scritti. Disse: «Gli è scrittore nato». Scomparso Malipiero, ascoltai alla Fondazione Cini, a San Giorgio Maggiore, una conferenza di Gianfranco Folena appunto su Malipiero scrittore. Ancora, sul «Corriere della Sera» del 1 settembre 1973, Vittore Branca, in occasione della morte avvenuta in Treviso un mese prima, dedicava un elzeviro a I pensieri di un musicista. L'attenzione destata sul versante della cultura letteraria era il segno che accanto al musicista esisteva uno scrittore. Mentre nei primi anni la penna si era esercitata in pagine polemiche o teoriche - il saggio L'orchestra (1920), la polemica con Ildebrando Pizzetti Oreste e Pilade ovvero le sorprese dell'amicizia (1922) - man mano sorsero altri estri alle stampe. Insieme a un gusto antologistico (I Profeti di Babilonia, L'armonioso labirinto) assumeva voce e fantasia l'autobiografismo, l'osservazione mordace sul costume, il frammento liricizzante, l'autoironia, il piacere antiquario, i suoni e i colori del paesaggio: Venezia, la terraferma veneta, Asolo. Sempre nella chiave di una stravaganza appunto «veneziana», insita nel carattere dell'uomo, nel suo eloquio apparentemente irrazionale, e radicata, infine, e soprattutto, nella personalità singolarissima del compositore.
Scritture che dal '45 in poi si trovarono raccolte nei volumetti di Cossì va lo mondo, nella Pietra del bando, nelle plaquettes edite da Vanni Schiwiller. E che ebbero poi ampia sede nel volume Einaudi Il filo d'Arianna (1966).
Ora dunque la ristampa del saggio su Stravinskij. L'occasione propizia di due centenari ravvicinati la rende opportuna ed utile. Due scadenze vicine, Stravinskij e Malipiero, che testimoniano sul vivo la multiformità della musica e della cultura musicale del Novecento. E indicano la distanza tra un musicista e l'altro. Distanza di formazione, di intenti e di stili, di materie sonore, di «poetiche». Diversità di fortune nel mondo e, occorre dirlo per constatazione di realtà, di effetti. Ma proprio Stravinskij ha dato occasione a Malipiero, una volta tanto, di esprimere una posizione critica.


SOVRACOPERTA DELL'EDIZIONE ORIGINALE 1945

Apparso la prima volta nel '45 per le veneziane Edizioni dei Cavallino, dirette da Carlo Cardazzo, questo volumetto fece rumore in certo ambiente musicale italiano. Lo Stravinskij neoclassico era già ormai mitizzato, una larga parte della critica, europea ed oltre, ne aveva accettato le ragioni autentiche e rimaneva pronta ai mutamenti successivi. Il parallelo con il cammino di Picasso accedeva già al luogo comune. Un neoclassicismo come «ritorno all'ordine» veniva dato, per Stravinskij, come acquisito. Senza ignorare che uomo e musicista fortemente ancorato all'«ordine» egli lo fu sempre, anche al tempo dell'apparente rivoluzione dei Sacre du printemps. Malipiero stesso, tra il '30 e il '40 non aveva forse intrapreso e attuato un suo «ritorno all'ordine»? Eppure, ecco che di fronte al fenomeno stravinskiano egli assume, vivacemente, una posizione che limita la grandezza del maggiore fratello, la tensione di un tono vitale eccezionale, al periodo russo, cioè sino alle Noces.
Non ci si deve mai stupire se l'ottica critica di un compositore di spiccata individualità, risulti sfalsata di fronte ad altra personalità coeva. Semmai è proprio l'errore critico che serve, come in questo caso, ad acuire i tratti tipici di chi lo esprime.
Ed è infatti la pittoresca stravaganza «lagunare» di Malipiero a uscirne segnata con toni assai vivi. Ed è la spregiudicatezza e la libertà del giudizio a dare il valore al libretto, a renderne tanto veloce e gradevole la lettura. Poiché Malipiero non assume i modi di un saggio critico, non si affatica all'analisi. E nemmeno tenta mascherare il suo andar controcorrente riguardo allo Stravinskij post-russo, con cautele o prudenze insinuatrici. Va dritto allo scopo, non importandogliene nulla di essere smentito dalla realtà e dalla storia. Così non gliene importa - lui, partecipe dell'avanguardia storica europea dei primi decenni del secolo - che possano accomunarlo ai detrattori delle metamorfosi stravinskiane.
Ne esce così, sul collega famoso, un ritratto sui generis. Alle impressioni sulle musiche, rapidissime, scheggiate, si alternano i ricordi - fulmineo quello all'attacco delle prime pagine, sulla prima esecuzione del Sacre a Parigi, con Debussy e D'Annunzio plaudenti in un palchetto (ma anche Puccini era a Parigi in quei giorni, e lo ascoltò) gli incontri, le occasioni di ascolto, le malignità e le arguzie. Similmente ad altri scritti pare rinasca qui il gusto e il frizzo di un Gasparo Gozzi fatto novecentesco. Per tutto ciò lo Stravinskij malipieriano lo si legge tutto d'un fiato, senza pause o stanchezze. Più avanti negli anni, Malipiero tornò in argomento e parve rettificare un poco il tiro. Pur senza smentire la sua posizione di fondo. Cioè il perché e i valori dei trapassi di maniere e di stili del russo. E ponendosi degli interrogativi, avanzando dubbi che sembrano aprire la strada ad una diversa comprensione delle esperienze percorse da Stravinskij.
Nel volume Il filo d'Arianna troviamo infatti uno scritto - Igor Stravinskij a Venezia - dove si legge nella prima pagina: «II libro che reca la mia firma e il titolo Stravinskij che cosa è? Il disappunto per aver smarrito l'autore di Petruska della Sagra della primavera e delle Nozze, si tratta dunque di un fatto squisitamente personale e in stretto rapporto con certe impressioni e ricordi giovanili».
Quando Stravinskij morì - volendo sepoltura veneziana - è stato scritto che Gian Francesco Malipiero, come colpito al cuore, osservasse quasi nascosto da una finestra passare la gondola funebre sulle acque del Rio. Non certo arguzie o punte maliziose, in quell'ora. Avrà sentito con certezza che chi passava estinto su quelle acque, chiudeva un grande ciclo nella civiltà culturale dei Novecento. E che la musica da lui composta sarebbe vissuta ancora, forse per molto. Anche la musica dell'esperienza neoclassica e delle inquietudini degli anni estremi.

Roma, 6 marzo 1982


GLI INCONTRI

Parigi, aprile 1913.
«Non parta. In maggio avremo la rappresentazione del nuovo balletto di Igor Stravinskij: Le sacre du printemps che segnerà certamente un altro passo avanti in quella direzione che tutti dobbiamo seguire per la salute dell'arte musicale».
Così mi parlava Alfredo Casella mentre stavo congedandomi da lui e gli sono grato




G. F. MALIPIERO - CARICATURA DI CASELLA

di avermi quasi costretto ad attendere «l'avvenimento». Sono però convinto che in ogni modo avrei «dovuto» rimanere perché certi incontri sono inevitabili.
Il 28 maggio 1913 al Teatro dei Campi Elisi aveva luogo la prima del Sacre du printemps. Grande pubblico, grande gazzarra. Claude Debussy, Gabriele d'Annunzio da un palchetto applaudivano e imprecavano contro la bestialità trionfante. L'esuberante Florent Schmitt insultava i suoi compatriotti.
La musica dei Sacre du printemps si è potuta sentire alla seconda rappresentazione ché gli oppositori si trovavano già in minoranza, e dalla terza in poi il loro contegno a poco a poco divenne quasi normale.
Igor Stravinskij sofferse assai e nelle Cronache della mia vita confessa che non ha potuto giudicare l'esecuzione perché già alle prime battute del preludio, che sollevarono le risa ed esclamazioni poco riverenti, lasciò la sala. «Ero nauseato, - egli scrive - queste manifestazioni, dapprima isolate, presto si fecero generali provocando delle contromanifestazioni: un baccano spaventoso».
Fra gli ascoltatori composti ma tutt'altro che «rapiti» c'era anche Ildebrando Pizzetti.
Questo fu l'incontro con la musica di Igor Stravinskij coi musicista che in tre anni, cioé dall'Oiseau de feu (1910), aveva fatto passi da gigante. Per quanto rapida la sua evoluzione, la via seguita non ha nulla di illogico, anzi è una crescente conquista del ritmo, forza primordiale.
L'incontro con Igor Stravinskij in carne e ossa avvenne a Ginevra nel 1920, durante una visita al mio editore J.W. Chester, uno svizzero residente a Londra. Approfittai dell'occasione per recarmi a Morges da Stravinskij. Affabile accoglienza. Invito a pranzo. Come antipasto una bottiglia di vodka alla quale l'ospite fece molto onore. Si parlò del più e del meno. Stravinskij attaccò Alfredo Casella, accusandolo d'essere un plagiario. Lo difesi dimostrandogli che tutti gli innovatori hanno avuto un ascendente sui contemporanei. Tardi nella notte egli mi fece sentire nel suo studio (tutto tappezzato di tamburi grandi e piccoli, di grancasse ed altri strumenti a percussione) L'histoire du soldat. Al pianoforte egli metteva in evidenza il ritmo, la rappresentazione scenica; coi gomiti e coi piedi percuoteva strumenti immaginari mentre il diabolico Josè Porta (spagnolo) rendeva a meraviglia la parte del violino.
L'histoire du soldat nel suo complesso può essere dello stesso autore di Petruska, quello del Sacre du printemps non lo si ritrova più.

IGOR STRAVINSKIJ A VENEZIA


Festival della S.I.M.C., 1925.


In programma la Sonata per pianoforte.
Esecutore: l'autore.

Il settembre riuniva, in quei tempi ormai lontanissimi, il fior fiore dello snobismo internazionale.
Nel salotto della principessa di Polignac (a palazzo Contarini dal Zaffo) dame e cavalieri fanno ressa intorno al musicista russo. Sembra un alveare tanto ronzano gli erre dei 'mon cherrr'.
«Ancora una tazza di té?». Egli deve rispondere. Tutti tacciono. «Per un russo il té è il centro di tutte le nostalgie». (Rapidamente passano davanti ai nostri occhi teorie di cosacchi, slitte inseguite da torme di lupi, l'immensa pianura coperta di neve). «Perché - egli prosegue - in occidente, mancando i samovar, il gusto del tè è tutt'altro. C'est un autre goût». Un altro gusto, come la Sonata ascoltata nel Festival del 1925.
Quanti avevano dimenticato lo Stravinskij del Sacre du printemps?
Per scrivere questa Sonata il samovar non era più necessario.
«Stravinskij salutato al suo apparire da un interminabile applauso siede al pianoforte, poi s'alza, si avanza verso la ribalta e dice: 'Signore e signori, ho bisogno della vostra indulgenza perché ho un dito ammalato e devo suonare con nove.' La Sonata rivela uno Stravinskij assolutamente inatteso. Coloro che credevano di assistere a nuove conquiste del tormentato ricercatore furono delusi fin dalle prime note. Si narra che Stravinskij abbia detto essere al mondo solo Bach e lui ed abbia accusato necessità di ritorno. La Sonata è sintomo palese di un già iniziato ritorno e nello stile, negli sviluppi, nei particolari ricorda appunto la maniera bachiana».
Così la «Gazzetta di Venezia» del 9 settembre 1925.
Alfredo Casella scrive invece (nel «Convegno» del 3 agosto 1925): «Il fatto che Stravinskij abbia scritto un lavoro lineare, contrappuntistico ed assai prossimo allo spirito di Bach non può giungere inatteso che ad un ignorante».
Dopo di che non resta che ammettere 'a priori' le più inverosimili evoluzioni stravinskiane e ciò per evitarci il titolo di ignoranti.
Passando per Magonza, nel 1931, ho intravvisto Igor Stravinskij mentre provava l'Apollon musagète, opera questa in cui egli si eclissa completamente, anzi si mutila pur di trasformarsi. Scambiammo un saluto convenzionale.
Nell'autobiografia egli scrive: «I miei concerti in Belgio (1923) seguiti da diversi concerti a Barcellona e a Madrid segnano, per così dire, il mio debutto come esecutore delle mie opere». Questa data è da ritenere perché corrispondente a uno stile nuovo e 'pratico', è una data importante quanto quella del suo totale sradicamento dalla Russia (1914) che le sue opere tradiscono e nello stile e nella sostanza man mano passa il tempo del suo volontario esilio che lo europeizza.
Durante il Festival di Venezia del 1934 lo vedemmo salire sul podio per dirigere il suo Capriccio per pianoforte e orchestra. Al pianoforte il figlio Sviatoslav Soulima, ottimo esecutore.
La evoluzione si svolge entro il cerchio familiare.
Difatti al Festival dei 1936 a Baden-Baden Igor Stravinskij ha presentato un Concerto per due pianoforti da eseguire insieme al figlio Sviatoslav Soulima. Il contrappunto pianistico anche in questa opera è stranamente ortodosso: forze contrastanti, linee divergenti si ritrovano, si allontanano, si fondono, si amalgamano. È l'ordine del disordine.
Nel Sacre du printemps Stravinskij è padrone del ritmo, ritmo brutale, veemente, qui invece egli, suo malgrado, si lascia trascinare da un programma squisitamente cerebrale, voluto, e quasi sempre occasionale. È forse per un puro caso che dapprima ci siamo incontrati con uno Stravinskij risoluto, forte e che in tre anni aveva saputo respingere (cioè fra il 1910 e il 1913) tutte le insidiose lusinghe musicali, quelle dolcissime lusinghe che garantiscono il facile successo, per poi ritrovarlo a Venezia col dito fasciato e per farci sentire al pianoforte una Sonata che vorremmo intitolare «nostalgia» per lo Stravinskij che si concluse con Les noces?

DUE LETTERE DI IGOR STRAWINSKY
A GIAN FRANCESCO MALIPIERO

Morges, 8 avril 1920

Cher Ami, votre télégramme avec la, communication que l'appartement sur lequel je contais si fermement était loué un jour avant l'arrivé de mon télégramme m'a beaucoup affligé. Je demande à tout le monde de me trouver un appartement à Rome; Semenoff, que j'ai vu à Milan, m'a promis de faire tout son possible. Je compte sur vous tous. Avez vous fait des démarches pour mes parents les Beliankine? Excusez moi, cher ami, de vous ennuier, mais il faut qu'ils reçoivent leurs permission de se rendre en Italie au courant de ce mois encore, car je serai absent le moi de mai et rien ne se fera pendant mon absence. Ensuite je reviens et on doit partir pour l'Italie. Je vais à Positano chez Semenoff qui me retiendra une maison pour l'été. Bien sincerement à vous, cher ami, Votre bien dévoué

J. STRAWINSKY

Morges, 15 avril 1920

Merci beaucoup, mon cher Malipiero, pour vos démarches. J'ai bien requ votre dernière lettre (du 12 crt.).
1) Pour mes parents, Semenoff (dont j'ai reçu une lettre hier) m'a demandé d'envoyer immédiatement à Barocchi (54, via Margutta) ce qui les concerne. Ces renseignements sont partis hier. Je vous envoie cependant le double de cette liste pour le cas ou Barocchi ne pourrait pas s'en occuper de suite - c'est alors sur vous que je compte, cher ami, à moins que vous le faissìez vous méme sans attendre Barocchi. Voyez ça sur place vous méme - pourvu que cela se faisse de suite. Dans cette liste ne figure pas une personne qui va aussi avee nous, c'est Mademolselle Mina Switalski, la gouvernante de mes enfants; elle est sujet polonais, la liste qui la concerne est jointe à cette lettre. Si c'est Barocchi qui slen occupera rendez la lui s.v.p.

2) Pour la liste des objets que j'emporte en Italie. Ce ne sont pas des objects - c'est tout un mobilier (cela prendra une déménageuse et un wagon de marchandise), et nous ne pouvons établir la liste de ce mobilier que d'une façon sommaire. Je vous en envoie également la liste. J'espère qu'on la trouvera satisfaisante de precision. Mon demenagenr (Sauvin, Schimth à Genève) a un correspondant à Rome; ce Monsieur viendra vous voir de ma part justement pour vous demander de nous aider dans la question du déménagement, si quelquefois vous avez des connaissances au département des douanes; ou c'est les diplomates qui peuvent vous aider? Car on me dit qu'il faut avoir un permis d'établissement pour amener en Italie tout un mobilier. Est-ce vrai? Vous savez, mon cher, que, quoi qu'il en est jusqu'à maintenant, je, ne puis rien décider avec mes moeubles. Pour les envoyer à Rome il faut avoir au moins un gard-moeuble en vu. Or je ne sais si on pent en trouver un pareil en ce moment. Faudrait-il garder mon appartement a Morges pour cette saison jusqulau 1er Oct. Cela serait vraiment trop couteux. Et cela ce pourrait bien que mème au 1er Oct. Je ne trouverai rien à Rome, nì appartement ni garde-moeuble: qu'en ferai-je alors?
J'attends donc des vos précieuses nouvelles et en attendant je vous serre très cordialement la main.

JGOR STRAWINSKY

N'oubliez pas de présenter mes hommages à Madame Malipiero. Pour le Sacre j'ai écrit à Berlin. Des que je l'aurai reçu je vous l'expédirai. Jusqu'à quand restez vous à Rome et où vous écrire après?

Ci joint: 1) la liste concernant mes parents; 2) liste concernant M. L. Switalski et 3) nomenclature de mon mobilier.